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G. Cusin, "Sessualità e conoscenza"
A cura di/Edited by: A. Cusin & G. Leo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Biografie dell'Inconscio
Anno/Year: 2013
Pagine/Pages: 476
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AA.VV.,
"Psicoanalisi e luoghi della riabilitazione", a cura
di G. Leo e G. Riefolo (Editors)
A cura di/Edited by: G. Leo & G. Riefolo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Id-entità mediterranee
Anno/Year: 2013
Pagine/Pages: 426
ISBN: 978-88-903710-9-7
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AA.VV.,
"Scrittura e memoria", a cura di R. Bolletti (Editor)
Writings by: J.
Altounian, S. Amati Sas, A. Arslan, R. Bolletti, P. De
Silvestris, M. Morello, A. Sabatini Scalmati.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Cordoglio e pregiudizio
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 136
ISBN: 978-88-903710-7-3
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AA.VV., "Lo
spazio velato. Femminile e discorso
psicoanalitico"
a cura di G. Leo e L. Montani (Editors)
Writings by: A.
Cusin, J. Kristeva, A. Loncan, S. Marino, B.
Massimilla, L. Montani, A. Nunziante Cesaro, S.
Parrello, M. Sommantico, G. Stanziano, L.
Tarantini, A. Zurolo.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Confini della psicoanalisi
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 382
ISBN: 978-88-903710-6-6
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AA.VV., Psychoanalysis
and its Borders, a cura di
G. Leo (Editor)
Writings by: J. Altounian, P.
Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P.
Jimenez, O.F. Kernberg, S. Resnik.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Borders of Psychoanalysis
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 348
ISBN: 978-88-974790-2-4
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AA.VV.,
"Psicoanalisi e luoghi della negazione", a cura di A.
Cusin e G. Leo
Writings by:J.
Altounian, S. Amati Sas, M. e M. Avakian, W. A.
Cusin, N. Janigro, G. Leo, B. E. Litowitz, S. Resnik, A.
Sabatini Scalmati, G. Schneider, M. Šebek,
F. Sironi, L. Tarantini.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Id-entità mediterranee
Anno/Year: 2011
Pagine/Pages: 400
ISBN: 978-88-903710-4-2
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"The Voyage Out" by Virginia
Woolf
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-97479-01-7
Anno/Year: 2011
Pages: 672
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"Psicologia
dell'antisemitismo" di Imre Hermann
Author:Imre Hermann
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
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Anno/Year: 2011
Pages: 158
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"Id-entità mediterranee.
Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo
(editor)
Writings by: J.
Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A.
Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y.
Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M.
Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-2-8
Anno/Year: 2010
Pages: 520
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"Vite soffiate. I vinti della
psicoanalisi" di Giuseppe Leo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Edizione: 2a
ISBN: 978-88-903710-5-9
Anno/Year: 2011
Prezzo/Price: € 34,00
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"La Psicoanalisi e i suoi
confini" edited by Giuseppe Leo
Writings by: J.
Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D.
Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik
Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini
ISBN: 978-88-340155-7-5
Anno/Year: 2009
Pages: 224
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"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi
Confini"
Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.
Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas,
Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.
Publisher: Schena Editore
ISBN 88-8229-567-2
Price: € 15,00
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Non
c’è nulla di più ambiguo che parlare di ambiguità…
E’
stato veramente difficile affrontare questo interessante testo
collettaneo curato da Marco Francesconi e
Daniela Scotto di Fasano
perché ad ogni capitolo mi sono sentita oscillare mentalmente tra i
due poli della positività e negatività del concetto. Ad essi
inevitabilmente ricorre la mente umana per sentirsi sicura, per avere
quella certezza di sapere dove sta andando e cosa sta guardando che,
invece, in questo caso è stata sempre, costantemente incerta.
Nell’organizzare
questo mio scritto ho pertanto scelto di lasciarmi andare alle libere
associazioni, ad una sorta di “zapping” tra i diversi contributi
che il testo sull’Ambiguità
nella clinica
, nella società, nell’arte mi ha stimolato.
Perché
una cosa è certa: questo è un testo che fa pensare, che neanche per
un attimo ti abbandona, è un testo inquietante proprio perché non
permette mai di sentirsi arrivati in un porto sicuro.
Se
l’incipit della prima sezione, dedicata all’ambiguità
nella clinica
, inquieta – e inevitabilmente viene
da sentirsi in accordo con gli Autori, subito dopo ecco che qualcuno
dice che l’ambiguità – ma soprattutto l’ambivalenza - sono
necessarie, soprattutto in politica, e bisogna tollerarle ed esserne
consapevoli. Infine nell’ambito della poesia, dell’arte, gli
Autori sembrano fare un inno al valore dell’ambiguità che permette
al fruitore dell’opera di poter vedere le cose da diversi punti di
vista, apprezzando vertici di pensabilità anche molto divergenti tra
loro.
Tutto
il testo quindi costringe ad un delicato gioco di equilibri, di
sospensioni del giudizio, di attese in quella che noi, psicoanalisti,
chiamiamo capacità negativa
(Bion, 1970/Keats 1958) ovvero la capacità di tollerare
l’incertezza della vita, ciò che è ignoto sia per il paziente che
per l’analista, quel rimanere sospesi in certi momenti mantenendo
una sorta di astensione dal conoscere razionale gnoseologico. Per
Keats solo i poeti, infatti, riescono a tollerare che non tutte le
cose possono essere risolte…. Io mi chiedo invece se esistano cose
che possano essere risolte e sinceramente percepisco, in tal senso, in
me dei dubbi…
E
nel testo troviamo anche un articolo che mi pare più poetico che
letterario, anche se di prosa si tratta. In Schlemihl
e la luna, l’Autrice, Giuliana Pelli Grandini, ci fa assaggiare
uno scritto intenso in cui ci si perde e se ci si incaponisce a
cercare una logica, si resta del tutto sconcertati. Il racconto si
snoda come un sogno, e forse di un sogno si tratta, ma non lo
sappiamo. Del resto credo che sia proprio il sogno uno dei luoghi
dell’ambiguità… Peter Schlemihl (Adalbert von Chamisso, 1814) è
un uomo che ha perso il contatto con il suo inconscio, che barattando
la sua ombra con il demonio, si è bidimensionalizzato e che pertanto
è incapace di accettare il rapporto tra realtà e immaginazione, tra
bene e male.
