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Portolano of Psychoanalysis
"Psicologia
dell'antisemitismo" di Imre Hermann
Author:Imre Hermann
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-3-5
Anno/Year: 2011
Pages: 158
Prezzo/Price: € 18,00
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"Id-entità mediterranee.
Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo
(editor)
Writings by: J.
Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A.
Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y.
Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M.
Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-2-8
Anno/Year: 2010
Pages: 520
Prezzo/Price: € 30,00
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"Vite soffiate. I vinti della
psicoanalisi" di Giuseppe Leo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-0-4
Anno/Year: 2008
Prezzo/Price: € 18,00
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"La Psicoanalisi e i suoi
confini" edited by Giuseppe Leo
Writings by: J.
Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D.
Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik
Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini
ISBN: 978-88-340155-7-5
Anno/Year: 2009
Pages: 224
Prezzo/Price: € 20,00
"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi
Confini"
Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.
Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas,
Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.
Publisher: Schena Editore
ISBN 88-8229-567-2
Price: € 15,00
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Prima
di inoltrarmi, in questa breve esposizione, forse non è superfluo
ricordare che la psicoanalisi inaugura nell’orizzonte epistemico
contemporaneo uno specifico metodo di ricerca che fa di
elementi apparentemente accessori
(il
lapsus, l’atto mancato, la dimenticanza) uno dei cardini della sua
costruzione teorica, come pure lo strumento terapeutico principe per
raggiungere, nella cura, ciò che dietro quei lapsus, quegli atti
mancati, quelle dimenticanze, si cela della sofferenza segreta
di chi a lei si rivolge.
Questo
metodo che con pazienza e tenacia gli analisti, individuali e di
gruppo, continuano a praticare, rappresenta a tutt’oggi uno dei più
potenti strumenti contro la perdita di senso, sia soggettiva che
gruppale.
Il
corpo in questo orizzonte epistemico assume un suo
particolare statuto.
Come
le parole assumano valore semantico a seconda del contesto lo mostra
R. Barthes in una conferenza tenuta nel 1973 all’Associazione
Culturale Italiana (“ La guerre des languages”).
Dice
Barthes:,
“….sul
piano del messaggio più semplice il linguaggio (il discorso) esplode,
si fraziona, si distingue: esiste una divisione dei linguaggi di cui
una semplice scienza della comunicazione non può rendere conto; la
società, con le sue strutture socio-economiche e nevrotiche, interviene
a costruire il linguaggio come un «teatro di guerra» (la
sottolineatura è mia)”.
Anche
intorno al corpo, a seconda degli orizzonti disciplinari da cui
lo si è guardato, si sono svolti teatri di guerra.
Il
corpo della medicina non è infatti il corpo della biologia,
per esempio , ed il corpo della fisica non è quello della chimica,
pur mantenendosi queste discipline, tutte e ugualmente, in un
orizzonte nomotetico che ne ricerca le leggi. Se cambia infatti
l’orizzonte epistemico, cambia, inevitabilmente, anche il profilo
del suo oggetto.
L’approccio
interdisciplinare, da più fonti invocato nella contemporaneità , per
quello che riguarda il corpo tenta di ricomporre la complessità
di tale corpo in frammenti senza per questo negare ai vari
ambiti disciplinari la propria specificità. Anche il lavoro di cui
oggi parliamo qui, è animato da simile desiderio
La
psicoanalisi e il corpo
Per
parlarvi di questo, del corpo della psicoanalisi, così come io
l’ho scoperto, comincerò da un brevissimo ricordo personale.
Una
mattina di gennaio al liceo Tasso, a Roma, in via Sicilia. Abbiamo
tutti tra i diciassette e diciotto anni, siamo irrequieti,
attraversati dall'adolescenza che ci separa dall'infanzia (noi
crediamo, speriamo, per sempre; ma così non sarà).
