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AA.VV.,
"Scrittura e memoria", a cura di R. Bolletti (Editor)
Writings by: J.
Altounian, S. Amati Sas, A. Arslan, R. Bolletti, P. De
Silvestris, M. Morello, A. Sabatini Scalmati.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Cordoglio e pregiudizio
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 136
ISBN: 978-88-903710-7-3
Prezzo/Price: € 23,00
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AA.VV., "Lo
spazio velato. Femminile e discorso
psicoanalitico"
a cura di G. Leo e L. Montani (Editors)
Writings by: A.
Cusin, J. Kristeva, A. Loncan, S. Marino, B.
Massimilla, L. Montani, A. Nunziante Cesaro, S.
Parrello, M. Sommantico, G. Stanziano, L.
Tarantini, A. Zurolo.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Confini della psicoanalisi
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 382
ISBN: 978-88-903710-6-6
Prezzo/Price: € 39,00
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AA.VV., Psychoanalysis
and its Borders, a cura di
G. Leo (Editor)
Writings by: J. Altounian, P.
Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P.
Jimenez, O.F. Kernberg, S. Resnik.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Borders of Psychoanalysis
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 348
ISBN: 978-88-974790-2-4
Prezzo/Price: € 19,00
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AA.VV.,
"Psicoanalisi e luoghi della negazione", a cura di A.
Cusin e G. Leo
Writings by:J.
Altounian, S. Amati Sas, M. e M. Avakian, W. A.
Cusin, N. Janigro, G. Leo, B. E. Litowitz, S. Resnik, A.
Sabatini Scalmati, G. Schneider, M. Šebek,
F. Sironi, L. Tarantini.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Id-entità mediterranee
Anno/Year: 2011
Pagine/Pages: 400
ISBN: 978-88-903710-4-2
Prezzo/Price: € 38,00
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"The Voyage Out" by Virginia
Woolf
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-97479-01-7
Anno/Year: 2011
Pages: 672
Prezzo/Price: € 25,00
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"Psicologia
dell'antisemitismo" di Imre Hermann
Author:Imre Hermann
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-3-5
Anno/Year: 2011
Pages: 158
Prezzo/Price: € 18,00
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"Id-entità mediterranee.
Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo
(editor)
Writings by: J.
Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A.
Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y.
Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M.
Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-2-8
Anno/Year: 2010
Pages: 520
Prezzo/Price: € 41,00
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"Vite soffiate. I vinti della
psicoanalisi" di Giuseppe Leo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Edizione: 2a
ISBN: 978-88-903710-5-9
Anno/Year: 2011
Prezzo/Price: € 34,00
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"La Psicoanalisi e i suoi
confini" edited by Giuseppe Leo
Writings by: J.
Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D.
Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik
Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini
ISBN: 978-88-340155-7-5
Anno/Year: 2009
Pages: 224
Prezzo/Price: € 20,00
"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi
Confini"
Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.
Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas,
Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.
Publisher: Schena Editore
ISBN 88-8229-567-2
Price: € 15,00
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Un
ringraziamento speciale a Franziska Nori, curatrice con Barbara Dawson
di questa mostra su Francis Bacon, per la sua scelta creativa di far
entrare in risonanza le opere del grande maestro con quelle di cinque
artisti contemporanei: Nathalie Djurberg, Adrian Ghenie, Arcangelo
Sassolino, Chiharu Shiota, Annegret Soltau.
Un
grazie a Carla Tognaccini e alla sezione toscana dell’AIPA per aver
pensato e organizzato assieme al Centro di Cultura Contemporanea
Strozzina questo incontro tra Psicologia del profondo e Arte.
Nessun
luogo può offrire una cornice più bella per dialogare come quella di
un museo.
Confesso
che in passato ho sempre avuto una difficoltà ad avvicinarmi a Bacon.
Avevo visto i suoi quadri sempre esposti in mostre collettive. Mi
davano una sensazione di spaesamento, di vertigine. Figure senza volto
o meglio senza un preciso volto. Identità sfuocate alla ricerca di
un’appartenenza. Una bizzarra commistione tra parti del corpo, forme
antropomorfe, temi mitologici.
