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Che tristezza siamo nelle mani sbagliate

di Maurizio Catalani - Dic. 1998

Chi vi scrive in questo momento è fermo al lunedì «post-Juve». La Roma come Parsifal, follia, amore ed incoscienza. Non so assolutamente se saremo servi o re, so solamente che siamo romani. Il nostro «Santo Graal» lo abbiamo già trovato ed è stampato sul certificato di nascita e, per chi non lo avesse a portata di mano, sulla patente o sulla carta d'identità. Nome... Cognome... Luogo e Data di Nascita: «Roma»... (finalmente!) tanto basta per gridare il proprio «culo» al mondo. Ma nella vita si mischiano gioie e dolori, speranze ed incertezze, sogni e realtà.
Chi legge - ringrazio ossequioso - lo sta facendo dopo Roma-Bari ed il vecchio derby del quale da sempre farei volentieri a meno: sincero fino in fondo non sono per la non esistenza della «cugina», sono solamente maggiormente portato nell'osservarla dibattere le azzurrine membra in altre categorie. Anni belli per capirsi. Tanto è... e tanto basta.
Non conosco il risultato delle due partite ed è importante che ne teniate conto. Scrivo prima perché dopo, comunque sia andata, per me non sarebbe diverso. Il mio piccolo pensiero vado dunque a proporlo. Prendetelo come rinunzia al tutto, acchiappatelo al volo e gettatelo con disgusto nel Vostro cestino mentale, ma attenzione! Io ne sono «il convinto».
La nostra cara Roma, che ha già vinto tutto per il solo fatto di essere tale, non vincerà mai nulla fino a che nei prati Laurentini albergheranno «lor signori». Già leggo il vostro disgusto nell'essere letto, già intravedo giudizi sul mio tramonto mentale, già vedo pagine scorrere in fretta in altro sito della prestigiosa rivista in rosso&giallo. Ci sarà anche «merce rara» ad abbracciare il mio giudizio, ma anche di Voi non conto il prezzo e non leggo il valore.
Scandalo? Pazzia? Rifiuto soci o cadetti? Si, voglio essere solo come sempre sono stato con le mie ruvide meningi.
Troppe ne ho viste, troppe ne ho sentite, troppe volte ho fatto vacanza anche quando molti di Voi mi hanno creduto in guerra, novello Wallace contro l'odiata corte inglese. Sarei stata giustiziato? L'ho fatto da solo. Odio i «coglioni» che vogliono passare alla storia da giustiziati, io mi giustizio e, momentaneamente morto, attendo una beata e non cristiana resurrezione. Io c'ero, ci sono e ci sarò. Non conto balle, vivo luride realtà. Poi la terra.
Lui, Godot, loro, i servi sciocchi rapaci del nulla, schiavi di un'immagine che mai avranno, passeranno di moda, con le piccole guerre personali, le ipocrisie, le campagne di odio vero e presunto, i riti fasulli ed i denari posti che torneranno cospicui.
Una città guarda e li attende.
Dai loro volti e dalle loro labbra spuntano fiori, canute chiome, sguardi sensibili, echi contraddittori, baffi, presagi, minacce a nomi forti, cappottini con costosi risvolti e dozzinali camicie portate stile «gran ballo di corte», tutto come e per volere del capo.
Fenomeni! Triste, deve essere ben triste essere il re di Wizard ed affidarsi ad un giullare ubriaco, riporre idee e de nari nelle mani di chi non ha mai avuto rispetto per quelli degli altri. Ed allora? Veni, vidi e Giulio Cesare di Shakespeare. Ma non finisco qui: poco poeta e molto stronzo.
Ho contato le ore, ho cercato ragioni, ho sperato di trovarne: nulla. Siamo nelle mani sbagliate ed ho pena di chi non capisce.
I fragili, bellissimi cristalli di Boemia sono e resteranno tali. Goderemo di tavole imbandite a circondarli e lui splendido maggiordomo, ci tranquillizzerà come avessimo John Gielgud ad aprirci la porta di casa.
Non basterà. Lui è bravo, di più, ma non basterà. Lui sarà vincitore nel gioco e nel prezzo e noi i vinti, nelle tasche e nel cuore. Ad osservarci, sopra di noi, una schiera di finta vanesia.
Rientra, vecchio mio, rientra, spendi che torneranno, lo sapevi capitano di lungo corso. Tutto previsto: nulla sfugge al rito ortodosso del pallottoliere di lusso. Siamo abituati alle campagne di Russia. Non ci sono mai piaciute... ma per motivi diversi: almeno in quelle passate c'era il cuore e la speranza di un'idea, in queste il portafoglio, le smargiassate, i tristi aedi e le bugie.
Piangi e ridi, gioisci e lamentati, scrivi, detta e leggi, ma a me non mi freghi, ti stimo troppo quando fai i conti della spesa.
Sono comunque felice. Piccoli uomini schiavi del nulla, vivono le grazie del tempo e nell'attimo «per loro lunghissimo», sono quello che non sono mai stati e... piccole masse li seguono credendo di sorridere in buona fede.
Io no.
Io non debbo più vincere nulla, io non ho bisogno di capi che mi gettino denari bollenti sotto le mura della salita del Grillo: io ho già vinto carissimi amici.
«Roma» è scritto su tutte le burocratiche carte a mia disposizione dove si richiede il «Luogo di Nascita» e «La Roma» c'è scritto nel cuore. Il resto, nel mondo del cuoio tondo, può andare anche a «fare in culo».

P.S. Vorrei dire a mio padre che quanto scritto capita dopo una sera particolare nella quale la distanza e gli alberghi per la prima volta ci hanno veramente divisi. Ma vorrei che mio padre, mentre lo leggerà, se vorrà, sapesse che a casa Catalani non c'è, e mai ci sarà, una stanza che non ci possiamo permettere e che per nulla al mondo scenderemmo a compromessi per poterci dormire.

 


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