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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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 Frenis Zero  Publisher

      


L’ambiguità nella clinica, nella società, nell’arte   A cura di
Marco Francesconi e Daniela Scotto di Fasano

 

 

 Recensione di Ambra Cusin

 


 


A cura di
Marco Francesconi e Daniela Scotto di Fasano
L’ambiguità nella clinica, nella società, nell’arte                                                                                                                                                                     Antigone Edizioni, Torino 2012
Collana “ACHERONTA MOVEBO”
Formato 140 x 190 in brossura cucita, 260 pp. con illustrazioni a colori nel testo
ISBN 978-88-95283-92-0
Prezzo euro 26,00

 

            

«Le texte non plus n’est pas isotrope: les bords, la faille, sont imprévisibles»

Roland Barthes

 

 

  

 

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

Edizioni "Frenis Zero"

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EDIZIONI FRENIS ZERO

 

Ultima uscita/New issue:

Silvio G. Cusin, "Sessualità e conoscenza"

A cura di/Edited by:  A. Cusin & G. Leo

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Biografie dell'Inconscio

Anno/Year: 2013 

Pagine/Pages: 476

ISBN:  978-88-97479-03-1

 Prezzo/Price: € 39,00

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AA.VV., "Psicoanalisi e luoghi della riabilitazione", a cura di G. Leo e G. Riefolo (Editors)

 

A cura di/Edited by:  G. Leo & G. Riefolo

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Id-entità mediterranee

Anno/Year: 2013 

Pagine/Pages: 426

ISBN: 978-88-903710-9-7

 Prezzo/Price: € 39,00

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AA.VV., "Scrittura e memoria", a cura di R. Bolletti (Editor) 

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, A. Arslan, R. Bolletti, P. De Silvestris, M. Morello, A. Sabatini Scalmati.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Cordoglio e pregiudizio

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 136

ISBN: 978-88-903710-7-3

Prezzo/Price: € 23,00

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AA.VV., "Lo spazio  velato.   Femminile e discorso psicoanalitico"                             a cura di G. Leo e L. Montani (Editors)

Writings by: A. Cusin, J. Kristeva, A. Loncan, S. Marino, B. Massimilla, L. Montani, A. Nunziante Cesaro, S. Parrello, M. Sommantico, G. Stanziano, L. Tarantini, A. Zurolo.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Confini della psicoanalisi

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 382

ISBN: 978-88-903710-6-6

Prezzo/Price: € 39,00

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AA.VV., Psychoanalysis and its Borders, a cura di G. Leo (Editor)


Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jimenez, O.F. Kernberg,  S. Resnik.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Borders of Psychoanalysis

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 348

ISBN: 978-88-974790-2-4

Prezzo/Price: € 19,00

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AA.VV., "Psicoanalisi e luoghi della negazione", a cura di A. Cusin e G. Leo
Psicoanalisi e luoghi della negazione

Writings by:J. Altounian, S. Amati Sas, M.  e M. Avakian, W.  A. Cusin,  N. Janigro, G. Leo, B. E. Litowitz, S. Resnik, A. Sabatini  Scalmati,  G.  Schneider,  M. Šebek, F. Sironi, L. Tarantini.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Id-entità mediterranee

Anno/Year: 2011 

Pagine/Pages: 400

ISBN: 978-88-903710-4-2

Prezzo/Price: € 38,00

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"The Voyage Out" by Virginia Woolf 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-97479-01-7

Anno/Year: 2011 

Pages: 672

Prezzo/Price: € 25,00

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"Psicologia dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-903710-3-5

Anno/Year: 2011

Pages: 158

Prezzo/Price: € 18,00

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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-2-8

Anno/Year: 2010

Pages: 520

Prezzo/Price: € 41,00

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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Edizione: 2a

ISBN: 978-88-903710-5-9

Anno/Year: 2011

Prezzo/Price: € 34,00

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OTHER BOOKS

"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini

ISBN: 978-88-340155-7-5

Anno/Year: 2009

Pages: 224

Prezzo/Price: € 20,00

 

"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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Non c’è nulla di più ambiguo che parlare di ambiguità…

E’ stato veramente difficile affrontare questo interessante testo collettaneo curato da Marco Francesconi e Daniela Scotto di Fasano perché ad ogni capitolo mi sono sentita oscillare mentalmente tra i due poli della positività e negatività del concetto. Ad essi inevitabilmente ricorre la mente umana per sentirsi sicura, per avere quella certezza di sapere dove sta andando e cosa sta guardando che, invece, in questo caso è stata sempre, costantemente incerta.

Nell’organizzare questo mio scritto ho pertanto scelto di lasciarmi andare alle libere associazioni, ad una sorta di “zapping” tra i diversi contributi che il testo sull’Ambiguità nella clinica , nella società, nell’arte mi ha stimolato.

Perché una cosa è certa: questo è un testo che fa pensare, che neanche per un attimo ti abbandona, è un testo inquietante proprio perché non permette mai di sentirsi arrivati in un porto sicuro.

Se l’incipit della prima sezione, dedicata all’ambiguità nella clinica , inquieta – e inevitabilmente  viene da sentirsi in accordo con gli Autori, subito dopo ecco che qualcuno dice che l’ambiguità – ma soprattutto l’ambivalenza - sono necessarie, soprattutto in politica, e bisogna tollerarle ed esserne consapevoli. Infine nell’ambito della poesia, dell’arte, gli Autori sembrano fare un inno al valore dell’ambiguità che permette al fruitore dell’opera di poter vedere le cose da diversi punti di vista, apprezzando vertici di pensabilità anche molto divergenti tra loro.

