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"Scrittura e memoria", a cura di R. Bolletti (Editor)
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Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P.
Jimenez, O.F. Kernberg, S. Resnik.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Borders of Psychoanalysis
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 348
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AA.VV.,
"Psicoanalisi e luoghi della negazione", a cura di A.
Cusin e G. Leo
Writings by:J.
Altounian, S. Amati Sas, M. e M. Avakian, W. A.
Cusin, N. Janigro, G. Leo, B. E. Litowitz, S. Resnik, A.
Sabatini Scalmati, G. Schneider, M. Šebek,
F. Sironi, L. Tarantini.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Id-entità mediterranee
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"The Voyage Out" by Virginia
Woolf
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
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"Psicologia
dell'antisemitismo" di Imre Hermann
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Anno/Year: 2010
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"Vite soffiate. I vinti della
psicoanalisi" di Giuseppe Leo
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"La Psicoanalisi e i suoi
confini" edited by Giuseppe Leo
Writings by: J.
Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D.
Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik
Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini
ISBN: 978-88-340155-7-5
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"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi
Confini"
Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.
Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas,
Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.
Publisher: Schena Editore
ISBN 88-8229-567-2
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Mi
sono accostato a questo libro cum timore et tremore, ma ben
presto ho scoperto un lavoro sicuramente non di facilissima lettura,
ma che permetteva anche al lettore non particolarmente esperto
dell'opera di Bion di coglierne i punti salienti e, soprattutto, di
avvertire dentro di sé le tonalità della grande melodia che Bion ha
composto sull'essere umano. Credo comunque che si debba accettare di
non riuscire a comprendere tutto ciò che Grotstein propone e presenta
al lettore - almeno di non riuscire a comprendere tutto nella stessa
identica maniera e con la medesima acutezza - proprio come accade per
l'opera di Bion. Anche se nella presentazione dell'opera Grotstein
riporta che "I have asked to undertake the daunting task of
writing a book on Bion that will introduce a distillation and
synthesis of his ideas for the general public" (p.9), dubito
che il "general public" possa seguire e capire
l'Autore nel suo percorso attraverso l'opera bioniana.
In
realtà si tratta di un testo che oltre a presentare il punto di vista
di Grotstein su Bion, e ad elaborare i suoi concetti, presenta le idee
che l'autore ha sviluppato riflettendo e sognando intorno
all'insegnamento di Bion. La struttura del testo rende agevole il
compito al lettore che desideri soffermarsi su singole questioni o
problematiche: si tratta, infatti, di una struttura ordinata per
tematiche. Il testo, infatti, non segue alcuna impostazione
cronologica, non vuole essere una biografia di Bion - al proposito,
vedi Bléandonu (1993) - né un "reference book" -
come è il lavoro di Lopez-Corvo (2002), o un'analisi specifica dei
suoi contributi, come, ad esempio, in Grinberg, Sor e Tabak de
Bianchedi (1972). Inoltre, l'illustrazione del pensiero di Bion è
accuratamente separata dalle riflessioni dell'autore e dalle
innovazioni che Grotstein stesso ha apportato all'opera di Bion.
Una
seconda, importante, caratteristica del lavoro di Grotstein si trova
nel momento in cui l'autore presenta e discute della sua
psicoanalisi - del suo modo di intendere la psicoanalisi -
rispetto alla psicoanalisi per come è stata intesa da Bion.
Dunque,
si tratta di qualcosa che è molto di più di, ed è molto diverso da,
una riflessione su Bion: si potrebbe affermare che la seconda parte
del titolo di questo libro - Wilfred Bion Legacy to Psychoanalysis
- non rende davvero giustizia al testo ma, al contempo, manifesta la
modestia di Grotstein il quale, non a caso, in riferimento ad idee e
concetti espressi da Freud, da Bion, e da altri, più di una volta
premette espressioni del tipo "I understand him to mean that…"
(p.187).
In
sostanza, in questo lavoro Grotstein illustra il suo personale punto
di vista sulla psicoanalisi, partendo e tornando circolarmente a Bion,
elaborando ipotesi e riflessioni. Il libro è dedicato a Bion con una
frase che riassume in se stessa lo spirito profondo del testo: "To
Wilfred Bion. My
gratitude to you for allowing Me to become reunited with me - and for
encouraging me to play with your ideas as well as my own" (p.V).
