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Il ragazzino delle curva sud di Maurizio Catalani - Nov. 1998
Il ragazzino attraversò la
strada, guardò un vecchio «nasone» che faceva parte da quasi cento anni di
quell'arredamento, ed alzò gli occhi quasi a chiamare il cielo. C'era poco di vecchio e
molto di nuovo, ma era lo stesso posto di sempre. Il ragazzino era troppo giovane per
ricordare quell'antica piazza che, appena trenta anni fa, sembrava essere un piccolo borgo
di paese.
Guardò ancora qualche secondo intorno a lui, si girò verso il vecchio portone e
poi diresse lo sguardo nel vuoto con la voglia di sognare.
Era una bellissima notte capitolina, nitida, semplice, poca «gianna»... molto
romana. Il ragazzino sapeva che giorno era domani e sentiva forte battere il cuore.
Se avesse dovuto descrivere lo stato d'animo di quel momento, non avrebbe saputo
cosa dire.
C'era angoscia, rabbia, desiderio e paura....
«A ragazzi'... abbai alla luna?».
«Ciao vecchio mio! _ rispose il ragazzino - che fai da queste parti?».
«Che faccio? Ci sono nato e per un attimo ci torno sempre, la notte prima.
Piuttosto, tu che ci fai?... domani si gioca...». «Boh? Serata di permesso,
stanotte dormo da mamma, ne avevo bisogno e... è andata così...».
«Dài, vai a dormire, smetti di cercare il cervello, testa e gambe le
trovi domani, piuttosto mettici il cuore, la rabbia e quelle facce romane che te stanno a'
aspettà...».
«Buonanotte» disse il ragazzino sorridendo stretto tra i denti. «Buonanotte»
rispose il vecchio abitante della vecchia piazza del borgo... che non c'era più.
Il ragazzino puzzava di olio
canforato, puzzava talmente tanto da averne lui stesso fastidio. Gli ottantamila erano
distanti un centinaio di passi e non era facile fare finta di non ascoltare.
Allacciò le scarpe, alzò gli occhi ed inizio a camminare. Saltava sulle
ginocchia, il ragazzino, più per il nervoso che per il bisogno di scaldare quei muscoli
che erano già abbastanza pronti all'attesa.
Quella scena l'aveva già vista altre volte. Il boato, i colori, le facce
invisibili e sconosciute, il cielo romano e la nebbia dei fumogeni.
Il ragazzino sputò l'angoscia che era nella saliva e sentì quel piccolo fischio
d'inizio entrare dritto nel cuore.
Si mosse per lungo tempo senza sapere dove andare, cercando nei piedi se stesso e
trovando poche risposte alle buone intenzioni. Vedeva tutto lontano, la mamma, gli amici,
le facce sorridenti di circostanza, gli adulatori e quelli che lo amavano e lo odiavano
per il solo fatto che fosse in quel prato.
Guardava la rete e, tra i buchi, la vecchia Sud e non riusciva a capire perché non
potesse sputare dieci chili di fiato correndo oltre quei pali.
Il ragazzino abbassò gli occhi sul polsino sudato andando a cercare le lancette di
un orologio che non c'era.
Levò lo sguardo verso la panca ed incrociò un paio di cento secondi per le docce.
Quasi non si accorse che il cuoio gli scivolava tra i lacci e naturalmente la fece
scorrere verso la direzione opportuna.
Velocemente si liberò di un paio di ginocchiere e di altri ventiquattro tacchetti.
Alzò la testa tenendo ferma la speranza tra i piedi e trovò quell'ultimo faccione
che correva verso di lui. Lo trovò più grande di sempre ed agitava quei manoni
correndogli incontro come fossero pale di un mulino a vento. Il ragazzino fece scorrere
cinque dita sotto la palla che si alzò liberandosi degli ultimi attori.
I due ora guardavano nella stessa direzione e con loro gli ottantamila. In quella
rete entrarono un po' tutti: i ragazzi della Sud, le urla di gioia e le facce gonfie di
disperazione, le radioline ed il sogno realizzato.
Non si voltò neanche a guardare, saltò la linea di fondo e corse verso quel
viaggio che da tempo sperava di fare. Si trovò ginocchioni sotto quel vetro dove lo
aspettavano altri ventimila come lui.
In quel pugno che cercava il cielo ci strinse stretti un po' tutti e nessuno di noi
avrebbe mai, per nulla al mondo, rinunciato ad entrarci.
Il ragazzino si alzò da
tavola dopo avere mangiato pochissimo, ma quella sera nello stomaco non c'era più posto.
Aprì la porta nuova della sua cameretta e d'istinto cercò nell'armadio. La
scatoletta era lì dove si doveva trovare.
Tolse il coperchio e ne fece scivolare fuori la vecchia sciarpetta.
Gli apparve sotto gli occhi la scritta «Ultrà Roma» e subito la girò.
Dall'altra parte c'era stampato «Campioni d'Italia» ed il ragazzino si ricordò della
promessa fatta: la doveva restituire al mittente il giorno del suo primo scudetto, ma
quello era un altro sogno.
Ciao ragazzì... te stamo a' aspettà davanti a quel vetro.
P.S. Credo che dedicherò questo
breve scritto al ragionier Ferretti. Credo che... sia giusto così perché noi ci vogliamo
un sacco di bene.
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