Tutto il testo quindi costringe ad un delicato gioco di equilibri, di sospensioni del giudizio, di attese in quella che noi, psicoanalisti, chiamiamo capacità  negativa (Bion, 1970/Keats 1958) ovvero la capacità di tollerare l’incertezza della vita, ciò che è ignoto sia per il paziente che per l’analista, quel rimanere sospesi in certi momenti mantenendo una sorta di astensione dal conoscere razionale gnoseologico. Per Keats solo i poeti, infatti, riescono a tollerare che non tutte le cose possono essere risolte…. Io mi chiedo invece se esistano cose che possano essere risolte e sinceramente percepisco, in tal senso, in me dei dubbi…

E nel testo troviamo anche un articolo che mi pare più poetico che letterario, anche se di prosa si tratta. In Schlemihl e la luna, l’Autrice, Giuliana Pelli Grandini, ci fa assaggiare uno scritto intenso in cui ci si perde e se ci si incaponisce a cercare una logica, si resta del tutto sconcertati. Il racconto si snoda come un sogno, e forse di un sogno si tratta, ma non lo sappiamo. Del resto credo che sia proprio il sogno uno dei luoghi dell’ambiguità… Peter Schlemihl (Adalbert von Chamisso, 1814)  è un uomo che ha perso il contatto con il suo inconscio, che barattando la sua ombra con il demonio, si è bidimensionalizzato e che pertanto è incapace di accettare il rapporto tra realtà e immaginazione, tra bene e male.

Quanti Schlemihl arrivano sui nostri “lettini”? persone senza ombra, senza quel contatto con l’inquietante enigma che ci abita (Bertogna, Cusin, 2010) enigma/ perturbante che fa di noi degli esseri veramente umani, a più dimensioni, poliedrici, ambigui… Il rapporto tra realtà e immaginazione non può essere che ambiguo. In esso tutto è imprevedibile perché siamo noi umani ad esserlo. Imprevedibili. E nell’imprevedibilità prende casa l’ambiguità…

Ma il tentativo che desidero fare è di presentarvi un testo che vi faccia “assaggiare” il cibo in esso contenuto, saltellando da uno scritto all’altro, non tanto per fornire risposte, sicurezze, ma per stimolare ulteriori domande. Perché è questo che il testo fa: produce dubbi e domande.

 

“ –Lavori fino a tardi,eh? - ” dice un personaggio all’altro nel vecchio romanzo Gorky Park di Cruz Smith, “ Voleva dire con questo, che era encomiabile o che era inutile “ continua il racconto “ che era in gamba o che era un idiota? Dal tono, le ipotesi erano entrambe valide.”

Dal tono le ipotesi erano entrambe valide… ecco un banale esempio di ambiguità del linguaggio, e non solo delle parole, ma del tono della voce che viene espresso dall’interlocutore e sul quale l’Autore brevemente si sofferma e simile al quale, in letteratura, ne troviamo una infinità.

Già il linguaggio… “le parole possono sorprenderci” dice Borutti nel suo articolo “La sorpresa del linguaggio. Nonsenso, ambiguità, creatività”, contenuto nel testo di Francesconi e Scotto di Fasano.  Perché, continua, “I poeti ci fanno pensare perché prendono la cosa più intima e familiare che ci sia per noi esseri umani, le parole, e le trasformano, le ribaltano, le strapazzano fino a farle diventare una sorpresa” (pag. 87). Ecco il poeta, si potrebbe dire che provoca un terremoto con le parole, ma anche si configura come un agente perturbante che trasforma la parola, elemento familiare, in un Unheimlich, (Freud,1919) in un qualcosa di improvvisamente sconosciuto, che può non solo stupirci, ma soprattutto che non riconosciamo, che sentiamo estraneo eppure, al contempo, attraente, affascinante.

Borutti ci aiuta molto a riflettere sul nonsenso che al fondo è tale solo in maniera apparente. L’ambiguità insita nel nonsenso sembra essere la ricchezza del medesimo, quella che ci aiuta a pensare. Borutti cita Rodari e la creatività degli errori, dei non senso essenziali alla nostra immaginazione. Ma allora questa potrebbe essere l’ennesima conferma di quanto gli errori di comunicazione ed espressione in analisi, siano ricchi di un contenuto che attende solo di essere svelato... Quante volte i pazienti, con il loro linguaggio che a volte si inceppa, si confonde, si destruttura, finiscono per sorprenderci e sorprendersi. Quanto in questo “ingarbugliarsi”, come dice spesso un mio paziente psicotico, è racchiusa la verità della persona, una verità che altrimenti non può essere detta, se non con un’ “ingarbugliata ambiguità”?

L’articolo di Borutti mi ha fatto pensare alla verità del linguaggio nonostante i suoi ammiccamenti, le incongruenze. Un linguaggio che nell’ambiguità riesce ad esprimere qualcosa che risponde ad una logica diversa, come avviene nell’inconscio che non è “non logico”, ma utilizza un’altra logica (ricordo tutto il discorso che fa Matte Blanco 1975, sulla logica simmetrica dell’inconscio così diversa dalla logica asimmetrica della coscienza). Un’ambiguità oracolare quasi, con cui il paziente, senza accorgersene, ci parla.

Ma ecco che nel testo incontriamo altri scritti che sembrano portarci su terreni molto distanti. L’ambiguità del linguaggio ha le sue ombre, non è come Peter Schlemihl, uomo senza ombra e quindi senza spessore emotivo. Lo spessore emotivo dell’ambiguità sta nella sua ombra, nel suo lato oscuro, ha come proprietà, ci dicono Francesconi e Scotto di Fasano nell’introduzione (p.11), proprio “il significato oscuro che può essere fonte di terrore. Una sfida al discorso e al pensiero... Una finestra che da sul niente... dove  il pensiero si inabissa (Jankélévitich, 1975, pp. 94- 96 in Francesconi, Scotto di Fasano,2012 p. 9), ma anche un lavoro "senza titolo" perché parlare di ambiguità è appunto un "non ancora del tutto" (ibidem p. 9). Per Ferruta (p.51) una "forma dell' ambiguità è rappresentata dalla categoria dell'animato/inanimato.: spaventano le figure non vive che si muovono e prendono vita, come pure le figure umane che si muovono in modo meccanico e robotico, senza emozioni né sentimenti..." Quanta porzione di perturbante sta in questa ambiguità tra vivo e senza anima? Quanto è proprio questa vita apparente del meccanico robot [nel film Terminator, (Cameron,1984), il robot è identico ad un essere umano, ma non muore mai, nonostante vada in pezzi, perché è una macchina e anche una singola mano continua a perseguitare la sua vittima!]. Se l'analisi è un processo di trasformazione, secondo Bleger (1967) ciò che invece rimane statico, immobile e immutabile è proprio l'inanimato, questa parte agglutinata che resta silente, non discriminata, origine e base della differenziazione. Dell'inanimato ha parlato Anna Baruzzi nel lavoro L'automa e l'imprevisto (1985?,49 ).  In esso, trattando del bambino psicotico, dice come questo evochi l' immagine dell'automa, del robot meccanico dove il robot si propone come maschera simbioticamente unita  a ciò che dovrebbe celare, cioè l'essere drammaticamente e simbioticamente fuso con la madre.