Quanti
Schlemihl arrivano sui nostri “lettini”? persone senza ombra,
senza quel contatto con l’inquietante enigma che ci abita (Bertogna,
Cusin, 2010) enigma/ perturbante che fa di noi degli esseri veramente
umani, a più dimensioni, poliedrici, ambigui… Il rapporto tra realtà
e immaginazione non può essere che ambiguo. In esso tutto è
imprevedibile perché siamo noi umani ad esserlo. Imprevedibili. E
nell’imprevedibilità prende casa l’ambiguità…
Ma
il tentativo che desidero fare è di presentarvi un testo che vi
faccia “assaggiare” il cibo in esso contenuto, saltellando da uno
scritto all’altro, non tanto per fornire risposte, sicurezze, ma per
stimolare ulteriori domande. Perché è questo che il testo fa:
produce dubbi e domande.
“
–Lavori fino a tardi,eh? - ” dice un personaggio all’altro nel
vecchio romanzo Gorky Park di Cruz Smith, “ Voleva dire con questo, che era
encomiabile o che era inutile “ continua il racconto “ che era in
gamba o che era un idiota? Dal tono, le ipotesi erano entrambe
valide.”
Dal
tono le ipotesi erano entrambe valide… ecco un banale esempio di
ambiguità del linguaggio, e non solo delle parole, ma del tono della
voce che viene espresso dall’interlocutore e sul quale l’Autore
brevemente si sofferma e simile al quale, in letteratura, ne troviamo
una infinità.
Già
il linguaggio… “le parole possono sorprenderci” dice Borutti nel
suo articolo “La sorpresa del linguaggio. Nonsenso, ambiguità, creatività”,
contenuto nel testo di Francesconi e Scotto di Fasano. Perché,
continua, “I poeti ci fanno pensare perché prendono la cosa più
intima e familiare che ci sia per noi esseri umani, le parole, e le
trasformano, le ribaltano, le strapazzano fino a farle diventare una
sorpresa” (pag. 87). Ecco il poeta, si potrebbe dire che provoca un
terremoto con le parole, ma anche si configura come un agente
perturbante che trasforma la parola, elemento familiare, in un Unheimlich, (Freud,1919) in un qualcosa di improvvisamente
sconosciuto, che può non solo stupirci, ma soprattutto che non
riconosciamo, che sentiamo estraneo eppure, al contempo, attraente,
affascinante.
Borutti
ci aiuta molto a riflettere sul nonsenso
che al fondo è tale solo in maniera apparente. L’ambiguità insita
nel nonsenso sembra essere la ricchezza del medesimo, quella che ci
aiuta a pensare. Borutti cita Rodari e la creatività degli errori,
dei non senso essenziali alla nostra immaginazione. Ma allora questa
potrebbe essere l’ennesima conferma di quanto gli errori di
comunicazione ed espressione in analisi, siano ricchi di un contenuto
che attende solo di essere svelato... Quante volte i pazienti, con il
loro linguaggio che a volte si inceppa, si confonde, si destruttura,
finiscono per sorprenderci e sorprendersi. Quanto in questo
“ingarbugliarsi”, come dice spesso un mio paziente psicotico, è
racchiusa la verità della persona, una verità che altrimenti non può
essere detta, se non con un’ “ingarbugliata ambiguità”?
L’articolo
di Borutti mi ha fatto pensare alla verità del linguaggio nonostante
i suoi ammiccamenti, le incongruenze. Un linguaggio che
nell’ambiguità riesce ad esprimere qualcosa che risponde ad una
logica diversa, come avviene nell’inconscio che non è “non
logico”, ma utilizza un’altra logica (ricordo tutto il discorso
che fa Matte Blanco 1975, sulla logica simmetrica dell’inconscio così
diversa dalla logica asimmetrica della coscienza). Un’ambiguità
oracolare quasi, con cui il paziente, senza accorgersene, ci parla.
Ma
ecco che nel testo incontriamo altri scritti che sembrano portarci su
terreni molto distanti. L’ambiguità del linguaggio ha le sue ombre,
non è come Peter Schlemihl, uomo senza ombra e quindi senza spessore
emotivo. Lo spessore emotivo dell’ambiguità sta nella sua ombra,
nel suo lato oscuro, ha come proprietà, ci dicono Francesconi e
Scotto di Fasano nell’introduzione (p.11), proprio “il significato
oscuro che può essere fonte di terrore. Una sfida al discorso e al
pensiero... Una finestra che da sul niente... dove
il pensiero si inabissa (Jankélévitich, 1975, pp. 94-
96 in
Francesconi, Scotto di Fasano,2012 p. 9), ma anche
un lavoro
"senza titolo" perché parlare di ambiguità è appunto un
"non ancora del tutto" (ibidem p. 9). Per Ferruta (p.51) una
"forma dell' ambiguità è rappresentata dalla categoria
dell'animato/inanimato.: spaventano le figure non vive che si muovono
e prendono vita, come pure le figure umane che si muovono in modo
meccanico e robotico, senza emozioni né sentimenti..." Quanta
porzione di perturbante sta in questa ambiguità tra vivo e senza
anima? Quanto è proprio questa vita apparente del meccanico robot
[nel film Terminator, (Cameron,1984),
il robot è identico ad un essere umano, ma non muore mai, nonostante
vada in pezzi, perché è una macchina e anche una singola mano
continua a perseguitare la sua vittima!]. Se l'analisi è un processo
di trasformazione, secondo Bleger (1967) ciò che invece rimane
statico, immobile e immutabile è proprio l'inanimato, questa parte
agglutinata che resta silente, non discriminata, origine e base della
differenziazione. Dell'inanimato ha parlato
Anna Baruzzi
nel lavoro L'automa e l'imprevisto (1985?,49 ).
In esso, trattando del bambino psicotico, dice come questo
evochi l' immagine dell'automa, del robot meccanico dove il robot si
propone come maschera simbioticamente unita
a ciò che dovrebbe celare, cioè l'essere drammaticamente e
simbioticamente fuso con la madre.
