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Supernovae

Le supernovae sono 100 mila, 1 milione, 1 miliardo di volte più intense delle novae: l’energia emessa può essere dell’ordine di 10 alla 50 erg, quanto una stella di tipo solare emette in un miliardo di anni, quindi in una galassia essa è un cataclisma senza confronti.
La magnitudine assoluta fotografica di una nova, al max della luminosità, può essere compresa tra -6 e -9; quella di una supernova tra -18 e -20. L’esplosione di una supernova può risplendere a volte come l’intera galassia e può vedersi anche alla distanza di 1 miliardo di a.l. La velocità del materiale espulso può arrivare a 20 mila Km/sec.
Le supernove esplose nella nostra galassia con certezza sono: una nel 1054, una nel 1572 e una nel 1604, e ovviamente furono osservate solo ad occhio nudo. Probabilmente apparvero delle supernove anche nel 1006, 1181 e 1667; inoltre, andando indietro nel tempo, forse delle "stelle ospite" nel 393 e nel 185. Infine, il mattino del 23 febbraio 1987 il cielo ci ha fatto un regalo magnifico: una supernova (1987 A) visibile ad occhio nudo esplosa nella "LMC". In una galassia tipo la Via Lattea dovrebbe esplodere in media, secondo recenti valutazioni, una supernova ogni ventina d’anni, ma molte di esse non possono essere osservate a causa dell’assorbimento della radiazione operato dalle nubi di gas e dalle polveri interstellari.
Le stelle più massicce di otto masse solari invece continuano a contrarsi (la forza gravitazionale prevale su tutte le altre forze) raggiungendo nel nucleo temperature ancora più alte (sino a 5 miliardi di K) con le quali si innescano combustioni e trasformazioni di elementi via via più pesanti, carbonio, ossigeno, silicio sino al ferro, che in natura è l'elemento più stabile ed arresta la trasmutazione degli elementi. Il nucleo della stella si contrae ancora e raggiunge 8 miliardi di K; i nuclei di ferro vengono bombardati pesantemente e reagiscono trasformandosi, non in elementi più pesanti, bensì in nuclei di elio. Tale reazione genera un grande assorbimento di energia e l'equilibrio della stella si rompe e esplode in una supernova, durante la quale la metà o addirittura tutta la massa della stella viene espulsa. Nel primo caso: Supernove di II tipo rimane un buco nero o una stella a neutroni (pulsar). Nel secondo caso: Supernove di I tipo restano solo le ceneri della supernova. I residui brillano per gli stessi fenomeni di fluorescenza, già visti, innescati dall'energia immensa liberata a seguito dell'esplosione. La velocità di espansione è questa volta dell'ordine di decine di migliaia di Km/sec. E i residui permangono più a lungo prima di dissolversi, rispetto ad una nebulosa planetaria dove la massa in gioco è stata minore.
Le stelle vecchie di massa elevata presentano al loro interno una struttura costituita da un involucro esterno di idrogeno ed elio, contenente elementi più pesanti accumulati nel corso della sua evoluzione: carbonio, silicio e ferro. Nel Sole, stella di massa piccola, la fusione nucleare cessa già con il carbonio, perché per le reazioni che coinvolgono elementi di peso atomico superiore sono necessarie più di 8 masse solari. Alla fine il nucleo della stella contiene solo ferro (ed elementi pesanti simili). Non possono formarsi elementi più pesanti perché ciò porterebbe non ad una liberazione bensì ad un consumo di energia. In questa fase possono svolgersi i seguenti processi:

  1. Una degenerazione relativistica conduce ad una situazione nella quale gli elettroni, la cui pressione durante la degenerazione "normale" serviva a compensare la gravitazione, contribuiscono sempre meno a conservare la pressione. Ne consegue il collasso.
  2. A temperature molto alte la fissione dei nuclei del ferro provoca un consumo di energia. La pressione diminuisce. Ne consegue il collasso.
  3. I protoni si combinano con gli elettroni carichi di energia e si formano dei neutroni. La pressione diminuisce. Ne consegue il collasso, in soli 0,1 secondi. L'onda d'urto generata si riflette all'interno: gli strati esterni della stella esplodono e si forma una supernova luminosa che si trasforma poi in un residuo gassoso del tipo nebulosa del granchio; quel che resta è una stella a neutroni (pulsar). Tale scenario vale per le Supernove di II tipo dalle quali può nascere o una pulsar o un buco nero.

Se rimangono più di 3,5 masse solari, il nucleo della stella si contrae in un buco nero il cui raggio sarà proporzionale alla massa: ad esempio, un buco nero di 8 masse solari avrà un raggio di 20 Km. I buchi neri sono così compatti da non lasciare trapelare all'esterno né radiazioni, né particelle, per cui non possono essere osservati direttamente. Il raggio di Schwarzschild è uguale a R = 2 MG c2. Nelle Supernove di I tipo restano solo le ceneri della supernova e sono generate dall'esplosione di una nana bianca facente parte di una stella doppia. La nana bianca continua ad accrescersi con la materia espulsa dalla compagna finché la sua massa supera il limite di Chandrasekhar. La stella collassa poi così bruscamente, che l'energia gravitazionale liberata la lacera completamente. Come residui rimangono dei brandelli gassosi in espansione.