Nel nostro contesto quotidiano e familiare, scrive Baruzzi negli anni '80, hanno avuto molto successo i robot, i trasformer, i replicanti. I bambini ne sono stati subito entusiasti. Segnalando così come l'automa sia la maschera del nostro tempo e come per questo si sia inserita facilmente nell'immaginario infantile (ibidem p.49).

Per Baruzzi il vissuto dell'inanimato sta alla base della psicosi infantile. Per una serie di eventi il bambino non è riuscito ad animare il suo mondo, fatto questo che è un'esperienza indispensabile per vivere poi esperienze emotive, vitali e creative (ibidem p. 50). È così l'universo mentale del bambino si popola di oggetti inanimati. Sempre Baruzzi sottolinea come, affinché la mente possa nascere, sia indispensabile la differenziazione, distinzione tra il vivente e l’inanimato (p. 51), quindi l'uscita dall'ambiguità. Il bambino deve poter lentamente divenire capace di affrontare, e apprendere, le complicazioni emotive che derivano dalle “relazioni con oggetti che hanno vita" (p. 51).

Ferruta nel guardare invece all'adulto psicotico, che è al fondo una persona che è stata un bambino psicotico, ne coglie gli aspetti di immobilità, soprattutto negli ambienti in cui vive, che devono rimanere pieni di oggetti inanimati che si accumulano, si ricoprono di polvere allo scopo di impedire il crollo di una personalità che non ha avuto in dotazione, e sperimentato a sufficienza, la posizione gliscocaria o agglutinata (Bleger, 1967) una sorta di pavimento base sensoriale (Ogden 1989 in Ferruta, p. 52). Per Ferruta certe persone, all'inizio del loro sviluppo psichico hanno patito una carenza di esperienze di contatto con quella sensorialità di base condivisa, quell'ambiguità tra Sé e non-Sé necessaria, mentre hanno fatto piuttosto esperienza di un oggetto così grande e competente da "divorare" le esili ed embrionali sensazioni di bambino. Nuovamente dunque Ferruta ricorda che per lo sviluppo è necessario il rapporto con un oggetto vivo. (p. 53) È trattando di questo che Ferruta ci fa riflettere sull'ambiguità soprattutto dei concetti primitivo/arcaici di inanimato/animato. Ed è in analisi che il paziente può fare l'esperienza di una relazione con un oggetto vivo, ma anche con le proprie parti inanimate. L'analista è un oggetto che rivolge il proprio inconscio, come un organo ricevente, verso l'inconscio del malato che trasmette. Avviene, nella coppia analitica, un "risuonare" dell'analista alle parole del paziente. Ma io aggiungerei che anche l'analista con le sue parole fa risuonare il paziente e gli fornisce un crogiolo trasformativo in cui poi, il paziente stesso, può depositare i propri dubbi e ambiguità. Grazie a questo crogiolo trasformativo, costruito con le proprie parole, che avevo chiamato "parola concava" (Cusin, 2009) l'analista fornisce al paziente uno strumento grazie al quale il paziente può operare un paziente (sic!) lavoro di discriminazione, differenziazione, per divenire consapevole di alcune, a volte necessarie, ambiguità.

Con l'ambiguità non possiamo evitare di fare i conti in analisi perché stiamo vivendo, non tanto un disagio a causa degli sforzi e sacrifici che siamo costretti a fare per un adeguato vivere civile (Freud, 1929), ma perché siamo del tutto immersi nella società del disagio, come ci sottolinea Marco Francesconi, in un capitolo introduttivo che ha proprio questo titolo. Francesconi dedica molto spazio alla disamina delle nuove forme di psicopatologia, ai nuovi sintomi che non sono più riconducibili a processi simbolico-discorsivi, quanto piuttosto a fallimenti della capacità rappresentazionale. C'è silenzio del pensiero, privo di espressione, atrofico, capace solo di "agire", di usare in modo tossicomanico le relazioni e gli oggetti, con impulsività, rabbia o smuovendo paura. In proposito mi viene in mente il film Limitless (Burger, 2011), di cui già il titolo dice molto, in cui il protagonista fa uso di una sorta di pillola magica - di fatto potremmo dire di una droga vista la dipendenza almeno psichica che finisce per sviluppare - grazie alla quale le sue capacità vengono enormemente sviluppate e da persona senza particolare inventività, in un attimo, diviene molto capace, creativo ed efficiente! È pensare che quarant'anni fa il massimo in cui potevamo sperare erano le spinaci di Braccio di Ferro!

Personalmente credo che la mentalità trasmessa in questi ultimi trent'anni, fatta di cartoon pieni di esseri che si trasformano in robot superpotenti, o per le femmine, tante "magiche Emy" che grazie ad  una piroetta, o qualcosa di simile, possono fare di tutto e salvare il mondo, si è collaborato ad alimentare le fantasie infantili, a forgiarle più sul versante dei poteri magici, o super poteri, che su quello della curiosità per il potere della coppia genitoriale, denso di conflittualità, invidia e gelosia. Mi pare sia stata alimentata esageratamente la naturale e sana onnipotenza infantile... che divenuta adulta, forse, incoraggia a portare gigantesche navi sottocosta come fossero barchette da diporto o far correre a 190 chilometri all'ora treni sulle curve pensando, ed esibendo, che così si sia degli uomini da ammirare e stimare perchè dotati di superpoteri....

Oggi, ci dice Francesconi assistiamo ad una sorta di abbagliamento per un eccesso d'informazione (p.28) un sapere che è così "tanto" che ci perdiamo e confondiamo, diventando, al fondo, più facilmente preda di un precipitare nell'ambiguità di contenuti che non siamo in grado di verificare, discriminare, distinguere, che persone detentrici di una vera e profonda conoscenza. Io penso che l' ambiguità in questo caso non possa che generare incertezza, paura, e siccome dobbiamo evitare il conflitto che l'incertezza necessariamente genera, finiamo per evitare il pensiero.

