Linee programmatiche di attività - Responsabile: Stefano Taddei

Economia e lavoro come dovere sociale
La sfera di interesse della produzione e distribuzione delle risorse atte a soddisfare le esigenze degli uomini e delle collettività,  è  appannaggio dell'economia; ambito culturale di studio e ricerca delle migliori soluzioni dei problemi. Ogni individuo riteniamo abbia tre fondamentali esigenze: il proprio sostentamento, avere una vita strutturata (un minimo di sicurezza), sentirsi partecipe della vita sociale dando significato alla propria esistenza. Una società sana, quindi, deve generare un senso di appartenenza alla Comunità nella quale vive, e dal momento che l'uomo  è   fisiologicamente un animale sociale, la sua parte attiva all'interno di una comunità la manifesta con il proprio lavoro. Che questo si configuri come "labor" (lavoro penoso ed oppressivo), o "opus" (operare, lavoro creativo, ingegnoso) o "otium" (attività orientata verso la meditazione creatrice) poco importa ma il lavoro  è  l'unico titolo legittimo di dominio su qualsiasi mezzo di produzione e di scambio. "Solo il lavoro  è  padrone della sostanza resa massimamente fruttuosa e massimamente profittevole all'economia generale". Il lavoro  è , perciò, un valore: dare valore al proprio lavoro, comporterà attribuire senso alla propria esistenza. Di contro, la società del non-lavoro  è  una società priva di senso. Fine ultimo dell'economia, quindi, non può che essere la partecipazione alla produzione della ricchezza di tutti coloro che sono in grado di dare un contributo con il proprio lavoro.

Economia di mercato
Non riteniamo che lo scopo del lavoro sia il denaro:
non si lavora solo per guadagnare, né si guadagna per occupare il tempo libero. Tempo libero vissuto come area di realizzazione individuale in contrapposizione ad un lavoro ritenuto alienante che trova compensazione nei consumi. Si induce a massimizzare il denaro per massimizzare i consumi, con il minor lavoro possibile e senza limiti di accrescimento della ricchezza. Posto tale fine ultimo "lecito" e divenendo sempre più sofisticate le attività tendenti ad accelerare il percorso verso la ricchezza, vanno sempre più sbiadendo, nel quotidiano, i contorni dell'"illecito" (si pensi ai miraggi del gioco, alla perdita di etica nel lavoro, all'utilizzo di minori nelle fabbriche, all'inquinamento, ecc.)
Non riteniamo, altresì, che il lavoro rappresenti la misura reale del valore scambiabile di ogni merce. Secondo tale assioma chi non  è  inserito in un processo produttivo nel quale non gli viene riconosciuto un compenso, non vale nulla (ad es. le casalinghe). Alle attività non lucrative viene riconosciuto un ruolo solo e soltanto in quanto sostitutive di una onerosa attività dello Stato (Welfare) che si vorrebbe marginalizzare, mentre le associazioni culturali sono vissute a livello hobbystico (consumistico) quando non utilitaristico per l'organizzazione del consenso politico, sempre meno rappresentativo (apprendistato alla politica politicante).
I Sistemi economici reali sembrano decretare il trionfo del capitalismo. Dimostrando una capacità produttiva sempre più elevata a minor impiego di risorse anche umane, evidenziano un divario ricco/povero sempre più accentuato, per il progressivo decadimento verso il basso dei ceti intermedi, una ricchezza sempre meno reale (da plusvalore) e sempre più finanziaria, che si autoalimenta (far crescere il denaro con il denaro).
I paesi del socialismo reale hanno tentato dl rappresentare, storicamente, una alternativa al capitalismo ma operando per il raggiungimento del medesimo fine (lo sviluppo quantitativo) contrapponendosi solo negli aspetti di percorso, hanno finito per arrendersi alla ragione del più forte. Anche la Dottrina sociale della Chiesa ha cercato, e vi   è  riuscita, ad attenuare i meccanismi esasperati del libero mercato, soprattutto nella parte delle condizioni di lavoro e nella ridistribuzione della ricchezza, lasciando però inalterato l'elemento dualistico privatistico di domanda ed offerta dei fattori della produzione (capitale, lavoro, impresa).
