Formatomi
come giornalista molto prima di diventare psicoanalista, mi ci vollero
molti
anni
per smuovere il mio atteggiamento negativo nei confronti degli scritti
moderni.
Comunque
man mano che passava il tempo e aumentavano le mie ore di lettura
della
psicoanalisi, scoprii qualcosa di nuovo e di molto entusiasmante che
il mio dualismo
di
scritti buoni e cattivi mi impediva di osservare. Per quanto potrebbe
essere complesso,
quando
la scrittura psicoanalitica moderna è buona, essa riesce a riprodurre
alcuni dei
processi
di analisi del sé. La buona scrittura psicoanalitica fa muovere
la mia mente,
restituendo
immagini ed evocando associazioni che emergono tra le parole e le
righe dello
scritto
e entrano nella mia consapevolezza, agendo come un trampolino per un
più
profondo
livello di impegno. Ciò che pensavo fosse una distrazione, in realtà
era una sorta
di
arricchimento magico in cui l'autore stava lavorando col lettore
a molti livelli,
rendendo
la lettura stessa al contempo personale e interpersonale.
L'ultimo
libro di Jessica Benjamin "IL RICONOSCIMENTO
RECIPROCO.
L'intersoggettività e il Terzo"
(pubblicato originariamente da Routledge nel 2017) è un
eccellente
esempio di questo genere. Considerata un'analista clinica ed
accademica
rivoluzionaria,
Benjamin è una delle figure più significative tra i pensatori
psicoanalitici
dell'era
moderna. La sua influenza, insieme a quella di alcuni suoi colleghi,
ha cambiato il
corso
della teoria e della pratica psicoanalitica, e ha ricalibrato il campo
psicoanalitico in
modi
profondi che oggi sono diventati standard. Per dare un senso concreto
dell'influenza
di
Jessica Benjamin sulla teoria e sul discorso psicoanalitico basti
evidenziare che il suo
articolo
del 2004 "Beyond doer and done to: An intersubjective view of
thirdness", a cui
fa
riferimento il titolo dell'edizione inglese del libro qui recensito,
ha raggiunto l'ottavo
posto
tra gli articoli più consultati sul sito del PEP (Psychoanalytic
Electronic
Publishing) (un
posto che altrimenti sarebbe appartenuto solo a personalità come
Winnicott, Klein, Bion,
Kohut ed Ogden). Lo stesso articolo si è posizionato quinto nella
lista dei più citati
articoli
di psicoanalisi. I suoi ultimi libri spaziano su temi diversi e
complessi come il
paradosso
del gioco e degli 'enactment', la sessualità (i suoi eccessi,
l'affettività ad essa
connessa
e la complementarità tra i generi), il riconoscimento
reciproco, la
responsabilità, la
vulnerabilità e l'arrendersi dell'analista al caso.
Alla
base del libro è la teoria di Benjamin della psicoanalisi
intersoggettiva, che si fonda
sul
concetto del riconoscimento. Come l'autrice scrive nell'introduzione
del libro, tale
posizione
è emersa dallo studio dello sviluppo precoce del bambino e dalla
pratica della
psicoanalisi
relazionale, nonché mira ad integrare il pensiero sulla reciprocità
con la
bi-direzionalità
delle relazioni sia nel processo del cambiamento analitico che
nell'ambito
dello
sviluppo (Benjamin, 2019).
L'esplorazione
da parte della Benjamin e la ri-articolazione del concetto del
"Terzo", forse
il
suo contributo più significativo, viene elaborata nel libro in modi
ed in contesti
differenti.
Per chi non è familiare con tale concetto, esso ha a che fare con la
creazione di
uno
spazio tra due persone che implica la capacità di agire ('agency')
laddove è possibile la
libera
espressione, evitando l'attesa complementarità di ruoli e posizioni
prevedibili. Il
concetto
è complesso, ed il libro vale la pena di essere letto per poter
appropriarsi del
pensiero
della Benjamin su di esso, concetto che da solo è fondamentale
per l'attuale
teoria
e pratica relazionale.
Nel
primo capitolo del libro il concetto di intersoggettività viene
individuato come lo spazio
in
cui l'esperienza dell'altro è di qualcuno separato ma connesso dato
che con lui si sta
agendo
reciprocamente (ibidem). Con parole incredibilmente semplici, potremmo
dire che
il
concetto riguarda un soggetto e la comunicazione di esso (sia consciaa
che non conscia)
piuttosto
che la relazione tra soggetto ("doer") ed oggetto ("done
to"). Il terzo è il luogo
esterno
alla bi-direzionalità dei due che ci si aspetta che si limitino nei
ruoli e nelle
prospettive,
o anche i luoghi che rappresentano molto di più dell'osservazione
dall'esterno.