Un
omino scuro di capelli e di pelle, il nostro insegnante di filosofia,
dopo essersi, come sua abitudine, tenuto la testa fra le mani per
qualche minuto, ci dice, sollevandola di scatto: ”Oggi vi parlo
di inconscio”.
Poi,
rivolgendosi ad uno di noi chiede: ” Mi sai dire perché stai
seduto in quella posizione ?” Stupefatto il mio compagno di
scuola risponde:”NOoo!”. “Ecco , l’inconscio è
proprio questo. Inconscio è il corpo” ci svela l’omino scuro.
Alcuni di noi risero, passarono oltre e dimenticarono.
Per
me non fu così.
Il
mio incontro con la psicoanalisi infatti comincia lì, in una mattina
fredda di gennaio di molti, veramente di molti anni fa. Questo, che
come tutti gli incontri di destino, sarà una passione, comincia lì,
nel liceo Tasso di Roma, e continua ancora, adesso che i miei diciotto
anni sono molto lontani: un incontro che non finisce, una passione che
non tramonta.
All'adolescente
che ero, alla donna matura che sono, quell'incontro, per me epocale,
come epocale fu per l'intero Novecento, offrì la possibilità
innanzitutto di sopportare e, in seconda battuta, di comprendere, che
quello che a volte ci pare insensato, la sofferenza umana nelle sue
declinazioni di sofferenza soggettiva e di follia collettiva (la
guerra e le torture che gli esseri umani si infliggono), ha un senso.
Inaccettabile
per la “ragione” classica, questo senso che Freud chiamò “la
peste”, è quello che da analizzanda prima e da analista poi, mi ha
aiutato ad uscire dalle secche dell'insensato, nei momenti in cui la
sofferenza umana sembrava travolgermi. Mi ha aiutato ad aiutare i miei
pazienti, a sostenerli, ad abituarli a convivere con l’alterità che
li abita, quando non è stato possibile trasformarla. Non parlo di
senso come un che di immediatamente intelligibile. Parlo di senso come
un continuo rimando all'irriducibile che lo produce, l’inconscio,
vale a dire il nostro corpo vivente, attingibile solo dai resti e dai
segni che lascia: i sintomi, i lapsus, il sogno.
Lo
stupore della scoperta, ai tempi per me straordinaria, di un’altra
realtà dentro di me, continua ancora a tutt’oggi ed è questa
meraviglia, questo stupore che spero, credo, di trasmettere ai miei
pazienti con cui sono coinvolta nel lavoro vicendevole e comune del
“prendersi cura”.
Come
l'omino scuro che insegnava filosofia al liceo Tasso, e che raccontò
a noi allievi di essere stato uno dei primi analizzati d'Italia, ci
trasmise, o almeno mi trasmise, la sua passione, io oggi trasmetto, o
almeno spero di trasmettere ai miei pazienti, ai miei allievi, la mia
passione per le “parole che curano”, le “parole che toccano”,
come Danielle Quinodoz intitola il suo bel libro che ho recentemente
tradotto1.
Ma
dunque, cosa vuole dire che l’inconscio è il corpo?
Quale
corpo, dei tanti che ho sopra nominato? Per comprenderlo è
necessario introdurre accanto al nome, un aggettivo. Pulsionale.
Corpo pulsionale.
Questo
è il corpo della psicoanalsi.
Il
corpo pulsionale
Trieb
è il termine tedesco usato da Freud per indicare quel quid in
cui si articola il “misterioso salto dal corpo alla psiche”,
così come egli stesso ne definisce la nozione.
Non
usa il termine instinct, con cui disgraziatamente le traduzioni
inglesi di Freud traducono la parola, svisandone completamente il
senso (nelle lingue anglosassoni questo termine freudiano, tradotto
dapprima con "instinct", divenne ben presto
"drive" e più recentemente “motivation”) e
allontanandosi sempre più dalla complessità della formulazione
freudiana.
Trieb,
pulsione, è ciò che fonda l’umano nella sua differenza
dall’animale e fa la differenza tra il corpo biologico e quello
psicoanalitico.
