C'ERA
UNA VOLTA..................IL PANE
L’uomo dell’età
della pietra viveva di cacciagione e di pesca, coprendosi con la pelle
degli animali da lui uccisi. Accanto a lui la donna occupata non solo
a preparare cibo e ad allevare i piccoli, ma anche ad osservare il
mondo esterno. Molto probabilmente fu la donna a riconoscere il valore
delle erbe che le crescevano intorno in un miscuglio selvaggio. Nella
solitudine in cui era costretta a vivere quando l’uomo era assente
per procacciare il cibo. Nel suo ciclo evolutivo, da cacciatore
l’uomo diventò pastore e poi agricoltore. Dovette scoprire l’arte
di accendere il fuoco e quella di coltivare cereali. Sembra che
l’uomo preistorico abbia appreso l’arte di accendere il fuoco nel
Paleolitico medio. La donna incominciò allora a far arrostire le
carni per meglio conservarle,e ad abbrustolire i semi e le bacche.
Difficile stabilire quali furono i primi semi adottati dall’uomo,
che dovette sceglierli fra centoquarantamila specie di vegetali.
Secondo gli
scienziati, il nostro progenitore riuscì a individuarne circa
duecento, ma non fu il frumento il primo cereale adoperato. Il
miglio, il “padre
miglio “ lo precedette, accompagnato anche dalle ghiande e dai
fagioli.
La raccolta
del grano. Da una pittura tombale dell'antico Egitto
Gli Egizi
furono i primi “mangiatori
di pane”. L’impastatura della farina veniva seguita
con le mani stando ginocchioni, ma soprattutto con i
piedi: Questa attività era accompagnata dal suono del
flauto. Le prime gallette non avevano certo il piacevole
gusto dei cereali puliti e brillati; si dovevano mangiare
calde, perché una volta raffreddate erano troppo dure per
essere masticate. Si sperimentarono subito molte varietà
con altri cereali. Quelle di solo frumento pare che-già
allora- fossero riservate ai faraoni e alla loro corte.
Per gli
Egizi il pane oltre a rappresentare fonte per la loro
alimentazione era anche base della loro vita.
Possedere“ un gran numero di pani” significava avere
ricchezza. Il salario era costituito da un numero
variabile di pani. Al contadino medio ne toccavano, ogni
giorno, tre, accompagnati da due brocche di birra. Il
Gran sacerdote del tempio riceveva ogni anno 900 pani di
frumento fine, 36000 stiacciate cotte sui carboni e 360
brocche di birra. Il faraone era il signore del grano,
che ad ogni raccolto gli doveva essere versato per
essere poi distribuito ai funzionari salariati, e usato
per il mantenimento della casa reale. Il raccolto del
grano dipendeva dal comportamento del gran grande fiume Nilo.
Dedito
alla pastorizia il popolo degli Ebrei si accontentava
di un pane semplice, non lievitato, piccolo e rotondo
di forma, era molto piccolo, un vero e proprio panino,
tanto che un uomo, per sfamarsi, doveva mangiarne
almeno tre. Ogni famiglia possedeva il proprio forno,
ma in tempo di carestia ne bastava uno solo per due
famiglie. Il popolo Ebreo rifiutava il lievito perché
era causa di acidità e di fermentazione, trovava
invece il sale un elemento purificatore capace di”
conservare”. Gli animali destinati al sacrificio
venivano cosparsi di sale, e con il sale venivano “
strofina ti” i neonati, per dar loro forza e per
detergerli.
Per
gli Ebrei il pane assume un valore trascendente,
permeato dal senso divino della provvidenza.
Alimento principale, se non essenziale, per il corpo
e per lo spirito, simboleggia la consapevolezza del
significato più profondo della vita, della necessità
di purificazione. Adamo, scacciato dall’Eden con
Eva, fu marchiato dall’invettiva: “ Ti
guadagnerai il pane col sudore della tua fronte “.
Espiazione e conquista
Dall’Egitto
l’arte della fabbricazione del pane passò in
Grecia. I greci, pur dovendo importare cereali e
quindi il frumento, divennero ottimi panificatori.
Avevano settantadue specie di pane, cinquanta dei
quali di impasto semplice e ventidue degni di una
pasticceria. Fra le varie qualità ricordiamo:
l’amylon e thronos, paste di frumento seccate
che servivano a pulirsi le dita a tavola, il
condrite, di farina di spelta e non fermentato,il
syncomistos, di farina di frumento non setacciata,
il lecithites, condito con olio.Pani di lusso
erano il semìdalis, d’avena mondata ma privo di
lievito, il collyra,con miele, latte e formaggio.
