Linee programmatiche di attività - Responsabile: Stefano Piacenti

E' noto che gli artisti (nel senso più lato possibile, comprendendo nella dicitura anche coloro che artisti non sono come i letterati, i poeti, gli uomini di teatro, i musicisti), secondo un'idea folcloristica piuttosto diffusa, non dovrebbero fare politica. Di conseguenza, nemmeno "storia".

E' un'idea talmente bislacca, che viene continuamente alimentata tra i popoli proprio da coloro che, furbescamente, usano in continuazione le arti a proprio sostegno e giustificazione: il Potere e la Rivoluzione.

E' altresì vero che il mito dell'artista isolato, staccato dalle cose terrene - mito romantico quanti mai - o, al contrario, promèteico superuomo (comunque distinto, quindi dalle masse), apportatore del fuoco del sapere e della civiltà agli uomini immersi nelle tenebre, è proprio quello che ha portato alla configurazione (decadente) dell'artista moderno, chiuso nel suo "studio" (luogo profondamente antitetico a quello della bottega rinascimentale o del cantiere medievale), meditabondo eremita delle sorti umane, solitario esploratore di "nuovi linguaggi". Che il pittore, il drammaturgo, il musicista, lo scultore e tutti coloro che , in un modo o nell'altro si professano "artisti" o, comunque, operatore delle arti, non solo rappresentino e riflettano le loro epoche e le loro società nelle loro opere e nel loro privato, ma che, al pari di tutti gli altri uomini, contribuiscano essi stessi a fare la storia, è lezione ormai accettata al punto da rendere quasi inutili queste premesse.

Tuttavia, diffuse concezioni tra gli storici dell'arte in modo particolare e, più generalmente, tra coloro preposti alla ricognizione storico-artistica, portano sempre più - nonostante le voci contrarie che direbbero questo discorso vecchio e fuori moda - all'analisi del "segno", della "parola", svincolando questi strumenti espressivi da più vasti contesti storico-politico e socio-culturali. Quando questo non avviene, quasi sempre è per far sì che un artista "simpatico" possa rientrare (il più delle volte tirandovi proverbialmente dentro il malcapitato per i capelli) in una ideologia "simpatica", o, al contrario, per condannare all'infamia gli antipatici e i poco graditi.

Ciò rende il nostro punto di vista tutt'altro che obsoleto.

Una recente mostra di pittura, intitolata alle bandiere politiche di moda, ha raccolto la migliore "intellighenzia" artistica di regime per rivitalizzare e ridare colore alle moribonde ideologie dominanti. Non ci scandalizzeremo per questo. Da sempre l'artista, in modo anche ingenuo o in completa adesione, non solo per malizia e opportunismo, ha dimostrato la sua totale dipendenza dalla propria epoca e dai suoi regimi, a volte annunciandoli profeticamente o rivoluzionariamente, a volte soggiacendovi per profondo convincimento o per piaggeria. A volte per contestarli ed opporvisi, pagando la propria indipendenza fin con la morte o una vita di miseria. Delacroix, David, Majakovsky, Cherubini, Verdi, Bulgakov, Pirandello, lo stesso Shakespeare, stanno lì a confermarci quanto detto.

Una cosa è certa: fare arte è fare politica, è stare nella storia. Se l'uomo è, aristotelicamente, animale socio-politico, l'artista, in quanto uomo, non è fuori da questa definizione. In più secondo il recente intervento dal Santo Padre sul problema dell'arte e degli artisti, l'artifex, in quanto uomo, è anch'egli immagine di Dio e , nella fattispecie, immagine del Dio Creatore, con la condivisione della responsabilità di contribuire a rinnovare continuamente la Creazione stando "nel" mondo e "non fuori" di esso. Senza voler fare della teologia della storia, si può affermare che l'artista contribuisce a pieno titolo a fare la storia essendone, al contempo, il più vivo testimone e interprete, avvertendone altresì le valenze extramondane e trascendentali. Tra le arti, poi, la più viva - per ragioni che potranno essere dibattute altrove - è senz'altro il teatro, riproducendo esso non singoli momenti dell'agire o del sentire umano, ma essendo mimesi di un'intera azione umana, nel suo svolgersi temporale e spaziale. Il ritratto dell'uomo che esce dalla scena è a tutto tondo, non cogliendone soltanto l'immagine - esterna o interiore - ma immergendo questa nel tempo (della rappresentazione) e nello spazio (scenico), chiare e inequivocabili metafore della storia e di suoi "teatri".

Studiare o fare arte o teatro può, quindi, essere un valido apporto al lavoro di Identità Europea, nel momento in cui il lavoro su queste materie va a stringersi in modo più pregnante sui rapporti con la storia e i suoi problemi. E' questo un aspetto poco dibattuto tra le aule delle accademie o dei conservatori e può senz'altro essere un contributo di originalità. Specialmente nel teatro o nel cinema, per i quali molti autori hanno sempre attinto a soggetti, storici o leggendari che fossero, in cui vicende reali non hanno fatto solo da mero sfondo narrativo o da supporto epocale, ma al contrario, sono state il vero banco di prova per "messaggi2 non sempre in linea con la realtà dei fatti narrati, bensì con programmi ideologici tutt'altro che innocenti e distaccati. Le intenzioni operative di questo Ufficio sono quelle di organizzare spettacoli, mostre, concerti dalle forti tematiche storiche da dibattere in conferenze soprattutto divulgative o rosi di "scuole d'arte" dal taglio decisamente poco "ortodosso" rispetto all'insegnamento statale. Inoltre, col sostegno degl'infaticabili soci del "Cerchio", pubblicare saggi e opere originali sull'argomento.

Il responsabile Stefano Piacenti

 


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