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  LUCA SCARLINI
di Valerio Cruciani, 8.maggio.2002
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:: La musa inquietante, CopertinaIntervista elettronica a Luca Scarlini autore del libro
"La musa inquietante. Il computer e l'immaginario contemporaneo",
Raffaello Cortina Editore, Milano 2001, 120 pagg. Euro 8.26

1) Come prima cosa parlami di te, del tuo lavoro, delle tue precedenti esperienze. Come sei arrivato al libro "La musa inquietante"?

Sulle mie esperienze e i miei libri sarebbe una storia troppo lunga e rischierei di passare per immodesto. Si può dire senz'altro che sono un comparatista per la passione, talvolta un po' ossessiva, a realizzare cataloghi e confronti. In primis sono un traduttore e sono da sempre a metà tra letteratura e teatro, in varie vesti.

2) Il tuo libro ha lasciato in me l'impressione di essere un'ottima bibliografia ragionata e commentata costruita in seguito ad una lunga ricerca, uno spoglio delle risorse letterarie che in qualche modo avessero a che fare con il problema delle nuove tecnologie (a partire dalla prima rivoluzione industriale). Le domande che poni sono molte, e molte sono quelle che ci si pone nel corso della lettura. Mi pare però che manchi l'esposizione evidente di una tua idea di letteratura e una tua proposta teorica relativa ai problemi che oggi essa attraversa (mentre ottima è stata l'idea di inserire un minimo di storia del computer).

Si è esatto, mi interessava in questo caso specifico (ma quasi sempre in generale) presentare su un argomento poco o per niente trattato da noi (mentre of course qualcosa può reperirsi in inglese), i fatti e connetterli in un tessuto temporale; non mi interessava affatto fare l'ennesimo manifesto pre-post-ante cyberpunk, di cui c'è anche troppa dovizia.

3) Quali sono per te i problemi che oggi la letteratura si trova davanti? E' errata la mia osservazione relativa al tuo libro? Possibile che questo sia dovuto alle esigenze del progetto editoriale?

No, riprendo da sopra: sono io ad aver scelto di raccontare i fatti, ovviamente esprimendo un giudizio che è anche nel montaggio stesso della narrazione.
Sui problemi che l'arte si trova davanti è senz'altro un tema estremamente complesso, irto e estremamente ambiguo allo stesso tempo. La cosa indubbia è la continua mutazione, quasi genetica, di paure e timori dell'immaginario. E' certamente importante la trasformazione del computer da elemento irrealistico per antonomasia a dato realistico altrettanto forte, elemento quindi di una qualsiasi realtà quotidiana e domestica. Si è riflettuto molto sul postfordismo, ma credo sia il momento di pensare alle ricadute nella "normal life" di queste vicende: il computer è, ormai, un po' elettrodomestico un po' animale domestico. Quel che mi interessava era capire come si era arrivati a questo dalla sua iniziale configurazione come totem crudele a cui immolare ogni caratteristica di umanità.
I problemi della letteratura sono quindi per certi aspetti squisitamente gestaltici, concernono la percezione di questo altro reale in pixel e la determinazione di una forma atta ad accoglierlo. Fallito, per ora, l'ipertesto e latitando l'e-book, le cui prime sperimentazioni non decollano, le questioni stanno nel meticciato di forme e strutture espressive.

4) E' la prima volta che ti occupi del problema della letteratura nella civiltà delle macchine?

No, a suo tempo (sette anni fa, per l'esattezza) avevo lavorato a un ampio progetto sugli strumenti musicali anomali (e in specie sul Theremin, un antenato del sintetizzatore) ed avevo pubblicato vari articoli sul tema in italiano e in inglese.
Per altro ho fatto parte, per alcuni anni, del gruppo di lavoro "Strano network" che si occupa di diritti del mondo digitale in ambito politico quanto artistico, ed anche con loro avevo portato avanti una serie di riflessioni pubbliche.

5) Quale credi che sia (se c'è) il discrimine tra letteratura classicamente intesa e "letteratura d'anticipazione"?

Difficile dirlo, sono espressioni di comodo: senz'altro la fantascienza o la letteratura di anticipazione serializza quello che nell'ambito mainstream (letteralmente "corso principale", ad indicare una moda o una tendenza molto seguita, N.D.R.) risulta di norma come risposta personale a uno Zeitgeist (in tedesco "spirito del tempo", il paradigma storico, N.D.R.), ma sono indicazioni giocoforza generiche, è solo una diversità di mezzi e di ambiti, nonché di ricezione.

