Economia e lavoro come dovere sociale
La sfera di interesse della produzione e distribuzione delle risorse
atte a soddisfare le esigenze degli uomini e delle collettività, è
appannaggio dell'economia; ambito culturale di studio e ricerca delle migliori
soluzioni dei problemi. Ogni individuo riteniamo abbia tre fondamentali
esigenze: il proprio sostentamento, avere una vita strutturata (un minimo
di sicurezza), sentirsi partecipe della vita sociale dando significato alla
propria esistenza. Una società sana, quindi, deve generare un senso di appartenenza
alla Comunità nella quale vive, e dal momento che l'uomo è
fisiologicamente un animale sociale, la sua parte attiva all'interno di
una comunità la manifesta con il proprio lavoro. Che questo si configuri
come "labor" (lavoro penoso ed oppressivo), o "opus"
(operare, lavoro creativo, ingegnoso) o "otium" (attività
orientata verso la meditazione creatrice) poco importa ma il lavoro
è l'unico titolo legittimo di dominio su qualsiasi mezzo di produzione
e di scambio. "Solo il lavoro è padrone della sostanza
resa massimamente fruttuosa e massimamente profittevole all'economia generale".
Il lavoro è , perciò, un valore: dare valore al proprio lavoro, comporterà
attribuire senso alla propria esistenza. Di contro, la società del non-lavoro
è una società priva di senso. Fine ultimo dell'economia, quindi,
non può che essere la partecipazione alla produzione della ricchezza di
tutti coloro che sono in grado di dare un contributo con il proprio lavoro.
Economia di mercato
Non riteniamo che lo scopo del lavoro sia il denaro: non si lavora solo
per guadagnare, né si guadagna per occupare il tempo libero. Tempo libero
vissuto come area di realizzazione individuale in contrapposizione ad un
lavoro ritenuto alienante che trova compensazione nei consumi. Si induce
a massimizzare il denaro per massimizzare i consumi, con il minor lavoro
possibile e senza limiti di accrescimento della ricchezza. Posto tale fine
ultimo "lecito" e divenendo sempre più sofisticate le attività
tendenti ad accelerare il percorso verso la ricchezza, vanno sempre più
sbiadendo, nel quotidiano, i contorni dell'"illecito" (si pensi
ai miraggi del gioco, alla perdita di etica nel lavoro, all'utilizzo di
minori nelle fabbriche, all'inquinamento, ecc.)
Non riteniamo, altresì, che il lavoro rappresenti la misura reale del
valore scambiabile di ogni merce. Secondo tale assioma chi non
è inserito in un processo produttivo nel quale non gli viene riconosciuto
un compenso, non vale nulla (ad es. le casalinghe). Alle attività non lucrative
viene riconosciuto un ruolo solo e soltanto in quanto sostitutive di una
onerosa attività dello Stato (Welfare) che si vorrebbe marginalizzare, mentre
le associazioni culturali sono vissute a livello hobbystico (consumistico)
quando non utilitaristico per l'organizzazione del consenso politico, sempre
meno rappresentativo (apprendistato alla politica politicante).
I Sistemi economici reali sembrano decretare il trionfo del capitalismo.
Dimostrando una capacità produttiva sempre più elevata a minor impiego di
risorse anche umane, evidenziano un divario ricco/povero sempre più accentuato,
per il progressivo decadimento verso il basso dei ceti intermedi, una ricchezza
sempre meno reale (da plusvalore) e sempre più finanziaria, che si autoalimenta
(far crescere il denaro con il denaro).
I paesi del socialismo reale hanno tentato dl rappresentare, storicamente,
una alternativa al capitalismo ma operando per il raggiungimento del medesimo
fine (lo sviluppo quantitativo) contrapponendosi solo negli aspetti di percorso,
hanno finito per arrendersi alla ragione del più forte. Anche la Dottrina
sociale della Chiesa ha cercato, e vi è riuscita, ad attenuare
i meccanismi esasperati del libero mercato, soprattutto nella parte delle
condizioni di lavoro e nella ridistribuzione della ricchezza, lasciando
però inalterato l'elemento dualistico privatistico di domanda ed offerta
dei fattori della produzione (capitale, lavoro, impresa).