Spesso sentiamo notizie di persone  che mettono foto su facebook o su youtube con cui denunciano violenze diverse, o esibiscono violenza. Mi chiedo spesso quanto in queste foto ci sia di vero perché nel tempo ho imparato, come, con banali programmi di ritocco fotografico, una foto possa non dire esattamente la verità....

In queste foto, viene a mio parere espressa molta ambiguità, mascherata da verità, senza che il fruitore dell' immagine possa pensarlo! È questa assenza di pensiero critico che è a mio parere, oggi, estremamente inquietante. Un pensiero critico che invece è sostituito dalla paranoia, dal maleficio del sospetto.

Quanto c'è di perverso in tutto questo? Francesconi si chiede se dobbiamo pensare ad una nuova clinica individuale e collettiva oppure continuare a far riferimento a processi interpretativi già noti che però oggi si esprimono con diverse modalità o presentano una intensificazione quantitativa di produzione tanto da invadere il campo della cura (p. 29). Francesconi, e io concordo molto con lui su questo, considera che si debba ricorrere, oggi più di un tempo, alla categoria della perversione che non sceglie un oggetto, ma una relazione falsificante che altera quella verità che, per Bion è cibo per la mente! (p.30)

Quello che oggi sempre più spesso accade è il trionfo dell'inganno (soluzione perversa) quindi a un far trionfare una mentalità ambigua dove mai siamo in grado di distinguere il vero dal falso. È questo, oltre a venire molto rappresentato nei film (ad esempio Matrix dei Wachowski, 1999, Il dubbio di Shanley, e Committed - Frammenti di follia di Norma Bailey, 2011 emergenti gruppali del nostro modo di sentire) si è insinuato nei gesti più banali della quotidianità. Lo stesso darsi appuntamento oggi risente di questa incertezza e negazione del conflitto facilitata dalla diffusione dei sistemi di collegamento ( cellulari, mail, internet...). Non ci si dice più : ci incontriamo domani sera alle otto in via Rossi al bar, ma ci si dice: ci “becchiamo”... ci risentiamo... ti chiamo... lasciando in sospeso tutto, vivendo nell'incertezza, nella perenne possibilità che accada tutto e il contrario di tutto... tanto alla fine si può sempre dire che il cellulare non funzionava perchè era scarico o senza traffico, o ancora in una zona senza segnale... E noi ci liberiamo anche del minimo residuo di responsabilità. Questo è il risultato di una civiltà nel disagio di un'ambiguità dilagante.

Penso ai tanti, troppi – e lo riscontriamo tra i pazienti - che attualizzano la tanto osannata flessibiltà nel lavoro in una totale flessibilità nella vita, non riuscendo più a decidere o programmare nulla, senza saper fare delle scelte, restando "tra color che son sospesi" in un limbo eterno, senza colpe e responsabilità. Fermando il tempo e non tollerando la cura psicoanalitica in cui il tempo ha un suo significato e valore preciso. Il tempo è in analisi, un ritmo, una regola. E i pazienti, non solo non tollerano le regole del setting, non solo le attaccano, ma vi si oppongono con forza, contestando quello che viene sentito come un "obbligo" ad obbedire ad un qualcosa vissuto come rigido, che toglie loro la libertà, li costringe al ritmo dell'analista. A "dipendere" dicono, dai bisogni dell'analista. La regola del setting viene ridotta, nel vissuto, al bisogno di un altro al quale si deve sottostare, mentre invece si vuole esibire una totale autosufficienza che si fonda sulla negazione di pesanti aspetti di dipendenza ai quali  non si può pensare.

Ricordo come Baruzzi (1985?,52) avesse affermato quanto importante fosse, per il bambino, una esperienza emozionale primitiva (iniziale) “tale che abbia la cadenza di un ritmo adeguato come una dolce brezza (anemos) vivace ma non violenta produce sui flutti del mare”... Per affermare ancora (ibidem) che occorre che “l’energia vitale del bambino e la sua emozionalità primitiva possano articolarsi e modularsi prevalentemente in un regime temperato e fluidamente ordinato, con un equilibrio dinamico, regolato dalla sensibilità della madre, tra esperienze di continuità e discontinuità e non tra scoppi marasmatici violenti e caotici, eccessivamente imprevedibili, marasmatico disordine, contraddittorietà o vuoti troppo prolungati e insopportabili”!

Questi pazienti sembrano invece desiderare un "allattamento al bisogno", continui “scoppi marasmatici” in una relazione che vivono come se fosse con un’analista/mamma sempre disponibile a dare un nutrimento che però poi li spaventa, una sorta di pillola "limitless", con la quale sentirsi potenti e autorizzati a far ciò che desiderano, mentre nella realtà, il cibo della parole dell'analista è così chiaramente caldo e vivo che non può essere tollerato. Deve essere subito rimesso nell'area dell' ambiguità ( il contrario quindi di una disambiguazione differenziante a favore dello sviluppo psichico) attraverso sospetti e dubbi sull'analista e il suo interesse per il paziente. Il setting è quindi proprio il luogo dove l'ambiguità viene messa in scena e quindi questo ci rende attenti all' importanza del rispetto di regole solide e rigorose.

È per questo che ritengo significative le osservazioni che Francesconi e Scotto di Fasano fanno nell' introduzione (11) : "Noi crediamo che il mito del 'se voglio posso' spinga a difese denegative  volte a proteggere dalla dolorosa consapevolezza che ciò potrebbe non essere vero per sé, causando sia la sensazione che pensare sia rischioso (come afferma Kristeva, 2001), dal momento che si dovrebbe ospitare pensieri dolorosi e amari, sia l'intolleranza di ogni esperienza del limite"....

La psicoanalisi costringe a fare l'esperienza del limite...

