Autobiografia di G.B. Vico - Cap. I

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Il pensiero filosofico di Giambattista Vico


Il pensiero filosofico di Giambattista Vico

 

La teoria della conoscenza

 

Punto di partenza del nostro esame della filosofia di Giambattista Vico è la sua teoria della conoscenza, contrapposta a quella cartesiana.

Cartesio afferma che la vera essenza umana è la razionalità, per cui ogni conoscenza è necessariamente evidenza razionale, ragione necessitante o geometrica.

Vico, invece, sostiene che l'uomo non è costituito solo di ragione, ma anche di fantasia, sentimenti, impulsi spontanei, elementi che non si lasciano ricondurre alla dimostrazione. Per Vico sono oggetto di scienza attività umane quali l'oratoria, la retorica, la poesia, la storia, che non si fondano su verità geometriche, ma sul verisimile.

E' il verisimile la verità umana per eccellenza: nell'insieme delle conoscenze che riguardano l'uomo non vi può essere mai una garanzia infallibile di verità.

Il voler conoscere razionalmente e distintamente diventa addirittura un vizio anziché una virtù nel campo della metafisica, il cui fondamento è il probabile: il vero ha a che fare con i matematici, non con i filosofi.

Nell'opera De antiquissima Italorum sapientia Vico propone la sua teoria della conoscenza. Solo Dio ha la conoscenza perfetta e completa delle cose, l'uomo può solo pensare, ovvero raccogliere informazioni sulle cose.

La vera conoscenza si ha solo "per cause", e poiché solo chi crea una cosa ne conosce le vere cause, "criterio e regola del vero è di averlo fatto noi stessi".

Ne deriva perciò l'identità delle parole latine verum (vero) e factum (fatto): il vero è il fatto stesso (verum ipsum factum), si ha una vera conoscenza soltanto di ciò che si fa.

Ora, mentre il fare di Dio è creazione di oggetti reali, il fare dell'uomo è creazione di oggetti fittizi, esterni a lui stesso, astratti, e quindi mai conosciuti completamente.

Pertanto, il campo della conoscenza umana ha limiti molto stretti: non possiamo conoscere il mondo della Natura, perché opera di Dio; possiamo invece conoscere il campo della matematica e della geometria, astratto e creato da noi stessi.

L'uomo non può conoscere neppure il proprio stesso essere, la propria realtà metafisica, ed ha torto Cartesio quando afferma "penso, dunque sono". La consapevolezza di pensare è coscienza e non scienza (conoscenza) del proprio essere. Non possiamo conoscere noi stessi, in quanto partecipi della Natura creata da Dio, e Cartesio ha voluto elevare a verità razionale un semplice fatto di coscienza: avrebbe invece dovuto dire "penso, dunque esisto", intendendo per "esistere" il modo d'essere proprio della creatura, diverso dall'"essere" divino.

 

 

La storia quale "nuova scienza". Storia ideale e storia temporale

 

La sola e vera conoscenza che l'uomo può avere è dunque limitata al mondo delle creazioni umane. Una di queste creazioni è la matematica (nel De antiquissima Italorum sapientia); successivamente Vico, nella Scienza nuova, riconosce la storia come creazione umana e quindi oggetto proprio della conoscenza umana. Il mondo della storia è il mondo umano per eccellenza, un mondo fatto dagli uomini, i cui principi vanno cercati nell'uomo stesso, nella sua mente.

La storia appare quindi non un ammasso confuso di fatti, ma un insieme ordinato di eventi, con un suo significato e sue leggi autonome: come Bacone voleva rintracciare l'ordine e le leggi del mondo della natura, Vico intende scoprire l'ordine e le leggi del mondo della storia.

Questa Scienza è nuova soltanto intesa come riflessione sulla storia. Intesa invece come umano pensare è antichissima, nata con l'uomo, sapienza originaria che accompagna tutta la storia umana, madre di tutte le scienze e arti, partecipe di manifestazioni quali il costume, il diritto, il governo, la lingua, e più o meno chiara e definita nelle varie fasi del corso storico.

Nella sua meditazione sulla storia, Vico pone un punto di partenza, che è quello, religioso, dello "stato di caduta" biblico, bestiale, e un punto di arrivo, un ordine divino, ideale, eterno a cui l'uomo tende, rappresentato dalla "repubblica" di Platone.