Mentre per i liberisti il mercato, che per loro rappresenta la migliore
Istituzione finora emersa nel panorama storico ai fini della produzione
della ricchezza, ha subito distorsioni gravissime a causa dei continui interventi
pubblici, per gli statalisti proprio le ingiustizie derivanti da tale ordine
economico hanno imposto un intervento sempre maggiore da parte dello Stato
per mitigarne gli effetti perversi. In periodi di crisi gli interventi sono
stati addirittura richiesti anche dai fautori del libero scambio.
Il difetto principale degli interventi dello Stato nell'economia
è stato quello di aver soppiantato una solidarietà organica basata
sul mutuo soccorso liberamente voluto ed accettato con una solidarietà meccanica
derivante da un prelievo fiscale difficilmente equo, per una redistribuzione
altamente costosa e poco efficace. La difficile equità dell'imposizione
in proporzione al reddito, data dall'elusione e dall'internazionalizzazione
delle rendite, si riflette in un aumento dell'imposizione indiretta che
va a colpire, essenzialmente, i consumi: l'elemento a più larga partecipazione
ed a minore proporzionalità sul reddito.
L'intervento pubblico doveva rappresentare lo zenit tra etica sociale
ed equilibrio economico, l'avanguardia di riferimento, il principio
dl sussidiarietà basato sulla condivisione dei risultati e non dei comportamenti.
Il privato è chiamato ad offrire la stessa ottima merce o servizio
del pubblico, con altri mezzi: il profitto è legittimo ma non
a scapito della qualità complessiva (utilizzo di lavoro minorile, lavoro
nero, evasione fiscale, inquinamento ambientale, disoccupazione, ecc.).
L'economia di mercato vuole relegare l'intervento pubblico alla soddisfazione
dei bisogni degli emarginati che, nonostante le buone intenzioni,
è un aggregato che va sempre più dilatandosi richiedendo sempre maggiori
risorse che, di conseguenza, gravano sui produttori in percentuale crescente.
La burocrazia, poi, aumenta i disagi.
Le società moderne, avendo notevolmente segmentato i produttori di beni
sul mercato ed il consumismo fatto divenire molti beni "bisogni",
hanno reso impossibile la produzione diretta per il consumo da parte del
singolo o della micro-comunità famiglia: ovunque si realizza un divorzio
tra produttore e consumatore il mercato si sviluppa ma più le distanze si
riducono più si riduce e viene messa in discussione la funzione, il ruolo
ed il potere del mercato.
Più l'individuo ha bisogno del mercato più perde la propria indipendenza
e libertà, diventa egoista, individualista, insicuro e ansioso: il libero
mercato non deve essere soppresso, solo ridimensionato!
Lavoro collaborativo all'impresa
Dobbiamo riconoscere che la quantità di lavoro necessaria per la
riproduzione della società decresce continuamente; lo sviluppo tecnologico
ed informatico sembra aver avuto come principale obiettivo quello di estraniare
progressivamente l'uomo dal processo produttivo, Le accelerazioni verificatesi
in tale sviluppo non sono andate di pari passo alla creazione di nuove occupazioni:
dal primario al secondario, dal secondario al terziario, dal terziario al
terziario avanzato, poi da quest'ultimo al secondario, infine l'espulsione,
con la disoccupazione. Questa, purtroppo, può avere dimensioni più o meno
ampie, non è senza dubbio un fatto congiunturale, di periodo,
ma è strutturale alle moderne economie di mercato. Si può obiettare
che questo è il prezzo da pagare per il raggiungimento di altri
importanti obiettivi di lungo periodo, fatto sta che per chi la subisce
è una situazione degradante ed avvilente e foriera di tensioni
sociali: se poi arriva a dimensioni ampie, come si registra attualmente
in Europa, e di lungo periodo, diventa deleteria per la coesione sociale
e per l'integrazione economica.
Il dibattito economico che negli anni '30 si incentrò sulla Grande Depressione
e le politiche keynesiane di intervento pubblico, che negli anni '70
aveva come oggetto principale la sconfitta dell'inflazione, questa sì di
natura congiunturale legata allo shock petrolifero del 1973, vede attualmente
gli economisti impegnati nella produzione di ricette miracolistiche tendenti
a ridurre (non ad eliminare) la disoccupazione (vedi il Manifesto contro
la disoccupazione nell'Unione Europea, che porta la firma iniziale di Franco
Modigliani). Quando si vuole incidere sulla struttura bisogna rivedere le
fondamenta. I rapporti di lavoro, per quanto avanti detto, appartengono
alla sfera pubblica, del sociale, così come l'impresa non ha solo doveri
di profitto, ma ha doveri anche verso la comunità nella quale opera e che
in essa opera.