Mentre per i liberisti il mercato, che per loro rappresenta la migliore Istituzione finora emersa nel panorama storico ai fini della produzione della ricchezza, ha subito distorsioni gravissime a causa dei continui interventi pubblici, per gli statalisti proprio le ingiustizie derivanti da tale ordine economico hanno imposto un intervento sempre maggiore da parte dello Stato per mitigarne gli effetti perversi. In periodi di crisi gli interventi sono stati addirittura richiesti anche dai fautori del libero scambio.
Il difetto principale degli interventi dello Stato nell'economia  è  stato quello di aver soppiantato una solidarietà organica basata sul mutuo soccorso liberamente voluto ed accettato con una solidarietà meccanica derivante da un prelievo fiscale difficilmente equo, per una redistribuzione altamente costosa e poco efficace. La difficile equità dell'imposizione in proporzione al reddito, data dall'elusione e dall'internazionalizzazione delle rendite, si riflette in un aumento dell'imposizione indiretta che va a colpire, essenzialmente, i consumi: l'elemento a più larga partecipazione ed a minore proporzionalità sul reddito.
L'intervento pubblico doveva rappresentare lo zenit tra etica sociale ed equilibrio economico, l'avanguardia di riferimento, il principio dl sussidiarietà basato sulla condivisione dei risultati e non dei comportamenti. Il privato  è  chiamato ad offrire la stessa ottima merce o servizio del pubblico, con altri mezzi: il profitto   è  legittimo ma non a scapito della qualità complessiva (utilizzo di lavoro minorile, lavoro nero, evasione fiscale, inquinamento ambientale, disoccupazione, ecc.). L'economia di mercato vuole relegare l'intervento pubblico alla soddisfazione dei bisogni degli emarginati che, nonostante le buone intenzioni,  è  un aggregato che va sempre più dilatandosi richiedendo sempre maggiori risorse che, di conseguenza, gravano sui produttori in percentuale crescente. La burocrazia, poi, aumenta i disagi.
Le società moderne, avendo notevolmente segmentato i produttori di beni sul mercato ed il consumismo fatto divenire molti beni "bisogni", hanno reso impossibile la produzione diretta per il consumo da parte del singolo o della micro-comunità famiglia: ovunque si realizza un divorzio tra produttore e consumatore il mercato si sviluppa ma più le distanze si riducono più si riduce e viene messa in discussione la funzione, il ruolo ed il potere del mercato.
Più l'individuo ha bisogno del mercato più perde la propria indipendenza e libertà, diventa egoista, individualista, insicuro e ansioso: il libero mercato non deve essere soppresso, solo ridimensionato!



Lavoro collaborativo all'impresa
Dobbiamo riconoscere che la quantità di lavoro necessaria per la riproduzione della società decresce continuamente; lo sviluppo tecnologico ed informatico sembra aver avuto come principale obiettivo quello di estraniare progressivamente l'uomo dal processo produttivo, Le accelerazioni verificatesi in tale sviluppo non sono andate di pari passo alla creazione di nuove occupazioni: dal primario al secondario, dal secondario al terziario, dal terziario al terziario avanzato, poi da quest'ultimo al secondario, infine l'espulsione, con la disoccupazione. Questa, purtroppo, può avere dimensioni più o meno ampie, non  è  senza dubbio un fatto congiunturale, di periodo, ma  è   strutturale alle moderne economie di mercato. Si può obiettare che questo  è   il prezzo da pagare per il raggiungimento di altri importanti obiettivi di lungo periodo, fatto sta che per chi la subisce  è  una situazione degradante ed avvilente e foriera di tensioni sociali: se poi arriva a dimensioni ampie, come si registra attualmente in Europa, e di lungo periodo, diventa deleteria per la coesione sociale e per l'integrazione economica.
Il dibattito economico che negli anni '30 si incentrò sulla Grande Depressione e le politiche keynesiane di intervento pubblico, che negli anni '70 aveva come oggetto principale la sconfitta dell'inflazione, questa sì di natura congiunturale legata allo shock petrolifero del 1973, vede attualmente gli economisti impegnati nella produzione di ricette miracolistiche tendenti a ridurre (non ad eliminare) la disoccupazione (vedi il Manifesto contro la disoccupazione nell'Unione Europea, che porta la firma iniziale di Franco Modigliani). Quando si vuole incidere sulla struttura bisogna rivedere le fondamenta. I rapporti di lavoro, per quanto avanti detto, appartengono alla sfera pubblica, del sociale, così come l'impresa non ha solo doveri di profitto, ma ha doveri anche verso la comunità nella quale opera e che in essa opera.
