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Speciale Sonic Rendezvous records |
Riprendiamo
i nostri viaggi tra le etichette indipendenti che si muovono
nel settore roots, per presentare una piccola realtà
olandese che sta lentamente crescendo in produzione e qualità.
Pur non possedendo un catalogo di forte impronta internazionale
(hanno pubblicato però dischi di Teddy Morgan, Jesse
Dayton e Hackensaw Boys) come le più blasonate Blue
Rose e Glitterhouse, la Sonic Rendezvous ha compiuto
un passo decisivo, allargandosi da semplice distributore
sul mercato nazionale dei Paesi Bassi a vera e propria etichetta,
attenta alla fertile scena alt-country e blues del proprio
paese. Presentiamo di seguito le ultime interessanti uscite,
che ribadiscono l'attenzione per certe sonorità "americane"
e la bravura nell'interpretarle. Che ci crediate o meno
qui ci sono proposte che non hanno nulla da invidiare alle
molte realtà provinciali degli States
(di Fabio Cerbone)
www.sonicrendezvous.com
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T-99
- Strange
Things Happen SRV
2004 1/2 |
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La
prima preziosa scoperta da casa Sonic Rendezvous è il secondo
lavoro dei T-99, davvero un pregevole impasto di spiritato
blues-rock (I Just Don't Know, Red Dirt River)
ambientazioni voodoo (la lugubre George, Mo and Andre)
chitarre riverberate (il surf di Sayonara), una punta
di rockabilly (Dragacin') e qualche siparietto country
(la bellissima ballata I Wish I Had a Ship), che proietta
la band tra le realtà più interessanti del panorama europeo,
grazie anche ad una produzione di prima categoria e alla presenza
di qualche bel nome della scena americana. Al trio di base
si sono infatti aggiunti durante le registrazioni (compiute
tra Amsterdam e Tucson, Arizona), personaggi quali Teddy
Morgan (anche nel ruolo di produttore), il fenomenale
Dave Gonzales dei Paladins e la pedal steel
di Neil Harry (già con i Giant Sand). Risultato assicurato
e media in rialzo, anche se gran parte del merito va naturalmente
attribuito ai T-99, un piccolo combo di ispirazione blues
che non si ferma alla semplice accademia e non fa del purismo
la propria bandiera, ma gioca con i generi, addentrandosi
per le polverose strade dell'America. Mischa Den Haring,
chitarra e voce, gracchia il il suo sulfureo country-blues,
aggiungendo una chitarra minacciosa ma mai esasperata (pochi
solismi). Martin De Ruiter (batteria) e Donné La
Fontaine (basso) assicurano una sezione ritmica asciutta,
ricca di spunti percussivi. Gran parte del materiale proposto
è di loro produzione, a cui aggiungono le indovinate cover
di Tell That Woman (Willie Dixon), qui resa in un fumoso
blues notturno, Hungry Wolf (JT Smith) e del classico
Last Fair Deal Gone Down (Robert Johson), uno splendido
country-blues anteguerra che sembra uscire da un vinile a
78 giri. Il suono live, sempre un po' ovattato e di impronta
lo-fi, aumenta il fascino di Strange Things Happen.
Caldamente consigliato a tutti i blues lovers con mentalità
aperta
www.t-99.com
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The Yearlings sono un quintetto, allargato a
sei con l'apporto essenziale della pedal steel di René
Van Barneveld, di cui ci siamo già occupati
nelle passate stagioni in occasione dell'interessante
omonimo
debutto. Utrecht è
un balzo in avanti notevole, sia per la qualità
delle composizioni che per il lavoro in fase produttiva,
curato dagli stessi musicisti della band. Tra questi
si distinguono soprattutto Olaf Koeneman, voce,
chitarre, mandolino ed organo, autore di tutti i testi,
e la seconda voce e chitarra di Niels Goudswaard.
The Yearlings citano Uncle Tupelo, Jayhawks e Whiskeytown
tra i propri punti di riferimento artistici. Accostamenti
doverosi, nonostante Utrecht guadagni punti alla distanza
proprio perchè si allontana dalla semplice imitazione
dei modelli citati, trovando un suono più maturo,
corposo, uno scintillante roots-rock chitarristico che
a volte sconfina nel pop-rock, altre in un country elettro-acustico
dalle belle maniere. Ricordano da vicino i Blue Rodeo
dei tempi d'oro, perchè rispolverano quelle ballate
ariose e toccate da un jingle jangle byrdsiano
di cui la band canadese ci ha reso orfani da troppo
tempo. Deliziose in tal senso Cure for The Antidote,
Teenage Lullabies e Satellite, con quel
classico intro di armonica. Più scolastiche
forse, ma
di sicura presa, le digressioni strettamente alternative-country,
in cui si affacciano mandolino e banjo (Bertram Mourits):
Cold Goodbyes e (The
Faster I Get) Home scorrono
piacevoli nonostante qualche luogo comune; Charlie
Tears è una spanna sopra con le atmosfere
irish fornite dal fiddle e dalla presenza di una fisa;
Like a Drunk infine rispolvera il passo country-rock
robusto dei Son Volt. Il segreto della buona riuscita
di Utrecht resta tuttavia l'alternanza con brani orientati
ad un robusto sound chitarristico, figlio del college-rock
americano (Here Nowadays e Drawn) e dei
R.E.M. di metà anni ottanta (Fw.No.5).
Bilanciati perfettamente i diversi volti della band,
The Yearlings regalano una gradita sopresa nel panorama
roots europeo
www.theyearlings.com
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Del
lotto sono forse quelli più strettamente "revivalisti"
(da qui la scelta di una mezza stella in meno), ma i
Seatsniffers non mancano assolutamente di fantasia
e soprattutto di un repertorio degno di questo nome.
Con Let's Burn The Cornfields, titolo
che riprende la cover di un famoso brano di Randy Newman
presente nel disco, è il sesto lavoro di studio
a partire dalla loro formazione nel '95. Quartetto belga
con una lunga gavetta alle spalle nei circuiti di tutta
Europa, con l'esordio in casa Sonic Rendezvous sembrano
finalmente aver trovato la loro strada: un disco molto
solido ed omogeneo, che mette in risalto le indiscutibili
radici rockabilly della band, mostrando al tempo stesso
svariate influenze "esterne", che rubano qualche
spunto al country&western e al rhytm'n'blues più
sporco. La presenza, accanto alla chitarre roboanti
di Walter Broes, del sax (tenore e baritono)
di Roel Jacobs, fragoroso e spesso debordante,
è la nota aggiunta che contraddistingue il sound
vivace e scanzonato dei Seatsniffers. Quattrodici brani,
quattro sole cover (una menzione per la swingata Sticks
and Stones a firma Titus Turner) e la partecipazione
di qualche compagno di etichetta (Den Haring dei T-99
e Van Barneveld dai Yearlings): frizzante il suono retrò
di Make Like a Rocket and Fly, Gimme Gimme
e dell'indiavolata Get High; rozzo rockabilly
quello di We're Gonna Rock; incalzante il twangin'
di I Want to Know, tutto rock'n'roll ad origine
controllata e di provenienza fifties, inframezzato dall'honky-tonk
di It'll Never Come to Light e dall'inatteso
bluegrass di Depression's Got Me Again. Un party
record coi fiocchi, che dovessimo giudicare sull'onda
del coinvolgimento meriterebbe persino qualche punto
in più
www.twinstreet-bookings.com
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