Indice 3.1 Introduzione Un confronto dei risultati sperimentali può essere fatto con la metodologia numerica degli elementi finiti. Questa applicazione risale alla seconda metà degli anni '50 andando diffondendosi ed evolvendosi di pari passo con lo sviluppo informatico di questi anni in quanto essa richiede una notevole capacità di calcolo. La tecnica degli elementi finiti consiste sostanzialmente nello schematizzare una struttura come un insieme di "elementi" uniti tra loro per modellare strutture anche altamente complesse: l'approssimazione del nostro modello matematico nei confronti del modello reale sarà tanto più precisa tanto più fitta sarà la suddivisione degli elementi. L'enorme vantaggio di questo metodo è insito nel fatto che esso può essere applicato per modellare strutture a geometria complessa che non potevano essere risolte con i metodi tradizionali. La metodologia FEM, come del resto tutte le altre metodologie numeriche, è oggigiorno un supporto indispensabile alla progettazione meccanica, soprattutto nella prima fase di studio in cui, sostituendosi alle usuali metodologie sperimentali, permette di ridurre notevolmente tempo e costi. Naturalmente, come ogni tecnica che si basi su un modello matematico, che un'approssimazione di quello reale, i risultati ottenuti dovranno essere opportunamente testati sulla base dei risultati forniti dal modello reale. 3.2 Studio dello stato di sforzo In stato di deformazione piana il comportamento di un laminato in materiale composito [Tsai-Hahn, 1980], in forma matriciale, può essere espresso come: In forma abbreviata:
dove: N = matrice
delle azioni normali; Nel caso di laminato simmetrico anisotropo (quando, cioè, la sequenza dei layers si ripete simmetricamente rispetto ad un dato piano), a causa di tali condizioni di simmetria, si ha un disaccoppiamento tra deformazioni piane e curvature. Questo si traduce nell'annullamento dei coefficienti della matrice B, portando ad una equazione costitutiva del tipo: Nel caso di laminato omogeneo anisotropo tali relazioni risultano essere ulteriormente semplificate in quanto i coefficienti della matrice D diventano proporzionali a quelli della matrice A. Per cui, indicando con h lo spessore del laminato, avremo: Nel caso in cui il laminato sia simmetrico ed equilibrato (cioè se abbiamo un layer con orientazione q ne esisterà anche uno con orientazione -q), a causa delle condizioni di equilibratura, si annullano tutti i coefficienti della matrice D ed alcuni della matrice A. L'equazione costitutiva si riduce così: Vista la complessità nella determinazione dello stato di sforzo di un laminato in materiale composito, si rende necessario il passaggio ad una metodologia di calcolo, come quella agli elementi finiti, che permettano di determinare lo stato di sforzo anche per strutture con forma diversa e complicata. 3.3 Codice di calcolo Il codice di calcolo utilizzato per l'analisi agli elementi finiti è l'ANSYS/Multiphysics versione 5.3, prodotto dalla Swanson Analysis Systems, residente a Houston, in Pennsylvania. Le potenzialità di tale software sono variegate e notevoli, consentendo, infatti, di affrontare la soluzione relativamente a problemi di statica lineare e non, analisi dinamica, creep, trasmissione del calore in condizioni stazionari e transitorie, risposte spettrali, elettrostatica, elettromagnetismo, acustica e fluidodinamica. L'enorme varietà di elementi disponibili consente di affrontare e risolvere i più variegati problemi del campo ingegneristico. Nel caso di problemi strutturali le condizioni al contorno possono essere diverse: spostamenti, forze, momenti, pressioni, temperature, velocità oppure accelerazioni. Riguardo la risoluzione numerica delle equazioni, essa può essere affrontata con modalità diverse: soluzione frontale, JCG (Jacobi Conjugate Gradient), ICCG (Incomplete Cholesky Conjugate Gradient), PCG (Preconditioned Cholesky Conjugate Gradient), ITER (soluzione automatica iterativa). Le fasi principali del codice sono:
Ad ognuna di queste fasi è associata un'apposita routine del programma ANSYS. Esse sono /Prep7 per la fase di Preprocessor, /Solu per la fase di Solution, /Post1 per la fase di Postprocessor. 3.4 Modello di indentazionePer
schematizzare l'andamento dell'indentazione nella zona di contatto tra indentatore e
laminato si è provveduto a costruire un modello di tale laminato con la tecnica degli
elementi finiti, attraverso l'ausilio del software ANSYS nella versione 5.3. Figura III.1. Elemento SOLID 45 [ANSYS Vol.III]. Oltretutto
l'opzione delle grandi deformazioni, permettendo, inoltre, di aumentare la rigidezza
all'aumentare delle deformazioni. Figura III.2. Orientazione degli sforzi per l'elemento SOLID45 [ANSYS Vol.III]. Per meglio simulare l'effetto di indentazione si è deciso di modellare la punta dell'indentatore emisferico con l'elemento lineare di volume SOLID73, creato appositamente per generare corpi che siano solidi di rivoluzione. Figura III.3. Elemento SOLID73 [ANSYS Vol.III]. Esso è
definito mediante otto nodi e le proprietà del materiale. Ogni nodo possiede sei gradi di
libertà: tre traslazioni e tre rotazioni attorno agli assi nodali x, y, z. La geometria
dell'elemento è di tipo tetragonale, ma può essere anche tetraedrica, prismatica oppure
piramidale. Figura III.4. Elemento CONTACT49 [ANSYS Vol.III]. La
costruzione del modello inizia, nella subroutine di preprocessor, attraverso la
definizione dei diversi tipi di elemento, delle loro costanti reali e delle
caratteristiche dei materiali utilizzati. Inoltre si dovrà procedere alla definizione dei
diversi sistemi di riferimento locali, ciascuno orientato nella direzione delle fibre dei
diversi strati. Creazione dei volumi delle singole lamine. La costruzione di ciascuno di essi è stata particolarmente laboriosa, in quanto si è voluta ottenere una mesh più fitta in vicinanza della zona di contatto. Non è stata utilizzata una struttura a ragnatela, la quale avrebbe generato degli elementi prismatici a base triangolare che avrebbero ridotto l'accuratezza proprio nella zona di contatto. Si è così costruito il quadrato del materiale in esame di dimensioni tali da riprodurre tutta la zona di influenza dell'impatto. Creazione della griglia. Per la generazione la mesh, volendo un'infittimento maggiore degli elementi nella zona centrale, si è proceduto attraverso l'opzione di creazione manuale che, a differenza di quella automatica, consente di controllare la forma ed il numero degli elementi. Si è in tal modo provveduto a suddividere ogni linea in un certo numero di intervalli di lunghezza variabile, corrispondente alla dimensione dei lati del singolo elemento. Effettuata tale operazione per ogni linea (aventi ciascuna un proprio numero di suddivisioni) si può ora meshare automaticamente la struttura. Tale operazione sarà effettuata per ogni strato della sequenza, facendo in modo di dare ai diversi elementi l'orientazione del sistema di riferimento locale, precedentemente definiti attraverso il comando LOCAL [ANSYS Vol.II], diverso da lamina a lamina. Ottenuta la modellazione di una sequenza, per riprodurre l'intero laminato sarà necessario copiare e disporre opportunamente tale sequenza. Particolare importanza ha rivestito la creazione della geometria dell'indentatore. Infatti, stante la presenza degli elementi di contatto, sarà indispensabile che nella zona di contatto l'impattatore abbia una mesh estremamente fitta, in modo che, al crescere del carico, la forza di contatto non sia concentrata, ma si distribuisca su più nodi. simulando così l'espandersi della zona di contatto. Figura III.5. Modello dell'impattatore. Il passo successivo è stato quello di creare gli elementi di contatto tra indentatore e laminato. Si sono così selezionati la prima serie di nodi esterni dell'impattatore (contact surface), per un raggio di circa 2 mm, ed una seconda serie, di estensione quadrata circa pari, sulla superficie superiore del provino(target surface). La generazione degli elementi CONTACT49 è stata poi effettuata, impostando