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  SUL TEATRO CONTEMPORANEO ITALIANO
di Fabio Massimo Franceschelli, 30.05.2002
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Luci e ombre...

 

LUCI ED OMBRE

Luci ed ombre caratterizzano l'attuale stagione del teatro italiano. Non è una formulazione generica: vivendo ormai da anni il duplice impegno negli ambiti della drammaturgia e della regia/recitazione posso assegnare con una certa sicurezza le ombre alla drammaturgia - teatro in "potenza" -, e le luci alla regia/recitazione - teatro in "atto".

Luci. Già a partire dalle strade tracciate nella seconda metà del nostro '900 da numi tutelari quali Carmelo Bene, Ronconi, Strehler, la scena italiana si è formata condividendo una stimolante idea di teatro quale luogo di ogni possibilità artistica: stracciata la tirannia del testo drammaturgico, la messa in scena è messa in scena di un'idea, di un concetto, di un'intuizione, e ciò attraverso l'ausilio paritario della parola e del movimento, della musica e della scenografia, della danza e delle moderne arti (tecnologie) visive. Nei lavori dei nostri Socìetas Raffaello Sanzio, Motus, Remondi e Caporossi, Barberio Corsetti, Martone, Valdoca, De Berardinis, e di tanti altri, il teatro diviene atto artistico totale, poesia teatralizzata, pittura vivente, gnosi visualizzata, musica dipinta. E questa è luce.

Ombre. Se la luce nasce con il tirannicidio del testo scritto, quest'ultimo vive i suoi giorni come un nobile decaduto, schiacciato tra l'impotenza attuale e le memorie delle antiche glorie. Ne abbiamo ancora bisogno?
La situazione è triste. Non mancano premi di drammaturgia (Riccione, Fondi La Pastora, Flaiano, e molti altri), né enti che si dedicano alla scoperta di nuovi talenti (ETI, OUTIS, CIRT, SIAD, ecc.), ma tutti questi si rivelano tentativi vani per uscire da quello che appare essere sempre più un vicolo cieco. Se si intende la drammaturgia come particolare forma di letteratura, da fruirsi quindi attraverso la lettura, occorre dire che nessuna casa editrice investe nei nuovi autori. L'unico editore a diffusione nazionale che cura una collana teatrale al passo con i tempi è Einaudi, ma il suo paradosso è che per apparirvi occorre essere già conosciuti (e non si può essere conosciuti se nessuno ti pubblica). Vi sono anche piccole case editrice perlopiù locali, ma con bassa distribuzione e con pochissime prospettive di vendite. Il risultato è che la letteratura teatrale non si legge più!
Se invece limitiamo la drammaturgia al suo fine "naturale", la rappresentazione, la situazione non migliora affatto. Come mai grande parte dei giovani autori è costretta a fondare una propria compagnia per vedere messi in scena i propri testi? Brevemente, ravviso due ordini di problemi. Il primo è culturale, e coincide con l'incapacità della società italiana a confrontarsi con la modernità: da una parte vi è la grandezza di un Pirandello che, paradossalmente, con la sua insuperabilità ha di fatto precluso alternative a se stesso; dall'altra vi è il perdurare di una concezione molto borghese e perbenista del dramma, ove tutto ciò che si richiama a Beckett viene ancora guardato con sospetto. Il provincialismo italiano snobba Beckett, si scandalizza per Sarah Kane e non comprende come "un comico" abbia potuto vincere il Nobel per la letteratura.
Il secondo problema che condiziona le fortune della letteratura teatrale italiana è di ordine economico ed è di una semplicità disarmante. Mi spiego ponendo il quesito: se voi foste direttori di un teatro o di una compagnia e doveste investire in una produzione, dove cadrebbe la vostra scelta? In Shakespeare o Molière, che il loro pubblico lo hanno sempre e che non costano nulla di diritti SIAE perché ormai di pubblico dominio, oppure in un nuovo autore, magari bravo ma comunque sconosciuto ai più e che per giunta pretende anche di essere pagato dei diritti di autore? Ombre, molte ombre.

Fabio Massimo Franceschelli

Compagnia OlivieriRavelli Info: Compagnia OlivieriRavelli

 


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