E quasi di solo formaggio, tanto da essere offerto
come pietanza, era il tyrònotos. Per secoli
furono le donne a cucinare il pane: sotto la
cenere, sulla brace, tra due ferri, sotto una
campana di terracotta. Solo verso l’epoca di
Pericle, furono gli uomini a occuparsi della
preparazione del pane.Probabilmente i fornai greci
erano riuniti in corporazioni. Furono loro a
escogitare il
lavoro notturno.
Il dio della panificazione era Pan. Un
altro dio è onorato per lo stesso motivo di Pan:
Dionisio. Nelle processioni a lui dedicate le
donne “indiavolate”,
che erano le sue sacerdotesse, portavano grandi
forme di pane come offerta votiva.
forno romano (scavi di Pompei)
Nella
fertile terra del Lazio, scoperta dagli
antichi Latini, si coltivavano l’orzo, il
miglio, la spelta, forse la segale, certo il
farro. Per i romani il farro, dalla cui radice
far è derivato il vocabolo farina, non
serviva soltanto come nutrimento, ma faceva
anche parte del culto e delle cerimonie
religiose. Sull’animale che veniva
sacrificato a Giove nell’antichità si
spargeva farina di farro miscelata con sale.
In un primo tempo i Romani si accontentarono
di consumare i chicchi abbrustoliti, o anche
lessati e magari ridotti in poltiglia,
ottenendo così la puls (polenta) da consumare
condita con olio e arricchita di verdure:
cicoria, lattuga e ortica, erba quest’ultima
ritenuta anche rinfrescante. In un tegame,
chiamato artopta, cuocevano focacce di farro,
formaggio e miele. Le chiamavano placentae e
con questo vocabolo indicarono poi i prodotti
della panificazione fatta con farina , olio e
sale. Con la conquista della Grecia i Romani
impararono ad apprezzare il pane di frumento e
divennero abili fornai. Durante il regno di
Augusto, le principali farine usate per la
panificazione erano due. La prima ricavata dal
frumento siligo era adoperata per preparare il
pane di lusso, bianco e saporitissimo. La
seconda farina, probabilmente derivata da una
specie di Triticum, il cui fiore era detto
pallens, serviva per il pane secondarius.
C’erano altri tipi di pane, per i contadini
( panis testuarius,
cotto in recipienti di terracotta ), per la
casa imperiale (panis palatinus ), per gli
spettatori dei giochi circensi ( panis
gradilis ) distribuito gratuitamente. Il più
raffinato dei pani era comunque l’ostearius
che si mangiava con le ostriche.Nel 476
l'Impero romano d'occidente decadde sotto i
colpi dei barbari.
I
Barbari, a differenza dei Romani, non amavano
l’agricoltura. Il lavoro dei campi era
d’impaccio per i loro continui spostamenti,
impararono tardi ad apprezzare
l’agricoltura e quindi a coltivare cereali . Il
pane in questo periodo e per tutto il
medioevo non subì trasformazioni notevoli,
anzi spesso trovare farina e pane era molto
difficile. I raccolti erano spesso insufficienti,
le carestie e le epidemie imperversavano spesso
dovute alla cattiva coltivazione dei cereali come
accadde nell’anno 943, quando, in seguito
all’infestazione di un fungo velenoso alle
coltivazioni di orzo, segale e frumento,morirono
quarantamila persone.
L’unica
invenzione tecnica del Medioevo fu
l’invenzione del molino a vento quelli ad
acqua già si conoscevano
Durante
il Rinascimento si imbandirono fastosi
conviti, resi quasi obbligatori,per i
Signori,dalla necessità di accogliere
ambasciatori e principi, di far conoscere,
per imporla la propria importanza, il
proprio potere. In questi banchetti il pane,
soprattutto bianco, non mancava mai. A
Venezia per Pasqua
si gustava la “ fugassa
“, un pane addolcito con lo zucchero, e
arricchito con uova e burro. A Roma i
banchetti
erano ricchi di portate sempre
accompagnate da pane, a forma di pagnotte,
fatto in casa. In Toscana negli anni 1590 e
1591 Ferdinando I, “ per sospetto e
temenza di carestia “, ordinò agli
agricoltori di fare semine speciali per
sopperire alla scarsità dei generi
alimentari e, per evitare inutili sprechi,
vietò “ agli speziali di fare pane
impepato “ e “ ai fornai di far
berlingozzi né altre cianfrusaglie eccetto
il pane stretto "A
Milano, intorno alla fine del Quattrocento,
un fornaio diede origine ad una pane
speciale conosciuto oggi in tutto il mondo
“ il panettone “. Nonostante il
Rinascimento porti un generale
miglioramento alla lavorazione del pane, le
carestie non mancarono, alle quali spesso
neppure i pontefici potevano far fronte.
