Autobiografia di G.B. Vico - Cap. I

Autobiografia di G.B. Vico - Cap. II

Autobiografia di G.B. Vico - Cap. III

Autobiografia di G.B. Vico - Cap. IV

Autobiografia di G.B. Vico - Cap. V

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Autobiografia di G.B. Vico - Cap. VII

Autobiografia di G.B. Vico - Cap. VIII

Il pensiero filosofico di Giambattista Vico


Autobiografia di Giambattista Vico
Cap. VII

 

[Aggiunta fatta dal Vico alla sua Autobiografia (1731)]

 

Uscita alla luce la Scienza nuova, tra gli altri ebbe cura l'autore di mandarla al signor Giovanni Clerico,' ed eleggé via più sicura per Livorno, ove l'inviò, con lettera a quello indiritta, in un pachetto al signor Giuseppe Attias, con cui aveva contratto amicizia qui in Napoli, il più dotto riputato tra gli ebrei di questa età nella scienza della lingua santa, come il dimostra il Testamento vecchio con la di lui lezione stampato in Amsterdam, opera fatta celebre nella repubblica delle lettere. Il quale con la seguente risposta ne ricevé gentilmente l'impiego:

<<Non saprei esprimere il piacere da me provato nel ricevere l'amorevolissima lettera di V. S. illustrissima del 3 novembre, la quale mi ha rinovato la rimembranza del mio felice soggiorno in cotesta amenissima città: basta dire che costà mi trovai sempre colmo di favori e di grazie compartitemi da quei celebri letterati, e particolarmente dalla gentilissima sua persona, che mi ha onorato delle sue eccellenti e sublimi opere; vanto ch'io mi son dato con gli amici della mia conversazione e letterati che doppo ho praticato ne' miei viaggi d'Italia e Francia. Manderò il pacchetto e lettera del signor Clerico, per fargliele recapitare in mano propria da un mio amico di Amsterdam; ed allora averò adempito i miei doveri ed eseguito i pregiati comandi di Vostra Signoria illustrissima, alla di cui gentilezza rendo infinite grazie per l'essemplare mi dona, il quale si è letto nella nostra conversazione, e ammirato la sublimità della materia e copia di nuovi pensieri, che, come dice il signor Clerico [che doveva egli aver letto nell'accennata <<Biblioteca>>], oltre il diletto e proffitto che se ne ricava da tutte le sue opere lette attentamente, dà motivo di pensare a molte cose per rarità e sublimità peregrine e grandi. Chiudo pregandola a portar i miei ossequiosi saluti al padre Sostegni.>>

Ma neppure di questa il Vico ebbe alcuno riscontro, forse perché il signor Clerico o fusse morto o per la vecchiezza avesse rinnonziato alle lettere ed alle corrispondenze letterarie.

Tra questi studi severi non mancarono al Vico delle occasioni di esercitarsi anco negli ameni; come, venuto in Napoli il re Filippo quinto, ebbe egli ordine dal signor duca d'Ascalona, ch'allora governava il Regno di Napoli, portatogli dal signor Serafino Biscardi, innanzi sublime avvocato, allora regente di cancellaria ch'esso, come regio lettore d'eloquenza, scrivesse una orazione nella venuta del re; e l'ebbe appena otto giorni avanti di dipartirsi, talché dovettela scrivere sulle stampe, che va in dodicesimo col titolo: Panegyricus Philippo V Hispaniarum regi inscriptus.

Appresso, rivevutosi questo Reame al dominio austriaco, dal signor conte Wirrigo di Daun, allora governatore dell'armi cesaree in questo Regno, con questa onorevolissima lettera ebbe il seguente ordine: <<Molto magnifico signor Giovan Battista di Vico, catedratico ne' reali Studi di Napoli.--Avendomi ordinato S. M. cattolica (Dio guardi) di far celebrare i funerali alli signori don Giuseppe Capece e don Carlo di Sangro con pompa proporzionata alla sua reale magnificenza ed al sommo valore de' cavalieri defonti, si è commesso al padre don Benedetto Laudati, priore benedettino, che vi componesse l'orazione funebre, e dovendosi fare gli altri componimenti per le iscrizioni, persuaso dello stile pregiato di Vostra Signoria, ho pensato di commettere al suo approvato ingegno tale materia, assicurandola che, oltre l'onore sarà per conseguire in sì degna opera, mi resterà viva la memoria delle sue nobili fatiche. E desiderando d'essergli utile in qualche suo vantaggio, gli auguro dal cielo tutto il bene. Di Vostra Signoria, molto magnifico signore,

