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 Sezione X
SEZIONE X -  La cultura profana.

 

A cura di Paolo Castellani

P187 .jpgurtroppo ben poco rimane della produzione figurativa di soggetto "profano" a Roma di età medievale; ciò a causa della perdita della gran parte dei dipinti murali che decoravano sia internamente sia esternamente soprattutto edifici civili, pubblici e privati, o ambienti d'uso quotidiano (i più soggetti a trasformazioni) nei complessi monastici. Va comunque sottolineato come, soprattutto in quest'ultimo caso, le decorazioni a soggetto apparentemente profano sottintendano quasi sempre un significato allegorico o didascalico con finalità più o meno apertamente moralizzanti. A maggior ragione soggetti a danneggiamenti e perdite causate dalla delicatezza dei materiali stessi sono i manufatti tessuti e ricamati, prodotti sia per committenti "laici" che religiosi, dei quali si espongono alcuni esemplari provenienti dal tesoro di S. Maria Maggiore a Tivoli (nn. 181-186).

Ma parlare della cultura "profana" a Roma negli anni del primo Giubileo significa anche considerare la produzione di codici miniati contenenti opere di autori classici, greci e latini, e cronache contemporanee, testimonianza di una cultura libraria di alto livello. Spicca tra i primi il codice contenente le Decadi I, III e IV di Tito Livio, il Bellum Troianum di Ditti Cretese e il Bellorum romanorum epitoma di Floro, prodotto tra Roma e Avignone agli inizi del secolo e appartenuto prima a Landolfo Colonna e poi acquistato da Francesco Petrarca (n. 176). Sono inoltre esposti altri codici prodotti a Roma tra la seconda metà del Duecento e gli inizi del Trecento, che testimoniano ancora come la miniatura romana dell'epoca fosse aggiornata sulle tendenze della contemporanea cultura gotica europea, in particolare francese (n. 175, 177-178).

183.jpgNel campo, invece, della pittura parietale di soggetto "profano", un posto di rilievo è occupato dai dipinti di Tre Fontane. Il ciclo di dipinti murali, ora staccati, proveniente dall'abbazia cistercense delle Tre Fontane presso la via Laurentina, è stato definito per il suo soggetto "Enciclopedia" o "Vita humana"; le scene fanno tutte riferimento infatti, in vario modo, a un filo conduttore comune costituito dalla vita dell'uomo sulla terra e, conseguentemente, al percorso terreno dell'anima umana. La prima scena raffigura il Lavoro dei progenitori, con Adamo intento a lavorare la terra; segue un'allegoria della vanità della vita umana, rappresentata attraverso l'Apologo dell'unicorno tratto con alcune varianti, dal "romanzo" di Barlaam e Iosafat: un uomo fugge inseguito da un unicorno (la morte) e cade in una fossa (il mondo), si aggrappa a un arbusto (la vita) le cui radici sono rose da un topo bianco e uno nero (il giorno e la notte); sul fondo della fossa l'uomo vede un drago (l'inferno) mentre dall'arbusto raccoglie frutta e miele (beni e piaceri mondani), dimenticando così la tremenda situazione. Segue la scena della Prova degli aquilotti, che la madre espone alla vista del sole abbandonando quelli che non riescono a sostenerla, legata al motivo aristotelico della prova dei giovani; di dubbia interpretazione è la raffigurazione successiva del Pescatore con la lenza, motivo ricorrente nell'arte antica e da lì ripreso in numerose opere del Duecento e Trecento. Le scene seguenti, i Sensi dell'uomo e le Sette età dell'uomo sono inserite in uno schema a cerchi; i sensi sono raffigurati secondo una simbologia zoomorfa che li collega ognuno a un animale nel quale un determinato senso è particolarmente sviluppato (per esempio: lince-vista), mentre la raffigurazione delle età dell'uomo, di solito poco diffusa in area italiana, segue la tradizionale suddivisione aristotelica, con figure di grande bellezza. La scena seguente della Raccolta della frutta è ispirata al Salmo 1, 1-3 (l'uomo giusto è come un albero che dà frutto nella sua stagione), mentre il successivo Putto con una gabbia e le due Gabbie che chiudono il ciclo si presentano sia come un riflesso del motivo dell'uccello in gabbia basato sulla concezione neoplatonica del corpo come carcere dell'anima, che come metafora della condizione monastica che preserva l'anima dai pericoli che la minacciano.


Pittori Romani, L'Apologo di Barlaam e Iosafat, Roma, Abbazia delle Tre Fontane, Museo

Manifattura italiana, Tovaglia di lino a bande ricamata con seta policroma proveniente dal tesoro di Santa Maria Maggiore di Tivoli, XIV  secolo, Roma, Museo di Palazzo Venezia

 

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