Il Dio di Etty Hillesum
“Con noi, grazie a noi, attraverso di noi Dio vive, Dio diviene, Dio cambia, Dio parla, Dio agisce, Dio
soffre e muore nel mondo”. |
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Da quando i suoi diari e le lettere sono stati pubblicati in Italia, Etty Hillesum non ha smesso di suscitare anche da noi interesse, attenzione, commozione, affetto. Difficile dire in un numero ridotto di parole la grande ricchezza della sua umanità. Il suo pensiero è stato definito un pensiero per il dopo Auschwitz, questione filosofica che include anche l’esplicita domanda quale Dio dopo Auschwitz. Ciò
per cui Etty attira tanti a leggerla e scrivere di lei è proprio la qualità
della sua testimonianza spirituale, progressivamente segnata dal nome e
dall’esperienza interiore di Dio, ma, in una maniera del tutto peculiare, al
di fuori da obbedienze e appartenenze a chiese e sinagoghe -
come è stato giustamente sottolineato – e, ciò che è più raro,
fuori da ogni sorta di
preoccupazione moralistica o virtuosistica. «Si deve avere il coraggio di pronunciare il nome di Dio» Dal Diario alle lettere si percepisce come questo rapporto sia stato un cammino, peraltro non facile, come Etty stessa allude talvolta ; “la ragazza che aveva imparato a pregare”, si autodefinisce Etty in un punto del Diario. Riflettendo dopo un colloquio con
Julius Spier, la relazione
umana e sentimentale più importante della sua vita, Etty aveva scritto,
all’inizio del suo cammino interiore: “Questa frase mi perseguita da
settimane: bisogna osare dire che si
crede. Si deve avere il coraggio di pronunciare il nome di Dio”.
Una domenica sera di più di un anno dopo, parlando del colloquio
con un amico, scrive: “Ci ho messo due sere per potergli confidare
quella cosa così intima, la cosa più intima che ci sia. E volevo tanto
dirgliela, tanto per fargli un regalo. E allora, mi sono inginocchiata in
quella gran brughiera e gli ho detto di Dio” .
Questa progressione di conoscenza e intimità con Dio, di parallela crescita
con lui, viene sottolineata da Klaas Smelik, figlio omonimo dell'uomo cui Etty
volle arrivassero i suoi diari per una possibile pubblicazione, in caso di sua
morte. Smelik fa notare come Dio,
all'inizio dei diari, viene raramente nominato; poi compare sempre di più, finché,
alla fine, i diari sono indirizzati direttamente a Dio,
diventano un parlare con Dio. Quale
Dio invocava Etty Hillesum? Esiste una specifica questione, se Etty fosse più
ebraica o cristiana, e c’è anche chi vuole ricondurre il Dio di Etty ad un
Dio generico, semplice denominazione di una esperienza psicologica personale e
particolare. Per quanto da non osservante, in quanto ebrea Etty apparteneva ad
un precisa tradizione la cui influenza è evidente nella sua spiritualità,
per esempio nella lettura e frequente citazione delle Sacre Scritture, ma più
ancora nella natura “personale” del Dio che le sue parole ci presentano,
un Dio che, come è stato detto, “non è più solo presenza in lei stessa e
negli altri, ma che è diventato per lei una persona autentica, un Dio a
confronto di lei” .
Io credo che sarebbe tradire il messaggio stesso di Etty negare che tutta la
sua forza spirituale è, per quanto in una maniera del tutto peculiare e
“moderna”, nel suo ritrovato
e progressivo rapporto dialogico con un Dio – Persona. «Cercherò
di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me» E’
questo rapporto, fondamento di qualunque vita autenticamente testimoniale,
l’elemento per cui Etty ha allo stesso titolo di figure più famose o di
santi “accreditati” qualcosa da dire ad una religiosità del ventunesimo
secolo, qualcosa di nuovo anche se di antico. Il rapporto interiore e
personale con Dio si fa in Etty fondamento della propria identità,
dell’amore per l’altro e per la vita, nonché della capacità di
discernere il vero senso dei fatti e della storia, ricapitolando
ogni cosa in Dio. Allo stesso tempo la sua esperienza interiore ribadisce, per
chi voglia vederlo, che non esiste antropologia felice all’infuori del
riconoscimento che l’uomo è il tempio di Dio. In
un luogo e momento storico dove tutto diceva la morte dell'uomo e di Dio Etty
Hillesum riscoprì in se stessa la verità dell'uomo come luogo della
sopravvivenza della presenza di Dio; intuì l'intimo legame delle sorti
dell'uno e dell'altro e si dette il compito di custodire, preservare, più che
la propria vita fisica, il proprio nucleo interiore più profondo, nella
convinzione e proclamazione scritta di Dio come il luogo più sacro
dell'umano. In una pagina del diario, Etty si rivolge a Dio dicendo:
“Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me. Siamo
noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L'unica cosa che
possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, è un
piccolo pezzo di te in noi stessi, Dio. Difendere fino all'ultimo la tua casa
in noi”.