E’
stato a Milano nel 2008 che ho vissuto sentimenti diversi visitando la
grande mostra antologica dedicata a Francis Bacon a Palazzo Reale. Una
visione d’insieme delle sue opere e un video in cui Bacon descriveva
a lungo il suo modo personale di concepire l’arte cambiarono il mio
vissuto. Pensai allora che un artista così complesso, così immediato
nel trasmettere una cruda realtà, necessita di essere avvicinato nel
tempo seguendo le tracce di un percorso attraverso le sue opere. Va
conosciuta la sua storia di vita, come pensava nelle sue sincere
conversazioni, va costruito un “gradino” per raggiungere il cuore
della sua poetica.
Nel
2008 compresi che gli oggetti della nostra quotidianità
contemporanea, le lampadine accese, gli specchi, le biciclette, gli
ombrelli mescolati a quarti di bue, a figure mitologiche come le
Eumenidi o agli innumerevoli ritratti dei Papi, erano temi che
stravolgevano la logica naturale della rappresentazione per far
emergere e trasporre in forma visibile pulsioni provenienti
dall’inconscio. La visione d’insieme era rivelatrice di una
complessità che mi ricordava un già visto, un già vissuto nella
stanza dell’analisi, durante le ore condivise con i pazienti gravi,
i pazienti borderline e psicotici. Evidentemente in modo inconsapevole
al primo approccio con Bacon il mio sguardo si era schermato, aveva
messo dei veli tra me e la sua pittura. Forse perché noi analisti
siamo esposti alla storia ininterrotta della sofferenza, scandita
dalle ore delle sedute. Le ore dell’analisi che oscillano come
riflessi nel doppio movimento del perdere e del ritrovare con regolare
ciclicità i nostri pazienti. In fondo il nostro compito è camminare
come funamboli sul filo sospeso tra coscienza e inconscio, cercando
nella nostra stanza più intima di imprimere senso, narrazione,
trasformazione al dolore psichico dell’altro. Talvolta, fuori dalla
stanza, nel mondo, quel sovraccarico di angoscia che introiettiamo può
necessitare di una tregua. Con Bacon non è possibile difendersi se lo
si vuole comprendere nell’essenza. Bisogna lasciarsi trasportare dai
suoi movimenti, dalle continue contaminazioni tra vita privata e vita
creativa.
Le
opere di Bacon rievocano l’esplosivo eccesso di verità dell’inconscio contenuto nei deliri e nei racconti
dei sogni dei pazienti gravi. Le tracce della follia traducendosi nei
motivi del sogno o del delirio offrono finalmente un processo riconoscibile
che nel contempo apre le porte a un caos di percezioni che alludono a
una catastrofe
sino ad allora impronunciabile, oggetto sino a quell’istante di
diniego, scissione, frammentazione. Alla luce di quella catastrofe,
l’espressione manifesta e condivisa di un contenuto inconscio, per
il paziente non è più schiava del significato letterale che ne
sommerge il senso più segreto. Lo sguardo del paziente non si ferma
sulla pelle dell’immagine, ma inizia ad andare a fondo.
L’irruzione di questi contenuti nella stanza dell’analisi segna
una prospettiva che offre
più forme alla visibilità, più che ‘deformare’ il
contenuto stesso, lo ‘apre’ dall’interno per dar luce al trauma,
ai suoi abissi, che erano sino allora indecidibili, senza nome.
La
mia prima visione della pittura di Bacon non aveva colto che quell’apparente
deformazione dei volti celava il mistero di molteplici
stratificazioni, come se Bacon fosse riuscito a fissare sulla tela
fotogrammi di un’identità in movimento che non è solo nel ‘qui e
ora’, ma è lo spaccato di un processo introspettivo nel suo
divenire. Per questo motivo mi piace pensare che Bacon rappresenti di
continuo nella sua pittura il flusso circolare che connette la
coscienza all’inconscio. Più che deformare, “sovrappone”,
“offre più forme” a questo divenire esistenziale dell’uomo.
Le
concezioni junghiane di istinto, immagine, archetipo sono
straordinariamente vicine alle idee di Bacon sul
caso e sull’istinto.