Il lavoro non si identifica nel "posto" ma nella "prestazione"
finalizzata all'interesse produttivo dell'impresa. Il rapporto di lavoro
non e più una obbligazione dl comportamento, un libero scambio di diritti
e di doveri, ma una prestazione di risultato regolata da un rapporto di
collaborazione anche subordinata: un "costruire in accordo" nel
rispetto dei ruoli. La fabbrica non potrà più essere terreno di "scontro":
l'economia generale non se lo può permettere, ed allo stesso tempo il "collaboratore"
non potrà rimanere estraneo alla attività produttiva e decisionale. La remunerazione
del rapporto di lavoro con un salario o un compenso non estingue il dovere-diritto
quando è messa in discussione la continuità del rapporto e
dell'impresa.
Questa deve tendere a non produrre disoccupati e a non scaricare sulla
collettività i propri errori o manchevolezze, ma deve ricercare
al proprio interno le adeguate soluzioni, con il contributo della comunità.
è spregevole assistere all'ingrasso dei dividendi grazie al contributi
pubblici e ricorrere alla Cassa Integrazione Guadagni alle prime perturbazioni.
Il tempo di lavoro (le "35 ore settimanali") è un
falso problema: l'attenzione dei lavoratori si è spostata sulla
continuità dell'impresa, sul reddito finale, sulla partecipazione al capitale
di rischio ed alle scelte strategiche, all'impresa come destino. I lavoratori
non ambiscono a lavorare di meno, con riduzione di reddito, ambiscono, semmai,
a guadagnare di più per accrescere il proprio "status", la propria
sicurezza sociale, ed anche i propri consumi. è nella concezione liberale
e marxiana che il lavoro viene considerato un "impiego" e di conseguenza
tutto il dibattito verte intorno al concetto di "posto": solo
il lavoratore dipendente ha dignità sociale, mentre l'autonomo o l'imprenditore
è orientato a massimizzare il profitto.
I rapporti di forza tra lavoratori dipendenti ed aziende, intermediati
dai sindacati, hanno visto storicamente la prevalenza quando degli uni
(sicurezze, assistenze, Statuto dei diritti) quando degli altri (retribuzioni
al minimo di sopravvivenza e riproduzione, ambienti di lavoro degradati,
ritmi defatiganti, licenziamenti selvaggi) perciò dopo i fatidici anni di
"lotta" ora siamo agli anni della "flessibilità".
I sistemi previdenziali a ripartizione (prestazioni pensionistiche
erogate con i contributi dei lavoratori attivi) hanno un'alta valenza solidaristica
e socializzante ma trovano i propri limiti quando si crea squilibrio nel
rapporto pensionati/lavoratori. La distruzione in atto di tale sistema,
soppiantato da quello a capitalizzazione (a ognuno secondo i propri contributi),
ha creato e creerà sempre più incertezza e tensione sociale ed allargherà
la massa degli emarginati. Lo Stato-Comunità sta rinunciando ad un'altra
sua prerogativa per affidarsi ad una sorta di Assicurazione privata;
è l'attuazione del principio dl sussidiarietà senza garanzia del
servizio "pubblico".
Identità Europea
Le associazioni finalizzate a FARE CULTURA, come Identità Europea, non hanno
né il fine né l'ambizione di avere risposte per tutto: possono essere
enciclopediche ma non aspirano al governo del mondo. Devono solo
fertilizzare il contesto nel quale operano per far attecchire le Idee che
promuovono.
L'Ufficio Economia e Cultura di Identità Europea vuole entrare nel
dibattito contemporaneo con un approccio né LIBERALE né MARXISTA, estraneo
al PENSIERO UNICO imperante e politicamente corretto, senza guerre di religione
ma con l'atteggiamento critico di chi vuole "convivere nella diversità"
alimentando un laboratorio di idee, di tollerante libero dibattito nel contesto
geografico di riferimento: l'Europa Identitaria.
Analisi e prospettive di lavoro
Nel tempo si è potuto parlare di civilizzazione di un popolo non
solo con riferimento alla cura del proprio ambiente ed alle condizioni dell'habitat,
ma anche quando, a poco a poco, il tasso di conflittualità interna si è
ridotto al livello idoneo a far convivere al meglio un significativo numero
di persone.
