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AA.VV.,
"Psicoanalisi e luoghi della riabilitazione", a cura
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A cura di/Edited by: G. Leo & G. Riefolo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
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Anno/Year: 2013
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"Scrittura e memoria", a cura di R. Bolletti (Editor)
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Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
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AA.VV., Psychoanalysis
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Writings by: J. Altounian, P.
Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P.
Jimenez, O.F. Kernberg, S. Resnik.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
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"Psicoanalisi e luoghi della negazione", a cura di A.
Cusin e G. Leo
Writings by:J.
Altounian, S. Amati Sas, M. e M. Avakian, W. A.
Cusin, N. Janigro, G. Leo, B. E. Litowitz, S. Resnik, A.
Sabatini Scalmati, G. Schneider, M. Šebek,
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Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
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"The Voyage Out" by Virginia
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"Vite soffiate. I vinti della
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Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
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"La Psicoanalisi e i suoi
confini" edited by Giuseppe Leo
Writings by: J.
Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D.
Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik
Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini
ISBN: 978-88-340155-7-5
Anno/Year: 2009
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"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi
Confini"
Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.
Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas,
Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.
Publisher: Schena Editore
ISBN 88-8229-567-2
Price: € 15,00
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Vorrei
confermare la concezione secondo cui invecchiare
sarebbe avere accesso alla verità, mostrando quale rapporto
privilegiato l’invecchiare intrattenga
con la verità. Nella misura in cui, in un contesto
di disastro
sociale, invecchiare è il
farsi carico d’incarnare,
di esprimere con la sola propria presenza
di sopravvissuti una certa verità, la seguente illustrazione
di questa preziosa missione mostrerà come, in effetti, invecchiare può
andare giustamente a costituire la sola possibilità di offrire ai
propri discendenti un incontro assolutamente unico con la verità.
Per
fare solo un esempio, noto in molte famiglie, ricordo qui ciò che si
è potuto comprendere dai
racconti o dai silenzi dei
“valorosi“
soldati della Prima Guerra Mondiale, una volta divenuti nonni, su quello che
avevano vissuto in trincea: un’esperienza che è
andata crudelmente a smentire
le visioni eroiche della
Grande Guerra
idealizzata da tutti i
“Monumenti ai caduti per la patria”.
In
certe situazioni storiche ci sono, in effetti, dei “vecchi ”
da cui dipendono
le generazioni successive
per potere incontrare una verità capace di ringiovanirli
psichicamente a ritroso,
e di
rianimare in loro le idee e
la combattività della giovinezza.
Quando
le catastrofi della storia provocano rotture culturali e territoriali
nella trasmissione transgenerazionale, come si
constata in un gran numero
di testimoni, sono
quasi
sempre i nonni, se sopravvivono,
che, portatori di una tenerezza
straziata e di
culture che
sono state fatte
scomparire, sono detentori, spesso a loro stessa insaputa,
di verità politiche
sovversive.
Essi
diventano
in tal senso degli antenati che, paradossalmente,
“libidinizzano” i propri
discendenti e infondono loro giovinezza, spirito di ribellione e
coscienza politica. Se, per quanto riguarda l’età del corpo, quelli
che vengono chiamati “ i vecchi” perdono una certa autonomia, in
compenso,
riguardo al senso
della loro vita e della loro salute psichica, i
discendenti di quelli che
subirono crimini di massa, lungi dall’essere autonomi, non possono
che strutturarsi secondo
una fedeltà
ai messaggi impliciti o espliciti dei loro “vecchi”,
che li iniziano alla dimensione politica delle condizioni in cui si è
iscritta la loro propria nascita.
Il
mio contributo mi è di fatto stato suggerito da un evento editoriale
dagli effetti politici inaspettati
in un paese fortemente negazionista, vale a dire dalla lettura recente
di due
pubblicazioni recenti, apparse in traduzione
francese nel 2006 e nel 2011, che hanno avuto un forte impatto
in Turchia:
“Il libro di mia nonna” di un'avvocatessa,
Fethiyé çetin,
diventato un best-seller dopo sei edizioni,
e “ Il libro dei nipoti”
della stessa autrice, scritto
insieme a una giovane
antropologa, Ayse Gül
Altinay .