Forse il nostro lavoro è molto importante oggi proprio perché permette di indagare le insidie dell'ambiguità (Francesconi, p.48). Continua Francesconi (p. 47) sottolineando che compito dell'indagine psicoanalitica non sia eliminare l'ambivalenza, che è impossibile,  ma rendercene consapevoli, in modo da poter negoziare con la contraddittorietà dei nostri affetti (che, aggiungo, sono contraddittori proprio in quanto affetti!), limitandone la portata distruttiva. L'ambivalenza abita e patisce il conflitto, mentre l'ambiguità lo elude. E questo credo sia uno spartiacque importante segnalato da Francesconi. È nell'interpretare, quando possibile, in maniera insatura, lasciando spazio all'incertezza, al beneficio del dubbio, ma non al maleficio del sospetto, che apriamo al paziente uno spazio di pensabilità  nei confronti della complessità dei discorsi, sancendo, ci dice Francesconi (p.47) non l'incertezza del significato, ma la molteplicità del medesimo. E io penso che dare oggi questo spazio di consapevolezza sia estremamente importante proprio per far fronte a questa civiltà del disagio che si perde nell'ambiguità di un Padre Nebbia e una Madre Palude come significativamente Francesconi e Scotto di Fasano denunciano (1997).

Anche Argentieri, che peraltro ha pubblicato nel 2008 un intenso volumetto sull'ambiguità, collabora a questo testo collettaneo con alcune sue riflessioni in cui sottolinea, ulteriormente, come sia proprio il saper vivere i conflitti il nucleo del discorso. Da sempre Argentieri si occupa del rapporto tra verità e bugia - ricordo in merito un suo acuto commento sul film Prova a prenderemi (2002, Spielberg),  al cineforum, che con la collega Bertogna abbiamo per anni organizzato a Gorizia, quanto si era spesa per sottolineare l'esigenza del protagonista di essere fermato nel suo ingarbugliarsi nella bugia e nella malafede.

In questo testo sottolinea come l'inganno e l'illusione siano profondamente infiltrate nell'intrapsichico e nell'interpersonale non solo nella clinica , ma anche nella quotidianità della nostra vita relazionale.(p. 43)

Così si esprime Argentieri: “ambiguità e malafede sempre più si configurano come tratti dominanti e invasivi della nostra epoca.... e in quanto eludono la verità interpersonale e intra psichica - sono al tempo stesso una nevrosi e un piccolo crimine, al confine tra la patologia e l'etica”

.Non è il tenere dentro di Sé aspetti contraddittori, ma il farlo senza sentire il conflitto, il disagio, il senso di colpa. E questa mentalità sembra essere divenuta normale tanto da non suscitare alcuna inquietudine. Continua Argentieri: “sembra che si verifichi uno slittamento subdolo dal conflitto all'ambiguità”. (p. 45)

Ma prima di vedere l'elogio che invece viene fatto dell'ambivalenza e del valore dell'ambiguità nell'arte e nella società, vorrei segnalare i due contributi di Faga e Camaldola che ci rendono attenti su qualcosa che sta avvenendo nella medicina estetica e nella Body Art.

Nel corpo dunque...

Nella medicina estetica sempre più spesso, ci dice Faga, in "L'ambiguo rapporto di una coppia particolare", un intricato garbuglio di pensieri complessi, non pensati ma solo agiti nella richiesta di qualche modifica estetica, viene scaricato sul chirurgo a cui viene al fondo richiesto di realizzare  un sogno estetico di bellezza.

"Questo è il momento di massima ambiguità del rapporto: ben poco di quanto viene esplicitato in questa fase corrisponde al più intimo pensiero dei due membri della coppia, anche se questo pensiero sarà il tema guida di tutti gli avvenimenti successivi" (p.137)

Per il paziente l'intervento chirurgico viene vissuto quasi al pari di un intervento taumaturgico che conduce ad una nuova vita e di cui il chirurgo è il "sacerdote". Ma il chirurgo è invece concentrato su aspetti totalmente diversi, sulle procedure tecniche che nessun spazio lasciano a considerazioni o perplessità di ordine psicologico.

Alla fine entrambi dovranno fare i conti con la realtà e con un risultato che mai potrà essere sovrapposto alle reciproche aspettative e aspirazioni. Perciò, sostiene la Faga, bisogna precedentemente disambiguare le domande e le risposte (p. 139) che vengono scambiate nella "particolare coppia". Quale "male oscuro" si nasconde, cioè,  dietro ad una richiesta di correggere un difetto fisico? Cosa veramente sta chiedendo la persona? Credo infatti che una persona che ha subìto diverse ustioni o una grave menomazione per qualche malattia devastante, ad esempio, faccia una richiesta profondamente molto diversa da quella fatta da una giovane che vuole un seno nuovo o delle labbra più turgide, o un ragazzo che chiede un naso migliore quando invece i veri bisogni sono altri! Ogni richiesta, in questo ambito, ma forse sempre, contiene al suo interno un "assaggio" di inconscio...

A fronte della triste consapevolezza, conclude Faga (p. 143) “di quanto sia effimera la propria opera,  perché realizzata non nel marmo dello scultore ma nella caducità della materia biologica, si consolida nel chirurgo plastico.... un solitario narcisistico autocompiacimento di fronte al migliore approccio alla vita che talora davvero nasce in quelli toccati dal suo bisturi...”

Dovremmo chiederci se in queste "azioni" ci sia spazio per la psicoanalisi....

 

C'è sempre un discorso che riguarda il corpo nell'intenso lavoro di Camandola su "Regressione e posizione ambigua della mente nell'osservazione della Body Art". Anche qui sembra che l'artista agisca chirurgicamente, magari personalmente e concretamente sul proprio corpo, non per raggiungere un certo grado di bellezza, ma per fare di sè un'opera artistica di denuncia come nei lavori di Orlan che affronta veri e propri interventi chirurgici al volto, di profonda modifica, che poi fotografa e filma per renderli pubblici. In tali interventi mira a ricercare una deformazione del proprio volto, in contrasto con l'idea di bellezza conformistica imposta alle donne

Alcune forme estreme di Body Art possono spingere il corpo fino al limite. Ad esempio Marina Abramovic ha esplorato i suoi limiti fisici e la sua resistenza psichica, ma anche le relazioni tra artista e pubblico, grazie anche ad una lunga preparazione mentale. In una delle prime performance restò in piedi al centro di una stella infuocata, e quando il fuoco consumò l'ossigeno svenne; venne salvata da un medico presente tra il pubblico.

Gina Pane si era ferita con lame, vetri, spine di rosa, allo scopo di denunciare la concezione maschilista della figura femminile.

