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Dal romanzo inedito I numeri del fuoco di Giuseppe Elio Ligotti

Castellammare del Golfo


Per chi viene dal mare, lo scenario costiero è subito acclive; la cinta dei monti -compresa la cicatrice, lo spacco dell'aquila- sovrasta e protegge il paese: come una conchiglia l'ostrica. Quelle balze paiono infettate dall'azzurro e dall'alopecia: brulle la buona parte, piantate ad alberi altrove, bruciacchiate qua e là: è che gli uomini hanno tentato su quelle pendici, a varie riprese, in più stagioni, il trapianto d'una pineta, di più pinete; senonché, sempre a varie riprese ma in una sola stagione, l'estiva, queste sono puntualmente devastate dallo scirocco, che è vento, si sa, malandrino, e utilizzato da occulte forze, appaltatrici della terra e delle seminagioni.

La forza esogena d'un albero è nella fotosintesi clorofilliana, quella endogena è nelle radici, che frenano i terreni a pendio e salvano le coste da frane e alluvioni.

Il rischio, per Castellammare del Golfo, è di restare alluvionata sullo sfiorire d'un inverno, quando le piogge ingrassano nello spacco dell'aquila e, travolgendo gli scheletri d'un bosco di pini, dirupano nella valle, e da lì per le strade, con la violenza d'una sciroccata diluviale. Il castello, però, si salverebbe: lui, ossobuco del vento, non ha pretese che non siano legate all'orizzonte.

Visto dalla balaustra della villa, parapetto lavorato a sbalzo, loggione uncinato che pare griffare a nord la linea liscia dell'orizzonte, davanzale su cui poggiano i gomiti, di una tristezza venosa e carica d'oleandri, vecchi cappelli, giovani seminaristi e ancor più giovani centauri, visto da quel davanzale, il paese offre il taglio d'una sintesi costiera, la suggestione d'un colpo d'occhio. Vertiginoso. L' occhio quadrangolare, come d'un polifemo alla finestra, cui arda di nostalgia l'unica pupilla.

In lontananza, sulla sinistra, l'estrema svolta de 'In testa alla porta'; a rientrare, la costa inaccessibile, la gru del porto; più prossima: Cala Marina, la riva dei 'Cerri', 'lu scogghiu chianu'; sotto la balaustra, la battigia di rena dura coi suoi bragozzi sopravvissuti, cerchiata dalle vecchie case dei pescatori e dalla dogana; sulla destra, la banchina, la facciata alta della Matrice, il castello, l'eterno castello arabo, normanno, svevo, angioino, aragonese.

Oltre, punta Raisi.

Castello e Cala Marina sono l'animo del paese.

Era l'emporio marittimo di Segesta.

Qui dovettero calare, dagli squarci dei monti, gli Elimi di Segesta, uomini, è tramandato, particolarmente alti e dalla vista aguzza, a furia di roncigliare colline, di conquistarne la vetta per scrutare, da lassù, il mare.

E qui, fra il castello e i 'Cerri', in piena cala, o di fronte a 'Petrolo', qui dovettero insediare i loro punti di commercio. Qui, da qualche parte, in qualche seno minore, dovettero scavare un loro porto, contornarlo di magazzeni di derrate pepate dal sole, forse anche d'un tempio, d'un teatro, di case ricche di tetti laminati d'oro, di fontanili, di portici.

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