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di David Rossi - Set. 2001

Diciassette giugno 2001. La Roma vince il terzo scudetto della sua storia e la città finisce per ubriacarsi con una girandola di festeggiamenti attesi 18 estati. Gioia irrefrenabile, tanta voglia di godersi il presente e poca di guardare avanti e preoccuparsi per quello che accadrà domani. Ma il futuro, si sa, è l'unica certezza di questa vita e puntualmente bussa alla porta di tutti, squadre di calcio comprese. Smaltita la sbornia, leggermente inquinata dalla mancanza di una vera e propria festa scudetto con la squadra, ci si mettono amichevoli, torneucci estivi e preliminari di Coppe e coppette a riportare in fretta i tifosi della Roma al confronto con la realtà. Complicata, quando si tratta di difendere il titolo conquistato, come testimoniano i recenti fallimenti di Juventus, Milan e Lazio nell'ordine. Contagiato dall'entusiasmo per una stagione che assomigliava tanto alla fuga di un ciclista su un Mortirolo che sembrava non finire mai, Sensi aveva lasciato intendere in primavera che acquisti come Buffon e Cannavaro fossero più di semplici ipotesi, mentre nei giorni della festa un certo Cassano era già a Trigoria e cercava casa nella Capitale. Ma quando si è trattato di arrivare al dunque, il quadro è cambiato, e non poco. Buffon a Torino assieme a Thuram e ad una serie di campioni gentilmenti offerti alla Signora dalla presunta concorrenza nella corsa al tricolore; Cannavaro ancorato a Parma a conclusione di un tormentone degno di una fiction stile "Un posto al sole". Proprio perché di sole a Parma se ne vede pochino, ancora di meno dopo la svendita estiva,ci vogliono 9 miliardi e spiccioli a stagione per convincere il difensore napoletano a restare senza musi lunghi alla corte di Tanzi. "Ero disposto a spendere fino a 60 miliardi - le parole di Sensi che intanto, guarda caso, aveva dirottato Nakata proprio sulla via Emilia e proprio per quella cifra - ma il prezzo del giocatore aumentava di giorno in giorno. C'è qualche personaggio influente (il banchiere Geronzi, amico-partner di Sergio Cragnotti, ndr) che si è mosso per non farci rinforzare". Durante la querelle Cannavaro, il numero uno rossogiallo riesce nel giro di pochi giorni a far storcere la bocca a tifosi e allenatore: da una parte aumentando gli abbonamenti stagionali del 30% e dall'altra cedendo la seconda metà di Cristiano Zanetti, pupillo di Capello, al suo amico Moratti. Quindi rispondendo alle critiche per la cessione dell'ex under 21 con un ermetico "Era la cosa giusta da fare". Abbandonata la strada-Cannavaro, sicura, affascinante e che avrebbe messo d'accordo proprio tutti, le piste per il difensore di grande livello da affiancare a Samuel e Zago si restringono a Kuffour, ghanese del Bayern Monaco, e al brasiliano Lucio, rivelazione della Bundesliga con la maglia del Bayer Leverkusen. Ma chi nell'immobilismo degli emissari di Sensi vede una caccia a fari spenti e spera nel colpo a sorpresa resta presto deluso. Nonostante le prime amichevoli di livello lascino intravedere una squadra che ha assimilato con lo scudetto quella polverina magica che alcuni chiamano mentalità vincente. L'infortunio di Lassissi nell'amichevole col Boca Juniors fa però tornare di prepotente attualità il problema di una retroguardia che registra un anno in più per Aldair e Zago e qualche dubbio irrisolto sull'affidabilità di Pelizzoli e Zebina. Forte di ragioni quantitative oltre che qualitiative, Capello ribadisce l'urgenza di rinforzare il reparto, ma per tutta risposta Sensi sfrutta l'onda euforica del facile successo sulla Fiorentina per esternare davanti alle telecamere Rai che "Questa Roma è a posto così", aprendo anche mediaticamente la polemica con il proprio tecnico. Insomma, mentre la città si popola di vacanzieri al rientro e si riaggiusta il make-up di striscioni, murales