Si
tratta di uno dei tipici testi difficilmente sintetizzabile per la
ricchezza di spunti e considerazioni, poste a diversi livelli ed
elaborate da differenti punti di vista. Ciò che propone Grotstein è
dunque in parte rappresentabile con la cosiddetta visione elicottero -
"helicopter overview" - e ciò rende l'idea del
dinamismo e del movimento che si percepiscono vivere all'interno di
questo libro. Un libro in cui mi sembra che il lettore possa
"andare e venire", sfiorando con leggerezza alcuni temi e
lasciandosi sprofondare in altri. L'unico capitolo dei trentuno che
compongono il testo che lascia sorpresi per la sua brevità (una
pagina e mezzo) è il terzo - What kind of person was Bion? -
fatto forse da porre in relazione con l'interruzione dell'analisi di
Grotstein con Bion causata dalla partenza da Los Angeles di
quest'ultimo. Ma,
come recita la presentazione editoriale dell'Autore ad inizio testo,
"Dr. Grotstein is the only person to have been in analysis
with Bion who has written about him in a major way" (p. XV).
In
molti capitoli Grotstein pone dei quesiti, si interroga - ad esempio
su O, sugli elementi β, sul contenitore-contenuto - coinvolgendo
così il lettore in un percorso di auto-interrogazione e di ricerca in
tempo reale, "disturbando" probabilmente numerose certezze (Grotstein,
1981) - vedi, ad esempio, l'elaborazione del concetto di
identificazione proiettiva -. Al termine del volume è posta
un'utilissima Bibliografia delle opere di Bion a firma di Henry
Karnac - sul tema, vedi anche Karnac, 2008 -.
L'analisi
che Grotstein visse con Bion fu la sua terza analisi, "having
studied psychoanalysis in a classical Freudian institute and having
had four analysis (the first orthodox Freudian, the second
Fairbairnian, the third by Bion, a Klenian-Bionian, and the fourth
with a traditional Kleinian" (p.39). L'analisi con
Bion, si interruppe dopo circa sei anni allorché Bion partì da Los
Angeles e Grotstein proseguì quindi il cammino interrotto con un
analista kleiniano tradizionale. "With
Bion my pilgrimage was to acknowledge, with reverence and awe, the
majesty and enormity of my mind and to recognize how cut-off I was
from it - and how my anxieties and symptoms were but intimations of my
inner 'immortality' and infinite resources" (p.39).
In
più riprese Grotstein traccia ciò che ritiene essere stato il
contributo fondamentale di Bion alla psicoanalisi, offrendo al lettore
una chiave interpretativa dell'opera di Bion, per così dire, in
pillole. "Bion
shifted the focus from drive to emotions and restructured the drives
as L. H. and K emotional linkages between self and objects and as
emotional categories for these links - a revolutionary development!"
(p.39). "Bion thus subtly revised the psychoanalytic concepts
of first cause (emotional stimulus as opposed to libidinal or death
drive), hinted at but did not specify a truth drive, and relegated the
libidinal (L) drive and the aggressive (H) drive, in a new conjunction
with the epistemophilic (K) drive, to the status of emotional links
between self and objects: in other words, one knows (K) an object by
how one feel (L and/or H) about it" (pp.136-137).
E ancora: "Bion was clearly an intersubjectivist and a
relationist, having been profoundly influenced by Einstein's theory of
relativity and Heisenberg's theory of uncertainty" (p.161).
Di
interesse, per comprendere Grotstein al lavoro, è, ad esempio, il suo
resoconto e la sua reazione al sogno di un suo paziente, un professore
universitario di 76 anni, in analisi da quattro anni, a cinque sedute
settimanali: è qui descritto in modo vivido come Grotstein
"diviene il suo paziente" e l'angoscia che egli prova,
completando il suo sogno: "all the hypothesis I enumerated
above came to me while I was 'dreaming' the session and seekink to
complete the analysand's dream by effects it as a 'co-pilot dreamer'"
(p.287).
Ma
vi sono alcuni punti che, a mio parere, avrebbero meritato più spazio
e una riflessione maggiormente articolata. Il primo si riferisce a ciò
che Grotstein cita di sfuggita, riferendosi ad una comunicazione
personale di Bion che risale a 34 anni fa circa, circa la Kabbalah,
"the mystic hebrew text in which Bion was deeply interested (personal
communication, 1976)" (p.117). Su tale fascinazione di Bion verso
la Kabbalah dello Zohar sarebbe molto interessante saperne di più
sulla base dell'esperienza di Grotstein. Si tratta, in senso generale,
di una questione che coinvolge l'intera psicoanalisi - vedi i recenti
saggi di Berke, Schneider, 2008, e Merkur, 2010 - e che è già stata
oggetto di studio rispetto all'influenza che la tradizione e la
cultura ebraica hanno avuto su Freud - si veda, ad esempio, il
classico lavoro di Bakan (1965) -. Nello specifico, il pensiero di
Bion si è in qualche misura sviluppato verso dimensioni numinose e
trascendentali, e comprendere quindi l'influenza della religione in
particolare sullo sviluppo delle sue ultime visioni non è cosa da
poco conto - "Bion came from a Protestant missionary family,
Swiss Calvinist of Huguenot origin on his father's side, and
Anglo-Indian on his mother's" (Bion Talamo, p.183, 2005). Su
questa linea di pensiero Grotstein si muove indicando la duplice anima
di Bion - indiana e britannica - e collegando a ciò le dimensioni del
sogno e del pensiero.
