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  KING CRIMSON
di Marco Maurizi, 28.05.2002
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King Crimson

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King Crimson
Larks' tongues in aspic (1973), Red (1974)


Robert Fripp dice spesso che la musica (sia essa una melodia, un assolo, forse addirittura una canzone) esiste prima di essere scritta. Invece di "esprimere" qualcosa di interiore, la musica aspetta di essere scoperta e suonata dal musicista che è solo un mezzo di cui essa si serve. Difficile trovare qualcun'altro nella musica rock che non si sia abbeverato al mito stantio della "immediatezza" e del "sentimento" vendendoci le sue deiezioni esistenziali per oro colato. Quando Fripp parla di questa musica "oggettiva", scandalizzando alfieri del sentimento e fan sbavanti con quel suo buffo cinismo a metà strada tra zen e gergo manageriale, si meriterebbe un monumento.
Purtroppo il suo discorso, invece di essere una salutare critica materialista alle false illusioni del musicista che pretende esprimersi liberamente e autarchicamente, si presta ad essere frainteso in senso "mistico" (che è poi quello che Fripp stesso ha fatto mettendosi a lavorare con Brian Eno).
La sua musica, che cerca di abbeverarsi al cervello, tenendosi il più lontano possibile dallo stomaco, porta i segni indelebili di questa ambiguità. Questi due album segnano l'inizio e la fine della seconda "incarnazione" dei King
Crimson: via i flautini barocchi ( I talk to the wind ), via i sassofoni ridondanti ( Picture of a City ), via i pianoforti sognanti ( Island ).
Cosa resta ? Chitarre distortissime da sfracellarsi di gioia le orecchie, ondate di improvvisazione (ma sempre vigile e un po' ingessata), passaggi atonali e/o salmodianti per violino solo, tempi dispari e sovrapposti a non finire. Un pezzo come Providence , nonostante si barcameni bislaccamente tra frantumazione melodica avanguardista e iteratività rock, è uno dei più grandiosi e convincenti brani di musica "astratta" che il rock inglese degli anni 70 abbia mai prodotto. Anni luce avanti rispetto al fraudolent-progressive degli Yes, degli ELP e dei Genesis.
Eppure qualcosa non quadra. A dir la verità, nonostante Robert Fripp abbia sempre predicato il verbo della musica "intelligente", inveendo contro la rozzezza del rock, anche in questi due album non mancano gli enfatici lamenti kitsch a lá Epitaph : Exiles e Starless sono perfetti esempi di questa contraddittoria tendenza di Fripp a scrivere battute in 11/8 per poi sciogliersi come un adolescente in piagnistei affogati nel mellotron. È un fatto davvero curioso. È come se Fripp dovesse pagare il fio per aver tentato di afferrare una musica "oggettiva", colorendo di tanto in tanto i suoi risultati con un esasperato soggettivismo, uno pseudo-romanticismo di facciata. Perché nessuno potrebbe seriamente credere all'enfasi e alla retorica di questi pezzi dei King Crimson.
Se vi viene la pelle d'oca a sentire Starless andate a farvi vedere da un dermatologo.
Marco Maurizi

 


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