Nel
nostro contesto quotidiano e familiare, scrive Baruzzi negli anni '80,
hanno avuto molto successo i robot, i trasformer, i replicanti. I
bambini ne sono stati subito entusiasti. Segnalando così come
l'automa sia la maschera del nostro tempo e come per questo si sia
inserita facilmente nell'immaginario infantile (ibidem p.49).
Per
Baruzzi il vissuto dell'inanimato sta alla base della psicosi
infantile. Per una serie di eventi il bambino non è riuscito ad
animare il suo mondo, fatto questo che è un'esperienza indispensabile
per vivere poi esperienze emotive, vitali e creative (ibidem p. 50).
È così l'universo mentale del bambino si popola di oggetti
inanimati. Sempre Baruzzi sottolinea come, affinché la mente possa
nascere, sia indispensabile la differenziazione, distinzione tra il
vivente e l’inanimato (p. 51), quindi l'uscita dall'ambiguità. Il
bambino deve poter lentamente divenire capace di affrontare, e
apprendere, le complicazioni emotive che derivano dalle “relazioni
con oggetti che hanno vita" (p. 51).
Ferruta
nel guardare invece all'adulto psicotico, che è al fondo una persona
che è stata un bambino psicotico, ne coglie gli aspetti di immobilità,
soprattutto negli ambienti in cui vive, che devono rimanere pieni di
oggetti inanimati che si accumulano, si ricoprono di polvere allo
scopo di impedire il crollo di una personalità che non ha avuto in
dotazione, e sperimentato a sufficienza, la posizione gliscocaria o
agglutinata (Bleger, 1967) una sorta di pavimento base sensoriale (Ogden
1989 in
Ferruta, p. 52). Per Ferruta certe persone, all'inizio del loro
sviluppo psichico hanno patito una carenza di esperienze di contatto
con quella sensorialità di base condivisa, quell'ambiguità tra Sé e
non-Sé necessaria, mentre hanno fatto piuttosto esperienza di un
oggetto così grande e competente da "divorare" le esili ed
embrionali sensazioni di bambino. Nuovamente dunque Ferruta ricorda
che per lo sviluppo è necessario il rapporto con un oggetto vivo. (p.
53) È trattando di questo che Ferruta ci fa riflettere sull'ambiguità
soprattutto dei concetti primitivo/arcaici di inanimato/animato. Ed è
in analisi che il paziente può fare l'esperienza di una relazione con
un oggetto vivo, ma anche con le proprie parti inanimate. L'analista
è un oggetto che rivolge il proprio inconscio, come un organo
ricevente, verso l'inconscio del malato che trasmette. Avviene, nella
coppia analitica, un "risuonare" dell'analista alle parole
del paziente. Ma io aggiungerei che anche l'analista con le sue parole
fa risuonare il paziente e gli fornisce un crogiolo trasformativo in
cui poi, il paziente stesso, può depositare i propri dubbi e ambiguità.
Grazie a questo crogiolo trasformativo, costruito con le proprie
parole, che avevo chiamato "parola concava" (Cusin, 2009)
l'analista fornisce al paziente uno strumento grazie al quale il
paziente può operare un paziente (sic!) lavoro di discriminazione,
differenziazione, per divenire consapevole di alcune, a volte
necessarie, ambiguità.
Con
l'ambiguità non possiamo evitare di fare i conti in analisi perché
stiamo vivendo, non tanto un disagio a causa degli sforzi e sacrifici
che siamo costretti a fare per un adeguato vivere civile (Freud,
1929), ma perché siamo del tutto immersi nella società del disagio,
come ci sottolinea Marco Francesconi, in un capitolo introduttivo che
ha proprio questo titolo. Francesconi dedica molto spazio alla
disamina delle nuove forme di psicopatologia, ai nuovi sintomi che non
sono più riconducibili a processi simbolico-discorsivi, quanto
piuttosto a fallimenti della capacità rappresentazionale. C'è
silenzio del pensiero, privo di espressione, atrofico, capace solo di
"agire", di usare in modo tossicomanico le relazioni e gli
oggetti, con impulsività, rabbia o smuovendo paura. In proposito mi
viene in mente il film Limitless (Burger, 2011), di cui già il titolo dice molto, in cui
il protagonista fa uso di una sorta di pillola magica - di fatto
potremmo dire di una droga vista la dipendenza almeno psichica che
finisce
per sviluppare - grazie
alla quale le sue capacità vengono enormemente sviluppate e da
persona senza particolare inventività, in un attimo, diviene molto
capace, creativo ed efficiente! È pensare che quarant'anni fa il
massimo in cui potevamo sperare erano le spinaci di Braccio di Ferro!
Personalmente
credo che la mentalità trasmessa in questi ultimi trent'anni, fatta
di cartoon pieni di esseri che si trasformano in robot superpotenti, o
per le femmine, tante "magiche Emy" che grazie ad
una piroetta, o qualcosa di simile, possono fare di tutto e
salvare il mondo, si è collaborato ad alimentare le fantasie
infantili, a forgiarle più sul versante dei poteri magici, o super
poteri, che su quello della curiosità per il potere della coppia
genitoriale, denso di conflittualità, invidia e gelosia. Mi pare sia
stata alimentata esageratamente la naturale e sana onnipotenza
infantile... che divenuta adulta, forse, incoraggia a portare
gigantesche navi sottocosta come fossero barchette da diporto o far
correre a
190 chilometri
all'ora treni sulle curve pensando, ed esibendo, che così si sia
degli uomini da ammirare e stimare perchè dotati di superpoteri....
Oggi,
ci dice Francesconi assistiamo ad una sorta di abbagliamento per un
eccesso d'informazione (p.28) un sapere che è così "tanto"
che ci perdiamo e confondiamo, diventando, al fondo, più facilmente
preda di un precipitare nell'ambiguità di contenuti che non siamo in
grado di verificare, discriminare, distinguere, che persone detentrici
di una vera e profonda conoscenza. Io penso che l' ambiguità in
questo caso non possa che generare incertezza, paura, e siccome
dobbiamo evitare il conflitto che l'incertezza necessariamente genera,
finiamo per evitare il pensiero.
Spesso
sentiamo notizie di persone che
mettono foto su facebook o su youtube con cui denunciano violenze
diverse, o esibiscono violenza. Mi chiedo spesso quanto in queste foto
ci sia di vero perché nel tempo ho imparato, come, con banali
programmi di ritocco fotografico, una foto possa non dire esattamente
la verità....
