" Lungo i sentieri della follia"

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Storia della Psichiatria

La reazione romantica

Abbiamo visto come i filosofi illuministi tentarono di creare una società basata su principi razionali e meccanicistici. Ma all’inizio del XIX secolo il sogno di costruire un mondo migliore servendosi della ragione divenne un’illusione. Infatti, con il Congresso di Vienna (1814-1815), nonostante l'abolizione formale della tratta degli schiavi, si contrastarono gli ideali di libertà, partecipazione politica, uguaglianza. Il concetto di cittadino attivamente impegnato nella creazione di una società retta dalla ragione venne sostituita dal piccolo borghese rifugiato nell’isolamento del suo mondo, pago solo del suo interesse personale.

In risposta a questa incapacità della ragione di portare ad un rinnovamento radicale si sviluppò, tra il 1790 e il 1840, un movimento che cercava il miglioramento del mondo nel sentimento e nella fede: era nato il Romanticismo.

Con lo sviluppo del Romanticismo venne riscoperta l’irrazionalità della psiche umana, cosicché elementi come l'istinto e la passione divennero di primario interesse. Questi caratteri tipici del movimento romantico contribuirono a portare in primo piano e a far comprendere maggiormente la personalità e la vita interiore dell’uomo in lotta con il proprio io.

La spinta alla comprensione del disturbo mentale e del funzionamento della psiche non restò affidata isolatamente alla psicologia, ma anche la letteratura e l’arte affrontarono e svilupparono tematiche affini.

In quest’atmosfera sociale fioriva l’interesse per la psicologia e per la profondità della vita interiore e quindi la prima metà del XIX secolo ha un'importanza notevole nella storia della psichiatria, la quale si occupa dell’uomo come individuo e il cui oggetto è lo studio della mente.

Si tentava di meccanizzare l’uomo, ma la psiche ricompariva inesorabilmente ogni volta. L’intenzione e l’effettivo risultato della psicologia era di rendere la psichiatria parte integrante del resto della medicina. Il primo trattato sistematico di psicoterapia, intitolato “Rapsodie sull’applicazione del metodo di cura psichico ai disturbi mentali”, fu pubblicato nel 1803 da Johann Christian Reil. Annoverato tra i più eloquenti promotori della riforma ospedaliera, Reil era ancora molto influenzato dalla psicologia empirica, ma era più sperimentale e intuitivo dei suoi contemporanei, e benché le sue tecniche terapeutiche fossero ancora rozze e ingenue, era completamente convinto che la malattia mentale sia un fenomeno psicologico che richiede metodi di cura psicologici. Reil era ben conscio delle difficoltà che la psichiatria deve superare e che lo psicoterapeuta dovrebbe essere dotato di maggior talento, perspicacia e attrezzature tecniche dei medici che si occupano di malattie del corpo. Si rese conto della relazione tra fenomeni fisiologici e psicologici dell’organismo, dello stretto rapporto tra corpo e mente, e si accorse che si doveva spiegare la personalità sana prima di quella malata. La tesi di base del suo sistema è concentrato in una frase: ”Le emozioni e le idee, in breve i fattori psichici, sono i mezzi adatti con i quali si possono correggere i disturbi del cervello e ripristinare la sua vitalità". Reil riteneva che l’osservazione clinica fosse più importante della filosofia da tavolino, era contrario all’uso indiscriminato di farmaci, riconobbe il ruolo dell’attività sessuale nei disturbi mentali, suggeriva come terapie l’attività musicale e teatrale atte a modificare gli abituali schemi emotivi. Ma la psicologia elaborata come base fondante delle diverse procedure terapeutiche era poco più di un grezzo buon senso; ricorreva a elogi, intimidazioni e appelli alla ragione come fanno i genitori. Il merito da attribuire a Reil sta nell’aver abbozzato un programma terapeutico fondato empiricamente. Ma i tempi non erano ancora maturi, ed egli stesso era troppo imbevuto dei pregiudizi dell’illuminismo; di fatto Reil commetteva l’errore di generalizzare troppo, e non prendeva in considerazione l’unicità dell’individuo.

In Francia gli studiosi continuavano nella linea affrontata da Pinel e Jean Etienne Dominique Esquirol (1772-1840) era il suo più eminente discepolo. Anche costui, come Pinel, non lesinava in speculazioni filosofiche o fisiologiche sulla malattia mentale. Le sue descrizioni cliniche sono ancor più precise di quelle del suo maestro; accompagnandole con  statistiche, elaborò le note informative su centinaia di pazienti e fornì la prima precisa descrizione dell’idiozia, anche se si accorse che non tutte le deficienze mentali potevano essere incluse in questa categoria. Esquirol per primo determinò la distinzione tra allucinazioni (termine da lui coniato) e illusioni. Tentò di classificare le forme di malattia mentale secondo una monomania affettiva o una perturbazione in un particolare aspetto del comportamento, come la monomania omicida o la monomania incendiaria. Egli fece notare che criminali di questo tipo non dovrebbero essere puniti, ma curati in un ospedale per malati mentali.