Invece il terzo comprende una forma di resa, o di 'lasciar andare le
cose da
parte
del sé' e accoglierle nella realtà dell'altro, giungendo al
riconoscimento
dell'analizzando:
l'arrendersi comprende l'essere capaci di sostenere l'essere connessi
alla
mente
dell'altro mentre accettiamo la sua separatezza e la sua differenza...
ed implica la
libertà
da ogni intento di controllo o di coercizione, scrive la Benjamin
(ibidem).
Il
terzo è concettualmente analizzato nelle sue parti costituenti. Ciò
si basa sulla nozione di
'pattern'
interattivi non verbali con la loro origine nella reciprocità della
diade
madre-bambino,
che crea un ambiente di sintonizzazione, un accomodamento ed un
senso
di mutua regolazione e riconoscimento. Il "terzo
differenziante" è uno spazio in cui la
differenza
può essere tenuta a mente, mentre il "terzo morale"
richiede il riconoscimento
dei
fallimenti, delle rotture e del riconoscimento delle ferite, che si
riferisce anche a più
ampi
principi di legalità, di necessità, di onestà e di bontà (ibidem).
Al centro del concetto
di
terzo intersoggettivo c'è la capacità della reciproca
vulnerabilità. e della capacità del
terapeuta
di rivelare la sua vulnerabilità mentre mantiene allo stesso tempo la
relazione
terapeutica
asimmetrica. Per citare la Benjamin, "la mia teoria clinica
del Terzo è un
tentativo
di formulare un processo che abbraccia ed alla fine richiede una
visione
binoculare
sia dei principi ritmici che di quelli differenzianti o simbolici
dell'interazione.
Il Terzo si sviluppa attraverso le azioni che consistono
nell'accomodamento/adattamento/unione
e nel differenziamento/articolazione>>.
Il
quinto capitolo del libro, intitolato "Paradosso e Gioco. Gli usi
dell'enactment", esplora
in
che modo il riconoscimento si verifichi attraverso l'enactment ed il
gioco, ed in che
modo
questo movimento funzioni parallelamente al movimento in avanti ed
indietro tra
complementarietà
ed il terzo. La Benjamin illustra il modo in cui gli enactment, o le
drammatizzazioni
degli stati del sé dissociati originantisi dalle esperienze non
formulate,
possono
paradossalmente sia ostacolare che far avanzare la terapia
psicoanalitica, mentre
il
gioco e la metacomunicazione possono offrire delle modalità
attraverso cui permettere
l'integrazione
dei canali procedurali e simbolici che contrastano la dissociazione
(ibidem).
L'impatto
potente del movimento dall'enactment al gioco e il movimento che
ne consegue
in
direzione e alla volta del Terzo è efficacemente illustrato
attraverso il caso di Hannah,
una
giovane donna sofferente la cui vita è stata profondamente segnata da
fallimenti
relazionali
precoci.
L'ultimo
capitolo del libro, dal titolo "Al di là di ' Solo uno può
vivere'. Testimonianza,
riconoscimento
e il Terzo morale", porta le sue teorie e l'applicazione pratica
dei concetti
di
terzo morale e di riconoscimento intersoggettivo al di là della
stanza della terapia e
verso
la scena mondiale, dove i traumi collettivi e la violenza sono stati
sperimentati nel
passato
e lo sono nel presente. Questi capitoli finali illustrano il potere di
'ampio
inquadramento"
con cui si applicano le teorie della Benjamin, e abilmente illustrano
il
potenziale
e la portata che la psicoanalisi intersoggettiva può offrire alle
culture ed ai
luoghi
distrutti dal trauma. Questo capitolo è eccezionalmente efficace e
merita
un'attenzione
molto ampia.
Per
ritornare ai miei commenti iniziali di questa recensione, vorrei
avvertire che non si
tratta
di un libro del tutto semplice da leggere. La scrittura è complessa e
fa riferimento a
molte
teorie e concetti che costituiscono esplorazioni di per se stessi,
strade secondarie
che
possono portare il lettore fuori dalla strada principale se egli è
avido di comprendere
in
profondità ciò che sta leggendo. Il libro sa intrecciare il
materiale clinico in modo
efficace
e coinvolgente con la teoria psicoanalitica relazionale, ed offre
intuizioni di
notevole
profondità e complessità sullo scambio tra clinico e paziente e, in
senso più
ampio,
col contesto sociale. Il lavoro della Benjamin è un'esposizione di
ciò che sta al
centro
dell'esperienza umana relazionale, da prospettive che magari il
lettore non avrebbe
mai
considerato prima.
Mentre
il lettore può doversi spostare lentamente e con attenzione
attraverso il libro, come
ho
già detto, questo è il tipo di scritto psicoanalitico che si ha in
mente quando si vaga col
pensiero
concentrato sui pazienti, sul controtransfert, sulle fantasie, sulle
storie proprie del
terapeuta,
e sul movimento tra 'impasse' e riparazioni nella terapia e nella più
ampia
cultura
politica. Leggere questo libro evoca fenomeni complessi e, ritengo,
nello stile
della
migliore scrittura psicoanalitica, è proprio concepito per fare tutto
ciò.
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