In
queste foto, viene a mio parere espressa molta ambiguità, mascherata
da verità, senza che il fruitore dell' immagine possa pensarlo! È
questa assenza di pensiero critico che è a mio parere, oggi,
estremamente inquietante. Un pensiero critico che invece è sostituito
dalla paranoia, dal maleficio del sospetto.
Quanto
c'è di perverso in tutto questo? Francesconi si chiede se dobbiamo
pensare ad una nuova clinica individuale e collettiva oppure
continuare a far riferimento a processi interpretativi già noti che
però oggi si esprimono con diverse modalità o presentano una
intensificazione quantitativa di produzione tanto da invadere il campo
della cura (p. 29). Francesconi, e io concordo molto con lui su
questo, considera che si debba ricorrere, oggi più di un tempo, alla
categoria della perversione che non sceglie un oggetto, ma una
relazione falsificante che altera quella verità che, per Bion è cibo
per la mente! (p.30)
Quello
che oggi sempre più spesso accade è il trionfo dell'inganno
(soluzione perversa) quindi a un far trionfare una mentalità ambigua
dove mai siamo in grado di distinguere il vero dal falso. È questo,
oltre a venire molto rappresentato nei film (ad esempio Matrix
dei Wachowski, 1999,
Il dubbio di Shanley, e Committed
- Frammenti di follia di Norma Bailey, 2011 emergenti gruppali del
nostro modo di sentire) si è insinuato nei gesti più banali della
quotidianità. Lo stesso darsi appuntamento oggi risente di questa
incertezza e negazione del conflitto facilitata dalla diffusione dei
sistemi di collegamento ( cellulari, mail, internet...). Non ci si
dice più : ci incontriamo domani sera alle otto in via Rossi al bar,
ma ci si dice: ci “becchiamo”... ci risentiamo... ti chiamo...
lasciando in sospeso tutto, vivendo nell'incertezza, nella perenne
possibilità che accada tutto e il contrario di tutto... tanto alla
fine si può sempre dire che il cellulare non funzionava perchè era
scarico o senza traffico, o ancora in una zona senza segnale... E noi
ci liberiamo anche del minimo residuo di responsabilità. Questo è il
risultato di una civiltà nel disagio di un'ambiguità dilagante.
Penso
ai tanti, troppi – e lo riscontriamo tra i pazienti - che
attualizzano la tanto osannata flessibiltà nel lavoro in una totale
flessibilità nella vita, non riuscendo più a decidere o programmare
nulla, senza saper fare delle scelte, restando "tra color che son
sospesi" in un limbo eterno, senza colpe e responsabilità.
Fermando il tempo e non tollerando la cura psicoanalitica in cui il
tempo ha un suo significato e valore preciso. Il tempo è in analisi,
un ritmo, una regola. E i pazienti, non solo non tollerano le regole
del setting, non solo le attaccano, ma vi si oppongono con forza,
contestando quello che viene sentito come un "obbligo" ad
obbedire ad un qualcosa vissuto come rigido, che toglie loro la libertà,
li costringe al ritmo dell'analista. A "dipendere" dicono,
dai bisogni dell'analista. La regola del setting viene ridotta, nel
vissuto, al bisogno di un altro al quale si deve sottostare, mentre
invece si vuole esibire una totale autosufficienza che si fonda sulla
negazione di pesanti aspetti di dipendenza ai quali
non si può pensare.
Ricordo
come Baruzzi (1985?,52) avesse affermato quanto importante fosse, per
il bambino, una esperienza emozionale primitiva (iniziale) “tale che
abbia la cadenza di un ritmo adeguato come una dolce brezza (anemos)
vivace ma non violenta produce sui flutti del mare”... Per affermare
ancora (ibidem) che occorre che “l’energia vitale del bambino e la
sua emozionalità primitiva possano articolarsi e modularsi
prevalentemente in un regime temperato e fluidamente ordinato, con un
equilibrio dinamico, regolato dalla sensibilità della madre, tra
esperienze di continuità e discontinuità e non tra scoppi
marasmatici violenti e caotici, eccessivamente imprevedibili,
marasmatico disordine, contraddittorietà o vuoti troppo prolungati e
insopportabili”!
Questi
pazienti sembrano invece desiderare un "allattamento al
bisogno", continui “scoppi marasmatici” in una relazione che
vivono come se fosse con un’analista/mamma sempre disponibile a dare
un nutrimento che però poi li spaventa, una sorta di pillola "limitless",
con la quale sentirsi potenti e autorizzati a far ciò che desiderano,
mentre nella realtà, il cibo della parole dell'analista è così
chiaramente caldo e vivo che non può essere tollerato. Deve essere
subito rimesso nell'area dell' ambiguità ( il contrario quindi di una
disambiguazione differenziante a favore dello sviluppo psichico)
attraverso sospetti e dubbi sull'analista e il suo interesse per il
paziente. Il setting è quindi proprio il luogo dove l'ambiguità
viene messa in scena e quindi questo ci rende attenti all' importanza
del rispetto di regole solide e rigorose.
È
per questo che ritengo significative le osservazioni che Francesconi e
Scotto di Fasano fanno nell' introduzione (11) : "Noi crediamo
che il mito del 'se voglio posso' spinga a difese denegative
volte a proteggere dalla dolorosa consapevolezza che ciò
potrebbe non essere vero per sé, causando sia la sensazione che
pensare sia rischioso (come afferma Kristeva, 2001), dal momento che
si dovrebbe ospitare pensieri dolorosi e amari, sia l'intolleranza di
ogni esperienza del limite"....
La
psicoanalisi costringe a fare l'esperienza del limite...