Trieb
è la rappresentanza del corpo non come animale, ma come
specificamente umano; è la marca del desiderio, che
condanna l’umano a distaccarsi dal suo puro essere animale. Ma
l’essere umano, come l’animale rispetto ai suoi istinti, nulla
sa delle sue pulsioni. Esse sono inconsce, così come inconscio è
il corpo che organizzano quale corpo desiderante.
L’organizzazione pulsionale non è ordinata alla sopravvivenza, come
invece per gli animali quella degli istinti,e non si cura dei grandi
bisogni fondamentali, come la fame e la sete, tantè che un neonato può
smettere di piangere se appena gli si da un ciucciotto:gli importa di
succhiare più che di mangiare.
La
pulsione orale la fa in questo caso evidentemente da padrona. Il
piacere ricavato dal mero succhiare va al di là del bisogno di
sopravvivere.
Il
corpo della psicoanalisi è uno strano corpo, organizzato secondo un
principio di piacere che travalica il principio di realtà. Oscar
Wilde, richiesto sul perché fumasse, rispose:”perché è un
piacere…inutile”.
La
pulsione
La
pulsione non è rappresentazione del corpo. Essa è rappresentanza
del corpo, è il modo in cui il corpo si presenta come psichico e
dunque come inconscio.
La
psicologia corrente ci ha abituato all’illusione che, attraverso la
rappresentazione, si possa giungere a risolvere i nostri
conflitti, ma con la psicologia siamo fuori del territorio oscuro
della psicoanalisi freudiana. Con le varie psicologie ,
comportamentiste, gestaltiane ed infinite altre che sorgono ad ogni piè
sospinto,siamo fuori dalla part maudite dell’essere umano;
ritorniamo in fondo alla filosofia della coscienza, delle idee
cartesiane chiare e distinte che la rivoluzione freudiana ha spazzato
via una volta per tutte.
Il
corpo pulsionale,luogo dell’inconscio freudiano, è un fare ed il
primo fare inconscio è questa rappresentanza del corpo:la
pulsione. Un corpo ben diverso, quello della psicoanalisi -lo si vede
bene- dal corpo biologico e anatomico.
L’altro
corpo che la psicoanalisi ci presenta,lo rende altro da
tutti i vari corpi che le diverse scienze ci rappresentano:è il
corpo desiderante. Nella stanza d’analisi esso diventa
parlante attraverso i sintomi,i lapsus, le paraprassie che emergono
nel racconto. L’ osserviamo, lo vediamo questo corpo pulsionale al
lavoro sempre, costantemente, anche fuori della stanza
d’analisi:basta guardare, per esempio, della gente che chiacchiera.
Eccola lì, in bella vista ,la pulsione fonica.
La
pulsione dunque è la chiave di volta per potere accedere al corpo così
come la psicoanalisi freudiana ce lo presenta.
In
“Tre saggi sulla teoria sessuale” (1905) viene difatti
articolato da Freud un corpo pulsionale percorso dall’oralità,
dalla analità, dal fallicismo.
La
pulsione genitale,l’ultima ad essere nominata, dovrebbe
riorganizzare in sé , armonicamente , gli altri tre tipi di pulsioni,
orale , anale, fallica.
Dico
dovrebbe, in quanto la mia esperienza di analista rispetto ai
moventi inconsapevoli che condizionano le condotte umane in termini di
processi inconsci,
mi ha messo di fronte all’evidenza che l’organizzazione pulsionale
genitale è l’ultima delle mire del corpo desiderante.
Freud
stesso, d’altronde, fu il primo a non illudersi che questo stadio
possa essere facilmente raggiunto, come mostra nel suo “Disagio
della civiltà” del 1929.
