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 Chronology

 

UNO SGUARDO OLTRE LE SBARRE.
di Giuseppe Messina
  Disegno di Giuseppe Leo

Giuseppe Messina, psichiatra del D.S.M. di Reggio Calabria, in 'Uno sguardo oltre le sbarre' annota e registra pensieri e ricordi personali concernenti il manicomio di Reggio Calabria ed il percorso storico, che è anche autobiografico, del suo superamento. Presentiamo in anteprima un estratto del libro di prossima pubblicazione che gentilmente l'autore ci ha inviato per la pubblicazione sul sito A.S.S.E.Psi.

Si ringrazia Stéphane Malysse per aver autorizzato la diffusione delle sue foto tratte da "Images et Représentations de la Folie: De l'autre coté du miroir de la normalité". Si tratta di un lavoro di 'antropologia visiva del corpo' in cui la fotografia fa da supporto al discorso antropologico. <<Rivedendo le immagini della follia, pubblicate da psichiatri 'visivi' come Charcot, Luys, Bourneville e Régnard, Londes e Duchenne de Boulogne, quindi cercando di chiarire le relazioni tra queste immagini e le manifestazioni della follia, ho seguito due percorsi: il primo cerca di pensare le relazioni tra le 'immagini del corpo' e la follia, mentre il secondo poggia sulle mie esperienze nel campo antropologico, effettuate all'interno dell'ospedale Juliano Moreira a Salvador de Bahia. A partire da una metodologia applicata ai miei campi di ricerca precedenti ('Hygiène corporelle parisienne' e 'Culte du corps à Rio de Janeiro'), definita come una antropologia visiva del corpo, ho realizzato una ricerca sul campo della durata di otto mesi in un ospedale di Salvador de Bahia, focalizzando il mio sguardo sull'aspetto audiovisivo del mondo sociale e materiale  di un gruppo di donne internate e cercando di comprendere il modo con cui questo universo era visto e vissuto soggettivamente da quelle donne>> (Stéphane Malysse, "Images et Représentations de la Folie: De l'autre coté du miroir de la normalité")

 

 

 

PREMESSA  (di Giuseppe Messina)

 

 

Sotto quel ponte ne è passata di acqua, il tempo ha restituito intatti illusioni, progetti, certezze: la chiusura del manicomio avrebbe significato per noi che ci lavoravamo e, soprattutto, per gli ammalati, una riacquisizione della dignità perduta, un recupero di valori dimenticati, un cammino diverso, più umano e vivibile rispetto a decenni di brutture, violenze e grandi ingiustizie.

Secondo Luigi Agostani, Coordinatore del Dipartimento area diritti di cittadinanza e politiche del terzo settore, la chiusura dei manicomi non avrebbe dovuto attuarsi “né attraverso interventi "selvaggi", né attraverso cambi di etichetta, che lasciano invariata la sostanza della realtà, né attraverso trasmigrazioni di massa in strutture per la cronicità pubbliche o private, proprio per non determinare nuovi abbandoni e ulteriori emarginazioni”.

In realtà, con amarezza, ma anche con grande senso di autocritica, non è difficile oggi assumere nei confronti del problema un atteggiamento falsamente ed ipocritamente positivo: la verità, infatti, è sotto gli occhi di tutti e, nonostante gli sforzi, il manicomio appartiene alla nostra cultura, è nella storia di ognuno, medici, infermieri, ammalati e famiglie, al punto che anche servizi all'epoca sconosciuti, come l'SPDC, non hanno fatto fatica a metter in atto dinamiche e logiche per nulla dissimili da quelle manicomiali.

E nemmeno il fisiologico cambio generazionale è riuscito a modificare radicalmente la situazione, al punto che oggi, pur in condizioni di vita decisamente migliori, igienicamente più sane e notevolmente più avanzate sotto l'aspetto delle conoscenze scientifiche, la permanenza nel circuito istituzionale costituisce ancora l'unica risposta che la psichiatria “del territorio” riesce a dare.  

Il manicomio è tutt'oggi “aperto” nelle menti dei politici, nelle opinioni dell'uomo della strada, negli operatori del settore e nelle famiglie e si realizza stavolta in modo subdolo, subliminale, nascosto da una parvenza innovativa, che rimane, a ormai vent'anni dalla legge 180, un embrione che non è mai cresciuto.

Quello che scrivo non vuole essere né una critica a persone, né una distruttiva polemica: mi sento parte integrante di quel sistema, figlio di quelle dinamiche, ma anche medico che, accresciuto certamente da quella esperienza, non vuole che vada perduta, soprattutto perchè è storia di persone semplici, genuine, di belle figure, vissute, talvolta loro malgrado, all'interno di un mondo carico di contraddizioni e di controsensi, che avrei detto impensabili in qualunque altro luogo e in qualsiasi altro tempo.

La pratica della deistituzionalizzazione può ancora e in modo determinante contribuire a costruire un luogo (ponte) tra lo spazio della follia, rappresentato concretamente e simbolicamente dal manicomio, e lo spazio della salute mentale.

La chiusura dei manicomi può quindi rappresentare un'ulteriore importante occasione per rispondere all'esigenza del "cosa possiamo fare per/con lui".

A meno che, consapevolmente o inconsapevolmente, non si continui a produrre manicomialità dentro e fuori “le mura” e invece di costruire "ponti" si continuano a innalzare reti e sbarre, a scavare fossati e a costruire o a ricostruire "depositi per rifiuti".

     Foto: Reggio Calabria

 

  CAPITOLI:

1) UNO SGUARDO OLTRE LE SBARRE 

2) LA GUARDIA

 3) I DIMENTICATI

 4)  IL MIO "AMICO" E.

 5)  LA "MAMMA" DI TUTTI

 6) ALL'INFERNO E      RITORNO

 7) CIAK, SI GIRA!

 8) UN "VERO" MATRIMONIO