Per Bacon il dipingere è un’attività dominata dal caso. L’Arte
è sempre istinto. “Col tempo – afferma l’artista – ci si
abitua a lavorare con ciò che capita, e si diventa più attenti a
sfruttare i doni del caso. Per quanto mi riguarda, le cose che mi sono
piaciute di più sono sempre state il frutto di un caso che mi ha
offerto la visione, anche se confusa, di ciò che volevo catturare nel
quadro e che ho saputo cogliere e manipolare (…) fai dei segni
involontari sulla tela che possono suggerire altre modalità, più
sotterranee, di intrappolare la cosa che ti ossessiona.
Per
me funziona quando perdo la coscienza di ciò che sto facendo. Per me
si tratta veramente di costruire la trappola che catturi la realtà
nel suo punto più vitale”. Bacon cercava di infondere nella figura
quel potenziale di massima intensità e violenza tanto da poter
scuotere lo spettatore. Violenza a sua detta mai sterile, mai
distruttiva, bensì occasione per produrre trasformazioni.
Credo
che il punto centrale d’intersezione tra Bacon e la ricerca
junghiana sia nel concepire un’immagine
iscritta originariamente nel corpo, “un’immagine non
ancora separata dalla sensazione, perché esiste una specie
d’immagine della sensazione interna alla nostra struttura percettiva
che non ha niente a che fare con l’immagine mentale”.
Riguardo
ai contenuti sommersi che emergono da una “rete” di presenze che
affiorano dai sogni e dai deliri dei pazienti, mi torna in mente
quanto scrive Deleuze sull’opera di Francis Bacon a proposito
dell’atto pittorico. Vi è un lavoro preparatorio invisibile e
silenzioso che precede e accompagna il gesto pittorico, quello che
Bacon definisce nella pittura Diagramma, fatto da segni casuali, dal ripulire, spazzolare e
tamponare luoghi o zone della tela per creare nuove macchie, dal
lanciare colore dagli angoli con velocità diverse: “Come se
improvvisamente si introducesse (sulla tela) un Sahara, una zona di
Sahara nella testa, come se vi si tendesse una pelle di rinoceronte
vista al microscopio; come se la testa venisse squartata in due parti
da un oceano; come se si cambiasse unità di misura, sostituendo alle
unità figurative unità micrometriche, o, al contrario cosmiche. Un
Sahara, una pelle di rinoceronte, ecco il diagramma che di colpo si
squaderna. E’ come una ‘catastrofe’ sopravvenuta sulla tela nei
dati figurativi e probabilistici. E’ come il: sorgere di un altro
mondo…”. I tratti manuali che trasfigurano i segni sono guidati da
sensazioni confuse come quelle che ci portiamo dalla nascita.
“Questi segni manuali, quasi ciechi, stanno dunque a testimoniare
l’intrusione di un altro mondo nel mondo visivo della figurazione.
Sottraggono in parte il dipinto all’organizzazione ottica che già
vi regnava, e lo rendeva in anticipo figurativo”. Il gesto di Bacon
per Deleuze si libera così della dipendenza dalla sovrana
organizzazione ottica per far affiorare sulla tela il caos, i segni
tangibili di una catastrofe.
E’
come il sorgere di un altro mondo, quando dopo un anno di silenziosi,
impronunciabili deliri un mio paziente schizofrenico finalmente mi
confida i contenuti che lo tormentano da diversi anni: la sua testa
viene divorata, sradicata dal corpo, annullata da un esercito di
presenze governate da un capo invisibile che li aizza contro di lui.
