Sito dell'Anfim, Associazione nazionale famiglie italiane martiri caduti per la libertà della patria

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I processi: Definizioni; Kappler; Priebke.
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DISCORSO DI PRESENTAZIONE DEL PRESIDENTE GIGLIOZZI

C'è in Piazza Portico d'Ottavia una scuola, un tempo una scuola elementare che s'intitolava a Felice Venezian.
Quando io da ragazzino per un anno, ho frequentato questa scuola mi dissero che Felici Venezian era un giovane caduto per la Repubblica romana. Un giovane caduto per l'Italia. Seppi che Felice Venezian era ebreo allorché un tristissimo giorno cambiarono nome alla scuola e per la prima volta, dal risorgirnento, nasceva in Italia l'obbrobrio della discriminazione razziale. Lo avevamo importato dalla Germania come il passo dell'oca e durò poco. Durò quanto l'inganno fascista, perché alle Ardeatine, a Marzabotto, sulle montagne, dov'era l'Italia migliore, ebrei e cattolici, credenti ed atei, liberali e comunisti combatterono, caddero e vinsero insieme. Ha detto bene il sindaco Argan, siamo quì, a Portico d'Ottavia, in questa romanissima piazza, perché quì più ipocrita, più feroce, più indegno si mostrò il comportamento del boia di Roma. Quì avvenne l'inganno dell'oro, quì il valore di una vita umana fu posto sul piatto di una bilancia, quì si stabilì un patto non mantenuto; intorno a questo luogo, a queste case profanate si strinse il cerchio della nostra angoscia. E' da questa piazza oggi parliamo anche se vorremmo tacere. Dal ripudio delle parole che ci sembrano inadeguate ad esprimere il nostro sentimento hanno avuto origine le mie dimissioni, seguite da quelle di tutto il consiglio direttivo dell'Associazione che raccoglie i familiari dei caduti delle Ardeatine e di Forte Bravetta, della Storta e di tante altre località d'Italia. Non è un abbandono di responsabilità; ma dopo tanti, forse troppi discorsi celebrativi, c'è sembrato che per deprecare l'evento inaudito a nulla sarebbero valsi i discorsi, né le corone ci avrebbero riconciliato con i morti. Eppure siamo quì perché tacere sarebbe colpevole. Dopo quanto abbiamo letto e ascoltato ci sembrato necessario ripetere a quanti vogliono farci rif1ettere, forse in buona fede, che il caso Kappler non deve farci dimenticare gli altri urgenti e drammatici problemi del paese: la situazione economica, la disoccupazione giovanile e non giovanile; a questi onesti consiglieri ci sentiamo di dover dire che la crisi italiana è innanzitutto una crisi morale. Non è forse scappato Kappler a ferragosto, quando il paese sembra preso da un frenesia festaiola cosicché avviene che anchce negli ospedali, nei centri oncologici si rallenta il già lentissimo ritmo delle analisi, perché tutti, e tutti insieme, lasciando a presidio il minimo di personale indispensabile, hanno diritto alla festa. La signora Annelise e i suoi compari hanno ben scelto la giornata.
Molti congiunti di Caduti, povere vedove che vivono di una magra pensione, mi hanno detto di volervi rinunciare, -e qualcuno lo ha fatto- vuole riconsegnare i riconoscimenti al valore, moltissimi vogliono portare via i resti dei loro cari dal mausoleo dell Ardeatine. Kappler é l'assassino di Coloro che amiamo; ma Loro non sono morti per Kappler. Sono caduti per una Italia migliore, per un paese più sano. I loro sacelli alle Ardeatine non devono restare deserti. Scrisse Don Pietro Pappagallo: Dio sa per quale ragione accade tutto questo. Ora crediamo di poter dare una risposta a queste tragica domanda. Perché malgrado tutto, malgrado gli scandali dei quali non si scoprono mai i colpevoli, malgrado le offese alla nostra dignità di cittadini, noi dobbiamo poter credere nello Stato. Anche in questo Stato, in questa nostra povera libertà, libertà che non riesce ad impedire che i galeotti vadano e vengano dalle prigioni, che si uccidano impunemente guardie e carabinieri, che sono anche loro popolo; libertà mortificata dalla ignobile beffa del criminale Kappler; noi dobbiamo credere malgrado tutto, perché non sia vano il sacrificio dei morti della Resistenza, non sia vana la parola Italia, graffita con le unghie e con il sangue in una cella di Via Tasso.
Al personaggio Kappler mancava il tocco finale. Comunque sia fuggito -e noi vogliamo che responsabilità e complicità vengano esemplarmente colpite- egli resta indissolubilmente legato al suo baule di panni sporchi. No, Annelise Kappler, tu che andavi a piangere lacrime di coccodrillo, portandoti appresso il fotografo, sulle tombe dei nostri cari, il tuo non è un gesto che ti rende simile ad una eroina di Beethoven, la Lenore del Fidelio, il trionfo dell'amore coniugale, nella tua valigia tu hai trasportato il male quale infetterà la tua nazione, la Germania. Sono riapparse qua e là le camice brune, sono state rispolverate le croci uncinate, a Vienna si sono avuti squallidi episodi di antisemitismo. Le madri, le mogli, i figli dei Caduti chiedono una risposta alle donne e agli uomini di Germania, alle madri, alle spose, ai figli di quei tedeschi per quali le S.S. inventarono i campi di sterminio. Perché, non dimentichiamolo, furono i tedeschi coloro che per primi provarono l'orrore di Mathausen di Dachau.
E ora speriamo sia chiaro a tutti che non è odio o spirito di vendetta quello che anima i familiari dei Caduti delle Ardeatine e di Marzabotto. Purtroppo in tutto il mondo esiste ancora una vasta geografia della repressione e del terrore. Dovunque questo avvenga sia condannato.
Il pentimento di Herbert Kappler é per noi racchiuso dentro un baule con le rotelle.
Ma anche noi dobbiamo fare un esame di coscienza. Troppe volte il momento unico della Resistenza è stato strumentalizzato. Per quello che sarà possibile all'Anfim, noi ci impegniamo a far sì che i giovani lo conoscano come un momento d'unione; come 1a speranza d'un domani migliore, come la premessa che avrebbe dovuto colmare i solchi d'odio lasciati dalla guerra civile. Abbiamo tanto lavoro, amici. E in questo momento di sconforto sembrerebbe impossibile che, in questa Italia, si possa riuscire a ricreare la saldezza dei valori morali, la speranza nel nostro futuro. Prima di andare incontro al suo destino di morte una ragazzina lasciò scritto nel suo diario: <<Eppure io credo che gli uomini sono buoni.>>… Ci guidi la fede di Anna Frank.

Giovanni Gigliozzi
23 agosto 1977