Queste
due autrici presentano testimonianze di donne e uomini del loro paese
che, scoprendo che la loro nonna era armena, hanno
dovuto
accettare
degli
antenati condannati
fino
ad oggi alla clandestinità e che risale,
tra
coloro che erano chiamati
i “convertiti”, a quelle giovani donne
violentate o “maritate a forza” per rimanere in vita.
<<In
turco>>,
scrive Marc Semo in Liberation ,
<<vengono chiamate “resti
di spada”. Si trattava di bambini, o, più
spesso di ragazze o di belle
e giovani donne, scampate
alle deportazioni e alle marce della morte
durante lo sterminio degli Armeni sotto l’impero Ottomano (1915-17) e poi “integrate”
nelle
famiglie turche.
Convertite
all’Islam, sposate legalmente o
rimaste “seconde mogli”, hanno attraversato il secolo in
silenzio, “labbra sigillate” dal dolore e dalla paura di
risuscitare i fantasmi del passato>>.
Laure
Marchard,
la cui recensione di questo
libro per il
"Nouvel
Observateur"
si intitola “Genocidio armeno, un tabù che si sta incrinando”
scrive:
<<I
piccoli bambini armeni,
diventati
turchi a forza, e i
“dönme”,
Armeni che
si sono convertiti all’Islam per sfuggire alla morte, escono
prudentemente dall’ombra e aiutano la Turchia a ritrovare la memoria
>>.
La
lettura di queste due opere sorprendenti ha suscitato in me e in tutti
gli eredi, che vivono tranquillamente ad
es. in Francia, di
questi avi alienati,
qualche domanda per la quale non c’è evidentemente
risposta:
<<Che cos’è, cosa si prova a dovere
la propria vita a uno sterminio mancato, alla
distruzione della vita psichica di una nonna o di una bisnonna, al
furto della sua infanzia e della sua
femminilità, a un bambino che
non ha avuto infanzia?
>>.
Non
si può che essere profondamente turbati dalla constatazione che dei
parti dovuti a uno
stupro, o a “matrimoni imposti a forza", o
alla prostituzione di giovani orfane, abbiano
potuto acquisire,
nell'"après coup" di una discendenza nata
dall’accettazione ad invecchiare malgrado una dolorosa e lunga
alienazione,
la
forza di una eterodossia che perturba oggi un ordine stabilito che
opera il diniego.
Molti discendenti passano la vita cercando disperatamente
di pagare il loro debito impossibile nei
confronti delle
nonne superstiti
che timidamente hanno
accompagnato la loro infanzia, gli uomini essendo
stati sterminati per la
maggior parte. Quel che è certo è che
queste ragazze "maritate
a forza", condannate al silenzio sulle loro origini, in
condizioni di clandestinità e
di
violenza inflitta alla loro vita psichica, alla
loro vita sessuale, si sono trovate
alla fine, paradossalmente, dopo due
generazioni nate dalla
loro servitù, a
costituire
le trasmettitrici
di una verità politica in grado di seminare
la sedizione all'interno di uno Stato negazionista.
Grazie
alla loro
accettazione di invecchiare,
queste nonne indifese sono
state capaci
di proteggere, a loro stessa insaputa,
un potere nascosto,
ignorante di sé,
il germe di una rivelazione sovversiva, che sono
riuscite a trasmettere non solo ai “giovani” della loro famiglia, mistificati dall'inganno di un ambiente falso, ma a
tutti i loro concittadini
che vivono sotto una coltre di silenzio.
L’autrice
de “Il libro di mia nonna,” una attivista dei diritti umani,
deve tutto
sommato la sua vita a una ragazza terrorizzata
che assistette al massacro della sua famiglia prima di essere
rapita da un soldato turco, quando lei aveva appena dieci anni, e la cui
ostinazione a rimanere in vita, nonostante la sua angoscia, poté
tuttavia nascondere una bomba ad effetto ritardato.