Etty dunque – sottolinea Klaas
Smelik - “non immagina Dio come essere onnipotente, secondo l'insegnamento
della tradizione: pensa, al contrario, che sia suo compito aiutare Dio” .
Etty
non percepisce né prega un Dio potente che sarebbe intervenuto, secondo
un'immagine ricorrente nell'Antico Testamento, con
mano potente e braccio teso in difesa e vendetta degli offesi. La
percezione personale che Etty ha di Dio si avvicina piuttosto al Dio debole e
crocifisso della tradizione neotestamentaria, Dio solidale con la condizione
umana fino alla all’impotenza della crocifissione; mutuando un'espressione
coniata da Gabriella Fiori per la poetessa Marie Noel, il Dio di Etty è “il
cupo innocente che permette la
morte”,
un elemento che acquista particolare luce di verità a fronte della diffusa
tendenza religiosa odierna a riformulazioni spiritualistiche della realtà che
‘dimenticano’ di includere la presenza
e la contraddizione del dolore e della morte. «Ho amato tanto la vita…» Eppure colpisce
la costante capacità di Etty di vedere la realtà con cuore trasfigurato, con occhi
profetici, nel senso che ai suoi occhi era evidente una verità diversa
dall’apparenza della realtà, era evidente la non corrispondenza stessa tra realtà e verità. Soprattutto - ed io
credo che questo sia uno dei motivi della grande vitalità del ricordo di Etty
- la verità che Etty vedeva pur nella sua piena partecipazione al dolore e
all’orrore circostante è stata la
bellezza costante e tenacemente soggiacente della vita; la capacità di
vedere questa bellezza, di nominarla e di celebrarla: “Ho una fiducia così
grande: non nel senso che tutto andrà sempre bene nella mia vita esteriore,
ma nel senso che anche quando le cose mi andranno male, io continuerò ad
accettare questa vita come una cosa buona” ;
poiché, continua altrove nel Diario,
“la coscienza del bene che c'è stato nella vita - anche nella mia
vita - non è stata soppiantata da tutte queste altre cose, anzi diventa
sempre più parte di me” ;
“Voglio stare in mezzo ai cosiddetti ‘orrori’ e dire ugualmente che la
vita è bella. E ora eccomi coricata in un angolino con febbre e capogiro, e
non posso far nulla. Poco fa mi sono svegliata con la gola secca, ho afferrato
il bicchiere ed ero così riconoscente per quel sorso d’acqua, ho pensato:
se solo potessi andare in giro fra quelle migliaia di uomini ammassati laggiù
e offrire un sorso d’acqua ad alcuni di loro”
.
Ancora, da
Westerbork Etty scrisse: “La miseria che c'è qui è veramente terribile;
eppure, alla sera tardi, quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi
capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal
mio cuore si innalza sempre una voce - non ci posso fare
niente, è così, è di una forza elementare - e questa voce dice: la
vita è una cosa splendida. Ho amato tanto la vita quando ero seduta alla mia
scrivania ed ero circondata dai miei scrittori, dai miei poeti, dai miei
fiori. E là, tra le baracche popolate di uomini scacciati e perseguitati, ho
trovato la conferma di questo amore”.
“Abbiamo ancora così tanto da fare con noi stessi…” E’ qui che il
Dio di Etty Hillesum prende chiaramente i connotati del Dio della
Resurrezione: Dio della vita più forte della morte, continuamente risorgente
sulla morte. La riprova dell’autenticità di questa relazione con Dio sta
nell’atteggiamento di Etty verso gli altri, anche verso il nemico: “Se
anche non rimanesse che un solo tedesco decente – si legge nel Diario –
quest’unico tedesco meriterebbe di essere difeso, e grazie a lui non si
avrebbe il diritto di riversare il proprio odio su un popolo intero” ;
e, rivolgendosi ad un amico: “Volevo dirti solo questo: abbiamo ancora così
tanto da fare con noi stessi, che non dovremo neppure arrivare al punto di
odiare i nostri cosiddetti nemici. Siamo ancora abbastanza nemici fra noi” .