Usi, consuetudini, riti, organizzazione sociale, economica, politica, legale
e religiosa assurgono, in questo caso, al rango di valori accettati e condivisi:
una sorta di codice normativo interiorizzato. Il comportamento umano del
gruppo, di fronte alle problematiche quotidiane di vita materiale e spirituale,
ed il suo svilupparsi nel tempo, configurano i lineamenti culturali di una
civiltà: un processo per sedimentazione ed arricchimento che, integrato
dalla memoria storica, costruisce la identità di una comunità umana
E' indubbio che maggiori sono i valori condivisi dal maggior numero di conviventi,
maggiore è la coesione all'interno del Gruppo. Il comportamento umano,
però, è dettato principalmente dalle idee astratte della mente, cio è
dalla sua produzione culturale. Quando è molto vivace, vi è dibattito
e coesione nella tolleranza delle "diversità", nel momento in
cui questa produzione perde di fermento innovativo, di ricerca di perfezionamento,
di stimolo al miglioramento, molto spesso più per opportunismo che per coercizione,
vi è un tasso di turbolenza interna al Gruppo molto contenuto ma si è innescato
un processo di omologazione diffuso.
I valori condivisi, molto spesso, sono di bassa utilità materiale, quelli
a più diffuso e rapido attecchimento. Vi è scarsa tolleranza e le "diversità"
sono messe all'indice, in quanto nemiche dello "status quo"
Attualmente stiamo assistendo all'indiscusso successo del fenomeno di
omologazione ed appiattimento culturale ai valori economicistici, utilitaristici,
individualistici. Lo Stato ed i corpi sociali intermedi sono vissuti
come istituzioni di gestione interfacciate sui singoli individui, secondo
un rapporto dualistico diritti-doveri. Vi è una spasmodica ricerca di definizione
dei diritti (delle donne, dei bambini, del malato, dei lavoratori dipendenti,
degli utenti, degli animali, delle patate, ecc.) contro il solo dovere di
ubbidienza alle Leggi, con una produzione sovrabbondante di queste ultime
nel tentativo di voler regolamentare quanti più aspetti possibili della
vita quotidiana. Si pur fare tutto ciò che non è espressamente vietato
Sacrificata l'etica allo scopo "lecito" della vita nella massimizzazione
del denaro per la massimizzazione dei consumi, con il minor lavoro possibile
e senza limiti di accrescimento della ricchezza, si ricerca la massima sofisticazione
nelle attività tendenti ad accelerare il percorso verso la ricchezza stessa,
andando sempre più sbiadendo, nel quotidiano, i contorni dell'illecito"
(si pensi ai miraggi del gioco, alla perdita di etica nel lavoro, all'utilizzo
di minori nelle fabbriche, all'inquinamento, alla depenalizzazione dei reati,
al giustificazionismo ricorrente). Con l'illusione della felicità con la
democrazia, si tende a voler regolamentare tutto dall'alto di una rappresentanza
sempre meno rappresentativa: si pensa ad ipotesi di governo mondialista
(si è parlato di "ulivo" mondiale"), di regolamentazione
internazionale dei mercati degli scambi mercantili e finanziari (il GATT,
L'Unione Europea e la moneta unica, il mercato unico del NAFTA tra Canada,
USA, Messico e del progetto di fare del dollaro la moneta unica del continente
americano).
La complessità dei fenomeni si dilata e la soluzione dei problemi viene
ricercata in contesti sempre più grandi: si tenta di diluire il problema
giunto a frutto, anziché risolverlo in embrione alla radice, col massimo
comune denominatore del denaro: tutto ha un prezzo! Si va verso il
Turbocapitalismo, una realtà di accelerazione ove tutto è prodotto
in eccedenza ed in fretta, ove si moltiplica la ricchezza del PIL ma non
quella dei redditi medi, ove assistiamo alla destabilizzazione delle famiglie,
delle regioni, degli Stati con conseguenze sociali estreme.
I mercati sono a-morali, per questo sono intrinsecamente instabili.
