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Psicoanalisi applicata alla Medicina, Pedagogia, Sociologia, Letteratura ed Arte

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 Frenis Zero  Publisher

      Psicoanalisi e Bacon: corpo e spirito nell’energia delle immagini

 

 

 

 di Barbara Massimilla

 


Siamo lieti di pubblicare il testo della conferenza tenuta da Barbara Massimilla, psicoanalista dell'A.I.P.A. (Associazione Italiana di Psicologia Analitica), tenuta a Firenze a Palazzo Strozzi (Centro di Cultura Contemporanea "Strozzina") il 26 gennaio 2013 in occasione della mostra "Francis Bacon e la condizione esistenziale nell'arte contemporanea" a cura di Franziska Nori e Barbara Dawson. Si ringrazia sentitamente, oltre all'autrice, anche il Centro di Cultura Contemporanea "Strozzina" per aver autorizzato la pubblicazione di questo contributo su Frenis Zero.

 

Foto: Seated Figure, 1974
Olio e pastello su tela / Oil and pastel on canvas
198 x 147,5 cm
Collezione privata / Private collection

 

            

 

 

  

 

 

Rivista "Frenis Zero" - ISSN: 2037-1853

Edizioni "Frenis Zero"

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Ultima uscita/New issue:

AA.VV., "Scrittura e memoria", a cura di R. Bolletti (Editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, A. Arslan, R. Bolletti, P. De Silvestris, M. Morello, A. Sabatini Scalmati.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Cordoglio e pregiudizio

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 136

ISBN: 978-88-903710-7-3

Prezzo/Price: € 23,00

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AA.VV., "Lo spazio  velato.   Femminile e discorso psicoanalitico"                             a cura di G. Leo e L. Montani (Editors)

Writings by: A. Cusin, J. Kristeva, A. Loncan, S. Marino, B. Massimilla, L. Montani, A. Nunziante Cesaro, S. Parrello, M. Sommantico, G. Stanziano, L. Tarantini, A. Zurolo.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana: Confini della psicoanalisi

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 382

ISBN: 978-88-903710-6-6

Prezzo/Price: € 39,00

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AA.VV., Psychoanalysis and its Borders, a cura di G. Leo (Editor)


Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jimenez, O.F. Kernberg,  S. Resnik.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Borders of Psychoanalysis

Anno/Year: 2012 

Pagine/Pages: 348

ISBN: 978-88-974790-2-4

Prezzo/Price: € 19,00

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AA.VV., "Psicoanalisi e luoghi della negazione", a cura di A. Cusin e G. Leo
Psicoanalisi e luoghi della negazione

Writings by:J. Altounian, S. Amati Sas, M.  e M. Avakian, W.  A. Cusin,  N. Janigro, G. Leo, B. E. Litowitz, S. Resnik, A. Sabatini  Scalmati,  G.  Schneider,  M. Šebek, F. Sironi, L. Tarantini.

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Collana/Collection: Id-entità mediterranee

Anno/Year: 2011 

Pagine/Pages: 400

ISBN: 978-88-903710-4-2

Prezzo/Price: € 38,00

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"The Voyage Out" by Virginia Woolf 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-97479-01-7

Anno/Year: 2011 

Pages: 672

Prezzo/Price: € 25,00

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"Psicologia dell'antisemitismo" di Imre Hermann

Author:Imre Hermann

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero 

ISBN: 978-88-903710-3-5

Anno/Year: 2011

Pages: 158

Prezzo/Price: € 18,00

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"Id-entità mediterranee. Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo (editor)

Writings by: J. Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A. Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y. Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M. Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

ISBN: 978-88-903710-2-8

Anno/Year: 2010

Pages: 520

Prezzo/Price: € 41,00

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"Vite soffiate. I vinti della psicoanalisi" di Giuseppe Leo 

Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero

Edizione: 2a

ISBN: 978-88-903710-5-9

Anno/Year: 2011

Prezzo/Price: € 34,00

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OTHER BOOKS

"La Psicoanalisi e i suoi confini" edited by Giuseppe Leo

Writings by: J. Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik

Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini

ISBN: 978-88-340155-7-5

Anno/Year: 2009

Pages: 224

Prezzo/Price: € 20,00

 

"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi Confini" 

Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.

Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas, Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.

Publisher: Schena Editore

ISBN 88-8229-567-2

Price: € 15,00

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Un ringraziamento speciale a Franziska Nori, curatrice con Barbara Dawson di questa mostra su Francis Bacon, per la sua scelta creativa di far entrare in risonanza le opere del grande maestro con quelle di cinque artisti contemporanei: Nathalie Djurberg, Adrian Ghenie, Arcangelo Sassolino, Chiharu Shiota, Annegret Soltau.

Un grazie a Carla Tognaccini e alla sezione toscana dell’AIPA per aver pensato e organizzato assieme al Centro di Cultura Contemporanea Strozzina questo incontro tra Psicologia del profondo e Arte.

Nessun luogo può offrire una cornice più bella per dialogare come quella di un museo.

 

Confesso che in passato ho sempre avuto una difficoltà ad avvicinarmi a Bacon. Avevo visto i suoi quadri sempre esposti in mostre collettive. Mi davano una sensazione di spaesamento, di vertigine. Figure senza volto o meglio senza un preciso volto. Identità sfuocate alla ricerca di un’appartenenza. Una bizzarra commistione tra parti del corpo, forme antropomorfe, temi mitologici.

E’ stato a Milano nel 2008 che ho vissuto sentimenti diversi visitando la grande mostra antologica dedicata a Francis Bacon a Palazzo Reale. Una visione d’insieme delle sue opere e un video in cui Bacon descriveva a lungo il suo modo personale di concepire l’arte cambiarono il mio vissuto. Pensai allora che un artista così complesso, così immediato nel trasmettere una cruda realtà, necessita di essere avvicinato nel tempo seguendo le tracce di un percorso attraverso le sue opere. Va conosciuta la sua storia di vita, come pensava nelle sue sincere conversazioni, va costruito un “gradino” per raggiungere il cuore della sua poetica.

Nel 2008 compresi che gli oggetti della nostra quotidianità contemporanea, le lampadine accese, gli specchi, le biciclette, gli ombrelli mescolati a quarti di bue, a figure mitologiche come le Eumenidi o agli innumerevoli ritratti dei Papi, erano temi che stravolgevano la logica naturale della rappresentazione per far emergere e trasporre in forma visibile pulsioni provenienti dall’inconscio. La visione d’insieme era rivelatrice di una complessità che mi ricordava un già visto, un già vissuto nella stanza dell’analisi, durante le ore condivise con i pazienti gravi, i pazienti borderline e psicotici. Evidentemente in modo inconsapevole al primo approccio con Bacon il mio sguardo si era schermato, aveva messo dei veli tra me e la sua pittura. Forse perché noi analisti siamo esposti alla storia ininterrotta della sofferenza, scandita dalle ore delle sedute. Le ore dell’analisi che oscillano come riflessi nel doppio movimento del perdere e del ritrovare con regolare ciclicità i nostri pazienti. In fondo il nostro compito è camminare come funamboli sul filo sospeso tra coscienza e inconscio, cercando nella nostra stanza più intima di imprimere senso, narrazione, trasformazione al dolore psichico dell’altro. Talvolta, fuori dalla stanza, nel mondo, quel sovraccarico di angoscia che introiettiamo può necessitare di una tregua. Con Bacon non è possibile difendersi se lo si vuole comprendere nell’essenza. Bisogna lasciarsi trasportare dai suoi movimenti, dalle continue contaminazioni tra vita privata e vita creativa.