Non si tratta di
un buonismo ingenuo, ma di una convinzione profonda e anche sofferta: in una
lettera, Etty, ripensando al volto degli aguzzini che al mattino avevano
caricato il treno per Auschwitz, scrisse, forse anche con lieve ironia: “Mi
sono trovata nei guai con la Parola che è il tema fondamentale della mia
vita: "E Dio creò l'uomo a sua immagine. Questa Parola ha vissuto con me
una mattina difficile” . Karel J. Hahn
trova presente in Etty una “teologia della sofferenza [che] avvicina il suo
pensiero al cristianesimo” ,
ma a mio parere più di tutto l’amore
al nemico che Etty testimonia ‘tradisce’ una inconsapevole identità
cristica del Dio che l’accompagnava. “Ho spezzato il mio corpo come fosse
pane – leggiamo alla fine del Diario - e l’ho distribuito agli uomini.
Perché no? Erano così affamati, e da tanto tempo” . Ripensando a un
episodio del caos della deportazione, in cui un uomo aveva scelto
spontaneamente di salire sul treno per Auschwitz ribadendo nonostante tutto il
proprio diritto alla "libertà di partire quando piaceva a lui",
Etty scrisse: "[Quell'episodio] mi ha fatto pensare a quel giudice romano
che aveva detto a un martire: "Sai che io ho il potere di ucciderti?", al che il martire aveva risposto:
"Ma sai che io ho il potere di
essere ucciso?"
(come non pensare all'episodio evangelico di Gesù e Pilato, in Gv 19, 10-11,
in cui, poco prima, c'è anche la famosa e significativa affermazione di
Pilato di fronte ad un Cristo-uomo abbattuto e sanguinante: "Che cos'è
la verità?"). Nella tradizione
mistica ebraica esiste il concetto della “sostituzione” .
La sostituzione è un essere, un porsi consapevolmente, con la propria
coscienza, al posto di un altro; la
sostituzione fa sì che in un altro – colui che si sostituisce a me - avviene il mio
compimento, anche senza che io lo sappia. Pertanto la “sostituzione” è
una forma di partecipazione, di estrema solidarietà, alla vita di un altro,
di più altri .
Nel romanzo di
André Schwartz-Bart L'ultimo dei giusti
,
è narrata la storia della famiglia Levy, che ad ogni generazione dà alla
luce un giusto (l'ultimo muore
proprio ad Auschwitz): costui è colui che, ad ogni generazione appunto,
prende su di sé la sofferenza, sale al cielo, la depone ai piedi del Signore
e ottiene il perdono e la perpetuazione del mondo
nonostante tutti i peccati. Questa figura, che si riconnette al giusto
sofferente descritto dal profeta Isaia nell’Antico Testamento e poi a Gesù
Cristo nel Nuovo, è “il cuore moltiplicato del mondo, in cui si versano i
nostri dolori, come un ricettacolo” . Etty è stata
forse un po’ quel cuore moltiplicato
del mondo. Rivolgendosi a Dio, scrisse un giorno: “Ti sono così
riconoscente perché hai scelto proprio il mio cuore, di questi tempi, per
fargli sopportare tutto quanto”; “Il mio cuore è una chiusa che ogni
volta arresta un flusso ininterrotto di dolore” .
Etty Hillesum fu definita dai suoi amici e compagni di prigionia il cuore
pensante del lager. Lei stessa esprime più volte, nei suoi scritti, il
desiderio di essere “l'anima” nuovamente vivente di una realtà dove la
morte esistenziale precedeva di gran lunga quella fisica ;
Anche per Edith Stein si può parlare di un “misticismo della
sostituzione”: in singolare sintonia con l’esperienza di Etty, la Stein
“dal silenzio del Carmelo al silenzio della deportazione ci indica la
strada della sostituzione: al posto dell'accusa dell’altro, c’è il
sostituirsi all'altro e il far sì che tutto quello che all'altro manca gli
arrivi da me” .
L’amore per la
vita che si vede e che stupisce in Etty non è facile ottimismo, né una
semplice e felice caratteristica psicologica. Il punto di partenza di Etty è
quello di una donna fragile, inquieta, instabile affettivamente. Depressione, paura
e repulsione marcano l'umanità di questa donna all’inizio della sua
autotestimonianza. In ascolto di se stessa, Etty si fortifica sempre più in benevolenza
e fiducia verso la vita mentre all'esterno la situazione storica precipita
in orrore, così che verso il termine del suo itinerario interiore, quella
vitalità inquieta e sofferente si è come illuminata e pacificata, saldata
attorno ad un ancoraggio interiore. Il
suo itinerario si dipana lungo una serrata volontà di analisi e di
chiarificazione del proprio cuore. K. Hahn sottolinea che è una soggettività
che “si articola nel modo in cui lei vuol fare esperienza di Dio, cioè
prima dentro di sé, nella sua interiorità, e poi all'esterno, verso la
gente, verso tutta la gente” .
