Linee programmatiche di attività - Responsabile: Paolo Gulisano

Sommario:

Vera e falsa solidarietà.

Probabilmente dovremo abituarci, di qui e per i prossimi anni, a sentire parlare sempre più capillarmente di società multirazziale e a vedere contrapposto il termine di "solidarietà" a quello di "razzismo". Eppure in questa prassi che sta prendendo ormai piede c'è qualcosa che non convince. Anzitutto, i sostenitori del partito della "solidarietà" dovrebbero essere più accorti a non confondere concetti come quello a cui questo termine si riferisce, senza farne un uso improprio e fuori luogo. E' difficile credere che con questa parola si voglia intendere l'accoglienza assoluta e indiscriminata nei confronti dell'immigrazione, indifferentemente che questa sia regolare o clandestina. Non è oggettivamente solidarietà permettere che i nuovi mercanti di schiavi introducano nel nostro paese persone destinate, nella grande maggioranza dei casi, ad ingrossare le fila dello sfruttamento. Si è consapevoli del fatto che esiste un enorme mercato della prostituzione al quale sono destinate le donne trasbordate dagli scafisti? Non è solidarietà, ma incoscienza, permettere l'arrivo di donne clandestine fino a quando non si saranno prese le necessarie misure per stroncare il fenomeno della prostituzione. Non è tantomeno solidarietà permettere lo sradicamento di migliaia di persone lasciate allo sbaraglio del degrado urbano che favorisce l'arruolamento nelle fila della delinquenza. Oltre cinquant'anni fa la filosofa ebrea Simone Weil, la quale difficilmente potrebbe essere accusata di razzismo, descriveva con termini quasi profetici gli scenari cui ci stiamo avviando: " Lo sradicamento è di gran lunga la più pericolosa malattia delle società umane; le persone sradicate non hanno che due comportamenti possibili: o cadere in un'inerzia dell'anima quasi pari alla morte, o gettarsi in un'attività che tende sempre a sradicare, spesso con metodi violentissimi, coloro che non lo sono ancora o lo sono solo in parte." Alla solidarietà ideologica, che si affida ai meri pronunciamenti politici, è di gran lunga preferibile la solidarietà umana autentica, che prima di tutto è attenzione umana al bisogno, come quella praticata da sempre dagli Istituti Missionari, consistente ad esempio nell'aiutare i Paesi con gravi necessità sul posto, consentendone uno sviluppo compatibile con la promozione umana. Il Terzo mondo, strangolato da un debito estero che va assolutamente ridiscusso e possibilmente cancellato (e questa sì che sarebbe solidarietà anche socio-politica), non deve diventare "carne da immigrazione" per fornire mano d'opera a basso costo utile solo ai progetti del grande Capitale fautore della globalizzazione. Con l'auspicio che chi si batte contro questa visione e sostiene le ragioni della difesa delle identità e delle specificità contro i progetti aberranti del Mondialismo, oggettivamente avallati dalla pessima Legge Turco-Napolitano, non venga d'ufficio tacciato di razzismo.



 

Tornare a discutere sulla vita.

Dopo un ventennio dalla sua legalizzazione l’aborto fa ancora notizia, e questo è un buon segno, a testimonianza che le coscienze non sono state del tutto anestetizzate dalla propaganda della cultura pemissivista. La prima domenica di febbraio la Chiesa Cattolica celebra ogni anno la Giornata della Vita, anche se in modo sempre meno convinto ed incisivo. A una diffusa opinione pubblica di neo-benpensanti può sembrare esagerato, inopportuno, persino fastidioso che si continui a riproporre come questione decisiva il problema del rispetto della vita appena concepita e non ancora nata: il problema della liceità (o legalità) dell’aborto deve considerarsi già risolto, quindi è inopportuno riaprire contrapposizioni ideologiche in un paese moderno che ha ben altro di cui occuparsi. Perché continuare a dare voce pubblica ad un fatto che riguarda le coscienze private? Ma siamo sicuri che si tratti di una questione puramente personale, di "libertà di coscienza"?