Di conseguenza imporre la disciplina di mercato significa imporre l'instabilità:
ma fino a che punto la società è in grado di sopportare l'instabilità? Una
regolamentazione internazionale ai mercati finanziari globali, per esempio,
presta il fianco ad una facile elusione (i paradisi fiscali), lasciare a
ciascun Paese il compito di proteggere i propri interessi come pur, porterebbe
inevitabilmente al collasso del gigantesco sistema circolatorio. Gli Stati
sovrani fanno da valvola soprattutto contro il deflusso dei capitali ma
non si oppongono affatto all'afflusso (che penalizza altri Stati)
La disoccupazione o è elevata, ed ha un alto costo che grava sulla finanza
pubblica, o è modesta per chi, in assenza di ammortizzatori sociali
gli addetti tendono ad accettare mansioni inferiori al proprio livello professionale,
con retribuzione in proporzione. La mortificazione psicologica di tale situazione
comporta depressioni, suicidi, violenze, ecc. La divaricazione tra gli strati
abbienti ed i meno abbienti della popolazione tende ad allargarsi, per far
raggiungere in prospettiva la soglia minima di sussistenza e riproduzione:
un ritorno al capitalismo primitivo. Quel solco che esisteva ai primordi
dell'industrializzazione tra possessori di capitale e prestatori di lavoro,
che nei secoli si era andato via via colmando anche per l'azione calmieratrice
esercitata dall'assistenza e dall'intervento socializzatore dello Stato,
è stato via via riscavato per l'abbandono delle politiche sociali da parte
dei Paesi europei che non avevano MAI culturalmente abbracciato in pieno
il puritanesimo capitalistico d'oltreoceano
Il sistema capitalistico, all'apice del proprio successo sul sistema collettivistico
deflagrato, viene assunto a modello di riferimento da quei Paesi a basso
profilo economico mentre nei Paesi cosiddetti "sviluppati" si
captano i primi segnali di crisi dalle molte difficoltà anzidette che non
riescono a coniugare equilibratamente crescita economica. piena occupazione
e benessere diffuso. Il malcontento, scaturente dalle difficoltà a mantenere
e migliorare il tenore di vita, trova un primo facile bersaglio nel
dovere fiscale, ritenuto costantemente ad un livello troppo elevato. In
seconda istanza si auspica il darwinismo sociale: una selezione naturale
fondata su privilegi acquisiti. Non potendo incrementare le entrate gli
Stati ricorrono ai tagli alla spesa. Bersagli preferiti: malati, anziani,
immigrati, servizi sociali. Si potenzia, invece, la sicurezza interna, la
burocrazia, la rappresentanza, l'apparato giudiziario
La perdita di identità, della memoria storica, di referenti culturali
alternativi al pensiero UNICO imperante hanno fatto sl che in Europa
si siano abbassate enormemente le resistenze al passaggio da una economia
CON il mercato, all'economia DI mercato, per finire poi alla SOCIETA' DEL
MERCATO.
L'economia liberale ha tradotto l'ideologia del progresso in religione
della crescita. L'Europa che è stata la culla del movimento socialista,
della dottrina sociale della Chiesa, del comunismo, del fascismo, del nazismo,
di tutti quei fenomeni storici che in qualche misura avevano contrastato
l'avanzata irruenta del libero-scambismo sembra prossima a dover subire
passivamente il turbocapitalismo
Dal momento che abbiamo costituito l'Associazione IE ci siamo impegnati
a svolgere un dovere "civico" di partecipazione attiva alla vita
comunitaria tendente ad influenzare quelle scelte che poi condizionano la
vita quotidiana di ognuno, insieme agli altri. Questo nostro FARE CULTURA,
cio è educare alla sensibilità su valori condivisi, non tende alla
definizione di una cultura ufficiale alla quale uniformarci ed in tale ambito
l'Ufficio Economia e cultura di IE non si prodigherà nel voler definire
LA CULTURA "politicamente corretta". Tutti gli Uffici, tutti i
nostri responsabili, aderenti e simpatizzanti con il loro esempio ed il
loro lavoro FARANNO CULTURA, nel senso che veicoleranno quei valori di riferimento
sui quali dibattiamo e che condivideremo per effetto dell'educazione culturale
che abbiamo assimilato nel tempo e che vorremmo migliorare con la nostra
attività: noi vorremo rappresentare un AMBIENTE CULTURALE identificabile
per i valori che esprime nelle varie discipline e nelle varie tematiche
che affronta (la famiglia, la scuola, la storia, gli europei, l'economia)
con coerenza di comportamento.