Il lavoro non si identifica nel "posto" ma nella "prestazione" finalizzata all'interesse produttivo dell'impresa. Il rapporto di lavoro non e più una obbligazione dl comportamento, un libero scambio di diritti e di doveri, ma una prestazione di risultato regolata da un rapporto di collaborazione anche subordinata: un "costruire in accordo" nel rispetto dei ruoli. La fabbrica non potrà più essere terreno di "scontro": l'economia generale non se lo può permettere, ed allo stesso tempo il "collaboratore" non potrà rimanere estraneo alla attività produttiva e decisionale. La remunerazione del rapporto di lavoro con un salario o un compenso non estingue il dovere-diritto quando   è  messa in discussione la continuità del rapporto e dell'impresa.
Questa deve tendere a non produrre disoccupati e a non scaricare sulla collettività i propri errori o manchevolezze, ma deve ricercare al proprio interno le adeguate soluzioni, con il contributo della comunità. è  spregevole assistere all'ingrasso dei dividendi grazie al contributi pubblici e ricorrere alla Cassa Integrazione Guadagni alle prime perturbazioni. Il tempo di lavoro (le "35 ore settimanali")  è   un falso problema: l'attenzione dei lavoratori si  è  spostata sulla continuità dell'impresa, sul reddito finale, sulla partecipazione al capitale di rischio ed alle scelte strategiche, all'impresa come destino. I lavoratori non ambiscono a lavorare di meno, con riduzione di reddito, ambiscono, semmai, a guadagnare di più per accrescere il proprio "status", la propria sicurezza sociale, ed anche i propri consumi. è  nella concezione liberale e marxiana che il lavoro viene considerato un "impiego" e di conseguenza tutto il dibattito verte intorno al concetto di "posto": solo il lavoratore dipendente ha dignità sociale, mentre l'autonomo o l'imprenditore  è  orientato a massimizzare il profitto.
I rapporti di forza tra lavoratori dipendenti ed aziende, intermediati dai sindacati, hanno visto storicamente la prevalenza quando degli uni (sicurezze, assistenze, Statuto dei diritti) quando degli altri (retribuzioni al minimo di sopravvivenza e riproduzione, ambienti di lavoro degradati, ritmi defatiganti, licenziamenti selvaggi) perciò dopo i fatidici anni di "lotta" ora siamo agli anni della "flessibilità".
I sistemi previdenziali a ripartizione (prestazioni pensionistiche erogate con i contributi dei lavoratori attivi) hanno un'alta valenza solidaristica e socializzante ma trovano i propri limiti quando si crea squilibrio nel rapporto pensionati/lavoratori. La distruzione in atto di tale sistema, soppiantato da quello a capitalizzazione (a ognuno secondo i propri contributi), ha creato e creerà sempre più incertezza e tensione sociale ed allargherà la massa degli emarginati. Lo Stato-Comunità sta rinunciando ad un'altra sua prerogativa per affidarsi ad una sorta di Assicurazione privata;  è   l'attuazione del principio dl sussidiarietà senza garanzia del servizio "pubblico".

Identità Europea
Le associazioni finalizzate a FARE CULTURA, come Identità Europea, non hanno né il fine né l'ambizione di avere risposte per tutto: possono essere enciclopediche ma non aspirano al governo del mondo. Devono solo fertilizzare il contesto nel quale operano per far attecchire le Idee che promuovono.
L'Ufficio Economia e Cultura di Identità Europea vuole entrare nel dibattito contemporaneo con un approccio né LIBERALE né MARXISTA, estraneo al PENSIERO UNICO imperante e politicamente corretto, senza guerre di religione ma con l'atteggiamento critico di chi vuole "convivere nella diversità" alimentando un laboratorio di idee, di tollerante libero dibattito nel contesto geografico di riferimento: l'Europa Identitaria.



Analisi e prospettive di lavoro
Nel tempo si è potuto parlare di civilizzazione di un popolo non solo con riferimento alla cura del proprio ambiente ed alle condizioni dell'habitat, ma anche quando, a poco a poco, il tasso di conflittualità interna si è ridotto al livello idoneo a far convivere al meglio un significativo numero di persone.