 

Le opere di Bacon rievocano l’esplosivo eccesso di verità dell’inconscio contenuto nei deliri e nei racconti dei sogni dei pazienti gravi. Le tracce della follia traducendosi nei motivi del sogno o del delirio offrono finalmente un processo riconoscibile che nel contempo apre le porte a un caos di percezioni che alludono a una catastrofe sino ad allora impronunciabile, oggetto sino a quell’istante di diniego, scissione, frammentazione. Alla luce di quella catastrofe, l’espressione manifesta e condivisa di un contenuto inconscio, per il paziente non è più schiava del significato letterale che ne sommerge il senso più segreto. Lo sguardo del paziente non si ferma sulla pelle dell’immagine, ma inizia ad andare a fondo. L’irruzione di questi contenuti nella stanza dell’analisi segna una prospettiva che offre più forme alla visibilità, più che ‘deformare’ il contenuto stesso, lo ‘apre’ dall’interno per dar luce al trauma, ai suoi abissi, che erano sino allora indecidibili, senza nome.

 

La mia prima visione della pittura di Bacon non aveva colto che quell’apparente deformazione dei volti celava il mistero di molteplici stratificazioni, come se Bacon fosse riuscito a fissare sulla tela fotogrammi di un’identità in movimento che non è solo nel ‘qui e ora’, ma è lo spaccato di un processo introspettivo nel suo divenire. Per questo motivo mi piace pensare che Bacon rappresenti di continuo nella sua pittura il flusso circolare che connette la coscienza all’inconscio. Più che deformare, “sovrappone”, “offre più forme” a questo divenire esistenziale dell’uomo.

Le concezioni junghiane di istinto, immagine, archetipo sono straordinariamente vicine alle idee di Bacon sul caso e sull’istinto. Per Bacon il dipingere è un’attività dominata dal caso. L’Arte è sempre istinto. “Col tempo – afferma l’artista – ci si abitua a lavorare con ciò che capita, e si diventa più attenti a sfruttare i doni del caso. Per quanto mi riguarda, le cose che mi sono piaciute di più sono sempre state il frutto di un caso che mi ha offerto la visione, anche se confusa, di ciò che volevo catturare nel quadro e che ho saputo cogliere e manipolare (…) fai dei segni involontari sulla tela che possono suggerire altre modalità, più sotterranee, di intrappolare la cosa che ti ossessiona.

Per me funziona quando perdo la coscienza di ciò che sto facendo. Per me si tratta veramente di costruire la trappola che catturi la realtà nel suo punto più vitale”. Bacon cercava di infondere nella figura quel potenziale di massima intensità e violenza tanto da poter scuotere lo spettatore. Violenza a sua detta mai sterile, mai distruttiva, bensì occasione per produrre trasformazioni.

Credo che il punto centrale d’intersezione tra Bacon e la ricerca junghiana sia nel concepire un’immagine iscritta originariamente nel corpo, “un’immagine non ancora separata dalla sensazione, perché esiste una specie d’immagine della sensazione interna alla nostra struttura percettiva che non ha niente a che fare con l’immagine mentale”.

 