6) Quando parli di "meticciato di forme e strutture espressive" ti riferisci forse ad un assottigliamento di questo discrimine?

Sì, anche, ed è senz'altro un fatto positivo. Ma la mia indicazione aveva anche un riscontro sul piano formale.

7) Tu parli del computer come di un "animale domestico". Credi che l'uomo contemporaneo si sia fatto addomesticare definitivamente alle necessità della tecnologia informatica? Credi che si sia arrivati ad una sorta di assuefazione da computer, per cui la velocità dei cambiamenti e della diffusione delle informazioni (ma anche la sempre più dominante automazione di ogni dettaglio della quotidianità) ormai fa parte del nostro essere costitutivo "corpo e anima"?

No, credo solo che abbiamo addomesticato la presenza della macchina nell'immaginario, ma la rivoluzione percettiva che essa induce deve ancora essere metabolizzata e ci vorrà un lunghissimo periodo perché il percorso si attui.

8) Rispetto a questi problemi ti senti un "apocalittico" o un "integrato"?

Tondelli, che frequentavo da ragazzino a Firenze, mi definiva "Ugonotto" ed è una definizione a cui mi attengo: a metà tra le due posizioni, ma con una netta tendenza a una drammatizzazione dell'integrazione e all'esilaramento dell'apocalittismo.

9) Il percorso storico che tracci nel tuo libro rivela una cosa molto chiaramente: si tratta della storia della nostra metà di mondo.
Le letterature del Sud della Terra come percepiscono (se lo recepiscono) il rapporto con le macchine e il computer?
Temi anche tu che si assisterà ad una nuova colonizzazione in questo senso, delle coscienze oltre che delle risorse materiali?

Il rischio c'è e grosso. Nel libro accenno alla situazione di sperimentazione indiana che è alquanto interessante e avanguardistica. E' chiaro che la globalizzazione dei saperi in mano a pochi è uno dei rischi maggiori, ma la rete è strana e abbastanza dinamica, e forse ci salverà anche per meccanismi suoi indotti. Senz'altro un bel po' di attenzione e di "rigueur", peraltro una serie di progetti per l'alfabetizzazione telematica nei paesi definiti ipocritamente "in via di sviluppo", daranno risultati interessanti nei prossimi anni.

10) Il teatro italiano (ma in generale il teatro) come si sta rapportando alle nuove tecnologie?
Si può parlare di un vero rinnovamento di schemi e stili, oppure le nuove tecnologie sono solo appiccicate sopra qualcosa di usuale e conosciuto, in una sorta di volontà di stupro infruttuoso della tradizione? Voglio dire: c'è un rapporto storicistico rispetto al passato, o si assiste piuttosto ad un totale ed arbitrario scollamento dalla realtà (mi riferisco al teatro, ma anche alla letteratura)?


Per il teatro pochi sono da noi gli esperimenti radicali: penso ad esempio agli ambienti per la danza di Ariella Vidach dove la danzatrice reagisce con lo spazio circostante. Spesso come dici tu c'è la sensazione di vari elementi attaccati insieme senza troppa convinzione.

11) E il cinema? Ho la sensazione che questa sia la forma d'arte che meglio risponde e meglio si addice ad una riflessione sui nuovi connotati di un mondo sempre più preso da un vorticoso e irrefrenabile desiderio schizofrenico di sviluppo. Ad esempio mi riferisco a "Nirvana", di Gabriele Salvatores e ai suoi ultimi film, dove mi sembra che il cinema si riveli come mezzo migliore per mettere l'uomo di oggi in relazione con i nuovi problemi sollevati dalle nuove tecnologie.

Sì, ma non citerei Salvatores, che non amo e che mi sembra, anzi, che proprio appiccichi tecnologia su storie sempre uguali. Ti consiglio di vedere il recente e, entro certi limiti, sconvolgente "Avalon".

12) I tuoi progetti di prossima realizzazione?

Molti, tra i quali un volume per Rizzoli sulle autobiografie "contro" (ovvero sulle autobiografie di coloro a cui la società di solito non concede questa chance). Si intitolerà: "Ogni uomo è un miraggio". [Fine]
Valerio Cruciani

 


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