Usi, consuetudini, riti, organizzazione sociale, economica, politica, legale e religiosa assurgono, in questo caso, al rango di valori accettati e condivisi: una sorta di codice normativo interiorizzato. Il comportamento umano del gruppo, di fronte alle problematiche quotidiane di vita materiale e spirituale, ed il suo svilupparsi nel tempo, configurano i lineamenti culturali di una civiltà: un processo per sedimentazione ed arricchimento che, integrato dalla memoria storica, costruisce la identità di una comunità umana  
E' indubbio che maggiori sono i valori condivisi dal maggior numero di conviventi, maggiore è la coesione all'interno del Gruppo. Il comportamento umano, però, è dettato principalmente dalle idee astratte della mente, cio è  dalla sua produzione culturale. Quando è molto vivace, vi è dibattito e coesione nella tolleranza delle "diversità", nel momento in cui questa produzione perde di fermento innovativo, di ricerca di perfezionamento, di stimolo al miglioramento, molto spesso più per opportunismo che per coercizione, vi è un tasso di turbolenza interna al Gruppo molto contenuto ma si è innescato un processo di omologazione diffuso.
I valori condivisi, molto spesso, sono di bassa utilità materiale, quelli a più diffuso e rapido attecchimento. Vi è scarsa tolleranza e le "diversità" sono messe all'indice, in quanto nemiche dello "status quo"   Attualmente stiamo assistendo all'indiscusso successo del fenomeno di omologazione ed appiattimento culturale ai valori economicistici, utilitaristici, individualistici. Lo Stato ed i corpi sociali intermedi sono vissuti come istituzioni di gestione interfacciate sui singoli individui, secondo un rapporto dualistico diritti-doveri. Vi è una spasmodica ricerca di definizione dei diritti (delle donne, dei bambini, del malato, dei lavoratori dipendenti, degli utenti, degli animali, delle patate, ecc.) contro il solo dovere di ubbidienza alle Leggi, con una produzione sovrabbondante di queste ultime nel tentativo di voler regolamentare quanti più aspetti possibili della vita quotidiana. Si pur fare tutto ciò che non è espressamente vietato
Sacrificata l'etica allo scopo "lecito" della vita nella massimizzazione del denaro per la massimizzazione dei consumi, con il minor lavoro possibile e senza limiti di accrescimento della ricchezza, si ricerca la massima sofisticazione nelle attività tendenti ad accelerare il percorso verso la ricchezza stessa, andando sempre più sbiadendo, nel quotidiano, i contorni dell'illecito" (si pensi ai miraggi del gioco, alla perdita di etica nel lavoro, all'utilizzo di minori nelle fabbriche, all'inquinamento, alla depenalizzazione dei reati, al giustificazionismo ricorrente). Con l'illusione della felicità con la democrazia, si tende a voler regolamentare tutto dall'alto di una rappresentanza sempre meno rappresentativa: si pensa ad ipotesi di governo mondialista (si è parlato di "ulivo" mondiale"), di regolamentazione internazionale dei mercati degli scambi mercantili e finanziari (il GATT, L'Unione Europea e la moneta unica, il mercato unico del NAFTA tra Canada, USA, Messico e del progetto di fare del dollaro la moneta unica del continente americano).
La complessità dei fenomeni si dilata e la soluzione dei problemi viene ricercata in contesti sempre più grandi: si tenta di diluire il problema giunto a frutto, anziché risolverlo in embrione alla radice, col massimo comune denominatore del denaro: tutto ha un prezzo!   Si va verso il Turbocapitalismo, una realtà di accelerazione ove tutto è prodotto in eccedenza ed in fretta, ove si moltiplica la ricchezza del PIL ma non quella dei redditi medi, ove assistiamo alla destabilizzazione delle famiglie, delle regioni, degli Stati con conseguenze sociali estreme.