L’aborto legalizzato rientra in realtà nella strategia mondialista di distruzione della coscienza europea e cristiana: da oltre un cinquantennio organismi dipendenti dell’ONU (che ha appena festeggiato l’anniversario della cosiddetta "Carta dei Diritti dell’Uomo") o finanziati dalle grandi multinazionali americane si adoperano per diffondere nel mondo le pratiche e le politiche abortiste: è il caso del Population Council, fondato nel 1952 dal magnate John D.Rockfeller III, o l’IPPF (federazione Internazionale per la Pianificazione Famigliare) che ha sede a Londra e svolge un ruolo chiave nella strategia culturale che da anni spinge per giungere alla realizzazione della crescita zero, o sotto-zero.

Tale strategia si è rivolta innanzitutto all’Europa, e la cosa può apparire stana, visto che il nostro continente non ha mai sofferto di sovrappopolazione, se non fosse ormai chiaro, alla luce degli eventi degli ultimi anni, che gli obiettivi di tale strategia erano quelli di indebolire l’Europa, minarne in profondità la coscienza morale e la consapevolezza della propria identità, così da renderla vulnerabile di fronte agli attacchi del nuovo colonialismo.

Nel febbraio 1969 alla Conferenza Mondiale sulla Popolazione di Dacca (Bangladesh), il Direttore del Centro di Ricerche sulla Popolazione di Chicago, il professor Philip M:Hauser sotenne che era necessario ridurre la popolazione con tutti i mezzi, da quelli naturali (magari "indotti") come le malattie o le catastrofi, a quegli interventi attuabili dall’uomo: aborto, eutanasia, conflitti, antropofagia. Sì, proprio così: il docente universitario americano proponeva (e non scherzava) il cannibalismo come soluzione alla sovrappopolazione e alla fame…E’ bene dunque che almeno in occasioni come questa della Giornata della Vita i cattolici sappiano quali siano le strategie usate dal Mondialismo per umiliare, manipolare, e distruggere l’uomo.

In una Chiesa ormai poco battagliera e incline a cedimenti e accomodamenti che cercano confusione e incertezza tra gli stessi fedeli (vedi il caso recente del prete genovese che indirizzava all’aborto le prostitute straniere) occorre avere il coraggio di riaffermare verità scomode, così come si è espresso il Cardinale bavarese Josep Ratzinger ad un convegno sull’Europa e il diritto alla vita: "Nelle odierne società pluralistiche, in cui coesistono orientamenti religiosi, culturali e ideologici diversi, diventa sempre più difficile garantire una base comune di valori etici condivisi da tutti, capaci di essere fondamento sufficiente per la democrazia stessa. E’ d’altra parte convinzione abbastanza diffusa che non si possa prescindere da un minimo di valori morali riconosciuti e sanciti nella vita sociale; ma quanto si tratta di determinarli attraverso il gioco del consenso che essi devono ottenere a livello sociale, la loro consistenza si riduce sempre più. Un unico valore sembra indiscusso e indiscutibile, fino a diventare il filtro di selezione per gli altri: il diritto della libertà individuale a esprimersi senza imposizioni, almeno finché essa non leda il diritto altrui".

Ma nessun progetto ONU o delle grandi centrali finanziarie potrà mai soffocare il sacrosanto diritto alla vita.



 

Tutti i diritti per tutti? La "dichiarazione dei diritti dell'uomo "50 anni dopo

Il 10 dicembre del 1948, 50 anni fa, l’assemblea generale dell’ONU riunita a Parigi emanava la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo. Questo documento, redatto in 30 articoli, avrebbe dovuto rappresentare, nelle intenzioni dei suoi estensori, una pietra miliare nella storia dell’umanità, che uscita da una guerra spaventosa cercava di darsi delle regole etiche valide per tutti. Al di là delle buone intenzioni e della buona fede di qualcuno, si trattava in definitiva di un documento un po’ retorico e non poco velleitario. Sergio Romano l’ha recentemente definito, e non certo a torto, "un’enunciazione puramente retorica e declaratoria, con una forte dose di ambiguità e di ipocrisia". Le aspettative di tale documento sono andate in gran parte irrisolte, e quel che è peggio e che se alcuni problemi sociali di grande rilevanza agli occhi dell’opinione pubblica hanno trovato un comune terreno di consenso, da allora ad oggi nuovi interrogativi e nuovi problemi sono emersi, si parla non solo di vite umane da sopprimere, a seconda dell’opportunità, ma anche da fabbricare, attraverso le tecniche della fecondazione artificiale, o da manipolare secondo determinati progetti genetici, così come spesso riaffiora nei dibattiti il problema dell’eutanasia, la morte scelta per sé o procurata agli altri motivata secondo criteri "umanitari", oppure, con terminologia ancor più sibillina di "qualità della vita".

La scienza moderna, forte del metodo positivistico e dei suoi dogmi efficientisti, ha conseguito eccellenti risultati sul piano tecnico con innegabili progressi nella diagnosi e nella terapia delle malattie. Ma mentre molti scienziati si sono impegnati efficacemente nella difesa della vita, da altre parti si è lavorato secondo una logica diversa, che considera indegne di essere vissute le vite di determinate persone, secondo una filosofia "utilitaristica", che tuttavia non può fare a meno di regole e limiti. Forse sarebbe giusto pensare, dopo cinquant’anni di retorica sui diritti ad una carta dei doveri dell’uomo. Doveri davanti a se stesso e alla comunità umana. La visione individualista che permeava la Dichiarazione dell’ONU ha fatto sì che, in pratica, all’enunciazione teorica dei grandi principi non ne seguisse una applicazione pratica nei casi concreti. Così dal 1948 ad oggi il diritto fondamentale alla vita è andato progressivamente negato, con l’applicazione su larga scala di normative legalizzanti la pratica dell’aborto, spesso voluta e favorita da organismi stessi dell’ONU che l’hanno imposta ai paesi del terzo mondo come sistema di controllo delle nascite.

L’articolo 3 della Dichiarazione recita: "Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona". Solo negando contro ogni evidenza scientifica le caratteristiche umane della vita nascente si può negare ad essa l’attributo di "individuo", così come facevano gli antichi mercanti di schiavi. E a tale proposito, che ne è dell’applicazione dell’articolo 4 ("nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù e di servitù") davanti all’enorme mercato delle schiave della prostituzione gestito dalle organizzazioni criminali? Si è solo capaci, anche in questo caso, di chiedere legalizzazioni, sanatorie?

Infine, c’è una violazione dei diritti fondamentali che in Europa è peculiarità esclusivamente dell’Italia : l’articolo 26 recita che "l’istruzione è un diritto di ogni individuo." Un diritto, viene sottolineato, "gratuito per le classi elementari e fondamentali", e viene detto che "i genitori hanno diritto di priorità nella scuola del genere di istruzione da impartire ai propri figli". Che ne dicono gli intolleranti che di questi tempi stanno impedendo in tutti i modi, compreso l’uso della violenza, la tanto attesa applicazione di questo diritto nel nostro paese? Per concludere questo breve bilancio dei cinquant’anni della Dichiarazione dell’ONU, occorre affermare con coraggio che oggi è in gioco la concezione stessa dell’uomo, e quindi il suo futuro, in particolare nell’attuale fase di dibattito sulla bioetica, in un momento cioè in cui si passa dalla sfera di interesse prevalentemente scientifico a quella di carattere culturale e politico, occorre respingere in quanto umanamente letale il relativismo etico. Se il comportamento dell’uomo odierno è tale che, più che prendersela con la vita, egli sembra prendere sé stesso per Dio, occorre urgentemente e gravemente un’opera di educazione: salvare l’umano, guidare alla scoperta (o al ritrovamento) dei significati autentici della realtà.

Il responsabile PAOLO GULISANO

 

 




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