Per indicare questo processo, Etty usa una parola olandese (hineinhorchen),
la cui migliore traduzione è “ascoltarsi dentro”, “ascoltare se
stessi”: “In fondo – scrive Etty -
la mia vita è un ininterrotto ascoltare me stessa, gli altri, Dio. E
quando dico che ascolto dentro, in realtà è Dio che ascolta dentro di me. La
parte più essenziale e profonda di me che ascolta la parte più essenziale e
profonda dell'altro. Dio a Dio”. “Dentro di me c’è una sorgente” Questa
identificazione essenziale dell’umanità come rapportata a Dio è il
messaggio profetico di Etty, il suo far presente con la propria vita una verità
altra e proveniente da altrove.
Sulla scia di una lunga schiera di testimoni di Dio - K.
Hahn sottolinea la predilezione che Etty aveva per Sant'Agostino
–
Etty testimonia la propria profondità umana come abitata da Dio: “La parte
più profonda di me, in cui riposo, la chiamo Dio” .
E altrove. “Dentro di me c’è una sorgente molto profonda, e in quella
sorgente c’è Dio. A volte riesco a raggiungerla, più sovente essa è
coperta di pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna
dissotterrarlo di nuovo” . Quella di Etty
dunque più che la testimonianza di una fede è testimonianza di una
relazione, un altro elemento importante per una religiosità che, sempre
secondo una tendenza odierna, si perde nell’astrattezza di facili formule di
benessere psicologico. Il carattere personale dell’identità di Dio
consegnatoci dalla Tradizione, coniugato con la dimensione incarnata, è
peraltro un elemento particolarmente ripreso dal pensiero femminile che negli
ultimi trent’anni si è espresso anche in teologia oltreché in filosofia;
la dimensione incarnata appare come modalità privilegiata del rapporto
femminile con Dio. Particolarmente vicine all'esperienza di Etty appaiono le
parole di C. Heyward riportate in un recente saggio di L. Irigaray
:
“Nella relazione con Dio, Dio è commosso dall'umanità e dalla creazione.
Con noi, grazie a noi, attraverso di noi Dio vive, Dio diviene, Dio cambia,
Dio parla, Dio agisce, Dio soffre e muore nel mondo” .
Nello stesso saggio anche A. Zarri, parlando di una cultura alternativa (alla cultura "bancaria" del
misurabile e dell'efficiente) – cultura alternativa veicolata dal femminile
-, esprime qualcosa di molto vicino alla testimonianza vissuta di Etty:
“L'uomo del modello antropologico prevalente
ha ben scarse capacità contemplative; la preghiera, questo modo di
essere, di vivere e di venire vissuti dal Dio che abita in noi,
quest'attitudine di gratuità, di ascolto, di concavo silenzio, gli è assai
difficile” . Era
una mistica, Etty Hillesum? Secondo Karel J. Hahn quello che troviamo in Etty
sono “tracce e segnali” che indicano che le sue scoperte interiori si
riferiscono a un'esperienza di tipo mistico; è perciò giusto parlare, nel
suo caso, di un autentico misticismo
o pre - misticismo .
La sua ricerca, come nella tradizione mistica, si svolge allo stesso modo di
una preghiera, nella solitudine totale. Nella “cella” della preghiera –
scrive Karel Hahn - nel
raccoglimento in se stessa, Etty giunge ad una consapevolezza dell'umanità, e
ci lascia questo messaggio prezioso, di non perdere mai il legame che ci
unisce a tutti gli altri uomini . Mistica del vuoto, del nulla,
della “vacancy”, mistica secondo
una theologie de l'absence, secondo
l'espressione di Danielle Rops per indicare quelle situazioni in cui
l'esperienza di Dio nasce da situazioni - limite di isolamento e vuoto, in
cui, meglio, lo stato di pressione psicologica e di isolamento comunicativo
possono condurre alla solitudine totale o all'incontro con Dio .
Etty stessa aveva scritto qualcosa in proposito: “Il misticismo deve
fondarsi su un'onestà cristallina - dice - quindi prima bisogna aver ridotto
le cose alla loro nuda realtà” .
Rispondendo tra i
primi alla questione se Etty Hillesum
fosse una mistica, J.G. Gaarlandt ha sottolineato il “carattere
attivo” del misticismo di Etty: “Il suo Dio può apparirci in piena
consonanza con la sua capacità di vedere la verità, di sopportarla e di
trovarvi consolazione” .
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