Forse
il nostro lavoro è molto importante oggi proprio perché permette di
indagare le insidie dell'ambiguità (Francesconi, p.48). Continua
Francesconi (p. 47) sottolineando che compito dell'indagine
psicoanalitica non sia eliminare l'ambivalenza, che è impossibile,
ma rendercene consapevoli, in modo da poter negoziare con la
contraddittorietà dei nostri affetti (che, aggiungo, sono
contraddittori proprio in quanto affetti!), limitandone la portata
distruttiva. L'ambivalenza abita e patisce il conflitto, mentre
l'ambiguità lo elude. E questo credo sia uno spartiacque importante
segnalato da Francesconi. È nell'interpretare, quando possibile, in
maniera insatura, lasciando spazio all'incertezza, al beneficio del
dubbio, ma non al maleficio del sospetto, che apriamo al paziente uno
spazio di pensabilità nei
confronti della complessità dei discorsi, sancendo, ci dice
Francesconi (p.47) non l'incertezza del significato, ma la molteplicità
del medesimo. E io penso che dare oggi questo spazio di consapevolezza
sia estremamente importante proprio per far fronte a questa civiltà
del disagio che si perde nell'ambiguità di un Padre Nebbia e una
Madre Palude come significativamente Francesconi e Scotto di Fasano
denunciano (1997).
Anche
Argentieri, che peraltro ha pubblicato nel 2008 un intenso volumetto
sull'ambiguità, collabora a questo testo collettaneo con alcune sue
riflessioni in cui sottolinea, ulteriormente, come sia proprio il
saper vivere i conflitti il nucleo del discorso. Da sempre Argentieri
si occupa del rapporto tra verità e bugia - ricordo in merito un suo
acuto commento sul film Prova a
prenderemi (2002, Spielberg),
al cineforum, che con
la collega Bertogna
abbiamo per anni organizzato a Gorizia, quanto si era spesa per
sottolineare l'esigenza del protagonista di essere fermato nel suo
ingarbugliarsi nella bugia e nella malafede.
In
questo testo sottolinea come l'inganno e l'illusione siano
profondamente infiltrate nell'intrapsichico e nell'interpersonale non
solo
nella clinica
, ma anche nella quotidianità della nostra vita relazionale.(p. 43)
Così
si esprime Argentieri: “ambiguità e malafede sempre più si
configurano come tratti dominanti e invasivi della nostra epoca.... e
in quanto eludono la verità interpersonale e intra psichica - sono al
tempo stesso una nevrosi e un piccolo crimine, al confine tra la
patologia e l'etica”
.Non
è il tenere dentro di Sé aspetti contraddittori, ma il farlo senza
sentire il conflitto, il disagio, il senso di colpa. E questa mentalità
sembra essere divenuta normale tanto da non suscitare alcuna
inquietudine. Continua Argentieri: “sembra che si verifichi uno
slittamento subdolo dal conflitto all'ambiguità”. (p. 45)
Ma
prima di vedere l'elogio che invece viene fatto dell'ambivalenza e del
valore dell'ambiguità nell'arte e nella società, vorrei segnalare i
due contributi di Faga e Camaldola che ci rendono attenti su qualcosa
che sta avvenendo nella medicina estetica e nella Body Art.
Nel
corpo dunque...
Nella
medicina estetica sempre più spesso, ci dice Faga, in "L'ambiguo
rapporto di una coppia particolare", un intricato garbuglio
di pensieri complessi, non pensati ma solo agiti nella richiesta di
qualche modifica estetica, viene scaricato sul chirurgo a cui viene al
fondo richiesto di realizzare un
sogno estetico di bellezza.
"Questo
è il momento di massima ambiguità del rapporto: ben poco di quanto
viene esplicitato in questa fase corrisponde al più intimo pensiero
dei due membri della coppia, anche se questo pensiero sarà il tema
guida di tutti gli avvenimenti successivi" (p.137)
Per
il paziente l'intervento chirurgico viene vissuto quasi al pari di un
intervento taumaturgico che conduce ad una nuova vita e di cui il
chirurgo è il "sacerdote". Ma il chirurgo è invece
concentrato su aspetti totalmente diversi, sulle procedure tecniche
che nessun spazio lasciano a considerazioni o perplessità di ordine
psicologico.
Alla
fine entrambi dovranno fare i conti con la realtà e con un risultato
che mai potrà essere sovrapposto alle reciproche aspettative e
aspirazioni. Perciò, sostiene la Faga, bisogna precedentemente
disambiguare le domande e le risposte (p. 139) che vengono scambiate
nella "particolare coppia". Quale "male oscuro" si
nasconde, cioè, dietro ad
una richiesta di correggere un difetto fisico? Cosa veramente sta
chiedendo la persona? Credo infatti che una persona che ha subìto
diverse ustioni o una grave menomazione per qualche malattia
devastante, ad esempio, faccia una richiesta profondamente molto
diversa da quella fatta da una giovane che vuole un seno nuovo o delle
labbra più turgide, o un ragazzo che chiede un naso migliore quando
invece i veri bisogni sono altri! Ogni richiesta, in questo ambito, ma
forse sempre, contiene al suo interno un "assaggio" di
inconscio...
A
fronte della triste consapevolezza, conclude Faga (p. 143) “di
quanto sia effimera la propria opera,
perché realizzata non nel marmo dello scultore ma nella
caducità della materia biologica, si consolida nel chirurgo
plastico.... un solitario narcisistico autocompiacimento di fronte al
migliore approccio alla vita che talora davvero nasce in quelli
toccati dal suo bisturi...”
Dovremmo
chiederci se in queste "azioni" ci sia spazio per la
psicoanalisi....
C'è
sempre un discorso che riguarda il corpo nell'intenso lavoro di
Camandola su "Regressione e
posizione ambigua della mente nell'osservazione della Body Art".
Anche qui sembra che l'artista agisca chirurgicamente, magari
personalmente e concretamente sul proprio corpo, non per raggiungere
un certo grado di bellezza, ma per fare di sè un'opera artistica di
denuncia come nei lavori di Orlan che affronta veri e propri
interventi chirurgici al volto, di profonda modifica, che poi
fotografa e filma per renderli pubblici. In tali interventi mira a
ricercare una deformazione del proprio volto, in contrasto con l'idea
di bellezza conformistica imposta alle donne
Alcune
forme estreme di Body Art possono spingere il corpo fino al limite. Ad
esempio Marina Abramovic ha esplorato i suoi limiti fisici e la sua
resistenza psichica, ma anche le relazioni tra artista e pubblico,
grazie anche ad una lunga preparazione mentale. In una delle prime
performance restò in piedi al centro di una stella infuocata, e
quando il fuoco consumò l'ossigeno svenne; venne salvata da un medico
presente tra il pubblico.