Riguardo ai contenuti sommersi che emergono da una “rete” di presenze che affiorano dai sogni e dai deliri dei pazienti, mi torna in mente quanto scrive Deleuze sull’opera di Francis Bacon a proposito dell’atto pittorico. Vi è un lavoro preparatorio invisibile e silenzioso che precede e accompagna il gesto pittorico, quello che Bacon definisce nella pittura Diagramma, fatto da segni casuali, dal ripulire, spazzolare e tamponare luoghi o zone della tela per creare nuove macchie, dal lanciare colore dagli angoli con velocità diverse: “Come se improvvisamente si introducesse (sulla tela) un Sahara, una zona di Sahara nella testa, come se vi si tendesse una pelle di rinoceronte vista al microscopio; come se la testa venisse squartata in due parti da un oceano; come se si cambiasse unità di misura, sostituendo alle unità figurative unità micrometriche, o, al contrario cosmiche. Un Sahara, una pelle di rinoceronte, ecco il diagramma che di colpo si squaderna. E’ come una ‘catastrofe’ sopravvenuta sulla tela nei dati figurativi e probabilistici. E’ come il: sorgere di un altro mondo…”. I tratti manuali che trasfigurano i segni sono guidati da sensazioni confuse come quelle che ci portiamo dalla nascita. “Questi segni manuali, quasi ciechi, stanno dunque a testimoniare l’intrusione di un altro mondo nel mondo visivo della figurazione. Sottraggono in parte il dipinto all’organizzazione ottica che già vi regnava, e lo rendeva in anticipo figurativo”. Il gesto di Bacon per Deleuze si libera così della dipendenza dalla sovrana organizzazione ottica per far affiorare sulla tela il caos, i segni tangibili di una catastrofe.

 

E’ come il sorgere di un altro mondo, quando dopo un anno di silenziosi, impronunciabili deliri un mio paziente schizofrenico finalmente mi confida i contenuti che lo tormentano da diversi anni: la sua testa viene divorata, sradicata dal corpo, annullata da un esercito di presenze governate da un capo invisibile che li aizza contro di lui. Nel suo ossessivo ruminare cerca di placare le loro furie omicide. A sua detta la terapia l’ha aiutato a persuadere queste presenze, una ad una, a desistere nell’impresa di distruggerlo. Ora è rimasto solo un Lui che continua implacabile ad offendere la sua esistenza, si tratta del Padre, ma rettifica: “Non è il mio padre vero, è un padre che ho avuto in un’altra vita…”. Con il mio paziente o attraverso di lui, mi trovo, ci troviamo, a dialogare con questo padre interno per persuaderlo ad andare via, a non stringere più in una morsa la sua esistenza, a non annullare la sua identità. L’opera di Arcangelo Sassolino coagula su un piano metaforico quello che provo difronte al paziente, le mie paure controtransferali, il mio timore che le sue tensioni persecutorie così minacciose e invasive possano tradursi in pericolosi agiti. Percepisco il rischio che dal corpo immobile del paziente all’improvviso possa esplodere la violenza che divora la sua mente…

A proposito di padri, un’immagine che affascinò prepotentemente Bacon fu il ritratto di papa Innocenzo X di Velazquez. “Bacon utilizzò la riproduzione di questo quadro, che non vide mai dal vero, per trarne proprie rielaborazioni pittoriche. L’alto numero di varianti che produsse, l’accanimento che ci mise nel farle, la forte ambivalenza che non cessò mai di provare nei loro confronti fanno pensare che il misterioso potere soggiogante che il ritratto di Innocenzo X esercitava su di lui dipendesse più da fattori psicologici che da fattori artistici. L’ipotesi di un complesso paterno non risolto fu sempre respinta da Bacon. Tuttavia l’attrazione per questo Papa, personaggio dal potere assoluto, tirannico e totalitario, lo poneva in relazione con la figura di un padre autoritario e sadico”. Lo testimoniano le immagini di Hitler, Mussolini, Himmler ritrovate nel suo studio.

Nell’introduzione all’opera di Adrian Ghenie, Franziska Nori, sottolinea come l’artista rumeno entri in risonanza sui temi di un maschile mortifero nell’esasperazione della sua crudeltà e onnipotenza. Adrian Ghenie rappresenta attraverso i personaggi celebri delle dittature del ‘900 l’impulso alla distruttività e l’onnipotenza del potere. Nei suoi quadri, immobili in un’atmosfera desonorizzata i volti liquidi di Hitler ed Eva Braun. Il realismo delle figure, aggredite nel volto, congela questi personaggi del negativo in una particolare espressione che vorrebbe negarne l’esistenza stessa, in quanto simboli dell’orrore.

