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Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collection/Collana: Mediterranean
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2017
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"Essere bambini a Gaza. Il trauma
infinito"
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Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collection/Collana: Mediterranean
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Psychoanalysis,
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by/a cura di: Giuseppe Leo Prefaced by/prefazione
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W. Bohleber J. Deutsch
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Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
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"L'uomo
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Collection/Collana: Biografie
dell'Inconscio
Anno/Year:
2015
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"Neuroscience
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Edited by/a cura di: Giuseppe Leo Prefaced by/prefazione
di: Georg Northoff
Writings by/scritti di: D. Mann
A. N. Schore R. Stickgold
B.A. Van Der Kolk G. Vaslamatzis M.P. Walker
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collection/Collana: Psicoanalisi e neuroscienze
Anno/Year: 2014
Pagine/Pages: 300
ISBN:978-88-97479-06-2
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Vera
Schmidt, "Scritti su psicoanalisi infantile ed
educazione"
Edited by/a cura di: Giuseppe Leo Prefaced by/prefazione
di: Alberto Angelini
Introduced by/introduzione di: Vlasta Polojaz
Afterword by/post-fazione di: Rita Corsa
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Biografie dell'Inconscio
Anno/Year: 2014
Pagine/Pages: 248
ISBN:978-88-97479-05-5
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Resnik,
S. et al. (a cura di Monica Ferri), "L'ascolto dei
sensi e dei luoghi nella relazione terapeutica"
Writings by:A.
Ambrosini, A. Bimbi, M. Ferri, G.
Gabbriellini, A. Luperini, S. Resnik,
S. Rodighiero, R. Tancredi, A. Taquini Resnik,
G. Trippi
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Confini della Psicoanalisi
Anno/Year: 2013
Pagine/Pages: 156
ISBN:978-88-97479-04-8
Prezzo/Price: € 37,00
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Silvio
G. Cusin, "Sessualità e conoscenza"
A cura di/Edited by: A. Cusin & G. Leo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Biografie dell'Inconscio
Anno/Year: 2013
Pagine/Pages: 476
ISBN: 978-88-97479-03-1
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AA.VV.,
"Psicoanalisi e luoghi della riabilitazione", a cura
di G. Leo e G. Riefolo (Editors)
A cura di/Edited by: G. Leo & G. Riefolo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Id-entità mediterranee
Anno/Year: 2013
Pagine/Pages: 426
ISBN: 978-88-903710-9-7
Prezzo/Price:
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AA.VV.,
"Scrittura e memoria", a cura di R. Bolletti (Editor)
Writings by: J.
Altounian, S. Amati Sas, A. Arslan, R. Bolletti, P. De
Silvestris, M. Morello, A. Sabatini Scalmati.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Cordoglio e pregiudizio
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 136
ISBN: 978-88-903710-7-3
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AA.VV., "Lo
spazio velato. Femminile e discorso
psicoanalitico"
a cura di G. Leo e L. Montani (Editors)
Writings by: A.
Cusin, J. Kristeva, A. Loncan, S. Marino, B.
Massimilla, L. Montani, A. Nunziante Cesaro, S.
Parrello, M. Sommantico, G. Stanziano, L.
Tarantini, A. Zurolo.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana: Confini della psicoanalisi
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 382
ISBN: 978-88-903710-6-6
Prezzo/Price: € 39,00
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AA.VV., Psychoanalysis
and its Borders, a cura di
G. Leo (Editor)
Writings by: J. Altounian, P.
Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D. Hinshelwood, J.P.
Jimenez, O.F. Kernberg, S. Resnik.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Borders of Psychoanalysis
Anno/Year: 2012
Pagine/Pages: 348
ISBN: 978-88-974790-2-4
Prezzo/Price: € 19,00
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AA.VV.,
"Psicoanalisi e luoghi della negazione", a cura di A.
Cusin e G. Leo
Writings by:J.
Altounian, S. Amati Sas, M. e M. Avakian, W. A.
Cusin, N. Janigro, G. Leo, B. E. Litowitz, S. Resnik, A.
Sabatini Scalmati, G. Schneider, M. Šebek,
F. Sironi, L. Tarantini.
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Collana/Collection: Id-entità mediterranee
Anno/Year: 2011
Pagine/Pages: 400
ISBN: 978-88-903710-4-2
Prezzo/Price: € 38,00
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"The Voyage Out" by Virginia
Woolf
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-97479-01-7
Anno/Year: 2011
Pages: 672
Prezzo/Price: € 25,00
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"Psicologia
dell'antisemitismo" di Imre Hermann
Author:Imre Hermann
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-3-5
Anno/Year: 2011
Pages: 158
Prezzo/Price: € 18,00
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"Id-entità mediterranee.
Psicoanalisi e luoghi della memoria" a cura di Giuseppe Leo
(editor)
Writings by: J.
Altounian, S. Amati Sas, M. Avakian, W. Bohleber, M. Breccia, A.
Coen, A. Cusin, G. Dana, J. Deutsch, S. Fizzarotti Selvaggi, Y.
Gampel, H. Halberstadt-Freud, N. Janigro, R. Kaës, G. Leo, M.