Anche se ancora mancavano concetti fondamentali, il contributo maggiore che i seguaci d’Esquirol apportarono fu quello di porre le basi di una nuova disciplina medica, quella della psichiatria clinica, introducendo un approccio scientifico e metodico alla classificazione e descrizione dei sintomi mentali; portarono avanti le riforme nella gestione degli ospedali, descrissero sintomi, sindromi e schemi di comportamento più o meno isolati, ma non si resero conto che questi erano manifestazioni superficiali di una perturbazione più profonda.

Un allievo d’Esquirol, J. Moreau de Tours (1804-1884), in concomitanza con colleghi tedeschi, cominciò ad occuparsi delle forze irrazionali, emotive e nascoste della personalità, in perfetta consonanza con la tendenza romantica. Cercò di comprendere la persona come tutto, la totalità della persona malata. Si ebbero dei progressi rispetto alla tendenza puramente descrittiva, con l'anticipazione di alcuni aspetti della psicanalisi e con un avvicinamento notevole (superiore a quello dei predecessori e anche di molti successori) all’orientamento attuale. Moreau fece notare come il sogno potesse fungere da chiave di lettura per la comprensione dei disturbi mentali. Diceva che i sogni sono formati della stessa sostanza delle allucinazioni; non usò ancora il termine “inconscio”, ma vi giunse vicino. Comprese che il malato di mente “sogna da sveglio” e che “delirio e sogno sono identici”. Riteneva giusto considerare il malato di mente alienato dal mondo esterno, un essere che vive solo della sua vita privata interiore, vede e sente ciò che desidera vedere e sentire.

Vero e proprio figlio dell’età romantica è Johann Christiann Heinroth (1773-1843) nella sua convinzione che la terapia dovesse basarsi sull’individualità di ciascun paziente. Imbevuto della tradizione luterana, espresse le sue idee in una terminologia religiosa soprattutto rispetto al ruolo del conflitto interiore, anche se tradizionalmente l’anima era un territorio di confine tra teologia e psicologia. Heinroth sosteneva che la causa prima dell’alterazione mentale è il peccato, che per lui equivale all’egoismo. Egli espresse il concetto di conflitto interno, che anche se allora contestualizzato come termine della psicologia religioso-moralistica, è il concetto centrale della psichiatria moderna. Egli usava il termine “peccato”: se avesse usato invece il termine “senso di colpa”, sarebbe stato considerato più facilmente un precursore della psicoanalisi. Fu inoltre il primo ad utilizzare il termine "psicosomatico" e pensava che la malattia mentale derivasse dal conflitto con la coscienza. Consigliava di correggere i disturbi del giudizio inculcando principi morali e dava pieno credito ai metodi curativi naturali, credendo nel potere guaritore del tempo e ammonendo contro l’esagerare della terapia: era infatti consapevole del pericolo di un sovratrattamento nelle cure, ed è questo un carattere peculiare della psicoterapia pre-psicoanalitica, che si preoccupava prima della cura che di capire a fondo la natura del problema. Per la terapia fisica consigliava l’elettricità, il calore, i salassi, la fisioterapia, la dieta e la regolazione delle funzioni digestive. Le sue misure psicoterapeutiche si basavano principalmente sull’eliminazione o l’aumento della stimolazione, compresa la privazione del sonno. Usava le restrizioni e le punizioni, ma consigliava anche il rilassamento, svaghi, viaggi, per alcuni casi un intenso lavoro. Inoltre pensava che in generale donne e uomini avessero bisogno di cure psicoterapeutiche particolari e differenziate le une dagli altri. Diceva che alcuni pazienti hanno bisogno di calore e bontà, altri di severità e forza, e sosteneva che i pazienti provenienti da paesi e realtà diverse dovessero essere trattati diversamente. La sua opposizione al trattamento di routine segna un passo molto importante verso la psicoterapia individualizzata e fu Heinroth colui che prima di altri giunse vicino allo spirito attuale della psichiatria individualizzata.