L’incancellabile danno inferto dal trauma non volge a nessuna possibile riparazione, tranne quella di preservare una memoria collettiva del Male.

 

Un’altra mia paziente sento entrare in risonanza con lo spirito che anima questa mostra. Una ragazza psicotica, figlia di genitori problematici, una madre anoressica e un padre con precedenti di alcoolismo. Un’eredità psichica così gravosa la fissa nella posizione di eterna bambina. Mi porta di continuo un sogno ricorrente: le cadono i denti dalla bocca sanguinante.

Di frequente nella pittura di Bacon appaiono “bocche profilate da arcate dentarie, protese in urli senza tempo e confini”, come carcasse di animali con fauci spalancate che sfumano nelle oscurità di teste umane. E ancora quel libro a colori sulle malattie della bocca, comprato a Parigi quando Bacon aveva 18 anni, lo aveva tanto affascinato e ossessionato. Stessa fascinazione provata per l’icona cinematografica della bambinaia della Corazzata Potemkin, colpita ad un occhio da un proiettile bolscevico con la bocca sdentata protesa in un urlo. Il tema dell’oralità ferita e ricostruita è centrale nell’opera di Annegret Soltau che ha a cuore i percorsi di strutturazione del Sé femminile e ci sorprende con la composizione fotografica della sua bocca-utero, ci lascia senza parole.

 

In seguito a numerosi incubi della mia paziente sul tema ossessionante dei denti, il frammento isolato e angoscioso della perdita dei denti si contestualizza in alcuni sogni fatti a distanza.

Il primo sogno:

In una casa vuota, con pareti bianche, c’è solo un grande ovale di legno con uno specchio che ruota. Io sono vestita da sposa, di bianco. Mi devo sposare con il mio ex fidanzato. Sento che non mi voglio più sposare e improvvisamente mi cadono i denti col sangue. Perdo tutti i denti dell’arcata superiore mentre quelli dell’arcata inferiore rimangono. Da un lato sono contenta perché il matrimonio è saltato, ma dall’altro lato mi dispiace perché ho questa cascata di sangue.

Ancora un sogno:

Un mio dente canino mi fa male e mi cade, come fosse un dente da latte. Mi guardo allo specchio e penso che sono brutta per andare all’università. In cucina vedo che c’è mia madre, lei non dice nulla, è seduta sulla sedia come un simulacro, immobile e guarda il dente.

Infine il più recente:

Sono sul mio letto, mi metto le mani in bocca e sento che i denti traballano, vado allo specchio e vedo che la bocca sanguina e i denti cadono tutti nel lavandino bianco, i denti ricoperti di sangue sembrano chicchi di melograno.

Aggiunge a commento del sogno:

“Provo sentimenti di paura ma anche di sollievo, la melograna è il simbolo dell’Ade ed è legato a Proserpina. Nei primi sogni sui denti, ne cadevano solo un paio, oppure cadevano ed io provavo a reinserirli, mentre qui cadono tutti. E’ proprio un abbattimento c’è molto sangue. La paura della perdita è in primo piano ma qualcosa di molto radicato viene estirpato. Mi dà l’idea di una rigenerazione, sotto ogni dente che cade c’è un altro dente che deve uscire. Sono come semi. Come se si abbattesse un muro di mattoni e si profilasse la possibilità di ricostruire qualcosa di nuovo. La zona della bocca è il centro principe della comunicazione, apre al dialogo…”.

Rifletto dentro di me che il dialogo tra inconsci nella coppia analitica con il suo paziente artigianato del fare-disfare-rifare rivela tracce di senso che a lungo si erano nascoste fra le pieghe dell’ascolto. I chicchi della melograna scivolano nel lavandino dell’analisi a riscrivere la storia di una giovane donna cresciuta all’ombra dell’avidità del materno. E’ il mito di Demetra e Core sullo sfondo del sogno che ristabilisce un ritmo di rinascita. A una dimensione di totale cecità e inerme debolezza subentra la fantasia del mito e le tenebre di Ade diventano simbolo di un inconscio amico, l’alternanza tra oscurità e luce diventa una realtà possibile.