Le
varie pulsioni - che hanno caratteri comuni: l’origine in una
zona erogena del corpo,la spinta, lo scopo, cioè la
soddisfazione, e l’oggetto, strumento di questa soddisfazione
- sono dette “forze peregrine” da Freud che così le
definisce in “Pulsioni e loro destini”(1915), e quasi per
caso si mettono al servizio della vita nel senso della riproduzione.
Sappiamo
che oggi, però, nonostante la rivoluzione che scompigliò
i vari saperi in seguito alla comparsa di Freud sulla scena, il suo
nome non coincide più, all’interno dell’universo psicoanalitico,
con “la Psicoanalisi”, per lo meno in certi ambiti
sempre più vasti d’ indirizzi di pensiero e di scuole.
Il
corpo pulsionale, che nella concezione freudiana è un
corpo erogeno e campo di battaglia di eros e tanatos, viene sostituito
da un corpo relazionale dalla maggior parte delle scuole
psicodinamiche attuali,che si sono trasformate nella direzione di
approcci più "relazionali"
Un
movimento ‘resistenziale’ sotterraneo tende a riportare infatti la
nozione di inconscio ad una formulazione prefreudiana ed articola il
paradosso di un mondo della cura, che pure continua a dirsi
psicoanalitica, che si regge in buona parte sul misconoscimento della
forza epistemica della metapsicologia, intendendo per metapsicologia
“quell’al di là della psicologia” che Freud aprì come
orizzonte alla ricerca della cura.
Questo
paradosso, che si declina nel proliferare di scuole ed istituti che
prendono forza ed avvio proprio dal “nascere al di là” di Freud e
di un suo superamento, ignorano la forza affermativa della negazione e
pertanto, andando oltre Freud, non fanno che affermarne
perciò stesso la forza teorica.
Così,
se da una parte i più recenti studi sulle neuroscienze sembrano
riconfermare la potenza trasformativa della parola sulla mente
(l’antica nozione di epigenesi ripresa da G.Edelmann a partire da
metà degli anni Settanta) , d’altro canto c’è il rischio che
proprio le neuroscienze banalizzino la scoperta freudiana
dell’inconscio come corpo pulsionale all’opera riducendone
lo spessore , come sta accadendo con l’uso e abuso della nozione di
“neuroni specchio” con cui si darebbe dato scoperto
una volta per tutte il segreto del fare inconscio umano.
Tantè
che, udite udite, uno studio pubblicato sull’American
Journal of Psychiatry e condotto su 45 pazienti affetti da
depressione lieve-moderata senza trattamento farmacologico, ha
riportato che l’utilizzo di programmi computerizzati durante la
psicoterapia, migliora la sintomatologia depressiva, con risultati
analoghi alla terapia tradizionale, proprio sulla scorta del carattere
mimetico dell’apprendimento dovuto alla teoria dei neuroni specchio.
Non
importa che ci sia un corpo vivente o una macchia a dialogare con chi
soffre, tanto i neuroni fanno comunque il loro lavoro.
Non
commento…
Ma
tornando all'inizio di quella fredda mattina di gennaio, a quella
lezione che mi incantò, a quell'omino scuro che, come un pifferaio
magico, mi portò via per sempre dalla terra ferma, piena di
fiducia nella “coscienza” e nelle “idee chiare e distinte”
verso le profondità accidentate dell'inconscio e le sue derive, mi
accorgo, a posteriori, che la mia storia, come tutte le storie del
resto, è marcata da un tema di destino, e concludo queste note con
una constatazione: la mia analisi mi ha insegnato a riconoscerlo, ma
non a conoscerlo, mi ha insegnato ad interrogare ciò che via via
andavo riconoscendo e a non considerarlo un patrimonio di sapere
acquisito. Mi ha insegnato in definitiva che l’enigma della persona,
come quello delle istituzioni che essa fonda e di cui ha bisogno per
esistere, non si scioglie e che il desiderio, come la sfinge, continua
a porre domande ma, a differenza del mito, non accetta risposte.
1
Danielle
Quinodoz, Le parole che toccano. Borla
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