Tali artiste usano il loro corpo, sperimentando concretamente sulla loro pelle,  per attuare una ricerca intorno al tema della propria identità, oltre che per denunciare la mercificazione del corpo femminile o rivendicare la possibilità etica di riprogettarsi oltre le imposizioni del controllo legale. In merito penso al film Time di Kim Ki-duk, 2006, in cui, in un, non auspicabile, futuro si sarà liberi di riprogettare a piacere il proprio volto, modificando così la propria identità e "rompere" con le relazioni del passato (se abbiamo un volto totalmente altro gli amori, e amici del passato non ci riconoscono più e noi possiamo iniziare una vita nuova liberi dai legami, appunto, passati!). Credo che questo film abbia la capacità di tenere assieme i due contributi di Faga e Camandola in quanto, come cerca di dimostrare Camaldola, riprendendo Bleger (1967) con la Body Art , l'osservazione di queste performance estreme può promuovere la mobilitazione del nucleo agglutinato, riattivando nell'osservatore una serie di conflittualità intrapsichiche  collegate all'infanzia e rimosse nel l'inconscio (pp.174-175). Risvegliandosi, i contenuti conflittuali, che fino a quel momento sono stati tenuti separati dalla coscienza, rompono il vincolo simbiotico e mobilitano il nucleo agglutinato. Questa rottura della simbiosi può avere un carattere molto violento e assumere una forma perturbante e traumatogena per la mente. (p.175). Sono proprio i vincoli più primitivi ad essere sollecitati maggiormente dalla Body Art proprio perché sono corporei e quindi scuotono nel profondo le fondamenta identitarie e le costruzioni psichiche più evolute dei fruitori dell'opera d'arte. La Body  Art rende il corpo protagonista. È dunque forse la Body Art la manifestazione artistica che più di altre  stimola l'oscillazione regressiva verso la posizione ambigua, meno organizzata e differenziata, si chiede Camandola? (p.177)

Nel testo troveremo altri autori che ci faranno vedere come  non solo la Body Art , ma anche altre forme artistiche, possano smuovere aspetti dell'ambiguità, mettendoli in scena in diverse maniere. Le loro dissertazioni ci fanno apprezzare il versante artistico dell' ambiguità così come si declina per esempio nel romanzo di Henry James, Il giro di vite (1974), da cui poi è stato tratto il film The innocents ( in italiano divenuto Suspance) di Clayton (1961) o come nelle opere di trompe-l'œil o nell'anamorfosi, così ben tratteggiata nell'opera di Holbein (1533):  I due ambasciatori, commentate da Petrella o, ancora, nei Capricci di Goya descritti e commentati da Bedoni.

Abbiamo modo, con queste loro osservazioni, di apprezzare la sorpresa che generano queste opere d'arte che, similmente a quanto avviene con il perturbante, mettono in moto in noi quel ribaltamento del nostro guardare il mondo, quella rottura dello stereotipo, dello schema di riferimento di cui ci parla Bleger (1966-72,172  e 1967). Un'ambiguità che confina con la creatività, quell'originalità che nelle risposte ad un test di Rorschach sarebbe segnata come una positiva deviazione.

Al fondo, per qualsiasi opera d'arte è la nostra mente che, fruendo dell'opera, "inizia a creare delle immagini personali, intrise dei nostri contenuti inconsci e rimossi... (Bertogna, Cusin,2010,18) In certi film, o quadri, ci sono  delle immagini che ci spiazzano e, in questo modo, ci permettono di inoltrarci in un altrove che apre la nostra immaginazione proprio per la sua imprevedibilità (ibidem,17). L'arte per questo permette una libera circolazione di emozioni altrimenti impensabili, che stanno aspettando di ottenere il diritto alla libera circolazione dentro di noi (Cesare Musatti in Secchi, per gentile concessione dell'Autore).

Il testo dunque sembra avvicinare i concetti, sebbene diversi tra loro ma contigui, di ambiguità, perturbante, impensabilità e sorpresa. È tale contiguità a mio parere che rende così interessante la discussione sull'ambiguità.

Nel racconto di James, così come nel relativo film, l'ambiguità permane lasciando del tutto inquietato il lettore/spettatore che non riesce ad avere mai la certezza di ciò che gli sembra di capire. Così, ci dice Petrella, alcune opere d'arte: il trompe-l'œil e l'anamorfosi mettono il fruitore in una situazione di dubbio, di incertezza destabilizzante, ma fortemente evocativa. Una sorta di ambiguità che smuove la pensabilità nel fruitore dell' opera.

Anche Bedoni, illustrandoci i Capricci di Goya, ci fa riflettere su alcune interessanti suggestioni che fornisce come incipit al suo lavoro. L'immagine autentica è in realtà ambigua, afferma, citando Didi-Huberman (2000,225) e solo le immagini dialettiche sono autentiche immagini. L'opera va letta in senso polisemico, e in essa l'ambiguità è un valore, una immagine visibile della dialettica (p.182). Per proseguire ci accompagna attraverso le opere di Goya, che sono un singolare prodotto della fantasia con le quali l' Autore seppe indagare il lato oscuro del grottesco, introducendo dei caratteri innovativi e realizzando così un'opera di rottura nell'arte europea (p.183)

Quello che Goya infatti permette è un accesso al mondo onirico e ai contenuti inconsci evidenziando così, nella Spagna settecentesca, dominata dall'intransigenza del cattolicesimo e dall'Inquisizione, egemone e nemica giurata di ogni corrente liberale, di aver quasi profeticamente compreso che l'eccentrico si mischia al familiare e che l'alterità, a dispetto delle più bizzarre rappresentazioni stegonesche, appartiene, infine, alla natura dell'uomo. I Capricci aprono dunque la via all'arte visionaria. Non solo degli artisti ma, aggiungo io, di chi guarda, che "interpreta" in base al proprio vissuto come facciamo, nel semplice esempio di illusione ottica della barra, sempre ugualmente grigia, ma che sembra cambiare colore in base allo sfondo (il corrispettivo del nostro mondo interno) su cui è appoggiata ...Banale.... Ma non tanto...