Gina
Pane si era ferita con lame, vetri, spine di rosa, allo scopo di
denunciare la concezione maschilista della figura femminile.
Tali
artiste usano il loro corpo, sperimentando concretamente sulla loro
pelle, per attuare una
ricerca intorno al tema della propria identità, oltre che per
denunciare la mercificazione del corpo femminile o rivendicare la
possibilità etica di riprogettarsi oltre le imposizioni del controllo
legale. In merito penso al film Time di Kim Ki-duk,
2006, in
cui, in un, non auspicabile, futuro si sarà liberi di riprogettare a
piacere il proprio volto, modificando così la propria identità e
"rompere" con le relazioni del passato (se abbiamo un volto
totalmente altro gli amori, e amici del passato non ci riconoscono più
e noi possiamo iniziare una vita nuova liberi dai legami, appunto,
passati!). Credo che questo film abbia la capacità di tenere assieme
i due contributi di Faga e Camandola in quanto, come cerca di
dimostrare Camaldola, riprendendo Bleger (1967) con
la Body Art
, l'osservazione di queste performance estreme può promuovere la
mobilitazione del nucleo agglutinato, riattivando nell'osservatore una
serie di conflittualità intrapsichiche
collegate all'infanzia e rimosse nel l'inconscio (pp.174-175).
Risvegliandosi, i contenuti conflittuali, che fino a quel momento sono
stati tenuti separati dalla coscienza, rompono il vincolo simbiotico e
mobilitano il nucleo agglutinato. Questa rottura della simbiosi può
avere un carattere molto violento e assumere una forma perturbante e
traumatogena per la mente. (p.175). Sono proprio i vincoli più
primitivi ad essere sollecitati maggiormente dalla Body Art proprio
perché sono corporei e quindi scuotono nel profondo le fondamenta
identitarie e le costruzioni psichiche più evolute dei fruitori
dell'opera d'arte.
La Body Art
rende il corpo protagonista. È dunque forse
la Body Art
la manifestazione artistica che più di altre
stimola l'oscillazione regressiva verso la posizione ambigua,
meno organizzata e differenziata, si chiede Camandola? (p.177)
Nel
testo troveremo altri autori che ci faranno vedere come non
solo
la Body Art
, ma anche altre forme artistiche, possano smuovere aspetti
dell'ambiguità, mettendoli in scena in diverse maniere. Le loro
dissertazioni ci fanno apprezzare il versante artistico dell' ambiguità
così come si declina per esempio nel romanzo di Henry James, Il
giro di vite (1974), da cui poi è stato tratto il film The
innocents ( in italiano divenuto Suspance) di Clayton (1961) o
come nelle opere di trompe-l'œil o nell'anamorfosi, così ben
tratteggiata nell'opera di Holbein (1533):
I due ambasciatori, commentate da Petrella o, ancora, nei
Capricci di Goya descritti e commentati da Bedoni.
Abbiamo
modo, con queste loro osservazioni, di apprezzare la sorpresa che
generano queste opere d'arte che, similmente a quanto avviene con il
perturbante, mettono in moto in noi quel ribaltamento del nostro
guardare il mondo, quella rottura dello stereotipo, dello schema di
riferimento di cui ci parla Bleger (1966-72,172 e
1967). Un'ambiguità che confina con la creatività, quell'originalità
che nelle risposte ad un test di Rorschach sarebbe segnata come una
positiva deviazione.
Al
fondo, per qualsiasi opera d'arte è la nostra mente che, fruendo
dell'opera, "inizia a creare delle immagini personali, intrise
dei nostri contenuti inconsci e rimossi... (Bertogna, Cusin,2010,18)
In certi film, o quadri, ci sono delle
immagini che ci spiazzano e, in questo modo, ci permettono di
inoltrarci in un altrove che apre la nostra immaginazione proprio per
la sua imprevedibilità (ibidem,17). L'arte per questo permette una
libera circolazione di emozioni altrimenti impensabili, che stanno
aspettando di ottenere il diritto alla libera circolazione dentro di
noi (Cesare Musatti in Secchi, per gentile concessione dell'Autore).
Il
testo dunque sembra avvicinare i concetti, sebbene diversi tra loro ma
contigui, di ambiguità, perturbante, impensabilità e sorpresa. È
tale contiguità a mio parere che rende così interessante la
discussione sull'ambiguità.
Nel
racconto di James, così come nel relativo film, l'ambiguità permane
lasciando del tutto inquietato il lettore/spettatore che non riesce ad
avere mai la certezza di ciò che gli sembra di capire. Così, ci dice
Petrella, alcune opere d'arte: il trompe-l'œil e l'anamorfosi mettono
il fruitore in una situazione di dubbio, di incertezza
destabilizzante, ma fortemente evocativa. Una sorta di ambiguità che
smuove la pensabilità nel fruitore dell' opera.
Anche
Bedoni, illustrandoci i Capricci
di Goya, ci fa riflettere su alcune interessanti suggestioni che
fornisce come incipit al suo lavoro. L'immagine autentica è in realtà
ambigua, afferma, citando Didi-Huberman (2000,225) e solo le immagini
dialettiche sono autentiche immagini. L'opera va letta in senso
polisemico, e in essa l'ambiguità è un valore, una immagine visibile
della dialettica (p.182). Per proseguire ci accompagna attraverso le
opere di Goya, che sono un singolare prodotto della fantasia con le
quali l' Autore seppe indagare il lato oscuro del grottesco,
introducendo dei caratteri innovativi e realizzando così un'opera di
rottura nell'arte europea (p.183)
Quello
che Goya infatti permette è un accesso al mondo onirico e ai
contenuti inconsci evidenziando così,
nella Spagna
settecentesca, dominata dall'intransigenza del cattolicesimo e
dall'Inquisizione, egemone e nemica giurata di ogni corrente liberale,
di aver quasi profeticamente compreso che l'eccentrico si mischia al
familiare e che l'alterità, a dispetto delle più bizzarre
rappresentazioni stegonesche, appartiene, infine, alla natura
dell'uomo. I Capricci aprono dunque la via all'arte visionaria. Non
solo degli artisti ma, aggiungo io, di chi guarda, che
"interpreta" in base al proprio vissuto come facciamo, nel
semplice esempio di illusione ottica della barra, sempre ugualmente
grigia, ma che sembra cambiare colore in base allo sfondo (il
corrispettivo del nostro mondo interno) su cui è appoggiata
...Banale.... Ma non tanto...