I mercati sono a-morali, per questo sono intrinsecamente instabili. Di conseguenza imporre la disciplina di mercato significa imporre l'instabilità: ma fino a che punto la società è in grado di sopportare l'instabilità? Una regolamentazione internazionale ai mercati finanziari globali, per esempio, presta il fianco ad una facile elusione (i paradisi fiscali), lasciare a ciascun Paese il compito di proteggere i propri interessi come pur, porterebbe inevitabilmente al collasso del gigantesco sistema circolatorio. Gli Stati sovrani fanno da valvola soprattutto contro il deflusso dei capitali ma non si oppongono affatto all'afflusso (che penalizza altri Stati)  
La disoccupazione o è elevata, ed ha un alto costo che grava sulla finanza pubblica, o è modesta per chi, in assenza di ammortizzatori sociali gli addetti tendono ad accettare mansioni inferiori al proprio livello professionale, con retribuzione in proporzione. La mortificazione psicologica di tale situazione comporta depressioni, suicidi, violenze, ecc. La divaricazione tra gli strati abbienti ed i meno abbienti della popolazione tende ad allargarsi, per far raggiungere in prospettiva la soglia minima di sussistenza e riproduzione: un ritorno al capitalismo primitivo. Quel solco che esisteva ai primordi dell'industrializzazione tra possessori di capitale e prestatori di lavoro, che nei secoli si era andato via via colmando anche per l'azione calmieratrice esercitata dall'assistenza e dall'intervento socializzatore dello Stato, è stato via via riscavato per l'abbandono delle politiche sociali da parte dei Paesi europei che non avevano MAI culturalmente abbracciato in pieno il puritanesimo capitalistico d'oltreoceano
Il sistema capitalistico, all'apice del proprio successo sul sistema collettivistico deflagrato, viene assunto a modello di riferimento da quei Paesi a basso profilo economico mentre nei Paesi cosiddetti "sviluppati" si captano i primi segnali di crisi dalle molte difficoltà anzidette che non riescono a coniugare equilibratamente crescita economica. piena occupazione e benessere diffuso. Il malcontento, scaturente dalle difficoltà a mantenere e migliorare il tenore di vita, trova un primo facile bersaglio nel dovere fiscale, ritenuto costantemente ad un livello troppo elevato. In seconda istanza si auspica il darwinismo sociale: una selezione naturale fondata su privilegi acquisiti. Non potendo incrementare le entrate gli Stati ricorrono ai tagli alla spesa. Bersagli preferiti: malati, anziani, immigrati, servizi sociali. Si potenzia, invece, la sicurezza interna, la burocrazia, la rappresentanza, l'apparato giudiziario  
La perdita di identità, della memoria storica, di referenti culturali alternativi al pensiero UNICO imperante hanno fatto sl che in Europa si siano abbassate enormemente le resistenze al passaggio da una economia CON il mercato, all'economia DI mercato, per finire poi alla SOCIETA' DEL MERCATO.
L'economia liberale ha tradotto l'ideologia del progresso in religione della crescita. L'Europa che è stata la culla del movimento socialista, della dottrina sociale della Chiesa, del comunismo, del fascismo, del nazismo, di tutti quei fenomeni storici che in qualche misura avevano contrastato l'avanzata irruenta del libero-scambismo sembra prossima a dover subire passivamente il turbocapitalismo  
Dal momento che abbiamo costituito l'Associazione IE ci siamo impegnati a svolgere un dovere "civico" di partecipazione attiva alla vita comunitaria tendente ad influenzare quelle scelte che poi condizionano la vita quotidiana di ognuno, insieme agli altri. Questo nostro FARE CULTURA, cio è  educare alla sensibilità su valori condivisi, non tende alla definizione di una cultura ufficiale alla quale uniformarci ed in tale ambito l'Ufficio Economia e cultura di IE non si prodigherà nel voler definire LA CULTURA "politicamente corretta". Tutti gli Uffici, tutti i nostri responsabili, aderenti e simpatizzanti con il loro esempio ed il loro lavoro FARANNO CULTURA, nel senso che veicoleranno quei valori di riferimento sui quali dibattiamo e che condivideremo per effetto dell'educazione culturale che abbiamo assimilato nel tempo e che vorremmo migliorare con la nostra attività: noi vorremo rappresentare un AMBIENTE CULTURALE identificabile per i valori che esprime nelle varie discipline e nelle varie tematiche che affronta (la famiglia, la scuola, la storia, gli europei, l'economia) con coerenza di comportamento.