gli opportuni parametri di mesh, attraverso il comando GCGEN [ANSYS Vol.II]. In riferimento alla Fig.III.6, vediamo come il contatto tra il punto M (contact surface) e la superficie del target, definita dai nodi I, J, K, L, possa essere analizzato attraverso il valore assunto da g (gap). Tale valore non è altro che la distanza tra il punto M e la superficie suddetta. Quando tali entità non sono in contatto fra esse il valore di g è positivo, viceversa un valore negativo o pari a zero implica il contatto o la compenetrazione fra i due corpi. In questo secondo caso, per soddisfare la compatibilità del contatto, in direzione normale alla superficie del target (direzione n) vengono sviluppate una serie di forze che tendono a ridurre la compenetrazione e a portarla ad un valore numericamente accettabile. In aggiunta a ciò può essere generata anche una serie di forze di frizione, le quali si sviluppano in direzione tangente a quella del piano. Figura III.6. Sistema di coordinate del target [ANSYS Vol.III]. Per quanto riguarda le forze che si sviluppano in direzione normale alla superficie, per soddisfare la compatibilità del contatto esistono due metodi diversi:
Il penalty method genera le forze tangenziali fn attraverso la definizione di una rigidezza di contatto KN [ANSYS Vol.I]: KN*g se g<=0 fn=0 se g>0 Per quanto riguarda il metodo combinato il componente della forza del moltiplicatore di Lagrange viene computato localmente ed iterativamente. Esso viene espresso come:
dove: Nello studio affrontato si è utilizzato il penalty method. Particolare importanza ha rivestito la scelta del valore da assegnare alla rigidezza di contatto KN. Infatti un valore estremamente elevato genera una buona compatibilità tra le superfici a contatto, ma, contemporaneamente, può condizionare le equazioni di rigidezza globale con conseguenti problemi di convergenza. Alternativamente, un valore troppo basso di tale coefficiente elimina tali problemi di convergenza, ma può portare alla compenetrazione tra i due corpi. Esistono diversi modi per valutare KN. Per il contatto tra modelli con elementi solidi si usa: dove: Attraverso una serie di prove preliminari di convergenza si è visto come il valore ottimale della rigidezza di contatto fosse KN=50E+6. Infatti questi è risultato essere il valore più elevato per il quale la soluzione arrivi a convergere senza generare una compenetrazione eccessiva tra i due corpi. Figura III.7. Disposizione degli elementi di contatto. Creata la geometria del modello si possono ora, nella subroutine di solution, fissare le opportune condizioni di vincolo ed applicarle i carichi. La piastra è, nel caso reale, appoggiata su un piano infinitamente rigido: tale condizione al contorno viene schematizzata nel nostro codice di calcolo, introducendo dei vincoli ai nodi della superficie inferiore che impediscano alla struttura gli spostamenti lungo la direzione di applicazione del carico (direzione z). Per non avere poi una struttura labile, si è inoltre provveduto a bloccare il nodo centrale e quelli agli spigolidi tale superficie, impedendoad essi gli spostamenti nel piano x-y.
Figura III.8. Modello di indentazione. Per quanto
concerne l'applicazione della forza che sollecita la nostra struttura, i diversi valori di
carico sono stati raggiunti attraverso una serie substeps intermedi. Questo, sia perché
la soluzione di un questo tipo di strutture presenta dei problemi di convergenza quando si
utilizzano grossi carichi [ANSYS, Vol.I], sia perché a noi interessa avere delle accurate
informazioni sullo stato di deformazione del materiale a diversi livelli di carico. Figura III.9. Modello di indentazione con spessore maggiorato. Infatti le
formule di Hertz sono delle espressioni ricavate per materiali isotropi a contatto, e
successivamente riconvertite per i materiali compositi.
INDICE | INTRODUZIONE | CAPITOLO 1 | CAPITOLO 2 | CAPITOLO 3 | CAPITOLO 4 | CAPITOLO 5 | CONCLUSIONI | BIBLIOGRAFIA | RINGRAZIAMENTI |
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