“Mia
nonna ha impiegato più di 60 anni per rivelarmi chi essa fosse
veramente e quello che aveva vissuto nel 1915,”scrive Fethiyé çetin,
e, come sottolinea Ursula
Gauthier
nel suo articolo
"Turchia, un genocidio
inconfessato",
ella
stessa ha impiegato trenta
anni per trovare il coraggio di pubblicare la sua storia.
L’espulsione
da parte della vecchia donna
di un tale peso portato per un tempo così
lungo dentro di sé provocò
dunque
inizialmente, nella sua
nipote,
l’immenso shock di
essere
stata abusata da una menzogna
riguardante la sua esistenza, costringendola
poi a
scrivere, per liberarsene, senza
dubbio
con lo stesso ”nodo allo
stomaco “ ()
della nonna, che temeva che
Fethiyè sarebbe stata
in pericolo,
se lei avesse rivelato
questo segreto che avrebbe
costretto i concittadini a confrontarsi con il loro passato.
Questa
prima rivelazione al pubblico, da parte di un avvocato di spicco, di
quanto le
era stato rivelato dalla nonna
”prendendole le mani tra
le sue” e “fissando con uno sguardo lontano un punto del
tappeto”, fece, in effetti,
affluire in
seguito numerose
testimonianze che obbligheranno lei e la sua collega, a raccoglierle
in un libro, questa volta di per
"bambini piccoli".
Queste
sono le storie che stanno
attualmente scuotendo la visione di una identità nazionale purista
che
si basa in Turchia, finora, sulla razza o l’origine
etnica.
Prima
di evocare un altro caso di
figura del potere vitalizzante di queste persone
venerabili, che si sono
adattate a
invecchiare, citerò due tra le innumerevoli testimonianze consegnate,
per lo più in anonimato, di
cui la nonna di Fethiyé,
çetin fu in definitiva, per
il
tramite di sua nipote,
l'agente provocatore.
Una
donna di 45 anni confida
in un'intervista dell’ ottobre 2005 quello che
ha
appreso intorno a sua nonna:
<<Nella mia famiglia tutti sanno ma
nessuno ne parla. Fu mia cugina a parlarmene per la prima volta
chiedendomi: “ Tu lo sapevi di essere armena?” Certamente
no, non lo sapevo (….).
Mi
sono anche chiesta che cosa fosse
riuscita
a sopportare mia
nonna durante questi avvenimenti. Ella
si era
ritrovata sotto la tutela del mio futuro nonno, allora
militare addetto ai
convogli
(…).
Per
aver preso parte alla caccia e alla
deportazione di tante persone, necessariamente
egli deve essere stato consenziente. In più si è servito
del
passaggio... Perché scelse di
portare via mia nonna? Forse era una bella donna? (...)
Da una parte egli le
ha salvato la vita, ma a quale prezzo? Mia nonna avrebbe forse
preferito
morire da
deportata piuttosto che seguire
questo
militare
(...). Ella non ha
mai parlato del suo passato,
degli avvenimenti che segnarono la sua
vita (…). Aveva vissuto in questa casa come se fosse nascosta in una
cantina>>
Un’altra
donna di quaranta anni nel giugno 2005 rievoca alcuni ricordi del
nonno:
<<Mio
nonno
(…)
non ci
ha
mai detto
che era armeno
(...) non aveva più famiglia. Si sa poco su di
lui,
solo che
è stato raccolto
(...). Mio nonno diceva
che non poteva dimenticare gli
orrori di allora:
si ricordava ancora che dopo
l’arrivo dei
militari nel villaggio, un bebè si trascinava gattonando
tra i cadaveri
per raggiungere sua madre morta e allattare
al
seno.>>
Non
solo Seher, la nonna
di Fethiyé Çetin, nascosta sotto
le
sembianze di una contadina
turca dell’ Anatolia, una donna forte, pilastro della
famiglia da tutti amata,
rivela nella sua vecchiaia a sua nipote
che lei è , in
effetti, Heranoush Gadarian, ma
con la sua confessione
liberatoria ella incita
tutti gli altri " nipoti"
a liberarsi di un
tale segreto ghettizzante. Ella ha
dunque
il potere, attraverso
la messa in racconto
di storie simili alle sue che ella
ha indotto, di
condurre
i suoi contemporanei ad
affrancarsi in
qualche modo da un debito verso
la vita tramandato loro a
un costo molto alto. Ella ha
compiuto in
questo modo un
atto di una forza simbolica straordinaria, perché vi
è, come scrive Jean François Lyotard, una stretta relazione tra narrazione, debito e
giudizio:
"Nel
racconto,-scrive il
filosofo- si deve [...] riconoscere [ il debito], onorarlo, rimandarlo.