La costruzione di una IDENTITA' passa necessariamente per gli uomini che
questa identità rappresentano con i loro comportamenti L'ambito
delle tematiche economiche ci riserva il compito di indicare alcune coordinate
di pensiero attraverso le quali sia possibile sviluppare riflessioni sulla
produzione e sulla distribuzione delle risorse atte a soddisfare le esigenze
degli uomini e delle collettività Dopo aver soddisfatto le esigenze
primarie di sostentamento, l'individuo è alla ricerca di quel minimo di
sicurezza che gli consente di sentirsi partecipe della vita sociale e dare
un significato alla propria esistenza. L'appartenenza ad una comunità solidale
genera sicurezza negli individui per la rete di relazioni che si vengono
a sviluppare: le esigenze personali si confrontano con le risorse limitate
disponibili, si attenua la rapacità del singolo ed i bisogni si misurano
con la sostenibili dello sviluppo compatibile. Conscio che l'accaparramento
del singolo va a detrimento degli altri, chi si sente partecipe della vita
comune attenuerà le proprie pretese: il rapporto costo/beneficio terrà conto
anche degli equilibri ecologici, delle passioni umane, del rispetto dell'armonia
e della bellezza della natura. La legge edonistica di mercato, invece, non
garantisce sicurezza e stabilità neppure al livello di massima soddisfazione
(la ricchezza materiale) perché i vincitori di oggi possono essere le vittime
del domani (speculazioni sbagliate, congiunture negative, verifiche fiscali
gravose, ecc.)
La partecipazione attiva nell'ambito di una comunità l'uomo la pur manifestare
unicamente con il lavoro: che questo si configuri come "labor"
(lavoro penoso ed oppressivo) od "opus" (operare, lavoro creativo,
ingegnoso) o "otium" (attività orientata verso la meditazione
creatrice) poco importa, ma il lavoro è l'unico titolo legittimo di dominio
su qualsiasi mezzo di produzione o di scambio. è il valore aggiunto che
qualifica la materia Il lavoro è perciò un valore: dare valore al
proprio lavoro comporterà attribuire senso alla propria esistenza. Il miraggio
della società senza lavoro si rifletterà in una società priva di senso.
Il fine ultimo dell'economia non pur che essere la partecipazione alla
produzione della ricchezza in senso lato, da parte di tutti coloro che sono
in grado di dare un contributo alla comunità con il proprio lavoro
Quando i lavoratori, però, vengono privati dei mezzi di produzione, sottomessi
ad un lavoro parcellare, inseriti in un processo di cui non possono conoscere
la logica e che è diretto da altri, separati dai loro prodotti, vivono il
lavoro come necessità per la sussistenza, un opposto della vita che ricercano
nel tempo libero. Il lavoro è visto solo in termini di retribuzione, desiderio
di guadagnare come attività finalistica. Chi non è inserito in un processo
produttivo nel quale non gli viene riconosciuto un compenso, non vale nulla,
è un parassita sociale. Da qui la spirale perversa della ricchezza per il
consumo
Dobbiamo riconoscere che la quantità di lavoro necessaria per la riproduzione
della società decresce continuamente: lo sviluppo tecnologico ed informatico
sembra aver avuto come principale obbiettivo quello di estraniare progressivamente
l'uomo dal processo produttivo. Le accelerazioni verificatesi in tale sviluppo
sono andate di pari passo alla creazione di nuove occupazioni: dal primario
al secondario, dal secondario al terziario, dal terziario al terziario avanzato,
e poi a ritroso financo all'espulsione con la disoccupazione. Dal momento
che nella concezione liberale e marxiana il lavoro viene considerato un
"impiego" e di conseguenza tutto il dibattito verte attorno al
concetto di "posto" solo il lavoratore dipendente ha dignità sociale
mentre l'autonomo o l'imprenditore è orientato a massimizzare il profitto.
L'impresa, anch'essa isolata dal contesto sociale nella quale opera, ha
solo doveri di profitto: se non guadagna licenzia e chiude scaricando sul
pubblico, molto spesso, inefficiente proprie se non guai peggiori
Con l'evoluzione dal lavoro salariato al "lavoro di partecipazione",
con i conseguenti rapporti di collaborazione all'impresa, quest'ultima non
solo avrà doveri di profitto ma anche doveri verso la comunità nella quale
opera e che in essa vi opera.