Nel suo ossessivo ruminare cerca di placare le loro furie omicide. A
sua detta la terapia l’ha aiutato a persuadere queste presenze, una
ad una, a desistere nell’impresa di distruggerlo. Ora è rimasto
solo un Lui che continua implacabile ad offendere la sua esistenza, si
tratta del Padre, ma rettifica: “Non è il mio padre vero, è un
padre che ho avuto in un’altra vita…”. Con il mio paziente o
attraverso di lui, mi trovo, ci troviamo, a dialogare con questo padre
interno per persuaderlo ad andare via, a non stringere più in una
morsa la sua esistenza, a non annullare la sua identità. L’opera di
Arcangelo Sassolino coagula su un piano metaforico quello che provo
difronte al paziente, le mie paure controtransferali, il mio timore
che le sue tensioni persecutorie così minacciose e invasive possano
tradursi in pericolosi agiti. Percepisco il rischio che dal corpo
immobile del paziente all’improvviso possa esplodere la violenza che
divora la sua mente…
A
proposito di padri, un’immagine che affascinò prepotentemente Bacon
fu il ritratto di papa Innocenzo X di Velazquez. “Bacon utilizzò la
riproduzione di questo quadro, che non vide mai dal vero, per trarne
proprie rielaborazioni pittoriche. L’alto numero di varianti che
produsse, l’accanimento che ci mise nel farle, la forte ambivalenza
che non cessò mai di provare nei loro confronti fanno pensare che il
misterioso potere soggiogante che il ritratto di Innocenzo X
esercitava su di lui dipendesse più da fattori psicologici che da
fattori artistici. L’ipotesi di un complesso paterno non risolto fu
sempre respinta da Bacon. Tuttavia l’attrazione per questo Papa,
personaggio dal potere assoluto, tirannico e totalitario, lo poneva in
relazione con la figura di un padre autoritario e sadico”. Lo
testimoniano le immagini di Hitler, Mussolini, Himmler ritrovate nel
suo studio.
Nell’introduzione
all’opera di Adrian Ghenie, Franziska Nori, sottolinea come
l’artista rumeno entri in risonanza sui temi di un maschile
mortifero nell’esasperazione della sua crudeltà e onnipotenza.
Adrian Ghenie rappresenta attraverso i personaggi celebri delle
dittature del ‘900 l’impulso alla distruttività e l’onnipotenza
del potere. Nei suoi quadri, immobili in un’atmosfera desonorizzata
i volti liquidi di Hitler ed Eva Braun. Il realismo delle figure,
aggredite nel volto, congela questi personaggi del negativo in una
particolare espressione che vorrebbe negarne l’esistenza stessa, in
quanto simboli dell’orrore.
L’incancellabile
danno inferto dal trauma non volge a nessuna possibile riparazione,
tranne quella di preservare una memoria collettiva del Male.
Un’altra
mia paziente sento entrare in risonanza con lo spirito che anima
questa mostra. Una ragazza psicotica, figlia di genitori problematici,
una madre anoressica e un padre con precedenti di alcoolismo.
Un’eredità psichica così gravosa la fissa nella posizione di
eterna bambina. Mi porta di continuo un sogno ricorrente: le cadono i
denti dalla bocca sanguinante.
Di
frequente nella pittura di Bacon appaiono “bocche profilate da
arcate dentarie, protese in urli senza tempo e confini”, come
carcasse di animali con fauci spalancate che sfumano nelle oscurità
di teste umane. E ancora quel libro a colori sulle malattie della
bocca, comprato a Parigi quando Bacon aveva 18 anni, lo aveva tanto
affascinato e ossessionato. Stessa fascinazione provata per l’icona
cinematografica della bambinaia della Corazzata Potemkin,
colpita ad un occhio da un proiettile bolscevico con la bocca sdentata
protesa in un urlo. Il tema dell’oralità ferita e ricostruita è
centrale nell’opera di Annegret Soltau che ha a cuore i percorsi di
strutturazione del Sé femminile e ci sorprende con la composizione
fotografica della sua bocca-utero, ci lascia senza parole.
In
seguito a numerosi incubi della mia paziente sul tema ossessionante
dei denti, il frammento isolato e angoscioso della perdita dei denti
si contestualizza in alcuni sogni fatti a distanza.
Il
primo sogno:
In
una casa vuota, con pareti bianche, c’è solo un grande ovale di
legno con uno specchio che ruota. Io sono vestita da sposa, di bianco.
Mi devo sposare con il mio ex fidanzato. Sento che non mi voglio più
sposare e improvvisamente mi cadono i denti col sangue. Perdo tutti i
denti dell’arcata superiore mentre quelli dell’arcata inferiore
rimangono. Da un lato sono contenta perché il matrimonio è saltato,
ma dall’altro lato mi dispiace perché ho questa cascata di sangue.