Su uno sfondo sia tragico che ironico si muove l’artista Nathalie Djurberg nei suoi video sul malessere e sulla solitudine esistenziale dei suoi personaggi femminili. Si resta impotenti di fronte al commovente affannarsi di un’esile e fragile figlia, che raccoglie le forze per arginare il peso della vecchiaia che opprime la propria madre. La fusionale dedizione al materno la schiaccerà costringendola al sacrificio della propria esistenza. Sotto l’egida della fiaba si prova un sentimento di maggior speranza quando il visitatore si rifugia all’interno della piccola casetta per seguire il processo trasformativo dalla morte alla vita di una figura femminile che attraversa un bosco fatato.

Qui si compie il mistero dell’eterna ciclicità tra la vita e la morte. “La morte – ricorda Jung – non è che un passaggio, una parte di un grande, lungo e sconosciuto processo vitale”. In Turn into Me affiora un approccio positivo nei confronti della morte, diversamente dall’altro video, uno sguardo non più adombrato dalla rinuncia, dal vuoto identitario, ma paradossalmente arricchito dal dolore lacerante di un continuo perdere e ritrovarsi. Il tema della perdita è a mio avviso uno dei nodi centrali nell’esistenza di Francis Bacon, non soltanto perché perse due giovani fratelli, ma anche per quel senso di perdita di rapporto affettivo mai felicemente vissuto con i genitori! Quello della morte è solo un aspetto della perdita, questa transizione complessa dipende dalle modificazioni che la psiche individuale può accettare di compiere e dal suo potenziale di trasformazione. Ogni età troverà nel suo svolgersi elementi unici e nuovi, ma si dovrà mantenere ben ferma la memoria del passato come flusso vitale continuo e indivisibile, viaggio attraverso il quale si dipana un’intera esistenza. Se la curva della vita psichica sembra resistere ad adattarsi a questa legge naturale, mentre si resta immobili con lo sguardo fissato indietro, ci si pietrifica.

Un naturale armonico avvicendamento tra acquisizioni e perdite mancò nella vita del giovane Francis. Il pittore sempre ammise di non essere andato d’accordo né con la madre, né con il padre. Quando, in un estremo tentativo di seduzione, si fece sorprendere dal padre travestito con gli abiti della madre, la conseguenza fu che il padre lo cacciò di casa. Aveva solo 16 anni. Dopo poco tempo incontrò nuovamente l’incomprensione dei genitori riguardo la decisione di intraprendere la via dell’Arte. L’abbandono, la trascuratezza, ferirono l’infanzia e l’adolescenza di Francis Bacon. L’asma, l’abuso di sostanze e di alcool affondano le radici nella lunga storia di deprivazioni affettive rese ancora più tragiche dal duplice lutto dei fratelli. Come credo che anche l’amore per Eschilo e Shakespeare, derivino dalla propria configurazione familiare e dalla drammaticità delle guerre che colpirono la sua epoca. E’ possibile ipotizzare che nella vita di Bacon l’urgenza della pittura, la sua ricerca artistica, abbiano potuto compensare le deprivazioni affettive dell’infanzia e i lutti, ripristinando quel naturale avvicendarsi nelle fasi della vita tra acquisizioni e perdite senza mai cancellare il sentimento di caducità:

“La gente dice che la morte si dimentica, ma non è vero. Sono stato molto sfortunato nella vita. Tutti quelli che amavo sono morti e non riesco a non pensarci. Il tempo non risana (…) chi guarda i miei quadri prova il sentimento della caducità. Ma io quel sentimento ce l’ho sempre (…) Mi sorprendo sempre di svegliarmi la mattina. Viviamo il tempo di un istante e poi siamo spazzati via come mosche”.