Da questo Palazzo in Napoli, a 11 ottobre 1707

(di propia mano) affezionato servidore CONTE DI DAUN.>>

 

Così esso vi fece l'iscrizioni, gli emblemi e motti sentenziosi e la relazione di que' funerali, e 'l padre prior Laudati, uomo d'aurei costumi e molto dotto di teologia e di canoni, vi recitò l'orazione, che vanno in libro figurato in foglio, magnificamente stampato a spese del real erario col titolo: Acta funeris Caroli Sangrii et Iosephi Capycii.

Non passò lungo tempo che, per onorato comando del signor conte Carlo Borromeo viceré, fece l'iscrizioni ne' funerali che nella real cappella si celebrarono per la morte di Giuseppe imperadore.

Quindi avversa fortuna volle ferirlo nella stima di letterato; ma, perché non era cosa di sua ragione, tal avversità fruttògli un onore, il qual nemmeno è lecito desiderarsi da suddito sotto la monarchia. Dal signor cardinale Wolfango di Scrotembac, viceré, ne' funerali dell'imperadrice Elionora fu comandato di fare le seguenti iscrizioni, le quali esso concepì con tal condotta che, sceverate, ognuna vi reggesse da sé e, tutte insieme, vi componessero una orazione funerale. Quella che doveva venire sopra la porta della real cappella, al di fuori, contiene il proemio:

Helionorae augustae - e ducum Neoburgensium domo - Leopoldi caes. uxori lectissimae - Carolus VI Austrius roman. imperator Hispan. et Neap. rex - parenti optimae - iusta persolvit reip. hilaritas princeps - luget - huc - publici luctus officia con ferte - cives.

La prima delle quattro ch'avevano da fissarsi sopra i quattro archi della cappella, contiene le lodi:

Qui oculis hunc tumulum inanem spectas - rem mente inanem cogita - namque inter regiae fortunae delicias fluxae voluptatis fuga - in fastigio muliebris dignitatis sui ad imam usque conditionem demissio - inter generis humani mortales cultus aeternarum rerum diligentia - quae - Helionora augusta defuncta - ubique in terris iacent - heic - supremis honoribus cumulantur.

La seconda spiega la grandezza della perdita:

Si digni in terris reges - qui exemplis magis quam legibus populorum ac gentium corruptos emendant mores - et rebuspp. civilem conservant felicitatem - Helionora - ut augusti confugii sorte ita virtute - foemina in orbe terrarum vere primaria quae uxor materque caesarum - vitae sanctimonia imperii christiani beatitudini - pro muliebri parte quamplurimum contulit animitus eheu dolenda optimo cuique iactura!

La terza desta il dolore:

Qui summam - ex Carolo caesare principe optimo - capitis voluptatem - cives - ex Helionora eius augusta matre defuncta aeque tantum capiatis dolorem - quae felici foecunditate - quod erat optandum - ex Austria domo vobis principem dedit - et raris ac praeclaris regiarum virtutum exemplis - quod erat maxime optandum - vobis optimum dedit.

La quarta ed ultima porge la consolazione:

Cum lachrymis - nuncupate conceptissima vota - cives - ut - Helionorae - recepta coelo mens - qualem ex se dedit Leopoldo - talem ex Elisabetha augusta Carolo imp. - a summo Numine impetret sobolem - ne sui desiderium perpetuo amarissimum christiano terrarum orbi- relinquat.

Sì fatte iscrizioni poi non si alzarono. Però, appena era passato il primo giorno de' funerali, che il signor don Niccolò d'Afflitto, gentilissimo cavalliere napoletano, prima facondo avvocato ed allora auditor dell'esercito (e privava appo 'l signor cardinale, la quale gran confidenza, con le grandi fatighe, portògli appresso la morte, che fu da tutti i buoni compianta), egli volle in ogni conto dal Vico che la sera si facesse ritruovare in casa per fargli esso una visita, nella quale gli disse queste parole:--Io ho lasciato di trattare col signor viceré un affare gravissimo per venir qua, ed or quindi ritornerò in Palazzo per riattaccarlo;--e tra 'l ragionare, che durò molto poco, dissegli:--Il signor cardinale mi ha detto che grandemente gli dispiaceva questa disgrazia che vi è immeritevolmente accaduta.--Allo che questi rispose che rendeva infinite grazie al signor cardinale di tanta altezza d'animo, propia di grande, usata inverso d'un suddito, la cui maggior gloria è l'ossequio verso del principe.