Ancora
un sogno:
Un
mio dente canino mi fa male e mi cade, come fosse un dente da latte.
Mi guardo allo specchio e penso che sono brutta per andare
all’università. In cucina vedo che c’è mia madre, lei non dice
nulla, è seduta sulla sedia come un simulacro, immobile e guarda il
dente.
Infine
il più recente:
Sono
sul mio letto, mi metto le mani in bocca e sento che i denti
traballano, vado allo specchio e vedo che la bocca sanguina e i denti
cadono tutti nel lavandino bianco, i denti ricoperti di sangue
sembrano chicchi di melograno.
Aggiunge
a commento del sogno:
“Provo
sentimenti di paura ma anche di sollievo, la melograna è il simbolo
dell’Ade ed è legato a Proserpina. Nei primi sogni sui denti, ne
cadevano solo un paio, oppure cadevano ed io provavo a reinserirli,
mentre qui cadono tutti. E’ proprio un abbattimento c’è molto
sangue. La paura della perdita è in primo piano ma qualcosa di molto
radicato viene estirpato. Mi dà l’idea di una rigenerazione, sotto
ogni dente che cade c’è un altro dente che deve uscire. Sono come
semi. Come se si abbattesse un muro di mattoni e si profilasse la
possibilità di ricostruire qualcosa di nuovo. La zona della bocca è
il centro principe della comunicazione, apre al dialogo…”.
Rifletto
dentro di me che il dialogo tra inconsci nella coppia analitica con il
suo paziente artigianato del fare-disfare-rifare rivela tracce
di senso che a lungo si erano nascoste fra le pieghe dell’ascolto. I
chicchi della melograna scivolano nel lavandino dell’analisi a
riscrivere la storia di una giovane donna cresciuta all’ombra
dell’avidità del materno. E’ il mito di Demetra e Core sullo
sfondo del sogno che ristabilisce un ritmo di rinascita. A una
dimensione di totale cecità e inerme debolezza subentra la fantasia
del mito e le tenebre di Ade diventano simbolo di un inconscio amico,
l’alternanza tra oscurità e luce diventa una realtà possibile.
Su
uno sfondo sia tragico che ironico si muove l’artista Nathalie
Djurberg nei suoi video sul malessere e sulla solitudine esistenziale
dei suoi personaggi femminili. Si resta impotenti di fronte al
commovente affannarsi di un’esile e fragile figlia, che raccoglie le
forze per arginare il peso della vecchiaia che opprime la propria
madre. La fusionale dedizione al materno la schiaccerà costringendola
al sacrificio della propria esistenza. Sotto l’egida della fiaba si
prova un sentimento di maggior speranza quando il visitatore si
rifugia all’interno della piccola casetta per seguire il processo
trasformativo dalla morte alla vita di una figura femminile che
attraversa un bosco fatato.
Qui
si compie il mistero dell’eterna ciclicità tra la vita e la morte.
“La morte – ricorda Jung – non è che un passaggio, una parte di
un grande, lungo e sconosciuto processo vitale”. In Turn into Me
affiora un approccio positivo nei confronti della morte, diversamente
dall’altro video, uno sguardo non più adombrato dalla rinuncia, dal
vuoto identitario, ma paradossalmente arricchito dal dolore lacerante
di un continuo perdere e ritrovarsi. Il tema della perdita è a mio
avviso uno dei nodi centrali nell’esistenza di Francis Bacon, non
soltanto perché perse due giovani fratelli, ma anche per quel senso
di perdita di rapporto affettivo mai felicemente vissuto con i
genitori! Quello della morte è solo un aspetto della perdita, questa
transizione complessa dipende dalle modificazioni che la psiche
individuale può accettare di compiere e dal suo potenziale di
trasformazione. Ogni età troverà nel suo svolgersi elementi unici e
nuovi, ma si dovrà mantenere ben ferma la memoria del passato come
flusso vitale continuo e indivisibile, viaggio attraverso il quale si
dipana un’intera esistenza. Se la curva della vita psichica sembra
resistere ad adattarsi a questa legge naturale, mentre si resta
immobili con lo sguardo fissato indietro, ci si pietrifica.