Un
secondo aspetto che, personalmente, ho sempre notato con grande
interesse è l'esperienza che Bion ha vissuto nel corso della I Guerra
Mondiale: "Bion, the intrepid explorer of 'the deep and
formless infinite', seems to have navigated the passage to O
consulting the 'stars of darkness'. He arrived at this new concept of trasformation and evolution in O,
first by intuiting the existence (presence) of the absent breast, the
'no-thing', in the clinical situation. According to Meg Harris
Williams (1985), he may also have arrive at it from having experienced
the terrors and traumas of his own life" (p.118) - sul
collegamento tra l'esperienza di guerra e lo sviluppo di alcuni
concetti bioniani - vedi Grotstein, 1993 -.
Come
Bion (1982) riporta nella sua autobiografia (che copre gli anni
1897-1919) e nella quale dedica centinaia di pagine all'esperienza
della guerra, egli servì nel "Royal Tank Regiment"
(1916-1918) ed ebbe diversi riconoscimenti (il Distinguished
Service Order e la Legion d'Honneur). Le pagine dedicate
alla guerra sono di un'intentistà inimmaginabile, costellate dai
dialoghi tra Bion e i commilitoni, e dalle visioni terribili di
devastazione e morte. "His
life was so tragic that one can only empathically grieve while reading
about it, especially the entry: "I died on August 8, 1918, on the
Amiens-Roye Road" (p.35).
Più
avanti nel tempo Bion si sarebbe occupato di organizzare e gestire
piani di recupero e cura dei militari traumatizzati in battaglia.
Infatti, nel corso della II Guerra Mondiale egli fu chiamato come
psichiatra militare (Bion, 1948) - per una notazione sulla immane, ed
oggi difficilmente immaginabile, distruzione globale che in Europa fu
causata dalla Seconda Guerra Mondiale, vedi, ad esempio, Zaretsky
(2004) - ad occuparsi dei militari traumatizzati, del loro possibile
reinserimento in attività operative, o nella vita civile. Harold
Bridger ha offerto una descrizione sintetica di tale impegno
professionale (e delle difficoltà che incontrarono sia Bion che
Rickman). "One of the most important achievements of social psychiatry
during the Second World War was the discovery of therapeutic
community. The idea of using all the relationships and activities of a
residential psychiatric centre to aid the therapeutic task was first
put forward by Wilfred Bion in 1940 in what became known as the
Wharncliffe Memorandum, a paper to his former analyst, John Rickman,
then at the Wharncliffe neurosis centre of the wartime Emergency
Medical Service (EMS)…. The opportunity to test the efficacy of the
therapeutic community idea arose in the autumn of 1942 at Northfield
Military Hospital in Birmingham " (Bridger, 2005, 15-16) -
sul famoso "Northfield experiment" vedi il puntuale
lavoro di Harrison (2000) -.
Bion
si sarebbe fortemente interessato alla tematica della leadership e
della gestione del team - vedi i suoi sette contributi intitolati
"Experiences in Groups", pubblicati sulla rivista Human
Relations tra il 1948 e il 1951, ed il saggio "Group
Dynamics: A Review" apparso nel 1952 sull'International
Journal of Psychoanalysis -. Forse non è molto noto che Bion
rifondò sostanzialmente il concetto di leadership rispetto a ciò che
ai tempi si intendeva quasi esclusivamente come "attitudine al
comando": egli individuò nella capacità del capo di gestire,
motivare e mantenere coesa la squadra che comanda ("team
building") l'essenza vera della capacità di leadership.
In
parallelo, venne chiamato a contribuire a riformulare le procedure di
scelta e selezione degli ufficiali nel contesto degli "WOSBs -
War Office Selections Boards", proponendo tra l'altro una
prova di valutazione nota come "leaderless group discussion"
(Bion, 1946): in tale prova (che consiste in una dinamica in piccolo
gruppo) accade che la persona che possiede una maggiore capacità
attualizzata o potenziale di esercitare la leadership, o di
manifestare il proprio carisma, emerga spontaneamente nella dinamica
di gruppo. Tali impostazioni individuate da Bion nei campi della
formazione e della valutazione sono ancora oggi applicate nella "Organizational
Psychology" ad impostazione clinico-dinamica (Castiello
d'Antonio, 2003) e nella psicologia militare, così come le sue
intuizioni sulle dimensioni nascoste ed inconsce della vita dei gruppi
organizzati e finalizzati - the "basic assumptions" -
costituiscono una conoscenza importante nell'area della psicoanalisi
applicata alle organizzazioni - vedi, ad esempio, i lavori sviluppati
nell'ambito della "ISPSO - International Society for the
Psychoanalytic Study of Organizations".