Il lavoro non si identificherà nel "posto" ma nella "prestazione"
finalizzata all'interesse produttivo dell'impresa. Il rapporto di lavoro
non è più un'obbligazione di comportamento, un libero scambio dualistico
di diritti e di doveri, ma una prestazione di risultato, regolata da un
rapporto di collaborazione anche subordinata: un costruire in accordo nel
rispetto dei ruoli. Siamo oltre il rapporto privato. La fabbrica non potrà
più essere un terreno di scontro: l'economia generale non se lo pur permettere,
ed allo stesso tempo il collaboratore non potrà rimanere estraneo alla attività
produttiva e decisionale. La remunerazione del rapporto di lavoro con un
salario o un compenso non estingue il dovere-diritto quando è messa in discussione
la continuità del rapporto e dell'impresa. Questa deve tendere a non produrre
disoccupati e a non scaricare sulla collettività i propri errori o manchevolezze,
ma deve ricercare al proprio interno le adeguate soluzioni, con il contributo
anche della comunità. è spregevole assistere all'ingrasso dei dividendi
grazie ai contributi pubblici e ricorrere alla Cassa Integrazione Guadagni
alle prime perturbazioni!
Guardando poi alle società moderne notiamo che vi è stata una notevole
segmentazione di produttori di beni sul mercato ed il consumismo ha fatto
divenire molti beni "bisogni", rendendo impossibile la produzione
diretta per il consumo da parte del singolo e delle micro-comunità. Nessuno
più, nemmeno gli agricoltori, è autosufficiente, tutti sono divenuti totalmente
dipendenti da generi alimentari, beni e servizi prodotti da qualcun altro.
Ogni produzione parziale deve confluire sul "mercato" per assemblarsi
ed offrire il prodotto finito al consumatore. Ovunque si realizza un divorzio
tra produttore e consumatore il mercato si sviluppa, più le distanze si
riducono maggiormente viene messa in discussione la funzione, il ruolo ed
il potere del mercato. La dipendenza dal mercato moltiplica le insicurezze,
più l'individuo ha bisogno del mercato più perde la propria indipendenza
e libertà, diventa egoista, individualista, insicuro, ansioso. Il mercato
è sempre esistito, solo che si è sovralimentato: siamo arrivati alla società
DEL mercato
Occorre innescare la sensibilità delle proprie possibilità a soddisfare
bisogni senza il concorso di coproduttori: accontentarsi per un progressivo
affrancamento dal mercato. Sviluppare tutte quelle arti e professioni utili
al soddisfacimento dei bisogni che riducano al massimo il numero degli intermediari,
dei componentisti, degli specialisti, dei professionisti, in modo tale da
accorciare la spirale del mercato. Convivere con il mercato senza farsi
fagogitare. Il denaro riprenda la sua funzione di strumento di regolamentazione
degli scambi perdendo il fascino dell'accumulazione. I beni non vengano
più ostentati come trofei del proprio potere d'acquisto ma per la forza
creativa che intrinsecano Una migliore qualità della vita senza stress
da orari, da trasporti, da alimentazione veloce e sofisticata, riflessiva
ed appagante educherebbe alla prevenzione sanitaria piuttosto che veder
proliferare un esercito di specialisti più o meno capaci di curare un ventaglio
infinito di malattie fisiche e sociali, con un dispendio enorme ed inutile
di risorse Ed infine un'ultima osservazione sul fisco, su ciò che
è stato da sempre la risorsa principe delle Istituzioni pubbliche per esercitare
la propria sovranità
Le imposte sui beni di consumo (IVA) o sui beni durevoli (ICI) come
pure le varie gabelle hanno sempre trovato relativamente facile applicazione
su scala locale, e spesso sono state causa di tumulti popolari in quanto
vanno a colpire gli strati meno abbienti della popolazione. Queste entrate
dovrebbero sostenere i costi per l'erogazione dei servizi di pubblica utilità,
per la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture locali. I servizi
sociali quali l'assistenza, la previdenza, l'educazione, la sicurezza, la
difesa, ecc. che allargano la loro sfera di influenza su scala "nazionale"
dovrebbero essere finanziati attraverso quel criterio solidaristico della
proporzionale contribuzione in ragione del reddito complessivo del singolo,
attraverso le imposte dirette.
