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FEUERSTEIN TRA PIAGET E VYGOTSKIJ    

di Betarice Albini

 

Piaget e Vygotskij vengono spesso presentati come antagonisti, i cui punti di vista si escluderebbero a vicenda. Ma in realtà esistono, tra le posizioni dei due psicologi, elementi comuni di fondamentale importanza, che rappresentano i punti cardinali di quella che potrebbe essere definita la "rivoluzione cognitiva" che ha influito sull'approccio educativo successivo. 

Molti di questi elementi hanno costituito le fondamenta del pensiero di Feuerstein, pilastri da cui lo psicologo e pedagogista israeliano è partito per costruire, a sua volta, una teoria personale che si differenzia da quella dei suoi predecessori ma non ne nega la validità, se non altro storica.

 

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   Tra gli aspetti che accomunano Piaget e Vygotskij, grande rilevanza ha la concezione della mente del bambino come qualcosa di diverso da una semplice “forma ridotta” di quella dell’adulto, una fase iniziale imperfetta, in via di formazione di qualcosa che acquisterà consistenza e struttura solo a maturazione avvenuta. Entrambi ritengono che il pensiero infantile abbia caratteristiche peculiari che lo distinguono da quello dell’adulto, caratteristiche che vanno prese in considerazione nel momento in cui si intende progettare un’attività finalizzata allo sviluppo ottimale dell’individuo. Vygotskij, citando le parole di Piaget, afferma “Il bambino non è un adulto in miniatura e la sua mente non è quella di un adulto in scala ridotta”[1]. Da ciò consegue una più approfondita analisi dei meccanismi che conducono all’apprendimento nonché un adeguamento dell’interazione con il bambino alle sue esigenze in evoluzione.

 

   Un altro aspetto su cui Piaget e Vygotskij concordano riguarda la relazione esistente tra azione e pensiero e dunque l’importanza ricoperta dall’operatività. La psicologia classica riteneva primario il pensiero rispetto all’azione: una persona prima ha un’idea, quindi la mette in pratica; il pensiero a sua volta veniva considerato la semplice rappresentazione della realtà. Piaget dimostrò che il pensiero stesso ha una sua struttura operativa derivante dall’agire. Per esempio, attraverso la manipolazione d’oggetti che porta ad unirli e a separarli, il bambino costituisce quanto, in seguito, sarà interiorizzato come l’operazione mentale del sommare e del sottrarre. In altre parole, la chiave del pensiero non si trova in una qualche forma di pensiero astratto che deve ancora venire ma nell’attività pratica che, interiorizzandosi, si trasforma in operazione mentale.

 

   Su questo punto esiste però anche qualche divergenza di vedute tra Piaget e Vygotskij. La tesi di Piaget potrebbe essere condensata attraverso la formula “dall’azione al pensiero”: ciò comporta che nello sviluppo si susseguano fasi ben precise (“stadi“ di sviluppo che appaiono in un momento ben preciso e in un ordine prestabilito). Prima appare l’azione e solo in seguito il bambino è in grado di utilizzare le parole e individuare delle “formule logiche” in grado di definire ed organizzare il suo agire per arrivare al pensiero simbolico. Per Vygotskij, invece, l’interazione con gli oggetti non è che uno degli aspetti dello sviluppo infantile, aspetto che va inserito in un contesto più ampio di vita sociale e di trasmissione culturale. Egli affronta inoltre il problema dell’organizzazione del pensiero nell’età evolutiva dal punto di vista delle relazioni esistenti tra le diverse funzioni psicologiche e sostiene che funzioni come percezione, memoria, capacità di ragionamento logico non variano in maniera determinante durante l’infanzia: ciò che cambia in modo sostanziale è piuttosto la relazione tra loro esistente. Per esempio, in un bambino piccolo è possibile che il ragionamento assuma un ruolo secondario rispetto alla memoria, progressivamente avverrà il contrario e il ragionamento coprirà il ruolo fondamentale. Anche pensiero e parola sono uniti da una relazione molto forte e dinamica che non solo le condiziona vicendevolmente ma che condiziona e viene condizionata dal funzionamento di tutto il sistema.

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   In Feuerstein, come in Piaget e Vygotskij, sono fondamentali i concetti di centralità dell’individuo (rispetto per la persona come individuo tendente all’azione per il raggiungimento dei propri obiettivi)[2], di esistenza di una organizzazione interna della mente, di operatività, di rapporto tra pensiero ed azione. Feuerstein ha seguito lo psicologo russo sugli aspetti che lo hanno allontanato dall’individualismo insito nel pensiero di Piaget. In particolare, Feuerstein condivide l’importanza attribuita da Vygotskij alla trasmissione culturale, al ruolo  giocato dalla società e dal linguaggio nello sviluppo cognitivo. Questi concetti sono anzi il punto di partenza della sua teoria della mediazione, della modificabilità cognitiva strutturale, dell’ambiente modificante. 

 

   Feuerstein però si distingue per il suo procedere in maniera estremamente pragmatica, non  limitandosi a teorizzare e a fornire suggerimenti operativi ma dando vita ad una serie di strumenti che aiutino a tradurre in pratica queste teorie. Egli non è tanto interessato all’analisi del funzionamento dell’intelligenza in quanto tale, ma all’intelligenza in quanto risorsa umana che può essere arricchita e potenziata. Così indaga su come sia possibile ovviare ai ritardi in campo cognitivo giungendo alla determinazione che la presenza di un buon mediatore, capace di potenziare al massimo le capacità di un soggetto, può ridurre in modo significativo i disagi che ne conseguono.

  

 Le cause del ritardo possono essere:

  • endogene (ereditarietà, fattori genetici, fattori organici), 

  • esogene (livello di maturità, diversità culturale[3]),

  • endo-esogene (stimoli ambientali, status socio-economico[4], livello di educazione, equilibrio emotivo di figli e genitori).

   Feuerstein esplicita le condizioni che permettono la modificazione positiva dell’individuo, favorendo il potenziamento delle capacità mentali e fornisce indicazioni riguardanti l’ambiente in cui operare, l’approccio educativo da instaurare e predisponendo esercitazioni pratiche utili all’individuazione e al superamento di eventuali carenze cognitive.

 



[1] L. Vygotskij, Thought and language. (rev. ed.) MIT Press, Cambridge, MA 1986

[2] La centralità dell’individuo si ritrova anche in altri psicologi e psicanalisti, per esempio Maslow e Rogers

[3] il discorso della trasmissione culturale è per Feuerstein estremamente importante ed egli ritiene che debba essere valorizzata al massimo la cultura di appartenenza come una ricchezza insostituibile soprattutto nel caso di inserimento in ambienti diversi dal proprio.

[4] Non è la condizione di povertà a portare automaticamente a mancanza di mediazione, secondo Feuerstein, ma una ridotta comunicazione tra genitori e figli che può dipendere anche da una delega ad altri del ruolo parentale, frutto a volte di un eccessivo benessere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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