La costruzione di una IDENTITA' passa necessariamente per gli uomini che questa identità rappresentano con i loro comportamenti   L'ambito delle tematiche economiche ci riserva il compito di indicare alcune coordinate di pensiero attraverso le quali sia possibile sviluppare riflessioni sulla produzione e sulla distribuzione delle risorse atte a soddisfare le esigenze degli uomini e delle collettività   Dopo aver soddisfatto le esigenze primarie di sostentamento, l'individuo è alla ricerca di quel minimo di sicurezza che gli consente di sentirsi partecipe della vita sociale e dare un significato alla propria esistenza. L'appartenenza ad una comunità solidale genera sicurezza negli individui per la rete di relazioni che si vengono a sviluppare: le esigenze personali si confrontano con le risorse limitate disponibili, si attenua la rapacità del singolo ed i bisogni si misurano con la sostenibili dello sviluppo compatibile. Conscio che l'accaparramento del singolo va a detrimento degli altri, chi si sente partecipe della vita comune attenuerà le proprie pretese: il rapporto costo/beneficio terrà conto anche degli equilibri ecologici, delle passioni umane, del rispetto dell'armonia e della bellezza della natura. La legge edonistica di mercato, invece, non garantisce sicurezza e stabilità neppure al livello di massima soddisfazione (la ricchezza materiale) perché i vincitori di oggi possono essere le vittime del domani (speculazioni sbagliate, congiunture negative, verifiche fiscali gravose, ecc.)  
La partecipazione attiva nell'ambito di una comunità l'uomo la pur manifestare unicamente con il lavoro: che questo si configuri come "labor" (lavoro penoso ed oppressivo) od "opus" (operare, lavoro creativo, ingegnoso) o "otium" (attività orientata verso la meditazione creatrice) poco importa, ma il lavoro è l'unico titolo legittimo di dominio su qualsiasi mezzo di produzione o di scambio. è il valore aggiunto che qualifica la materia   Il lavoro è perciò un valore: dare valore al proprio lavoro comporterà attribuire senso alla propria esistenza. Il miraggio della società senza lavoro si rifletterà in una società priva di senso.
Il fine ultimo dell'economia non pur che essere la partecipazione alla produzione della ricchezza in senso lato, da parte di tutti coloro che sono in grado di dare un contributo alla comunità con il proprio lavoro   Quando i lavoratori, però, vengono privati dei mezzi di produzione, sottomessi ad un lavoro parcellare, inseriti in un processo di cui non possono conoscere la logica e che è diretto da altri, separati dai loro prodotti, vivono il lavoro come necessità per la sussistenza, un opposto della vita che ricercano nel tempo libero. Il lavoro è visto solo in termini di retribuzione, desiderio di guadagnare come attività finalistica. Chi non è inserito in un processo produttivo nel quale non gli viene riconosciuto un compenso, non vale nulla, è un parassita sociale. Da qui la spirale perversa della ricchezza per il consumo  
Dobbiamo riconoscere che la quantità di lavoro necessaria per la riproduzione della società decresce continuamente: lo sviluppo tecnologico ed informatico sembra aver avuto come principale obbiettivo quello di estraniare progressivamente l'uomo dal processo produttivo. Le accelerazioni verificatesi in tale sviluppo sono andate di pari passo alla creazione di nuove occupazioni: dal primario al secondario, dal secondario al terziario, dal terziario al terziario avanzato, e poi a ritroso financo all'espulsione con la disoccupazione. Dal momento che nella concezione liberale e marxiana il lavoro viene considerato un "impiego" e di conseguenza tutto il dibattito verte attorno al concetto di "posto" solo il lavoratore dipendente ha dignità sociale mentre l'autonomo o l'imprenditore è orientato a massimizzare il profitto. L'impresa, anch'essa isolata dal contesto sociale nella quale opera, ha solo doveri di profitto: se non guadagna licenzia e chiude scaricando sul pubblico, molto spesso, inefficiente proprie se non guai peggiori   Con l'evoluzione dal lavoro salariato al "lavoro di partecipazione", con i conseguenti rapporti di collaborazione all'impresa, quest'ultima non solo avrà doveri di profitto ma anche doveri verso la comunità nella quale opera e che in essa vi opera.