e bandiere rossogialli con il pretesto della vittoria in Supercoppa, l'Eden di Trigoria si trasforma gradualmente in un dorato Purgatorio. L'elefante di attriti e malumori partorisce alla fine il comunicato "sindacale" del quale trattiamo ampiamente qui sopra, molto più di un innocuo topolino per la serenità dell'ambiente e per la fiducia dei tifosi. A questo punto serve a poco l'assicurazione di Sensi che entro fine agosto Capello avrà a disposizione il difensore per il quale era stata tenuta da parte la maglia numero 4. Anche perché, invece dell'atteso salvatore della Patria, dall'Argentina non atterra altri che Leandro Damian Cufrè. E al tifoso della Roma resta la condivisibile sensazione che rispetto alla campagna acquisti esplosiva che ha portato allo scudetto, la politica societaria sia tornata a strizzare un po' troppo l'occhio al bilancio. A mente fredda non erano in stati pochi ad ammettere che 80 e passa miliardi per Cannavaro potessero essere uno sperpero giustificabile solo con il sogno chiamato Champions League, ma pur sempre uno sperpero. Con l'atterraggio di Cufrè sono almeno altrettanti, però, a pensare che dall'investimento folle al gruzzoletto di dollari spedito cash al Gimnasia La Plata per un ventitreenne "di belle speranze" ci passano parecchi mondi. E che quello più prossimo alla realtà riveli un triste ridimensionamento di programmi e ambizioni. Troppo poco il precedente di Candela, acquistato per un pugno di miliardi dal Guingamp e rivelatosi uno dei migliori esterni sinistri al mondo. Troppo ottimistico anche affidarsi all'occhio esperto di Baldini. Il passato è pieno di esperienze, da Vagner a Trotta passando per Bartelt e Gurenko, a dimostrazione che a Trigoria non si brilli quando si decide di scommettere ad occhi chiusi su un calciatore di altri mondi. Sarà per questo che l'arrivo di Cufrè non riesce a trasformare in sorriso uno solo dei mugugni suscitati dalla fumata nera per Cannavaro. Quasi si inserisse in un quadro dalle tinte troppo fosche per poterlo rendere vivace con una pennellata di verde. Sui terreni della Mitteleuropa, Totti e compagni riscuotono apprezzamenti ed onorano ampiamente triangolino tricolore e crescente fama internazionale, ma forse il lato positivo dell'estate delle plusvalenze romaniste finisce lì. Come se non bastasse il contrasto tra le nuove, tante, maglie scudettate e un dopo festa non proprio esaltante fuori dai campi, i sentimenti contrastanti riaffiorano quando l'urna di Montecarlo inserisce la truppa di Capello nel girone del Real Madrid. In piena bufera suscitata dal comunicato-choc, i giocatori si dichiarano cautamente fiduciosi mentre in città la sfida con Zidane, Figo e Raul riaccende l'entusiasmo per la stagione che sta per cominciare. Nella quale la Roma "resta la squadra da battere in Italia e non solo" come si riprende a dire da più parti, forse più per alimentare il serbatoio della fiducia che per effettiva convinzione. Sarà, ma intanto il 26 agosto, nella "prima" serale del Bentegodi, i rossogialli steccano paurosamente: indietro nella condizione, carenti in organizzazione di gioco e lucidità di manovra, non azzeccano mai più di tre passaggi (e quando ci riescono vanno in porta...) e sembrano la controfigura moviolata e senza stimoli dello squadrone cinico di pochi mesi prima. L'1-1 che potrebbe pure stare largo è linfa per gufi, malpensanti e dietrologhi convinti assertori degli effetti negativi della sbornia da scudetto. Per fortuna che Lazio e Milan si comportano persino peggio e che Juventus e Inter non vanno al di là del loro dovere di candidate al trono. Insomma, finché Sparta piange, Atene può continuare a tenersi stretto il suo scudetto.

 


  1. Alla romana o alla milanese. Basta che il piatto non pianga più

  2. Gen. 2001

  3. Feb. 2001

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  7. Dentro Cassano - Dic. 2001