Heinroth influenzò con i suoi scritti molti altri psichiatri di questo periodo, che si occuparono di altri aspetti. Ricordiamo la discussione sulle funzioni fisiologiche degli impulsi e la loro influenza sul ragionamento, in relazione con le diverse parti del cervello. Si tentò di combinare concetti filosofici con reazioni fisiologiche, con l’uomo inconsapevole dell’influenza su di lui di forze fisiologiche che determinano le sue reazioni. Se queste forze sono bloccate e non possono trovare sbocco, ne risulta una malattia mentale. Si diceva che le pulsioni istintuali, chiamate passioni, se intense e insoddisfatte, possono provocare il crollo della personalità. Come i moderni psicosomatisti, si consideravano il corpo e la mente come un fenomeno solo, unico, invariabile e inesauribile. Si poneva l’approccio psicologico alla malattia come una sorta di “seconda educazione”; fino agli anni ’40 - ’50 non fu mai posto così chiaramente l’accento sulla concezione della psicoterapia come una sorta di riapprendimento o rieducazione.

Solo molto dopo che l’influsso di Freud aveva rivoluzionato la psichiatria, gli storici contemporanei della psichiatria riconobbero l’importanza degli psichiatri del periodo romantico. La prospettiva romantica attrae per il suo orientamento dinamico, la sua comprensione della totalità dell’individuo come entità psicobiologica. Invece è rilevante la povertà concettuale del periodo successivo, con classificazioni meramente descrittive e con una sorta di nichilismo terapeutico. Ciò di cui difettavano i romantici era una solida base di fenomeni osservati clinicamente, così che i loro concetti apparivano come voli visionari e fantasiosi. Nella mancanza di conoscenza operativa consiste la maggior causa per cui il movimento romantico non riuscì a far progredire la psichiatria e la psicoterapia.

In reazione a questo tipo di pensiero si contrappose un eccesso opposto: l’esclusivo interesse per classificazioni e raccolte di dati spesso senza significato e la localizzazione della malattia all’interno del sistema nervoso, secondo una linea che si protrasse per tutta la seconda metà del XIX secolo.

Si vede dunque come ci sia stata una netta diversità tra i due periodi: il primo è chiaramente orientato sulla psicologia, mentre nel secondo si hanno gli inizi della neurologia.

Uno dei primi passi avanti d’indubbia importanza fu quello compiuto dai ricercatori tedeschi quando localizzarono la malattia negli elementi costitutivi dei tessuti, le cellule.

In Germania, dove il romanticismo trovava il suo miglior terreno di coltura, la scienza doveva purificarsi dalle speculazioni filosofiche, e questo compito fu portato a termine da Johannes Peter Muller (1801-1858) e dai suoi allievi.

Muller era fermamente convinto che il progresso della medicina dipendesse dalla sperimentazione e dall’osservazione: incoraggiò quindi i suoi colleghi a lasciare le biblioteche e ad entrare nei laboratori ed ad usare i loro nuovi microscopi, poiché pensava che uno psicologo dovesse essere anche un biologo.

Da questo momento in poi si compirono numerose scoperte, si effettuarono nuovi esperimenti e si postularono tesi, alle volte intuitive, che portarono molto avanti la ricerca. Una delle più importanti fu la teoria cellulare di Schleiden - Schwann (1810 – 1881). Essa  affermava che la struttura elementare di tutta la materia vivente è la cellula e che tutti i tessuti sono formati di cellule. Un’altra teoria cellulare di estremo rilievo venne formulata da  Rudolf Virchow (1821 – 1902). Egli sosteneva l’idea che tutte le cellule derivano da cellule e che così tutta la patologia potesse essere compresa in termini di malattia cellulare. Ma non solo nella biologia sperimentale venivano compiute grandi scoperte: anche da un punto di vista metodologico il secondo Ottocento fu un periodo di grandi innovazioni: nel 1859 Charles Darwin (1809-1882) pubblicò il suo classico Sull’origine delle specie per selezione naturale, che introdusse in biologia i principi di mutazione e di probabilità, che si erano dimostrati tanto utili nelle scienze fisiche.

Il periodo romantico fu quindi caratterizzato da un nuovo ed entusiastico interesse per la natura della psiche, e la psichiatria fu portata sulla soglia delle concezioni e delle tecniche moderne. Il nuovo clima in cui operava la psichiatria incoraggiò il trattamento umano dei malati di mente (in particolare, considerando l’ammalato come un individuo che richiede un trattamento modellato sull’individuo) e vennero elaborate nuove idee sull’inconscio, sulla natura dei sogni e degli istinti e sulla complessità della personalità totale. I romantici consentirono quindi alla psichiatria di liberarsi delle classificazioni dei successori di Pinel che, se inizialmente furono essenziali, con il passare del tempo divennero sterili codificazioni. Questo mutamento permise alla psichiatria di ritornare a un approccio dinamico alla malattia mentale e, con le nuove scoperte nel campo della neuropsichiatria, rese possibile la nascita dell’era moderna della psichiatria.

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