Maisetti, F. Mazzei, M. Ritter, C. Trono, S. Varvin e H.-J. Wirth
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
ISBN: 978-88-903710-2-8
Anno/Year: 2010
Pages: 520
Prezzo/Price: € 41,00
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"Vite soffiate. I vinti della
psicoanalisi" di Giuseppe Leo
Editore/Publisher: Edizioni Frenis Zero
Edizione: 2a
ISBN: 978-88-903710-5-9
Anno/Year: 2011
Prezzo/Price: € 34,00
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"La Psicoanalisi e i suoi
confini" edited by Giuseppe Leo
Writings by: J.
Altounian, P. Fonagy, G.O. Gabbard, J.S. Grotstein, R.D.
Hinshelwood, J.P. Jiménez, O.F. Kernberg, S. Resnik
Editore/Publisher: Astrolabio Ubaldini
ISBN: 978-88-340155-7-5
Anno/Year: 2009
Pages: 224
Prezzo/Price: € 20,00
"La Psicoanalisi. Intrecci Paesaggi
Confini"
Edited by S. Fizzarotti Selvaggi, G.Leo.
Writings by: Salomon Resnik, Mauro Mancia, Andreas Giannakoulas,
Mario Rossi Monti, Santa Fizzarotti Selvaggi, Giuseppe Leo.
Publisher: Schena Editore
ISBN 88-8229-567-2
Price: € 15,00
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In
microfisica. L’osservatore fa parte del sistema e
non
può mai essere preso in considerazione isolato
dall’oggetto
del suo studio.
In
analisi, il paziente e l’analista di professione sono
anch’essi
parte dello stesso sistema;
l’effetto
dell’uno sull’altro è importante
come
il suo contrario.
Nel
processo terapeutico non c’è un unico soggetto,
né
un unico oggetto, né un confine tra essi.
(Tom Keve, “Triad. Psicoanalisi,
fisica, cabala: le radici del pensiero del Novecento”, Centro
Scientifico Editore, Torino 2005, p.315)
Chi
cercasse opere letterarie, oggi si direbbe di docu-fiction,
concernenti gli ultimi anni di vita di Ferenczi resterebbe deluso:
nell’unico libro di fiction a mia conoscenza in cui l’io narrante
è Ferenczi, Triad di Tom Keve, solo poche pagine sono dedicate alla
narrazione “in prima persona”(1) di quel 1932 in cui Sandor
avrebbe partorito il suo “Diario clinico”. E ciò, credo, non solo
per il comprensibile motivo che sia arduo fare una sorta di
meta-diario, fiction diaristica sul Diario, ma perché in genere si fa
opera letteraria su qualcosa che si conosce da tempo, che la cultura
del proprio secolo “mastica” e “digerisce” da tanto. E questo
non è il caso del Diario Clinico, lettura ostica ed ardua che il
libro collettivo, curato da Luis J. Martin Cabrè, “Autenticità e
reciprocità. Un dialogo con Ferenczi” ci aiuta a comprendere. La
frase da me riportata in exergo, tratta dalla penna di Keve “nei
panni” di Ferenczi ci deve far pensare a quanto abbiano contribuito
alla formulazione delle ultime idee dell’analista ungherese non solo
la sua esperienza clinica di fronte a casi disperatamente difficili,
ma anche i suoi contatti coi fondatori della fisica subatomica con cui
in quegli anni alcuni analisti avevano fecondi rapporti (basti pensare
anche a Jung). Tale anticipazione da parte di Sandor dell’approccio
relazionale in psicoanalisi o persino del concetto di “campo
analitico” dei Baranger non venne solo affermata, ma nel Diario
anche messa alla prova in modo ‘estremo’ con la pratica della
mutua analisi, in particolare con tre pazienti, Elizabeth Severn,
Clara Mabel Thompson e Izette De Forest, che sarebbero diventate,
tutte e tre, eminenti analiste. Il libro “Autenticità e reciprocità”
non è apprezzabile solo perché, esempio unico in lingua italiana, ci
fornisce un’analisi (nella parte centrale del libro) giornata per
giornata del Diario Clinico, costituendone un’approfondita guida
alla lettura, ma perché in appendice ci dà delle schede in cui
troviamo, oltre ad una trattazione di aspetti rilevanti dell’opera
ferencziana (il saggio “Confusione di lingue tra gli adulti e il
bambino”, l’”Orpha”, la “Pulsione di morte”, “Splitting
e Spaltung”, “Thalassa”), anche i profili biografici delle tre
pazienti in mutua analisi, che nel Diario Ferenczi indica con sigle
altrimenti incomprensibili.
La
struttura del libro “Autenticità e reciprocità” sembra frutto, e
lo è, di una pianificazione e organizzazione dei contributi durata
anni, e concretizzatasi nella costituzione di gruppi di lettura
dell’opera ferencziana, ed in particolare del Diario Clinico,
all’interno dell’Associazione Culturale Sandor Ferenczi. Dopo la
prefazione di Stefano Bolognini, e una prima parte che contiene i
saggi individuali del curatore, