|
NÔTRE DAME DE PARIS
regia di Gilles Maheu
di Riccardo Cocciante e Luc Plamondon
Un bel pacco di lusso riempito di merda. Si sente che l'ha scritto
Cocciante e non un musicista vero: un po' di canzonette deplorevoli
accatastate una dietro l'altra ma gradevoli. Una scenografia vasta
e arrogante, una compagnia affiatata, giovane,complessivamente
capace etc. ma la sostanza è intimamente mediocre. Venti
passi avanti al provincialismo della coppia Garinei-Giovannini
comunque, qui troviamo un respiro internazionale, un impianto
scenico grandioso, coreografie meno televisive della media italiana
Sempre
purtroppo rimanendo nella piena volgarità del melodramma
all'Italiana però. Probabilmente la colpa non è
nemmeno di Cocciante o dell'autore del testo o del regista, la
colpa è nei limiti di un "genere", il musical,
che sta ritornando di anno in anno, dopo la troppo breve e lontana
stagione delle opere rock, pop e simili (Tommy, Jesus Christ Superstar,
Orfeo 9, ecc.), sempre più conformista e vigliacco, sempre
più vicino ai Film Disney che alla musica.
Daniele Timpano
ELETTRA
regia di Piero Maccarinelli
Una Elettra sin troppo sentimentale. Un Oreste che è distrutto
molto prima che di fronte al fatto compiuto. Una regia che abbatte
quanto di Euripideo c'è nel testo di Euripide. Bella la
traduzione utilizzata. Mediocre lo spettacolo, a partire dalla
locandina, che potrebbe essere la pubblicità di un negozio
di oggettistica africana. Meno male il finale, anche quello
un po' sentimentale ma molto simpatica ed efficace e -soprattutto-
Euripidea l'idea di un Deus ex Machina a pupazzi:
Castore e Polluce, due burattini dorati, spuntano dall'alto di
una torre cianciando le loro quattro cazzate in playback, inutili
e posticci; Elettra li aggredisce e butta via, praticamente strillando
loro in faccia "Ma non potevate venire prima? Che venite
a fare adesso che non servite a niente?". Bello. La cosa
peggiore in assoluto comunque resta lo squallore, la a-musicalità,
la banalità pedissequa delle parti corali: praticamente
quattro stronze (leggi: malcapitate e maldirette) e una corifea
più stronza, a-musicale, banale, squallida e pedissequa
di loro (una malcapitata, maldiretta, innocente Leda Negroni)
che sfaccendano in scena le miserrime partiturelle fisiche
da recita scolastica che il regista ha -con molto cattivo
gusto- montato loro addosso. Senz'altro suggestiva e funzionale
la scena, con l'unica colpa forse di offrire una limitante prospettiva
frontale che assieme al piano luci piuttosto elementare , alla
fine era una noia pure quella. Suggestivo anche l'inizio e molto
brava Elisabetta Pozzi, soprattutto quando soliloquia (quando
parla con gli altri personaggi scade un po' nella sensiblerie).
Interessante l'Oreste di Tommaso Ragno, sempre cupo, triste, un
po' gobbo. Così così gli altri, grigi e bigi
con qualche eccezione.
Daniele Timpano
EDIPO RE
regia di Alessandro Vantini
Banale. Orribile. Lungo. Partiture fisiche da filodramma, mai
ironia, mai contrasti, freddezza dall'inizio alla fine spacciata
per intensità. Gli attori bighellonano sulla scena
quasi sempre in modo casuale, solo il protagonista-regista-traduttore,
sebbene a tratti, ci offre almeno un po' di pathos; pathos che
evidentemente era l'obiettivo principale dello spettacolino (obiettivo
discutibile in partenza che comunque lo spettacolo manca clamorosamente).
Musiche dal vivo a metà tra gli stereotipi del classico
e Battiato, ostentate come "mediterranee" (pseudo-filologiche,
cantate in greco, ecc.) ma poi spunta un violino anacronistico
che distrugge tutto. Simpatiche le serio-ridicole micro-coreografie
del coro ma più ispirate alle Bangles che alla ritualità
di cui si parla nel programma di sala e, come al solito, si capisce
troppo bene che il coro parla ma non sa di che sta parlando, soltanto
parole parole parole, e nemmeno molto musicali. In sostanza
uno spettacolo ( l'ennesimo) che sembra voler programmaticamente
dimostrare che i tragici greci è meglio lasciarli sui banchi
di scuola o nell'armadio del grecista, uno spettacolo che meriterebbe
la pena di morte.
Daniele Timpano
& Valentina Cannizzaro
Enrico V
Branagh aveva 27 anni quando girò il suo primo film, Enrico
V, ed era già conosciuto a teatro. Ciò non toglie
che Enrico V sia orrendo. Qualcuno di voi pensa sia un bel film?
L'ho appena rivisto. La prima volta non mi era
piaciuto molto ma pensavo di non essere obiettivo perché
avevo visto da poco il bell'Enrico V di L. Olivier. Bene, rivisto
oggi senza pregiudizi confermo: banalotto, sempliciotto, nazionalpopolare
e un po' squallido. I flashback con
Falstaff in particolare. Il doppiaggio italiano alla Ken il guerriero
non aiuta. Tonino Accolla qui, a doppiare Enrico V, non è
proprio un granché. Divulgare, semplificare, vuol dire
per forza idiotizzare e nullificare?
Daniele Timpano
|