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Alla romana o alla milanese. Basta che il piatto non pianga più

di David Rossi - Set. 2000

Vincere a tutti i costi, questo l'imperativo del mondo moderno. non importa come, nè se si usano mezzi leciti o illeciti, nè se la vittoria arriva all'ultimo istante grazie a un infortunio dell'avversario. L'importante è che nel palmares ci sia il nome della propria squadra o del proprio idolo, il resto, ovvero lo sport nella sua quasi totalità, non conta. Nel calcio, in particolare in Italia, la cultura della vittoria appartiene a poche squadre, sempre le stesse, disseminate sull'asse Milano-Torino. Nel corso degli anni, si è sempre parlato di una innata capacità di vincere per bianconeri, nerazzurri e rossoneri: stile, mentalità, grinta, preparazione, tutte doti riconosciute quasi esclusivamente al trittico che assomma la grande maggioranza di titoli conquistati nel nostro campionato e all'estero. Oltre a queste squadre il nulla. Il casello di Milano Sud visto come le Colonne di Gibilterra dell'arte pedatoria nostrana. Sì, certo, Bologna, Fiorentina, Roma, Lazio e tante altre sono riuscite a centrare quà e là qualche obbiettivo, ma mai in maniera 'stilosa', come solo riesce a crucchi e longobardi.
Così, se si vogliono ottenere dei risultati esaltanti e, soprattutto, costanti, la ricetta giusta sembra quella del Nord. Il discorso si è fatto interessante per i tifosi romanisti con l'avvento di Capello a Trigoria. Don Fabio ha dato l'impressione di voler trapiantare a Roma mentalità e metodologie meneghine, cercando inoltre di contornarsi di elementi che questo tipo di atmosfera l'hanno vissuta proprio con lui. Galbiati come secondo, Negrisolo come preparatore dei portieri, Pincolini (poi silurato) come preparatore atletico, la recente promozione di Maldera a membro dello staff tecnico della prima squadra (promozione vanificata dalla rinuncia dell'ex tecnico della Primavera per 'motivi famigliari'). A questo vanno aggiunti i tentativi di portare nella capitale i fedelissimi Panucci e Weah, perni degli scudetti in rossonero targati Capello. Tutto all'insegna della filosofia 'nordico è meglio'. Eh sì, perchè nel frattempo da Trigoria sono partiti Di Biagio, Petruzzi e Alicicco, elementi non proprio scarsi e che invece non sono stati giudicati all'altezza della situazione. Not to mention la stagione che ha dovuto attraversare Vincenzo Montella da Pomigliano d'Arco, l'italiano con la più alta percentuale di gol per partita eppure costretto alla sostituzione per ben ventidue volte tra campionato e coppe. Per dirla tutta, non si è mai capita neanche la vera natura del rapporto tra Totti e l'allenatore rossogiallo, che ha espresso il rammarico a fine campionato di 'non aver avuto il coraggio di effettuare sostituzioni dolorose' e che dopo la finale europea Italia-Francia si è affrettato a rimarcare come il numero venti azzurro abbia 'giocato solo la finale all'altezza delle sue possibilità'. Ancora da chiarire, infine, la rinuncia, sempre in sede di calciomercato, ad Angelo Di Livio che a detta dello stesso giocatore ha avuto il torto di 'essere romano'. Il trainer della Roma ha commentato: 'Non sono razzista'. Nessuno era arrivato a pensare tanto.
Qualcuno ha già parlato di sinergie mediatiche anti-Capello, di una vera e propria prevenzione nei suoi confronti. Nel tentativo di difenderlo, spesso i suoi accaniti sostenitori vanno oltre anche le reali necessità di difesa di quello che, comunque, rimane uno dei più grandi nomi del calcio mondiale. Tutti possono commettere degli errori, soprattutto uno come Capello che ha dimostrato proprio in occasioni difficili come questa tutta la sua caparbietà e perseveranza, qualità premiate con vittorie esaltanti. Sarebbe stupido pensare che anche chi storce la bocca davanti alla mediocre qualità del gioco espresso dalla Roma lo scorso anno, speri in un altro fallimento della squadra giallorossa (fallimento è il termine usato dal tecnico stesso in occasione dell'intervista rilasciata a rosso&giallo lo scorso anno in previsione di un eventuale quinto posto finale, ndr). A chiunque venga in mente una cosa del genere, rifletta sulla serata della presentazione svoltasi all'Olimpico il 24 agosto. Settantamila persone in tripudio, settantamila matti di Roma ancora una volta pronti a festeggiare semplicemente la gioia di essere romanista, capaci comunque di regalare un grande boato di saluto al tecnico friulano. E queste sono vittorie che da queste parti si conseguono con naturalezza, senza teoremi o metodologie. Non servono scudetti o coppe, se poi vengono, logicamente, è molto meglio, ma senza ammazzare nessuno. Questa è Roma e la Roma, se qualcuno desidera vincere titoli a profusione non tenendo conto di questo spirito, si rivolga altrove. Sennò eravamo tutti juventini...

 


  1. Alla romana o alla milanese. Basta che il piatto non pianga più

  2. Gen. 2001

  3. Feb. 2001

  4. Apr. 2001

  5. Mag. 2001

  6. Set. 2001

  7. Dentro Cassano - Dic. 2001