Gregorio XIII ricorse all’erario per
acquistare grano da distribuire. Urbano VIII
impose la tassa sul macinato meritandosi il
nome di Papa Gabella. Innocenzo XII farà
ridurre la forma del pane, a parità di
prezzo. A Napoli si istituì il
tesseramento. Anche a Milano fu istituito il
calmiere mensile.
Per il popolo il pane diventa sempre
più un ideale, deve contentarsi di pane
fatto di roggiolo da una o mezza libra, o
pane fatto con rape bianche mescolate a
farina di segale.
Conseguenza
di una serie ripetuta di carestie fu la
Rivoluzione che scoppiò in Francia il 14
luglio 1789 con la presa della Bastiglia al
grido “ Le pain se lève “.Il
malcontento popolare continuava nonostante
il governo distribuisse sussidi e
nel 1789 in seguito ad una terribile
siccità, che immobilizzò i molini ad
acqua,nell’illusione di trovare pane la
folla corse a Versailles per costringere “
Il fornaio e la fornaia “ (il re e la
regina ) a ritornare a Parigi, facendo
pagare loro l’incauta frase di Maria
Antonietta che aveva suggerito di
distribuire brioches se non c’era pane. Ma
il problema del pane rimase e neppure bastò
inventare il famoso “pain d’égalité”
un pane unico per tutti fatto con farina di
grano segale e crusca. Il problema del pane
si risolse quando nel 1796, sotto il
Direttorio, le terre, che ormai non
appartenevano più agli aristocratici,
cominciarono ad essere lavorate di nuovo dai
contadini ormai proprietari delle loro terre.
Nel
XIX secolo il pane non subisce grandi
variazioni . Nel 1808, essendo stato
adottato il sistema metrico decimale, il
pane cominciò a essere venduto a
misura. Per adeguare il prezzo del pane
al costo della farina, venne poi fissato
un calmiere quindicinale, con
l’obbligo di esporre la tabella del
calmiere. Intorno al 1875 il pane va
delineandosi come alimento base per gli
operai, mentre è quasi nullo il consumo
di carne.
Nel
1914 il pane militare era una grossa
pagnotta di circa 700 grammi,
distribuita ogni giorno. Il pane
confezionato negli stabilimenti
territoriali della sussistenza, aveva
crosta dura, compatta e croccante,
mollica soffice e molto porosa. Di norma
non doveva essere consumato prima che
fossero trascorse sedici ore dalla
sfornata, nè distribuito alla truppa
dopo le trentasei ore.Durante la guerra
queste norme vennero estese anche alla
popolazione civile.
Negli
anni Venti e seguenti si ha un
“ritorno alla terra” nel nome
della “battaglia del grano” e
culmina nelle bonifiche messe in atto
dal regime.Furono bonificati 5.700.000
ettari di terreno. Nel 1926 l’Italia
ebbe un raccolto di frumento che
raggiunse quasi i 60 milioni di
quintali.Per limitare l’importazione
di grano straniero venne ripristinato
il dazio, ma per soddisfare la
necessità di farina era necessario
acquistare ancora grano
dall’America.
Avvenne
in questo periodo
l’industrializzazione dei panifici
con l’introduzioni di nuovi
macchinari, come i forni a
riscaldamento indiretto, e le
formatrici.
Durante
la seconda guerra mondiale il
problema del pane divenne un vero
disastro , nonostante le promesse
del duce per assicurare all’Italia
l’autonomia almeno del pane,
questo era razionato , scarsissimo e
imperversava la tessera del pane. La
razione giornaliera per un romano
del 1944-1945 era di 100 grammi al
giorno, pane scuro e qualche volta
mal cotto. Con l’arrivo degli
americani arrivò anche il pane
della “liberazione”: pane
candido di forma quadrata, che
veniva tagliato a forme regolari, il
“pane a cassetta”. Ben presto si
cominciò a desiderare di nuovo un
vero pane, all’italiana, di farina
di grano, dorato, ben cotto,
consistente. E finalmente si ebbe di
nuovo
Ai
nostri giorni il pane sta
riacquistando una certa importanza,
dopo che negli anni sessanta
sembrava destinato al tramonto.
Ormai nessuno entra più in negozio
per chiedere genericamente
un chilo di pane, ma “ due
ciriole, un panino all’olio, mezza
ciambella”, un pane adatto per
ogni pietanza. Nelle grandi città e
nei piccoli centri fioriscono le
boutiques del pane. Sono negozi
specializzati dove si compera un
pane fatto secondo le buone regole
artigiane e le”novità”, che
altro non sono che pani tradizionali
“riesumati” con amore. Qualcuno
non disdegna di farselo a casa con
le proprie mani.
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