Il lavoro non si identificherà nel "posto" ma nella "prestazione" finalizzata all'interesse produttivo dell'impresa. Il rapporto di lavoro non è più un'obbligazione di comportamento, un libero scambio dualistico di diritti e di doveri, ma una prestazione di risultato, regolata da un rapporto di collaborazione anche subordinata: un costruire in accordo nel rispetto dei ruoli. Siamo oltre il rapporto privato. La fabbrica non potrà più essere un terreno di scontro: l'economia generale non se lo pur permettere, ed allo stesso tempo il collaboratore non potrà rimanere estraneo alla attività produttiva e decisionale. La remunerazione del rapporto di lavoro con un salario o un compenso non estingue il dovere-diritto quando è messa in discussione la continuità del rapporto e dell'impresa. Questa deve tendere a non produrre disoccupati e a non scaricare sulla collettività i propri errori o manchevolezze, ma deve ricercare al proprio interno le adeguate soluzioni, con il contributo anche della comunità. è spregevole assistere all'ingrasso dei dividendi grazie ai contributi pubblici e ricorrere alla Cassa Integrazione Guadagni alle prime perturbazioni!  
Guardando poi alle società moderne notiamo che vi è stata una notevole segmentazione di produttori di beni sul mercato ed il consumismo ha fatto divenire molti beni "bisogni", rendendo impossibile la produzione diretta per il consumo da parte del singolo e delle micro-comunità. Nessuno più, nemmeno gli agricoltori, è autosufficiente, tutti sono divenuti totalmente dipendenti da generi alimentari, beni e servizi prodotti da qualcun altro. Ogni produzione parziale deve confluire sul "mercato" per assemblarsi ed offrire il prodotto finito al consumatore. Ovunque si realizza un divorzio tra produttore e consumatore il mercato si sviluppa, più le distanze si riducono maggiormente viene messa in discussione la funzione, il ruolo ed il potere del mercato. La dipendenza dal mercato moltiplica le insicurezze, più l'individuo ha bisogno del mercato più perde la propria indipendenza e libertà, diventa egoista, individualista, insicuro, ansioso. Il mercato è sempre esistito, solo che si è sovralimentato: siamo arrivati alla società DEL mercato  
Occorre innescare la sensibilità delle proprie possibilità a soddisfare bisogni senza il concorso di coproduttori: accontentarsi per un progressivo affrancamento dal mercato. Sviluppare tutte quelle arti e professioni utili al soddisfacimento dei bisogni che riducano al massimo il numero degli intermediari, dei componentisti, degli specialisti, dei professionisti, in modo tale da accorciare la spirale del mercato. Convivere con il mercato senza farsi fagogitare. Il denaro riprenda la sua funzione di strumento di regolamentazione degli scambi perdendo il fascino dell'accumulazione. I beni non vengano più ostentati come trofei del proprio potere d'acquisto ma per la forza creativa che intrinsecano   Una migliore qualità della vita senza stress da orari, da trasporti, da alimentazione veloce e sofisticata, riflessiva ed appagante educherebbe alla prevenzione sanitaria piuttosto che veder proliferare un esercito di specialisti più o meno capaci di curare un ventaglio infinito di malattie fisiche e sociali, con un dispendio enorme ed inutile di risorse   Ed infine un'ultima osservazione sul fisco, su ciò che è stato da sempre la risorsa principe delle Istituzioni pubbliche per esercitare la propria sovranità  
Le imposte sui beni di consumo (IVA) o sui beni durevoli (ICI) come pure le varie gabelle hanno sempre trovato relativamente facile applicazione su scala locale, e spesso sono state causa di tumulti popolari in quanto vanno a colpire gli strati meno abbienti della popolazione. Queste entrate dovrebbero sostenere i costi per l'erogazione dei servizi di pubblica utilità, per la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture locali. I servizi sociali quali l'assistenza, la previdenza, l'educazione, la sicurezza, la difesa, ecc. che allargano la loro sfera di influenza su scala "nazionale" dovrebbero essere finanziati attraverso quel criterio solidaristico della proporzionale contribuzione in ragione del reddito complessivo del singolo, attraverso le imposte dirette.
