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 Sezione III
SEZIONE III - La curia romana. Arte e committenza.

 

A cura di Paolo Castellani

Tra la seconda metà del Duecento e i primi anni del Trecento Roma, per quanto concerne la produzione artistica, rappresenta un punto di arrivo e di rielaborazione di diverse tendenze, costituendo un vero e proprio crocevia culturale, sia per quanto riguarda la produzione figurativa, la pittura, la scultura, la miniatura, sia per la produzione architettonica e per le arti cosiddette "suntuarie"; ciò soprattutto per merito della notevole attività svolta dai membri della curia pontificia sia come committenti "diretti" sia come "importatori" di opere d'arte, codici, oggetti preziosi e oreficerie.

Tra i migliori prodotti delle officine orafe attive per la corte pontifica sono certamente il calice e la patena donati da Benedetto XI (il successore di Bonifacio VIII, papa dal 1303 al 1304) alla chiesa di S. Domenico a Perugia (nn. 84-85), in argento dorato; essi sono una delle prime testimonianze dell'impiego della nuova tecnica dello smalto traslucido (smalti trasparenti su fondo d'argento inciso più o meno profondamente), che ebbe un larghissimo successo nella produzione di oggetti preziosi per le corti dell'Europa tardomedievale.84.jpg

Direttamente legata alla committenza di uno dei membri più influenti della curia pontificia dell'età bonifaciana e anche della successiva, il cardinale Iacopo Stefaneschi, è una serie di codici miniati che costituiscono due gruppi ben definiti sia dal punto di vista stilistico sia da quello cronologico. Il primo di essi è rappresentato dai due codici esposti nella sez. II (nn.74-75), contenenti l'Opus metricum e una sua parte, il De coronacione, opera scritta dal cardinale stesso per narrare in versi le vicende del pontificato di Celestino V, l'elezione di Bonifacio VIII e la canonizzazione di Celestino. Le miniature, che mostrano l'offerta del codice a Bonifacio e la sua incoronazione, sono di notevole qualità formale e possono presumibilmente essere attribuite alla bottega di Pietro Cavallini, pittore tra i più in vista nella Roma tardoduecentesca. Il secondo gruppo di codici qui esposto riconducibile al patronato del cardinale Stefaneschi è costituito dai cinque manoscritti (nn. 86-90) opera del cosiddetto Maestro del Codice di s. Giorgio, sua opera principale (n. 86), che, realizzati tutti negli anni venti del Trecento, dopo il trasferimento della corte papale ad Avignone, mostrano un'impostazione gotica dell'impianto decorativo (con l'iniziale che diviene il cardine del programma figurativo) e uno stile che interpreta in termini decisamente gotici la probabile formazione giottesca dell'autore.

Tra i numerosi oggetti di arte suntuaria presenti nei tesori papali e testimoniati dagli inventari redatti alla morte del pontefice, il dittico in avorio con storie cristologiche (n. 103) risulta menzionato dall'inventario del tesoro della Santa Sede risalente al pontificato di Bonifacio VIII; presenta, entro un'intelaiatura architettonica gotica, nella valva sinistra storie dell'Infanzia di Cristo, nella destra storie della Passione e in alto l'Incoronazione della Vergine e la Resurrezione ed è probabilmente opera di un ignoto artista francesizzante della fine del Duecento. Gli stessi inventari papali testimoniano abbondantemente la presenza nei tesori pontifici di tessuti preziosi come i frammenti in sciamito e seta policroma provenienti dal tesoro di S. Maria Maggiore a Tivoli (n. 102 e 104) e il piviale in "diaspro" (un tessuto monocromo che offre una perfetta leggibilità grazie alla maggiore lucidità del fondo rispetto all'opacità del disegno, arricchito da broccature in oro) del Museo di Palazzo Venezia (n. 101), decorato5a1.jpg da coppie di gazzelle e pappagalli affrontati davanti a grandi palmette-albero.

Per quanto concerne la pittura monumentale, gli affreschi staccati provenienti dalla chiesa di S. Agnese fuori le mura testimoniano dell'attività delle botteghe "minori" a Roma negli anni compresi tra la fine del Duecento e i primi decenni del Trecento; la scena della Decapitazione di S. Caterina (fine del XIII secolo), mostra, nella figura del carnefice, l'opera di un maestro di altissimo livello qualitativo, e la successiva Storia di una santa, raffigurante presumibilmente la Vergine, è opera di un diverso artista caratterizzato da un raffinato disegno dei tratti somatici e da un tono etereo degli incarnati; le seguenti Storie di S. Benedetto vennero realizzate negli anni venti del Trecento da Lello da Orvieto, pittore e mosaicista di origine orvietane attivo in particolare a Napoli, il cui stile è caratterizzato da un colore tenue e compatto che dà, in particolare nei volti dei personaggi meglio conservati, un'impressione di viva plasticità.


Officina Pontificia, Calice di Benedetto XI, 1302-1304, Perugina, Galleria Nazionale dell'Umbria

Gregorius PP.IX, Decretalium libri V cum glossis Bernardi Parmensis. Innocentius PP.IV, Constitutiiones cum glossis. Bonifacius PP.VIII, Decretalium liber sextus Roma, XIIi secolo (terzo quarto) Napoli, Biblioteca Nazionale, vind.lat. 41

 

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