Tornando
alla mia personale lettura del libro di Grotstein devo dire che ho
iniziato lo studio di questo testo sottolineando accuratamente i
passaggi che mi sembravano più importanti, ma ben presto mi sono reso
conto che avrei sottolineato quasi l'intero volume… Sono allora
passato ad una diversa modalità di registrazione e di presa di
impressioni, cosa che mi ha consentito, credo, di pensare con
Grotstein (e con Bion) in maniera più diretta ed autentica circa gli
argomenti trattati.
Vorrei
dire che questo libro - la cui stesura ha probabilmente impegnato
l'autore per diversi anni - non dà l'impressione di essere stato
scritto in un tempo, comunque, delimitato, bensì di rappresentare il
frutto maturo di una intera vita: una vita che non è solo
professionale e che non casualmente è stata scandita da ben quattro
analisi. Al proposito, mi chiedo quanti analisti si impegnino in più
di una analisi (vale a dire, in ulteriori analisi oltre l'analisi
didattica), e quanti, soprattutto oggi, seguano anche lontanamente il
noto consiglio freudiano di ripetere una analisi ogni cinque anni
circa. Del resto, le opinioni non sempre positive sulla cosiddetta
analisi didattica riportate in letteratura e sintetizzabili con
l'espressione "si fa una analisi per l'Istituto (la didattica)
e poi una seconda per se stessi!", dicono molto sotto tale
aspetto, così come appaiono scottanti le questioni sempre aperte
della selezione dei candidati alla professione di psicoanalista e del
loro training (vedi, ad esempio, Berman, 2004, Kernberg, 1996, 2006 e
2007; vedi anche Castiello d'Antonio, 2008).
Sicuramente
queste pagine rappresentano uno stimolo a rileggere l'intera opera di
Bion, il quale fu analizzato dapprima da John Rickman - sull'opera di
Rickman, vedi l'interessante raccolta di scritti organizzata da Pearl
King (2003) - e poi da Melanie Klein -. Rileggere non solo la sua
opera scientifica, ma anche la sua bellissima autobiografia (Bion,
1982 e 1985) e la sua biografia immaginativa nota come Memoria del
futuro. Spero, inoltre, che questa opera di Grotstein non sia
considerata qualcosa che può (o deve) essere studiata solo dai
bioniani, o dai kleniani, o da chissà quale altra segmentazione della
comunità psicoanalitica internazionale - evidentemente lontane anni
luce dall'auspicio formulato da Rangell (2007) -: sarebbe infatti
davvero riduttivo vederla come un'opera "di scuola", o
peggio ancora, "di parte", magari volutamente da ignorare da
parte di coloro che la pensano in modo differente…
Ho
chiuso il testo di Grotstein con in mente una miriade di pensieri e di
emozioni, in un primo pomeriggio, molto caldo, dell'estate 2010 e sono
subito caduto in un sonno profondo. Al risveglio ho iniziato a
scrivere queste note sentendomi non più intimorito dalla
straordinaria opera composta da Grotstein, bensì in grado di sentirla
risuonare in me e di poterne esplicitare ciò che mi sembrano almeno
alcuni dei suoi, molteplici, tratti salienti.
Ho
incontrato una sola volta Grotstein alcuni anni fa a Roma in occasione
del IV Convegno sul pensiero di Matte Blanco (nel settembre del
2004) dal titolo "L’emozione come esperienza infinita".
Era stato da pochissimo pubblicato in italiano il suo Who is the
Dreamer Who Dreams the Dream? A Study of Psychic Presence (Grotstein,
2000): scambiammo alcune parole sulla memoria implicita e l'inconscio
non rimosso, e ricordo ancora il suo sguardo attento e curioso, la sua
gentilezza di modi…. Credo davvero che si debba essere molto
riconoscenti a Grotstein per questa sua opera e per questa sua fatica:
da ora in avanti, chi vorrà studiare il pensiero e l'opera di Wilfred
Ruprecht Bion (Mattra, 8 settembre 1897 - Oxford, 8 novembre 1979) non
potrà prescindere dallo studio di questo lavoro di Grotstein e dalla
lettura del suo affascinante e più recente scritto sulla tecnica
analitica (Grotstein, 2009).
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