Ecco
che nel leggere il testo di Francesconi e Scotto di Fasano torno ad
essere ambiguamente attanagliata da fecondi e germinativi dubbi...
Quale rapporto ci può essere dunque tra verità, autenticità,
ambiguità e inautenticità? Stefano Pozzoli apre il suo lavoro su
questo tema con un esergo tratto dall' Amleto: "questo
soprattutto: sii sincero con te stesso e ne consegue, come la notte al
giorno, che non puoi essere falso nei confronti di nessuno" come
a sancire che verità e
falsità sono inscindibili, che di verità si può parlare solo dal
punto di vista relazionale e che verità ed autenticità sono legate
al tema dell'essere (p.71)
Proprio
in un'epoca così precaria e smarrita come la nostra sembrano emergere
questi temi forti della verità, dell'autenticità, del falso,
dell'ambiguità che costringono l'individuo ad un ripensamento di sé
per ritrovare la rotta smarrita (p.72).
C'è
infatti una crisi di riferimenti che costringono, tra le altre cose a
ripensare agli obiettivi della cura psicoanalitica - tema che mi
sembra il fil rouge di tutto il testo - . Paghiamo la grande libertà
che abbiamo, l'apparente Limitless di cui ho già accennato. L'essere
passati, dice Pozzoli, da una cultura fondata sulla rimozione dei
desideri, sulla nevrosi, ad un'altra che incita alla libera
espressione di ogni desiderio, svincolato dalla legge, promuove una
perversione generalizzata (p. P.73). Serve ancora un apparato per
pensare? Per pensare a ciò che si fa, si sceglie di fare, si
immagina, si fantastica, si desidera...
Pozzoli
rileva un insistente e ossessivo interrogarsi delle persone sulla
propria realtà in termini di verità e falsità tanto da avere
l'impressione di aver a che fare non tanto con soggetti sfaccettati,
nei quali una certa ambiguità è parte integrante, ma a un soggetto
che Pozzoli definisce opaco, nei confronti del quale è difficile e complesso rintracciare
minimi contorni e confini. La plasticità positiva, fonte di ricchezza
e creatività, è soppiantata da una forma di incoerenza giustificata
e talvolta elevata alla
dignità di categoria morale, che permette la proliferazione di
comportamenti in malafede o ambigui.p.(74)
Pozzoli
ripercorre molto del pensiero di Winnicott, soprattutto per ciò che
riguarda il falso Sé che per la capacità di stare da soli,
precondizione per saper stare con gli altri.
Fonte
di inautenticità, ci dice Pozzoli, sono i miraggi narcisistici entro
i quali rimaniamo imbrigliati. Nella solitudine narcisistica non può
esservi né verità né autenticità che invece possono realizzarsi
solo nella di dimensione relazionale. La verità è ricca di ambiguità,
interna alla dimensione della relazione che inizia con un
rispecchiamento, necessario, attraverso qualcuno
in cui si ha fiducia e che giustifica la dipendenza.(p.80) Un
individuo può dunque riuscire nella vita, ma se tale successo si
fonda su un falso Sé, nell' individuo si intensifica il senso di
vuoto e di disperazione. Ci dice infatti un Winnicott estremamente
attuale, che "il dramma al giorno d'oggi è cercare il nucleo
autentico all'interno di ciò che è formale, sentimentale, vincente o
falso (Winnicott, 1964,62). L'ambiguità ha a che fare con la
compiacenza e con il falso Sé. La compiacenza porta a ricompense
immediate, mentre invece la capacità di compromesso è un segnale di
salute mentale, poiché indica la capacità di prender in
considerazione una realtà condivisa (p.81). Concordo in linea di
principio con Pozzoli, ma mi chiedo il significato che assume, ad
esempio in certi ambiti lavorativi, il fatto che
sembra essere vincente piuttosto la compiacenza, mentre viene
assolutamente vituperata e criticata, se non apertamente rifiutata, la
capacità di compromesso perché è forse proprio il conflitto a non
essere tollerabile e tollerato - e per fare un compromesso il
conflitto deve poter venire allo scoperto. -
Pozzoli
conclude con l'indicazione di mantenersi fedeli a sé e autentici
coltivando sempre il dubbio su di sé. (p.82)
Sviluppare
esplorazioni trasgressive rispetto all'ovvio dunque, come suggerisce
Silvia Amati Sas
(1997) citata da Scotto diFasano (p.60)
così da disidentificarsi da riassicuranti saperi consolidati
in modo da "porsi delle domande sulle mele che cadono" così
come ci indica di fare Chasseguet-Smirgel
(2002). È cresciuta in questi anni, continua Scotto di Fasano (61)
l'indeterminazione generale e generalizzata tra i generi, le
generazioni [significativo in proposito il film In
Time di Niccol, (2011), in cui le persone guadagnano, al posto del
danaro, delle porzioni di tempo
(minuti, giorni, settimane, anni) che diviene la moneta di tutto.
Questo comporta che esser poveri significa non avere tempo e rischiare
ogni attimo la morte mentre essere ricchi significa essere pieni di
tempo e perennemente con l'aspetto di trentenni, anche se ormai si è
già abbondantemente genitori e nonni, rimanendo del tutto
indifferenziati - in termini di rughe e segno del tempo che passa
appunto - dai loro figli e
nipoti.... Terrificante!], indifferenziazione
tra identità, nella sintomatologia, nelle funzioni genitoriali,
al punto che al posto
della capacità di pensiero simbolico, si utilizzano organi e funzioni
del corpo che divengono contenitori di pensieri ed emozioni.E qui
viene citata Preta, (1994,127) e sempre Scotto di Fasano (2003). La
difficoltà oggi è tollerare di essere sé, soli, per cui si finisce
per accettare un pensiero conformista, di qualunque specie, una
ideologia-rifugio che serva a proteggersi dalla paura di sentire,
accorgersi e pensare (in Gaburri,Ambrosiano, p. 20,
2003 in
Scotto diFasano (p. 60).