Nella storia è presente un ordine provvidenziale, la Provvidenza divina, la "divina mente legislatrice", che muove verso la "gran città del genere umano", un ordine universale ed eterno, anche se gli uomini sono spinti da passioni diverse e dall'utile personale. Questa "gran città" è la comunità umana vista nella sua ideale e finale realizzazione.

La storia ideale, eterna, trascendente, è il modello, la norma sulla quale si muove la storia temporale delle singole nazioni, la struttura che la regge, il dover essere della storia nel tempo; tra le molte alternative possibili nella successione temporale, una sola è l'alternativa che si verifica. Ma la storia particolare può anche non adeguarsi alla storia ideale.

Vico vuole integrare l'insegnamento di Platone e di Tacito: la repubblica di Platone è l'ideale meta finale dello sviluppo storico, ma Platone ha trascurato le origini barbare e rozze dell'umanità, non ha tenuto conto del suo stato attuale; Tacito ha indagato gli avvenimenti storici dell'umanità attuale, ma ha ignorato le ragioni ideali della storia.

Vico così indaga il progresso dall'umanità decaduta all'umanità restituita all'ordine della ragione, descrivendolo come una successione di età, ripresa da Esiodo e da Platone: l'età degli dèi, l'età degli eroi e l'età degli uomini.

In ciascuna di queste età prevale una particolare facoltà umana sulle altre, e la scienza nuova si delinea come "storia delle umane idee" e della loro successione.

La comunità umana è sempre in rapporto con la storia ideale, eterna, divina e trascendente: ciò che distingue le varie fasi della storia temporale è solo il cambio della modalità di questo rapporto, cioè la forma spirituale nella quale l'uomo lo avverte. Così la storia ideale ed eterna è prima oscuramente sentita, poi avvertita in qualche modo, e infine è pensata distintamente. ("prima gli uomini sentono senza avvertire, dappoi avvertiscono con animo perturbato e commosso, finalmente riflettono con mente pura").

 

 

Le tre fasi della storia umana e l'intervento della Provvidenza

 

L'uomo è uscito dallo stato bestiale (ed è iniziato il vivere civile e la storia) con una certezza, un senso comune a tutto il genere umano, che avverte in qualche modo l'ordine provvidenziale della storia eterna, a cui tendere, prima che divenisse chiaro ai filosofi.

La scienza nuova si propone anche di studiare tale coscienza dell'ordine provvidenziale, dal senso comune iniziale alla verità filosofica. Ecco la necessità della filosofia, che "contempla la ragione onde viene la scienza del vero". E' necessaria anche la filologia, "onde viene la coscienza del certo": filologia per Vico è non solo lo studio delle parole, ma anche quello delle cose, di dati di certezza storica, quali costumi, leggi, paci, guerre, alleanze, viaggi, commerci. La scienza storica è studio del vero e del certo.

Prima che nascesse la riflessione filosofica, gli uomini erano guidati dal "senso comune" nel loro vivere associato, e tale senso comune, ossia ciò che la maggior parte degli uomini accettano come giusto, deve essere la regola della vita associata.

Nella prima fase della società umana, l'età degli dèi, gli uomini sono bestioni stupidi e insensati, ma sono dotati di forti sensi, di robusta fantasia, di sapienza poetica, e riescono a far sorgere le prime istituzioni civili (famiglia, stato teocratico) spinti dalla paura degli dèi.

Nella seconda fase, l'età degli eroi, prevale sempre la fantasia, ma compaiono le virtù eroiche della pietà, della prudenza, della fortezza, della magnanimità.; il governo è retto dalla classe aristocratica.

Nella terza fase, l'età degli uomini, prevale la riflessione, la metafisica ragionata anziché la metafisica fantastica; la coscienza, la ragione e il dovere dettano le leggi, e con esse tutti i governo sono eguali. Nasce la filosofia e in particolare la filosofia platonica, matura manifestazione del pensiero umano.

Nella sua analisi, Vico indaga in particolare il rapporto tra la storia ideale eterna e la storia temporale, in quanto è proprio tale rapporto che dà un senso ad entrambe.

Il processo storico non ha cause meccaniche, ma si svolge per iniziativa dell'uomo. D'altro canto, il mondo della storia non si può intendere se non in rapporto a un ordine provvidenziale ed eterno.