Nell giudizio, si
deve metterlo in questione, , quindi anche rimandarlo
”.
Le testimonianze dei sopravvissuti armeni che hanno avuto la
possibilità di invecchiare stanno
per fare emergere verità inaudite
nelle istanze di deliberazione
in Turchia.
L’altro
caso che vorrei evocare, per concludere, è
semplicemente il mio, in quanto nipote di
una nonna , anch’essa sopravvissuta, ma non “marrana”, dato
che finì i suoi giorni in un misero alloggio della
"banlieu" parigina,
"libera" tuttavia di
dirmi chi era stata e , implicitamente, quale fedeltà io dovessi
salvaguardare in me.
Si comprenderà che questo mio contributo è
dettato dalle tracce di
quello che ella
ha saputo trasmettere
ed è a partire da questa
figura che
invecchiava che
io ho inconsciamente ricevuto
l’ingiunzione di
tradurre quello che mi veniva
tramandato attraverso
lei e tutti coloro
che sono a lei
simili.
Tutti
i sopravvissuti di tutte le catastrofi del mondo sono, in effetti, per
me parenti della nonna della mia infanzia che, aprendomi alle
emozioni indecifrabili della sopravvivenza, avrebbero aperto
retrospettivamente ("aprés
coup") le pagine del mio primo libro .
Spesso
mi ricordo di quelle piccole vecchie che le facevano visita, i cui
corpi spaventati si rassicuravano quotidianamente di “essere rimaste in vita“ e di avere “quantomeno un
tetto
da qualche parte" e, di avere, grazie ai propri figli,
qualcosa da
mangiare…”.
Il
tono sconfortato delle loro voci sembrava dirmi allora:
”Quando
si è scampati al
massacro della propria famiglia, piccola
mia, non importa
più cosa ci fa piangere!” Questa
rassegnazione necessaria è
stata certo estremamente
opprimente per la ragazzina attenta di allora i cui orizzonti,
oscurati da un tale messaggio, non
si sarebbero certo aperti alla luce del mondo.
Così,
il mio attaccamento all'antico dolore ereditato da loro,
poi
soffocato
dalle esigenze di un adattamento di cui loro stesse mi avevano
mostrato la via, attraverso la
loro sottomissione
al destino, il loro
triste sapere su quello che avevano visto,
hanno dettato sempre le mie letture e le mie domande.
Non
dimenticherò mai quelle visitatrici,
ritornate da un altrove, che camminando a piccoli passi, leggermente
curve, venivano lentamente a sedersi sul meraviglioso divano di mia
nonna i cui dolci e i
piccoli caffè offrivano loro le
vane nostalgie
del loro
Paese.
In
cosa dunque sperava ancora queste vecchia e
venerabile signora, sradicata da luoghi scomparsi,
che ricopriva
di dignità e di merletti la
sua sordida abitazione? Può darsi che in
queste righe,
che
si scrivevano
in omaggio a ciò che ella sapeva nella sua vecchiaia,
mi
trasmetta i suoi sogni.
NOTE DELL'AUTRICE
Cfr. tra
gli altri «Le réveil des Arméniens de
Turquie » de Guillaume Perrier, LE
MONDE du 21.12.2011. http://actualite.portail.free.fr/monde/21-12-2011/le-reveil-des-armeniens-de-turquie/
)
Les Petits-Enfants, op.
cit., pp. 45, 48. La
maggior parte delle persone che hanno testimoniato, hanno voluto
mantenere l’anonimato per sottrarsi alle discriminazioni, ma
anche alle persecuzioni che ancora i ripetono nella Turchia
attuale.
)
Les Petits-Enfants, op. cit., pp. 187, 188.
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