Ecco che nel leggere il testo di Francesconi e Scotto di Fasano torno ad essere ambiguamente attanagliata da fecondi e germinativi dubbi... Quale rapporto ci può essere dunque tra verità, autenticità, ambiguità e inautenticità? Stefano Pozzoli apre il suo lavoro su questo tema con un esergo tratto dall' Amleto: "questo soprattutto: sii sincero con te stesso e ne consegue, come la notte al giorno, che non puoi essere falso nei confronti di nessuno" come a sancire  che verità e falsità sono inscindibili, che di verità si può parlare solo dal punto di vista relazionale e che verità ed autenticità sono legate al tema dell'essere (p.71)

Proprio in un'epoca così precaria e smarrita come la nostra sembrano emergere questi temi forti della verità, dell'autenticità, del falso, dell'ambiguità che costringono l'individuo ad un ripensamento di sé per ritrovare la rotta smarrita (p.72).

C'è infatti una crisi di riferimenti che costringono, tra le altre cose a ripensare agli obiettivi della cura psicoanalitica - tema che mi sembra il fil rouge di tutto il testo - . Paghiamo la grande libertà che abbiamo, l'apparente Limitless di cui ho già accennato. L'essere passati, dice Pozzoli, da una cultura fondata sulla rimozione dei desideri, sulla nevrosi, ad un'altra che incita alla libera espressione di ogni desiderio, svincolato dalla legge, promuove una perversione generalizzata (p. P.73). Serve ancora un apparato per pensare? Per pensare a ciò che si fa, si sceglie di fare, si immagina, si fantastica, si desidera...

Pozzoli rileva un insistente e ossessivo interrogarsi delle persone sulla propria realtà in termini di verità e falsità tanto da avere l'impressione di aver a che fare non tanto con soggetti sfaccettati, nei quali una certa ambiguità è parte integrante, ma a un soggetto che Pozzoli definisce opaco, nei confronti del quale è difficile e complesso rintracciare minimi contorni e confini. La plasticità positiva, fonte di ricchezza e creatività, è soppiantata da una forma di incoerenza giustificata e talvolta  elevata alla dignità di categoria morale, che permette la proliferazione di comportamenti in malafede o ambigui.p.(74)

Pozzoli ripercorre molto del pensiero di Winnicott, soprattutto per ciò che riguarda il falso Sé che per la capacità di stare da soli, precondizione per saper stare con gli altri.

Fonte di inautenticità, ci dice Pozzoli, sono i miraggi narcisistici entro i quali rimaniamo imbrigliati. Nella solitudine narcisistica non può esservi né verità né autenticità che invece possono realizzarsi solo nella di dimensione relazionale. La verità è ricca di ambiguità, interna alla dimensione della relazione che inizia con un rispecchiamento, necessario, attraverso qualcuno  in cui si ha fiducia e che giustifica la dipendenza.(p.80) Un individuo può dunque riuscire nella vita, ma se tale successo si fonda su un falso Sé, nell' individuo si intensifica il senso di vuoto e di disperazione. Ci dice infatti un Winnicott estremamente attuale, che "il dramma al giorno d'oggi è cercare il nucleo autentico all'interno di ciò che è formale, sentimentale, vincente o falso (Winnicott, 1964,62). L'ambiguità ha a che fare con la compiacenza e con il falso Sé. La compiacenza porta a ricompense immediate, mentre invece la capacità di compromesso è un segnale di salute mentale, poiché indica la capacità di prender in considerazione una realtà condivisa (p.81). Concordo in linea di principio con Pozzoli, ma mi chiedo il significato che assume, ad esempio in certi ambiti lavorativi, il fatto che  sembra essere vincente piuttosto la compiacenza, mentre viene assolutamente vituperata e criticata, se non apertamente rifiutata, la capacità di compromesso perché è forse proprio il conflitto a non essere tollerabile e tollerato - e per fare un compromesso il conflitto deve poter venire allo scoperto. -

Pozzoli conclude con l'indicazione di mantenersi fedeli a sé e autentici coltivando sempre il dubbio su di sé. (p.82)

Sviluppare esplorazioni trasgressive rispetto all'ovvio dunque, come suggerisce Silvia Amati Sas (1997) citata da Scotto diFasano (p.60)  così da disidentificarsi da riassicuranti saperi consolidati in modo da "porsi delle domande sulle mele che cadono" così come ci indica di fare  Chasseguet-Smirgel (2002). È cresciuta in questi anni, continua Scotto di Fasano (61) l'indeterminazione generale e generalizzata tra i generi, le generazioni [significativo in proposito il film In Time di Niccol, (2011), in cui le persone guadagnano, al posto del danaro, delle porzioni di  tempo (minuti, giorni, settimane, anni) che diviene la moneta di tutto. Questo comporta che esser poveri significa non avere tempo e rischiare ogni attimo la morte mentre essere ricchi significa essere pieni di tempo e perennemente con l'aspetto di trentenni, anche se ormai si è già abbondantemente genitori e nonni, rimanendo del tutto indifferenziati - in termini di rughe e segno del tempo che passa appunto - dai  loro figli e nipoti.... Terrificante!], indifferenziazione  tra identità, nella sintomatologia, nelle funzioni genitoriali, al punto che  al posto della capacità di pensiero simbolico, si utilizzano organi e funzioni del corpo che divengono contenitori di pensieri ed emozioni.E qui viene citata Preta, (1994,127) e sempre Scotto di Fasano (2003). La difficoltà oggi è tollerare di essere sé, soli, per cui si finisce per accettare un pensiero conformista, di qualunque specie, una ideologia-rifugio che serva a proteggersi dalla paura di sentire, accorgersi e pensare (in Gaburri,Ambrosiano, p. 20, 2003 in Scotto diFasano (p. 60).

In questa vita che si esige eterna, o ancora meglio senza tempo e senza sentire e vedere i segni dello scorrere del tempo ( a differenza di Anna Magnani che una volta  disse al suo truccatore: “ Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere nemmeno una. Ci ho messo una vita a farmele venire”) ci si priva della dimensionalità e come afferma Bertman, citato da Scotto di Fasano (p.61)  si vive in un tempo "puntinista, frantumato in una moltitudine di pezzetti distinti, prespaziali e pretemporali, ognuno ridotto ad un punto" . La vita è del momento, adessista. Cosa accade mi chiedo, e chiedo al lettore di questa recensione, se il processo psicoanalitico cerca di entrare nell'adesso per far iniziare il tempo? La psicoanalisi, che è multimensionalizzante, come si rapporta ad una cultura unidimensionale che sta avendo il predominio? Sono domande inquietanti a cui questo testo rimanda.