Ora, alcuni filosofi hanno ritenuto che le azioni umane siano dovute al caso o al fato (Epicuro, Hobbes, Machiavelli, gli Stoici, Spinoza), ma tale teoria rende impossibile la libertà e l'ordine. Invece, la "Provvidenza divina", la "divina mente legislatrice", garantisce libertà, ordine, giustizia nella società umana, rivolgendo ai suoi fini anche le azioni apparentemente più disastrose.

Quest'ordine provvidenziale pertanto non toglie agli uomini il libero arbitrio, non determina la loro coscienza, anche se è presente in essa. Pertanto, la storia delle nazioni nel tempo può anche non adeguarsi alla storia ideale eterna.

Così abbiamo nazioni che sono ancora allo stadio dell'età barbara o dell'età eroica; altre sono balzate di colpo all'età civile; altre sono decadute.

La storia appare quindi soggetta al ciclo dei corsi e ricorsi: alcune nazioni pervenute al massimo sviluppo possono decadere e tornare allo stato di barbarie. Questo ritorno alla barbarie non accadrà necessariamente, è un rischio che gli uomini possono evitare, eliminando il disordine che nasce dallo scetticismo, dalla corruzione, dalle guerre civili.

In caso di caduta, l'alternativa allo stato di ferocia primitiva è la monarchia assoluta, o l'assoggettamento da parte di nazioni migliori.

 

 

Il problema del rapporto tra Uomo e Provvidenza

 

Il problema di fondo dell'opera vichiana è il rapporto tra l'iniziativa umana e il disegno divino nella storia. Vico difende esplicitamente sia la libera attività dell'uomo, sia l'intervento della Provvidenza divina come guida del corso storico.

Sono state elaborate dalla critica alcune interpretazioni della presenza della Provvidenza vichiana nella storia.

Secondo Croce e i neoidealisti, si tratterebbe di una presenza immanente, coincidente con il corso della storia, che è fatta dall'uomo. Il ruolo della Provvidenza sarebbe accentuato dal Vico solo per evitare problemi con la religione ufficiale.

L'interpretazione positivista e marxista identifica il piano divino con quello dei fenomeni naturali: la Provvidenza, in questa ottica, è la Natura stessa; ciò troverebbe conferma nello stesso Vico quando descrive la sequenza: paura dei fenomeni naturali --> paura degli dèi --> nascita della civiltà.

Infine, una terza interpretazione, teologica e cattolica, sottolinea la trascendenza della Provvidenza divina, vista come motore determinante della storia.

Possiamo provare a dare una quarta interpretazione. La Provvidenza in Vico non interviene nella storia dall'esterno, dal di fuori, e non è neanche immanente nella storia temporale. La Provvidenza è vista come trascendente dal Vico nel senso di norma ideale, valore a cui gli eventi non sempre si adeguano, e quindi come sollecitazione, dover-essere che spinge l'uomo verso valori ideali ed eterni. Come tale, essa è sempre presente all'uomo, prima sotto forma di sapienza poetica e poi di sapienza riflessa o filosofia razionale, e da essa l'uomo trae la forza per sollevarsi dalla sua caduta e fondare il mondo della storia. Si tratta essenzialmente di una sapienza religiosa, riferita ad un ordine trascendente e divino.

A questo proposito, la religione del Vico, così appassionato nel difenderne la funzione civile, appare naturale-razionale, una forma di deismo storicistico fondato sulla storia umana (simile al deismo naturalistico degli illuministi fondato sulla Natura), una religione priva di dogmi e fondata su basi razionali.

 

 

La poesia degli uomini primitivi

 

Grande importanza è data da Vico allo studio della "sapienza poetica", che improntava tutta la vita degli uomini primitivi: essa è indipendente dalla ragione o riflessione, è fondata sulla fantasia, è essenzialmente poesia divina, creazione sublime, carica di emozioni violente e di immagini vivide.

La poesia ha come suo elemento essenziale il linguaggio, nato dall'esigenza di comunicare. Con esso la poesia esprime il primitivo mondo umano, dà vita e senso alle cose inanimate, canta di prodigi e di incantesimi, immagina una divinità giusta che attribuisce premi o castighi: insomma ha un modo tutto suo, primitivo ma autonomo, di vedere la realtà e il trascendente.

Vico pertanto afferma il valore autonomo della poesia nei confronti della ragione, tesi che sarà ripresa nelle concezioni estetiche del Settecento.

La dimostrazione più chiara della natura poetica dei primitivi è la poesia omerica, opera non di uno o più individui, ma canto anonimo e collettivo di tutto il popolo greco dell'età eroica.