Ora i processi di planetarizzazione delle fonti di reddito renderanno sempre più arduo agli Stati nazionali determinare il reddito complessivo del singolo, per cui riusciranno a focalizzare la propria attenzione su quella parte di contribuenti meno sofisticati, riducendo la propria sfera di azione sui redditi medio-bassi con aliquote sempre crescenti. La conseguente riduzione delle entrate, perchi sempre più contribuenti si sofisticheranno, si ribalterà in tagli alla spesa sociale   Il fondamentalismo liberale si è fatto avanguardia delle privatizzazioni nel servizi sociali: polizze assicurative per l'assistenza malattie, previdenza a capitalizzazione, scuole private per l'educazione, polizia privata per la sicurezza, corpi militari professionali e semi-mercenari per la difesa, ricerca scientifica privata finalizzata esclusivamente allo sfruttamento su scala industriale. L'economia di mercato vuole relegare l'intervento pubblico alla soddisfazione dei bisogni degli emarginati che, in quanto tali e per la penuria di risorse disponibili, resteranno sempre più emarginati, con buona pace delle pari opportunità   La concezione comunitaria invece assegna all'intervento pubblico il compito di rappresentare lo zenit tra etica sociale ed equilibrio economico, l'avanguardia di riferimento, il principio di sussidiarietà basato sulla condivisione dei risultati e non dei comportamenti.
Il privato è chiamato ad offrire la stessa ottima merce o servizio del pubblico, con altri mezzi: il profitto è legittimo ma non a scapito della qualità complessiva (utilizzo di lavoro minorile, lavoro nero, evasione fiscale, inquinamento ambientale, disoccupazione, ecc.). L'imposizione diretta dovrebbe avvenire per scelta di appartenenza ad una comunità, senza sotterfugi o furbizie. Chi non vuole partecipare provveda per conto proprio ma non dover assolutamente beneficiare di alcun servizio in questione, privato altresì del diritto di voto attivo e passivo  



COSA FARE? è la domanda fatidica che conclude questa esposizione. è nostro radicato convincimento che l'esempio ed una vasta rete di relazioni rappresentino il miglior viatico per la diffusione delle idee, per la costruzione di valori identificanti  
Organicizzare e compendiare una rete di relazioni, almeno a livello europeo, con l'intento di amplificare al massimo quelle esperienze, incontri, piccoli saggi, libri, canzoni, poesie, pieces teatrali (a seconda della sensibilità e dell'attitudine del singolo e del gruppo) che rappresentino validamente il tentativo nostro di coniugare la sensibilità alla modernità, in coerenza al profondo radicamento spirituale alla civiltà europea (usi, costumi, consuetudini, arti, espressività, storia, religioni).
La circolazione del materiale ritenuto interessante, la sua traduzione, l'organizzazione di incontri, scambi culturali, ecc. è un modo per amplificare l'attività e renderci visibili come ambiente culturale   In tal senso abbiamo iniziato a prendere contatti con altri studiosi della cultura economica europea ottenendo, tramite il prof. Eduard Legrain, la collaborazione del dipartimento di Scienze sociali dell'Universit` di Lowen (Lovanio-Belgio) per la raccolta di materiale utile per una Antologia del pensiero economico "comunitario": raccolta di saggi, articoli, bibliografia di autori europei. L'Associazione Historia di Pordenone ha richiesto la disponibilità del prof. Cardini e mia a tenere delle lezioni per il prossimo corso di geopolitica da loro curato con il patrocinio del Provveditorato agli Studi di Pordenone e dell'Università di Udine, come collaborazione con Identità Europea   Siamo impegnati nella costituzione di una rete di relatori che possano intervenire a manifestazioni quali convegni, tavole rotonde ed altro, organizzate nelle aree geografiche ove opera un nostro responsabile, per semplificare l'organizzazione ed evitare un disagevole pellegrinaggio di persone.
Siamo altresì impegnati a ricercare ospitalità presso la stampa periodica, e quotidiana, per rendere plastica la nostra presenza sui problemi senza imbarcarci in pubblicazioni domestiche molto onerose, in tutti i sensi.
In proposito facciamo appello a tutti coloro che possono spendere buoni uffici per la causa  
Sarebbe inoltre nostro intento organizzare due convegni di alto profilo sulle arti e professioni autarchiche e sulla fiscalità in una realtà comunitaria per i quali dobbiamo trovare la copertura finanziaria  
Come vedete sono tutti progetti aperti al contributo di ognuno che tendono a soddisfare le esigenze delle nostre aree geografiche. Per questi stiamo profondendo energie delle quali speriamo di poter cogliere i frutti a breve.
E' il nostro augurio e la nostra sfida.

Il responsabile Stefano Taddei




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Ufficio
Economia e Cultura