" Lungo i sentieri della follia" |
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La seconda metà del Novecento: la nuova psichiatria
Abbiamo
già accennato agli psicofarmaci come novità introdotta in questo periodo.
Analizziamo ora il fermento di iniziative che si pongono in alternativa
all’ordine psichiatrico istituzionale nel secondo dopoguerra. In
Inghilterra si svilupparono gli esperimenti delle “comunità terapeutiche” e
dell’"antipsichiatria”; in Francia nascono i tentativi della
“psicoterapia di settore”; nella Germania Federale va segnalata
l’esperienza del Collettivo Socialista dei Pazienti di Heidelberg, la prima
autorganizzazione di pazienti. Nonostante alcune debolezze di fondo, queste
iniziative portano una ventata di rinnovamento in tutta la psichiatria; e in
particolare toccano due aspetti vitali: recuperano l’idea di curabilità e di
guarigione del disturbo mentale, cui la psichiatria istituzionale aveva di fatto
rinunciato, e superano il pregiudizio per cui la sofferenza mentale deve essere
interpretata in base al modello medico–organicista, aprendo la strada al
trattamento psicoterapeutico. Così tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta
si avvertono i limiti della psichiatria di impianto ottocentesco e le rigidità
create dall’istituzione manicomiale.
In questo scenario si innesta il "movimento italiano di negazione istituzionale", delle cui basi teoriche e scientifiche daremo conto in seguito. Prima ci sembra opportuno dare un breve sguardo alla situazione della psichiatria nel nostro Paese nel secolo che si è appena consumato. La situazione italiana nel
Novecento
Nella storia della psichiatria italiana di questo secolo possiamo sinteticamente distinguere tre periodi, i cui limiti si definiscono con le date di tre leggi fondamentali relative al trattamento dei malati di mente. Il manicomio a
vita: la legge 36 del 1904 Il 1904 costituisce una data
importante per la storia dell'assistenza psichiatrica in Italia. In quell'anno viene
formalmente proposta e promulgata, per interessamento diretto di Giovanni
Gíolitti
(1842 – 1928), la legge
36, che regolamentava l'assistenza manicomiale ed era attesa e richiesta da
almeno una trentina di anni. Questa legge, con alcuni successivi aggiustamenti,
determina per l'Italia (come era avvenuto per altri paesi europei) il
consolidamento giuridico e scientifico dei manicomio come luogo pressoché
esclusivo per il trattamento dei disturbi mentali. Rispetto al passato,
costituisce un progresso: ma la figura del paziente psichiatrico è
sostanzialmente quella di un carcerato. Si è ricoverati in quanto persona
'pericolosa' e di pubblico scandalo; il ricovero è possibile solo sotto forma
di provvedimento del magistrato o del questore (si viene ricoverati dalla
polizia); il direttore del manicomio è responsabile penale e civile del
paziente dimesso. In tale regime, nella stragrande maggioranza dei casi, i
disturbi dei ricoverati diventavano cronici. Il
periodo manicomiale attenuato: la legge 431 del 1968 Nel 1968 lo scenario
italiano cambia. Viene approvata una nuova legge, "la 431". Questa legge, che prende
atto dei fermenti e delle spinte di rinnovamento tipici di quegli anni,
stabilisce: a)
l'insufficienza della assistenza psichiatrica basata esclusivamente
sull'internamento in manicomio; b)
l'istituzione di un servizio di assistenza psichiatrica territoriale
attraverso la creazione dei Centri di Igiene mentale; c)
la possibilità di entrare in manicomio anche volontariamente; d)
l'abolizione dell'obbligo di annotare nel casellario giudiziario
l'ammissione e la dimissione dal manicomio; e)
nuovi criteri di organizzazione degli ospedali psichiatrici. Il
legislatore italiano, dunque, si mostra particolarmente sensibile alle esigenze
di una totale revisione della concezione della malattia mentale e dei suoi modi
di cura. Con questa legge inizia in Italia il sistema di assistenza
territoriale; tuttavia questa innovazione costituisce ancora una fase di
passaggio. La riforma Basaglia: la legge 180 Tocca alla legge 180 del
1978[1]
portare a compimento questo lungo cammino. E' necessario ricordare che la
riforma definitiva del sistema psichiatrico italiano è dovuta al lavoro tenace
di Franco Basaglia (1923 – 1980),
iniziato diversi anni addietro nell'Ospedale Psichiatrico di Gorizia e portato a
compimento con il totale smantellamento dell'Ospedale Psichiatrico di Trieste,
avvenuto nel 1977, un anno prima dell'approvazione della legge 180. A Trieste, dopo sette anni di preparazione e l'organizzazione di un adeguato servizio territoriale, il manicomio chiude: i pazienti sono seguiti e assistiti attraverso una fitta trama di assistenza domiciliare e ambulatoriale per la terapia ordinaria, integrata da interventi e ricoveri brevi per le situazioni di crisi. Persone destinate alla reclusione cronica tornano a vivere, in famiglia o in piccole comunità, una esistenza dignitosa e autonoma. Questa legge pone l'Italia
all'avanguardia nel sistema psichiatrico internazionale e allo stesso tempo
agisce da catalizzatore nei confronti della spinta all'innovazione presente
negli altri paesi. Ovunque si fanno più solide ed estese le esperienze di
gestione dell'assistenza psichiatrica senza ricorso all’internamento in
manicomio.
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