Ora i processi di planetarizzazione delle fonti di reddito renderanno sempre
più arduo agli Stati nazionali determinare il reddito complessivo del singolo,
per cui riusciranno a focalizzare la propria attenzione su quella parte
di contribuenti meno sofisticati, riducendo la propria sfera di azione sui
redditi medio-bassi con aliquote sempre crescenti. La conseguente riduzione
delle entrate, perchi sempre più contribuenti si sofisticheranno, si ribalterà
in tagli alla spesa sociale Il fondamentalismo liberale si
è fatto avanguardia delle privatizzazioni nel servizi sociali: polizze assicurative
per l'assistenza malattie, previdenza a capitalizzazione, scuole private
per l'educazione, polizia privata per la sicurezza, corpi militari professionali
e semi-mercenari per la difesa, ricerca scientifica privata finalizzata
esclusivamente allo sfruttamento su scala industriale. L'economia di mercato
vuole relegare l'intervento pubblico alla soddisfazione dei bisogni degli
emarginati che, in quanto tali e per la penuria di risorse disponibili,
resteranno sempre più emarginati, con buona pace delle pari opportunità
La concezione comunitaria invece assegna all'intervento pubblico
il compito di rappresentare lo zenit tra etica sociale ed equilibrio economico,
l'avanguardia di riferimento, il principio di sussidiarietà basato sulla
condivisione dei risultati e non dei comportamenti.
Il privato è chiamato ad offrire la stessa ottima merce o servizio del
pubblico, con altri mezzi: il profitto è legittimo ma non a scapito
della qualità complessiva (utilizzo di lavoro minorile, lavoro nero, evasione
fiscale, inquinamento ambientale, disoccupazione, ecc.). L'imposizione diretta
dovrebbe avvenire per scelta di appartenenza ad una comunità, senza sotterfugi
o furbizie. Chi non vuole partecipare provveda per conto proprio ma non
dover assolutamente beneficiare di alcun servizio in questione, privato
altresì del diritto di voto attivo e passivo
COSA
FARE? è la domanda fatidica che conclude questa esposizione. è nostro
radicato convincimento che l'esempio ed una vasta rete di relazioni rappresentino
il miglior viatico per la diffusione delle idee, per la costruzione di valori
identificanti
Organicizzare e compendiare una rete di relazioni, almeno a livello
europeo, con l'intento di amplificare al massimo quelle esperienze, incontri,
piccoli saggi, libri, canzoni, poesie, pieces teatrali (a seconda della
sensibilità e dell'attitudine del singolo e del gruppo) che rappresentino
validamente il tentativo nostro di coniugare la sensibilità alla modernità,
in coerenza al profondo radicamento spirituale alla civiltà europea (usi,
costumi, consuetudini, arti, espressività, storia, religioni).
La circolazione del materiale ritenuto interessante, la sua traduzione,
l'organizzazione di incontri, scambi culturali, ecc. è un modo per amplificare
l'attività e renderci visibili come ambiente culturale In tal senso
abbiamo iniziato a prendere contatti con altri studiosi della cultura economica
europea ottenendo, tramite il prof. Eduard Legrain, la collaborazione del
dipartimento di Scienze sociali dell'Universit` di Lowen (Lovanio-Belgio)
per la raccolta di materiale utile per una Antologia del pensiero economico
"comunitario": raccolta di saggi, articoli, bibliografia di autori
europei. L'Associazione Historia di Pordenone ha richiesto la disponibilità
del prof. Cardini e mia a tenere delle lezioni per il prossimo corso di
geopolitica da loro curato con il patrocinio del Provveditorato agli Studi
di Pordenone e dell'Università di Udine, come collaborazione con Identità
Europea Siamo impegnati nella costituzione di una rete di relatori
che possano intervenire a manifestazioni quali convegni, tavole rotonde
ed altro, organizzate nelle aree geografiche ove opera un nostro responsabile,
per semplificare l'organizzazione ed evitare un disagevole pellegrinaggio
di persone.
Siamo altresì impegnati a ricercare ospitalità presso la stampa periodica,
e quotidiana, per rendere plastica la nostra presenza sui problemi senza
imbarcarci in pubblicazioni domestiche molto onerose, in tutti i sensi.
In proposito facciamo appello a tutti coloro che possono spendere buoni
uffici per la causa
Sarebbe inoltre nostro intento organizzare due convegni di alto profilo
sulle arti e professioni autarchiche e sulla fiscalità in una realtà comunitaria
per i quali dobbiamo trovare la copertura finanziaria
Come vedete sono tutti progetti aperti al contributo di ognuno che tendono
a soddisfare le esigenze delle nostre aree geografiche. Per questi stiamo
profondendo energie delle quali speriamo di poter cogliere i frutti a breve.
E' il nostro augurio e la nostra sfida.
Il responsabile Stefano Taddei
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Identità Europea 2004
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Ufficio
Economia e Cultura