Ci vengono in soccorso i due articoli di Confalonieri e Calabrò che ci aiutano a riflettere sull'ambiguità da altri vertici osservativi. A vedere come l’ambiguità possa avere una funzione necessaria alla società.

Confalonieri inizia osservando come Macchiavelli abbia sempre sottolineato l'importanza della menzogna come strumento di potere, aggiunge come la Arendt (1972,88) sostenga  che " l'abitudine a dire la verità non è mai stata annoverata tra le virtù politiche e le bugie sono sempre state considerate strumenti giustificabili negli affari politici".(pp.97-98) per poi concentrarsi  sull'ambiguità come polisemia, sul ruolo che le idee ambigue svolgono nel discorso politico, inteso come discorso pubblico che ha per scopo la conquista del consenso e la costruzione di coalizioni di attori (p.99). Per questo motivo una certa porzione di ambiguità in politica sembra necessaria perché di fronte a fatti oscuri e complessi,in cui è necessaria la collaborazione di diversi attori i cui valori e fini possono essere molto diversi, si mettono in gioco due discorsi che possono esser anche molto diversi: quello coordinativo rivolto gli attori impegnati nella definizione di una politica pubblica e quello  comunicativo che riguarda la legittimazione  delle scelte pubbliche  in un processo di persuasione pubblica di massa (Schmidt, 2008,310 in Confalonieri, p.101). Ciò che contraddistingue “il discorso politico rispetto a quello scientifico è infatti la sua capacità persuasiva, non la chiarezza e coerenza delle asserzioni... deve creare consenso... la prima qualità di una proposta è... la sua accettabilità per gli attori in campo... da qui il ruolo delle idee ambigue, che rendono possibile la cesione di interessi e interpretazioni diversificate” (p.102). Paradossalmente, secondo Confalonieri, è proprio questo che può generare innovazione e far progredire il processo democratico!  È necessario accrescere, conclude Confalonieri, la capacità di risolvere i problemi. A volte sono utili ambigui compromessi su delle riforme a cui le diverse parti in causa possono attribuire  valenze del tutto differenti. Può essere necessario far accettare agli estremisti di entrambi gli schieramenti proprio questi compromessi perché può essere l'unico modo per approdare a maggiori trasformazioni democratiche. (p.106)

È la complessità sociale quindi a creare ambivalenza, ci farà intendere Calabrò nel suo Elogio dell' ambivalenza, un'ambivalenza che è necessaria per gestire questa complessità!

Stimolando la curiosità del lettore Calabrò confronta il pensiero di alcuni autori (Frenkel-Brunswick, Adorno, Argentieri che sembrano dare pareri contraddittori, e si domanda se l'ambiguità sia sintomo di una patologia, di una debolezza morale, o della buona salute della psiche? (p.110). Parole e frasi - e abbiamo visto come nel testo questo tema venga ripreso anche da altri Autori -  ammettono più di una interpretazione, una esperienza anche perchè ogni stimolo può avere due o più significati, o anche avere un significato poco chiaro (p.111).

Importante sembra essere il poter riflettere sulle ragioni dell'ambiguità. Le contraddizioni, come le ambiguità, ci dice Calabrò (p.113), pur facendo parte della realtà del pensiero e dell'esperienza, pur nutrite dalla complessità del presente, richiedono la scelta.

Calabrò analizza diverse situazioni in merito ( tra cui come esempio cito: per un immigrato, nella strada che conduce all'integrazione, la propria storia e cultura vanno sentite come risorse o rappresentano un vincolo? E, aggiungo io, nel caso della questione dell’Ilva di Taranto, va privilegiata la salute o la salvaguardia del lavoro?). 

L'Autrice parla soprattutto di ambivalenza sociologica, non tanto di ambiguità e chiarisce come  l'ambivalenza escluda la scelta tra le due opzioni che essa propone (p.113). L' articolo è lungo e complesso, sociologico e ricco di esemplificazioni che portano lentamente il lettore a vedere come gestire l'ambivalenza. È necessario (p.127) continua Calabrò, essere consapevoli dell'ambivalenza, sfruttare la situazione a proprio vantaggio, perché l'ambivalenza rende reversibile la scelta e plausibile la strategia che alterni le diverse opzioni. In ogni caso la consapevolezza del limite della propria scelta, dell'ambivalenza dei propri desideri, della sfida che non si è stati in grado di accettare, segna in maniera irreversibile la consapevolezza di sé e la propria visione del mondo (131). L'ambivalenza, dal punto di vista dell'azione, sembra consentire una strategia che, non potendo eliminare la contraddizione, permette una strategia di alternanza tra i due poli, di allontanamento e avvicinamento a essi, di ridefinizione continua del punto di equilibrio (p. 124).

 

Credo che sia stato proprio questo che abbiano fatto Francesconi e Scotto di Fasano, curatori di questo intrigante testo: fornirci degli stimoli, attorno al tema dell'ambiguità nei diversi settori della clinica, della società e dell'arte, per oscillare tra i diversi poli in una continua, forse infinita, ricerca di un punto di equilibrio, così da appassionarci ad ogni pagina, smuovendo costantemente sorpresa ed emozioni contraddittorie. Per questo considero il loro lavoro “sul crinale del Perturbante”!

 

 

 

 

Bibliografia

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Filmografia citata:

Terminator, di James Cameron,(1984)

Limitless di Neil Burger, (2011)

Matrix  di Lana e Andy Wachowski, (1999)

Il dubbio di John Patrick Shanley, (2008)

Committed  (in italiano Frammenti di follia) di Norma Bailey, (2011)

Prova a prenderemi  di Steven Spielberg, (2002)

Time di Kim Ki-duk, (2006)

The innocents ( in italiano Suspance) di Jack Clayton (1961)

In time, di  Andrew Niccol, (1991)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


   

 

 

 

 

 

   

 

 
 
 
 
   

 

 

 

   
 
 

 

 

 

 

 

 

         

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

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