Un
naturale armonico avvicendamento tra acquisizioni e perdite mancò
nella vita del giovane Francis. Il pittore sempre ammise di non essere
andato d’accordo né con la madre, né con il padre. Quando, in un
estremo tentativo di seduzione, si fece sorprendere dal padre
travestito con gli abiti della madre, la conseguenza fu che il padre
lo cacciò di casa. Aveva solo 16 anni. Dopo poco tempo incontrò
nuovamente l’incomprensione dei genitori riguardo la decisione di
intraprendere la via dell’Arte. L’abbandono, la trascuratezza,
ferirono l’infanzia e l’adolescenza di Francis Bacon. L’asma,
l’abuso di sostanze e di alcool affondano le radici nella lunga
storia di deprivazioni affettive rese ancora più tragiche dal duplice
lutto dei fratelli. Come credo che anche l’amore per Eschilo e
Shakespeare, derivino dalla propria configurazione familiare e dalla
drammaticità delle guerre che colpirono la sua epoca. E’ possibile
ipotizzare che nella vita di Bacon l’urgenza della pittura, la sua
ricerca artistica, abbiano potuto compensare le deprivazioni affettive
dell’infanzia e i lutti, ripristinando quel naturale avvicendarsi
nelle fasi della vita tra acquisizioni e perdite senza mai cancellare
il sentimento di caducità:
“La
gente dice che la morte si dimentica, ma non è vero. Sono stato molto
sfortunato nella vita. Tutti quelli che amavo sono morti e non riesco
a non pensarci. Il tempo non risana (…) chi guarda i miei quadri
prova il sentimento della caducità. Ma io quel sentimento ce l’ho
sempre (…) Mi sorprendo sempre di svegliarmi la mattina. Viviamo il
tempo di un istante e poi siamo spazzati via come mosche”.
I
fili di lana nera tesi a formare architetture della memoria,
nell’opera dell’artista giapponese Chiharu Shiota, sembrano
alludere alla fragilità dell’esistenza, alla brevità della vita
costruendo un luogo oltre la morte. Il labirinto di fili ci guida alla
scoperta di oggetti scollegati dalla loro funzione d’uso. In questo
caso le porte antiche inglobate da fitte reti diventano soglie che non
delimitano più un passaggio, ciascuna si smaterializza
assottigliandosi in una stele simbolica che ricorda il confine tra la
vita e la morte. Al di là dello spazio libero e vuoto ancora vitale,
il tempo immobile di un passato ci guarda. Se questo straordinario
dispositivo della memoria creato dall’artista produce una
“tensione poetica ed esistenziale tra presenza e assenza”,
diversamente il lutto di una persona cara può provocare nei nostri
pazienti un deficit di mentalizzazione e la siderazione di ogni
circolazione fantasmatica (Racamier). Il processo di elaborazione del
lutto non si innesca. I lutti, fissati, congelati non fanno rumore,
sono riassorbiti nel graduale ritiro di tutta la vita psichica.
Tornando
a Bacon sul tema della Perdita, appare esemplare l’ultima
testimonianza della sua arte, racchiusa nel probabile autoritratto
presente alla fine della mostra. Ultima opera prima di morire.
Nell’incompiutezza
del corpo assente, tratteggiato da segni circolari e linee curve
appare il volto quasi del tutto definito dall’incarnato sereno, lo
sguardo volto verso un altrove lontano. L’identità del volto
specchio dell’anima, emerge con forza mentre il corpo è assente
come a presagire l’imminente scomparsa…
Concludo
con le parole di Louise Bourgeois:
“L’intensità
delle tele di Francis Bacon mi commuove profondamente.
Reagisco
positivamente. Entro in empatia. La sua sofferenza comunica. La
definizione della bellezza è una sorta d’intimità del visivo.
Sento quel che sente Bacon, anche se le sue emozioni non sono le mie.
La
realtà fisica delle sue opere è trasformata e trascesa. Il suo
spazio non obbedisce alle leggi della prospettiva. Guardare i suoi
quadri mi rende viva. Lo voglio condividere. E’ quasi come essere
innamorati…”.
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