I fili di lana nera tesi a formare architetture della memoria, nell’opera dell’artista giapponese Chiharu Shiota, sembrano alludere alla fragilità dell’esistenza, alla brevità della vita costruendo un luogo oltre la morte. Il labirinto di fili ci guida alla scoperta di oggetti scollegati dalla loro funzione d’uso. In questo caso le porte antiche inglobate da fitte reti diventano soglie che non delimitano più un passaggio, ciascuna si smaterializza assottigliandosi in una stele simbolica che ricorda il confine tra la vita e la morte. Al di là dello spazio libero e vuoto ancora vitale, il tempo immobile di un passato ci guarda. Se questo straordinario dispositivo della memoria creato dall’artista produce una “tensione poetica ed esistenziale tra presenza e assenza”, diversamente il lutto di una persona cara può provocare nei nostri pazienti un deficit di mentalizzazione e la siderazione di ogni circolazione fantasmatica (Racamier). Il processo di elaborazione del lutto non si innesca. I lutti, fissati, congelati non fanno rumore, sono riassorbiti nel graduale ritiro di tutta la vita psichica.

Tornando a Bacon sul tema della Perdita, appare esemplare l’ultima testimonianza della sua arte, racchiusa nel probabile autoritratto presente alla fine della mostra. Ultima opera prima di morire.

Nell’incompiutezza del corpo assente, tratteggiato da segni circolari e linee curve appare il volto quasi del tutto definito dall’incarnato sereno, lo sguardo volto verso un altrove lontano. L’identità del volto specchio dell’anima, emerge con forza mentre il corpo è assente come a presagire l’imminente scomparsa…

Concludo con le parole di Louise Bourgeois:

“L’intensità delle tele di Francis Bacon mi commuove profondamente.

Reagisco positivamente. Entro in empatia. La sua sofferenza comunica. La definizione della bellezza è una sorta d’intimità del visivo. Sento quel che sente Bacon, anche se le sue emozioni non sono le mie.

La realtà fisica delle sue opere è trasformata e trascesa. Il suo spazio non obbedisce alle leggi della prospettiva. Guardare i suoi quadri mi rende viva. Lo voglio condividere. E’ quasi come essere innamorati…”.

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA

 

M. Archimbaud, Francis Bacon Conversazioni, Le Mani, Genova, 1993.

 

L. Bourgeois, Distruzione del padre. Ricostruzione del padre. Scritti e interviste, Quodlibet, Macerata, 2009.

 

 

Centro di Cultura Contemporanea Strozzina (a cura di) Francis Bacon e la condizione esistenziale nell’arte contemporanea, catalogo della mostra, Palazzo Strozzi, Firenze 5 ottobre 2012 – 27 gennaio 2013, CCCS, Hatje Cantz Verlag, 2012.

 

R. Chiappini (a cura di) Bacon, catalogo della mostra, Palazzo Reale, Milano 5 marzo – 29 giugno 2008, Skira, Ginevra-Milano, 2008.

 

G. Deleuze, Francis Bacon. Logica della sensazione, Quodlibet, Macerata, 2004.

 

S. Falcone, Francis Bacon: l’Edipo capovolto, La biblioteca di  Vivarium, Milano, 1998.

 

D. Farson, Francis Bacon. Una vita dorata nei bassifondi, Johan § Levi Editore, Milano, 2011.

 

B. Massimilla, La Perdita. Lutti e Trasformazioni, La biblioteca di Vivarium, Milano, 2011.

 

P.-C. Racamier, Il genio delle origini, Raffaello Cortina, Milano, 1993.

 

D. Sylvester, La brutalità delle cose. Conversazioni con David Sylvester, Fondo P.P.Pasolini, Roma, 1991.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


   

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
   

 

 

 

   
 
 

 

 

 

 

 

 

         

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
   
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

   

 

 

 

 

 

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