Quando la ragione, le riflessione prevale negli uomini e la fantasia scompare, la poesia decade, sia negli esseri singoli che nell'umanità. Il più grande poeta italiano, Dante, appartiene anche lui a un'epoca di barbarie "ritornata", quale il Medioevo.

 

 

Vico e il suo tempo

 

Un altro problema che si pone frequentemente nello studio di Vico è quello del rapporto con il suo tempo. Si è detto (nell'interpretazione idealistica) che Vico sarebbe un genio isolato, tagliato fuori dalla cultura europea, voce profetica e precursore della cultura romantica ottocentesca.

Nel dopoguerra diversi studiosi hanno cercato di storicizzare Vico, mettendo in luce i suoi legami con il Seicento, l'atmosfera della Controriforma, il nascente Illuminismo, e lo si è visto di volta in volta come chiuso e reazionario rispetto alla Rivoluzione scientifica di Galilei, oppure come illuminista ante litteram. Nel complesso, comunque, oggi quasi tutti i critici negano il presunto isolamento del Vico.

Tuttavia il modo migliore di storicizzare il Vico è quello di vedere la sua originalità e autonomia sia nei confronti della Controriforma che del Seicento, del Settecento, dell'Illuminismo, dell'Ottocento, del Romanticismo: rispetto ad ognuno di questi schemi concettuali, Vico manifesta delle consonanze, ma anche delle distinzioni che lo individualizzano in modo preciso ed originale.

Se Vico esplicitamente parte dalla critica dell'opera di Cartesio, tace sulle fonti che hanno ispirato i tratti caratteristici della sua filosofia. Questi trovano le loro radici nella cultura filosofica del Seicento, così come pervenuta nell'ambiente napoletano del tempo. Alcuni di questi tratti sono:

a) il concetto di ragione come attività sperimentatrice e problematica che perviene al probabile, al verosimile, e non solo al necessario (si trova in Gassendi);

b) il concetto di ingegno visto come facoltà creativa, che scopre il nuovo, e contrapposta alla logica (è un tema molto dibattuto in tutto il `600, e si ritrova anche in Pascal);

c) la nozione della conoscenza vera, autentica come originata dal fatto, da ciò che si fa (si ritrova in Gassendi e in Hobbes);

d) la nozione di Dio come motore della mente umana (desunta da Malebranche).

 

Rielaborando la cultura del Seicento, Vico raggiunge risultati che lo proiettano nel secolo successivo, il secolo dell'Illuminismo:

a) Vico fa rientrare la poesia e il mito nella sfera delle emozioni, sfera diversa da quella del pensiero, capace di influenzare i "caratteri" umani e le forme artistiche, culturali, di costume (tali riflessioni porteranno gli illuministi a riconoscere il sentimento come autonomo nella vita spirituale umana, e ad adottare quale criterio di giudizio per le forme da esso create il gusto);

b) Vico intende la storia come corso progressivo e ordinato di eventi, che perviene a una età della ragione, o degli uomini, che osservano il mondo con mente pura e mediante la filosofia ne ricercano i principi (ciò si connette strettamente alla concezione storica dell'Illuminismo).

 

 

La fortuna di Vico

 

Ai suoi tempi e per tutto il Settecento, il pensiero del Vico era poco conosciuto, e rimase confinato in ambito napoletano, influenzando uomini di cultura quali Genovesi, Galiani, Filangieri, Pagano. Con la dispersione degli intellettuali napoletani dopo la fallita rivoluzione partenopea del 1799 fu conosciuto anche nei circoli settentrionali, e in particolare da Ugo Foscolo.

Il suo successo comincia in ambito romantico, in pieno ottocento; è noto in Francia a Chateaubriand, Michelet, Comte; soprattutto in Italia viene celebrato come maestro e anticipatore del pensiero italiano moderno da Rosmini, Gioberti, Ferrari, Cattaneo.

Una forte ripresa dell'interesse per Vico si ha con il neo-hegelismo italiano: Croce e Gentile lo celebrano con toni nazionalistici per aver anticipato il Romanticismo, l'Idealismo, la scienza estetica e l'autonomia dell'arte.

Nel dopoguerra, un gruppo di intellettuali di vario orientamento hanno reagito a questa visione deviante cercando, come si è detto, di storicizzare la figura e l'opera del Vico nel quadro del suo tempo.

 



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