L'ORA
DI RELIGIONE
di Marco Bellocchio
( il sorriso del regista )
Dall'uscita,
anzi dall'anteprima del film L'ora di religione, Marco Bellocchio
è rispuntato nelle colonne dei giornali italiani per il supposto
scalpore anti-cattolico provocato nelle penne di numerosi giornalisti
integrati, e non, con la morale della fede cattolica. Questo tipo
di reazione da un lato sconforta, data la superficialità
ricorrente nelle pagine dei polemisti praticanti, d'altro canto
fa sorridere riconoscere anche nella realtà quei personaggi
che ironicamente il regista descrive nel film come gli improvvisati
opportunisti del sacro che circondano il personaggio Ernesto/Castellitto.
L'ora di religione è un grande film contemporaneo
proprio nel rifiutare un approccio realistico con la realtà
e con la fede che viene soggettivamente rielaborata dall'occhio
di un regista sempre attento, ma stavolta eccezionalmente lucido.
Ed evidentemente non è un caso che sia il primo film da una
sceneggiatura originale d'ambientazione contemporanea girato dopo
i due film in costume Il principe di Homburg e La balia,
oltretutto entrambi di derivazione letteraria.
Non è solo un film della maturità stilistica di un
autore, ma il film della maturità ideologica di Bellocchio.
Le suggestioni noir dell'indagatore, della dark lady, delle cupe
atmosfere sono delle tracce cinematografiche che seguono un percorso
di superamento, narrativo e ideologico. E' come se Bellocchio fosse
andato oltre le sue conv(i/e)nzioni, sentendo per la prima volta
la necessità di dichiararsi, di rappresentarsi in prima persona,
anche se diversamente da Vacanze in Val Trebbia dove non
c'erano mediazioni cinematografiche di nessun tipo. Ernesto è
infatti un pittore, un esploratore dello sguardo, che addirittura
dipinge quadri dello stesso Bellocchio; come nella realtà
il regista ha una bambina, Ernesto ha un continuo confronto con
suo figlio. Bellocchio ha sempre parlato di sé (I
pugni in tasca, Nel nome del padre, il periodo sceneggiato con Massimo
Fagioli) in termini di antagonismo, ma L'ora di religione gli dà
l'occasione di esorcizzare i conflitti diradando i lati oscuri dell'inconscio
in passato sempre protagonisti. Succedeva anche ne Il principe di
Homburg dove il protagonista alla fine scopre le fiamme fuori dal
bosco delle ragioni.
Anche questa volta Ernesto è un ateo tra cattolici ma è
come se non avesse il bisogno di dimostrarlo, o meglio arriva a
tal punto scontrandosi con i suoi familiari e confermando a se stesso
la propria coerenza. E' sintomatico che venga richiamato da due
dei personaggi che incontra: il cardinale sul suo credo, la zia
sulla retorica della sua protesta. Questi richiami non danno i frutti
del confronto che può dargli solo l'ingenuità dell'infanzia,
ma sono discussioni che Ernesto va cercando per guardarsi attorno
e capire.
Il montaggio libera la vicenda da una cronologia, tutto è
visto dall'ottica di Ernesto, e per questo è non lineare,
gioca con i salti e sfida gli scavalcamenti di campo, rinunciando
comunque alla facilità di un montaggio in asse. Il film è
fatto di intervalli tra sequenze lente montate linearmente e scatti
d'azione dove i corpi riempiono lo spazio al tempo di un gesto,
senza la retorica della narrazione.
In una di queste sequenze dissonanti si avverte la volontà
di chiudere le discussioni univoche: uscendo di casa per raggiungere
il fratello in ospedale, Ernesto spegne velocemente un televisore
(l'unica in campo del film, dato che il telegiornale che seguono
le zie è sentito in fuori campo) dove un uomo con gli occhiali
parla di rivoluzione: un ideale importante per comprendere il cinema
di Marco Bellocchio. Il superamento dunque di quel Discutiamo, discutiamo
di filmografica memoria.
In questo senso L'ora di religione è un film emerso. Un film
che riporta a galla il conflitto interiore con la passione di un
racconto finalmente cinematografico; fuori dalle polemiche dell'agorà
cattolica e profondamente dentro l'occhio di un regista che mostra
e si mostra senza il bisogno di dimostrare.
Autore:
Renato
Chiocca
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