In
questa vita che si esige eterna, o ancora meglio senza tempo e senza
sentire e vedere i segni dello scorrere del tempo ( a differenza di
Anna Magnani che una volta disse
al suo truccatore: “ Lasciami tutte le rughe, non me ne togliere
nemmeno una. Ci ho messo una vita a farmele venire”) ci si priva
della dimensionalità e come afferma Bertman, citato da Scotto di
Fasano (p.61) si vive in
un tempo "puntinista, frantumato in una moltitudine di pezzetti
distinti, prespaziali e pretemporali, ognuno ridotto ad un punto"
. La vita è del momento, adessista.
Cosa accade mi chiedo, e chiedo al lettore di questa recensione, se il
processo psicoanalitico cerca di entrare nell'adesso per far iniziare
il tempo? La psicoanalisi, che è multimensionalizzante, come si
rapporta ad una cultura unidimensionale che sta avendo il predominio?
Sono domande inquietanti a cui questo testo rimanda.
Ci
vengono in soccorso i due articoli di Confalonieri e Calabrò che ci
aiutano a riflettere sull'ambiguità da altri vertici osservativi. A
vedere come l’ambiguità possa avere una funzione necessaria alla
società.
Confalonieri
inizia osservando come Macchiavelli abbia sempre sottolineato
l'importanza della menzogna come strumento di potere, aggiunge come la
Arendt (1972,88) sostenga che
" l'abitudine a dire la verità non è mai stata annoverata tra
le virtù politiche e le bugie sono sempre state considerate strumenti
giustificabili negli affari politici".(pp.97-98) per poi
concentrarsi sull'ambiguità
come polisemia, sul ruolo che le idee ambigue svolgono nel discorso
politico, inteso come discorso pubblico che ha per scopo la conquista
del consenso e la costruzione di coalizioni di attori (p.99). Per
questo motivo una certa porzione di ambiguità in politica sembra
necessaria perché di fronte a fatti oscuri e complessi,in cui è
necessaria la collaborazione di diversi attori i cui valori e fini
possono essere molto diversi, si mettono in gioco due discorsi che
possono esser anche molto diversi: quello coordinativo rivolto gli attori impegnati nella definizione di una
politica pubblica e quello comunicativo
che riguarda la legittimazione delle
scelte pubbliche in un
processo di persuasione pubblica di massa (Schmidt,
2008,310 in
Confalonieri, p.101). Ciò che contraddistingue “il discorso
politico rispetto a quello scientifico è infatti la sua capacità
persuasiva, non la chiarezza e coerenza delle asserzioni... deve
creare consenso... la prima qualità di una proposta è... la sua
accettabilità per gli attori in campo... da qui il ruolo delle idee
ambigue, che rendono possibile la cesione di interessi e
interpretazioni diversificate” (p.102). Paradossalmente, secondo
Confalonieri, è proprio questo che può generare innovazione e far
progredire il processo democratico!
È necessario accrescere, conclude Confalonieri, la capacità
di risolvere i problemi. A volte sono utili ambigui compromessi su
delle riforme a cui le diverse parti in causa possono attribuire
valenze del tutto differenti. Può essere necessario far
accettare agli estremisti di entrambi gli schieramenti proprio questi
compromessi perché può essere l'unico modo per approdare a maggiori
trasformazioni democratiche. (p.106)
È
la complessità sociale quindi a creare ambivalenza, ci farà
intendere Calabrò nel suo Elogio dell' ambivalenza, un'ambivalenza
che è necessaria per gestire questa complessità!
Stimolando
la curiosità del lettore Calabrò confronta il pensiero di alcuni
autori (Frenkel-Brunswick, Adorno, Argentieri che sembrano dare pareri
contraddittori, e si domanda se l'ambiguità sia sintomo di una
patologia, di una debolezza morale, o della buona salute della psiche?
(p.110). Parole e frasi - e abbiamo visto come nel testo questo tema
venga ripreso anche da altri Autori - ammettono
più di una interpretazione, una esperienza anche perchè ogni stimolo
può avere due o più significati, o anche avere un significato poco
chiaro (p.111).
Importante
sembra essere il poter riflettere sulle ragioni dell'ambiguità. Le
contraddizioni, come le ambiguità, ci dice Calabrò (p.113), pur
facendo parte della realtà del pensiero e dell'esperienza, pur
nutrite dalla complessità del presente, richiedono la scelta.
Calabrò
analizza diverse situazioni in merito ( tra cui come esempio cito: per
un immigrato, nella strada che conduce all'integrazione, la propria
storia e cultura vanno sentite come risorse o rappresentano un
vincolo? E, aggiungo io, nel caso della questione dell’Ilva di
Taranto, va privilegiata la salute o la salvaguardia del lavoro?).
L'Autrice
parla soprattutto di ambivalenza sociologica, non tanto di ambiguità
e chiarisce come l'ambivalenza
escluda la scelta tra le due opzioni che essa propone (p.113). L'
articolo è lungo e complesso, sociologico e ricco di esemplificazioni
che portano lentamente il lettore a vedere come gestire l'ambivalenza.
È necessario (p.127) continua Calabrò, essere consapevoli
dell'ambivalenza, sfruttare la situazione a proprio vantaggio, perché
l'ambivalenza rende reversibile la scelta e plausibile la strategia
che alterni le diverse opzioni. In ogni caso la consapevolezza del
limite della propria scelta, dell'ambivalenza dei propri desideri,
della sfida che non si è stati in grado di accettare, segna in
maniera irreversibile la consapevolezza di sé e la propria visione
del mondo (131). L'ambivalenza, dal punto di vista dell'azione, sembra
consentire una strategia che, non potendo eliminare la contraddizione,
permette una strategia di alternanza tra i due poli, di allontanamento
e avvicinamento a essi, di ridefinizione continua del punto di
equilibrio (p. 124).
Credo
che sia stato proprio questo che abbiano fatto Francesconi e Scotto di
Fasano, curatori di questo intrigante testo: fornirci degli stimoli,
attorno al tema dell'ambiguità nei diversi settori della clinica,
della società e dell'arte, per oscillare tra i diversi poli in una
continua, forse infinita, ricerca di un punto di equilibrio, così da
appassionarci ad ogni pagina, smuovendo costantemente sorpresa ed
emozioni contraddittorie. Per questo considero il loro lavoro “sul
crinale del Perturbante”!
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