Possono diventare nebulose planetarie le stelle con massa fra 0,8 e 8 masse solari. Quando esse esauriscono l'idrogeno, il loro nucleo si contrae e si riscalda e nel contempo i loro strati esterni si gonfiano sino a trasformarsi in giganti rosse (decine di volte il diametro del Sole). L'aumento di temperatura nel nucleo (sino a 100 mila K) conduce alla fusione dell'elio e alla momentanea contrazione della stella. Ma quando hanno finito di bruciare l'elio esse si gonfiano ancora (centinaia di volte il diametro del Sole). Tale gigante inizia a soffiare lontano i propri strati gassosi più esterni, sotto forma di tipi diversi di vento stellare, più o meno veloci. Tali strati formano un'enorme bolla gassosa in espansione. Intanto la temperatura superficiale della stella aumenta da 25 mila a 200 mila K e via via ionizza regioni sempre più ampie del gas in espansione, che comincia a brillare per fluorescenza. Compare a questo punto una "planetaria". Il gas si espande ad una velocità tra 5 e 100 Km/sec. La planetaria brilla sino a che, continuando ad espandersi, diventa troppo grande e si confonde con lo spazio interstellare. Ciò avviene da 10 mila a 30 mila anni dopo la sua comparsa. La stella centrale invece continua a raffreddarsi progressivamente e si avvia a divenire una nana bianca (una massa come quella del Sole in un volume grande come la Terra). Le masse delle planetarie sono piuttosto modeste: fra 0,01 e 1 massa solare. Una nana bianca è costituita da materia degenere. In essa l'equilibrio non viene più conservato attraverso la normale pressione del gas ma attraverso la pressione degli elettroni. Nel gas degenere, che ha una densità intorno a 106 Kg/dm3, la pressione non dipende dalla temperatura e dalla densità, ma solo da questa ultima. Tra 1 e 10 miliardi di anni una nana bianca si raffredda e diventa invisibile divenendo una nana nera. La maggior parte delle stelle termina così la propria esistenza. Ciò spiega la notevole frequenza di questo tipo di stelle. Tutti i calcoli finora effettuati mostrano tuttavia che le nane bianche hanno un limite di massa superiore di 1,44 unità solari (limite di Chandrasekhar, 1930). Se ciò che resta della stella supera tale valore, il collasso continua sino alla formazione di una stella a neutroni o pulsar. Quindi, le stelle con massa superiore a 1,44 masse solari diventano delle stelle a neutroni e quelle con massa oltre 3,5 masse solari diventano dei buchi neri.

 

Stelle di neutroni - Pulsar:

All’origine della scoperta delle pulsar fu un nuovo strumento, costruito a Cambridge: un radiotelescopio diverso dagli altri. Tale strumento aveva un potere risolutivo temporale molto elevato ed era in grado di distinguere due segnali diversi separati di 1/1000 di sec. l'uno dall'altro e con un bassissimo rumore di fondo. L'energia proveniente dagli oggetti celesti è bassissima e ciò comporta l'uso di strumenti a bassissimo rumore con antenne di raccolta dell'energia molto grandi. Il telescopio di Cambridge aveva tali caratteristiche. Casualmente, nel 1967 con tale strumento venne scoperto da una giovane studentessa (Jocelyn Bell Burnell) un nuovo tipo si sorgente di impulsi radio: una serie inesauribile di impulsi radio distanziati tra loro di un intervallo temporale costante di 1,33728 secondi. Ciò fece anche pensare a qualche tipo di segnale extra terrestre, ma ben presto furono scoperte altre sorgenti analoghe alla prima e nel 1969 le sorgenti note erano ca. 40; oggi sono note varie centinaia di sorgenti e nella nostra galassia ve ne dovrebbero essere più di 1 milione.
I periodi di pulsazione, non tutti uguali, erano comunque molto brevi e compresi tra 0,033 e 3,97 secondi. Tali oggetti vennero chiamati pulsar. I loro periodi di pulsazione aumentano con regolarità, ma assai lentamente; per esempio quello di M1 dal 15 novembre 1968 è aumentato di 1/milionesimo del suo valore ogni giorno. Successivamente, la pulsazione di tali oggetti fu misurata anche nelle frequenze dell'infrarosso e nel visibile: per M1 abbiamo una pulsazione rapidissima con un periodo di 0,033 secondi. Gli impulsi provenienti dalle pulsar sono dell'ordine di 20 millisecondi (spaziati come si è detto, in stelle diverse, da intervalli di tempo compresi tra 0,033 e 3,97 sec.) e se la pulsar è una stella di forma sferica, il raggio della stella deve essere grande, al massimo, quanto la distanza coperta dalla radiazione in 20 millisecondi, cioè 6.000 Km. Poiché l'impulso non sarà per sua natura istantaneo, il raggio della stella risulterà più piccolo. Infatti secondo varie considerazioni teoriche, tali oggetti dovrebbero avere dimensioni molto più piccole di quelle della Terra, dell'ordine della decina di Km. Comunque molti residui nebulari di supernova non contengono una pulsar e, viceversa, molte pulsar sembrano essere avvolte da residui di una supernova. Alcuni residui di supernova emettono raggi X (la nebulosa del Cigno, ad esempio) ma la maggioranza non lo fa. Molte sorgenti X non sembrano essere residui di supernove e infine non tutte le supernove finiscono per divenire pulsar.

BIBLIOGRAFIA:
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P.Bianucci e W.Ferreri, Atlante dell'Universo, Utet, 1997.
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Colin A.Ronan, L’Universo, Mondadori, 1991.
Voce "Galassia", Enciclopedia Treccani delle Scienze fisiche.
[ Materiale raccolto da Pietro Musilli  - Roma 1997 ]