Tra queste molte occasioni luttuose vennegli una lieta nelle nozze del signor don Giambattista Filomarino, cavalliere di pietà, di generosità, di gravi costumi e di senno ornatissimo, con donna Maria Vittoria Caracciolo de' marchesi di Sant'Eramo- e nella raccolta de' Componimenti per ciò fatti, stampata in quarto, vi compose un epitalamio di nuova idea, ch'è d'un poema dramatico monodico col titolo di Giunone in danza, nel quale la sola Giunone dea delle nozze, parla ed invita gli altri dèi maggiori a danzare, e a proposito del subbietto ragiona sui princìpi della mitologia istorica che si e tutta nella Scienza nuova spiegata.

Sui medesimi princìpi tessé una canzone pindarica, però in verso sciolto, dell'Istoria della poesia, da che nacque infino a' dì nostri, indirizzata alla valorosa e saggia donna Marina Della Torre, nobile genovese, duchessa di Carignano.

E qui lo studio de' buoni scrittori volgari ch'aveva fatto giovine, quantunque per tanti anni interrotto, gli diede la facultà, essendo vecchio, in tal lingua come di lavorare queste poesie così di tessere due orazioni, e quindi di scrivere con isplendore di tal favella la Scienza nuova. Delle orazioni la prima nella morte di Anna d'Aspromonte contessa di Althan, madre del signor cardinale d'Althan, allora viceré; la qual egli scrisse per esser grato ad un beneficio che avevagli fatto il signor don Francesco Santoro, allora segretario del Regno. Il qual, essendo giudice di Vicaria civile e commessario d'una causa d'un suo genero, che vi si trattò a ruote giunte, ove, due giorni di mercordì l'uno immediato all'altro (ne' quali la Vicaria criminale si porta nel regio Collateral Consiglio a riferire le cause), il signor don Antonio Caracciolo marchese dell'Amorosa, allora regente di Vicaria (il cui governo della città per la di lui interezza e prudenza piacque a ben quattro signori viceré), per favorire il Vico, a bella posta vi si portò; a cui il signor Santoro la riferì talmente piena, chiara ed esatta, che gli risparmiò l'appuramento de' fatti, per lo quale sarebbesi di molto prolungata e strappata dall'avversario la causa. La qual esso Vico ragionò a braccio con tanta copia, che contro un istrumento di notaio vivente vi ritruovò ben trentasette congetture di falsità, le quali dovette ridurre a certi capi per ragionarla con ordine, e, in forza dell'ordine, ritenerle tutte a memoria. E la porse così tinta di passione, che tutti quei signori giudicanti per loro somma bontà non solo non aprirono bocca per tutto il tempo ch'egli ragionava la causa, ma non si guardarono in faccia l'uno con l'altro; e nel fine il signor regente sentissi così commuovere che, temprando l'affetto con la gravità propia di sì gran maestrato, diede un segno degnamente mescolato e di compassione inverso il reo e di disdegno contro l'attore: laonde la Vicaria, la qual è alquanto ristretta in render ragione, senza essersi pruovata criminalmente la falsità, assolvette il convenuto.

Per tal cagione il Vico scrisse la orazione sudetta, che va nella raccolta de' Componimenti che ne fece esso signor Santoro, stampata in quarto foglio. Dove, con l'occasione di due signori figliuoli di sì tanta principessa i quali s'impiegarono nella guerra fatta per la successione della monarchia di Spagna, vi fa una digressione con uno stile mezzo tra quello della prosa e quello del verso (qual dee essere lo stile istorico, secondo l'avviso di Cicerone nella brieve e succosa idea che dà di scriver la storia, che deve ella adoperare <<verba ferme poetarum>>, forse per mantenersi gli storici nell'antichissima loro possessione, la quale si è pienamente nella Scienza nuova dimostrata, che i primi storici delle nazioni furono i poeti); e la vi comprende tutta nelle sue cagioni, consigli, occasioni, fatti e conseguenze, e per tutte queste parti la pone ad esatto confronto della guerra cartaginese seconda, ch'è stata la più grande fatta mai nella memoria de' secoli, e la dimostra essere stata maggiore. Della qual digressione il principe signor don Giuseppe Caracciolo de' marchesi di Sant'Eramo, cavaliero di gravi costumi e saviezza e di buon gusto di lettere, con molta grazia diceva voler esso chiuderla in un gran volume di càrta bianca, intitolato al di fuori: Istoria della guerra fatta per la monarchia di Spagna.

L'altra orazione fu scritta nella morte di donna Angiola Cimini marchesana della Petrella, la qual valorosa e saggia donna, nelle conversazioni che 'n quella casa sono onestissime e 'n buona parte di dotti uomini, così negli atti come ne' ragionamenti insensibilmente spirava ed ispirava gravissime virtù morali e civili, onde coloro che vi conversavano erano, senz'avvedersene, portati naturalmente a riverirla con amore ed amarla con riverenza. Laonde per trattare con verità e degnità insieme tal privato argomento. <<ch'ella con la sua vita insegnò il soave-austero della virtù>>, il Vico vi volle fare sperienza quanto la dilicatezza de' sensi greci potesse comportare il grande dell'espressioni romane, e dell'una e dell'altro fusse capace l'italiana favella. Va in una raccolta in quarto foglio ingegnosamente magnifica, dove le prime lettere di ciascun autore sono figurate in rame, con emblemi ritruovati dal Vico ch'alludono al subietto. Vi scrisse l'introduzione il padre don Roberto Sostegni, canonico lateranense fiorentino, uomo che e per le migliori lettere e per gli amabilissimi costumi fu la delizia di questa città; nel quale peccando di troppo l'umor della collera (che fecegli spesso mortali infermità, e finalmente d'un ascesso fattogli nel fianco destro cagionògli la morte, con dolore universale di tutti che l'avevano conosciuto), egli l'emendava talmente con la sapienza che sembrava naturalmente esser mansuetissimo. Egli dal chiarissimo abate Anton Maria Salvini, di cui era stato scolare, sapeva di lingue orientali, della greca e molto valeva nella latina, particolarmente ne' versi; nella toscana componeva con uno stile assai robusto alla maniera del Casa, e delle lingue viventi, oltre alla francese, ora fatta quasi comune, era inteso dell'inghilese, tedesca ed anche alquanto della turchesca; nella prosa era assai raziocinativo ed elegante. Portossi in Napoli con l'occasione, come pubblicamente per sua bontà il professava, d'aver letto il Diritto universale, che 'l Vico aveva mandato al Salvini; onde conobbe ch'in Napoli si coltiva una profonda e severa letteratura, e 'l Vico fu il primo che volle esso conoscere, con cui contrasse una stretta corrispondenza, per la quale or esso l'ha onorato di quest'elogio.

Circa questi tempi il signor conte Gianartico di Porcìa, fratello del signor cardinale Leandro di Porcìa, chiaro uomo e per letteratura e per nobiltà, avendo disegnato una via da indirizzarvi con più sicurezza la gioventù nel corso degli studi, sulla vita letteraria di uomini celebri in erudizione e dottrina, egli tra' napoletani che ne stimò degni, ch'erano al numero di otto (i quali non si nominano per non offender altri trallasciati dottissimi, i quali forse non erano venuti alla di lui cognizione), degnò d'annoverare il Vico, e con orrevolissima lettera scrittagli da Vinegia, tenendo la via di Roma per lo signor abate Giuseppe Luigi Esperti, mandò al signor Lorenzo Ciccarelli l'incombenza di proccurarlagli. Il Vico, tra per la sua modestia e per la sua fortuna, più volte niegò di volerla scrivere; ma alle replicate gentil'istanze del signor Ciccarelli finalmente vi si dispose. E, come si vede, scrissela da filosofo; imperocché meditò nelle cagioni così naturali come morali e nell'occasioni della fortuna; meditò nelle sue, ch'ebbe fin da fanciullo, o inclinazioni o avversioni più ad altre spezie di studi ch'ad altre; meditò nell'opportunitadi o nelle travversie onde fece o ritardò i suoi progressi; meditò, finalmente, in certi suoi sforzi di alcuni suoi sensi diritti, i quali poi avevangli a fruttare le riflessioni sulle quali lavorò l'ultima sua opera della Scienza nuova, la qual appruovasse tale e non altra aver dovuto essere la sua vita letteraria.

 



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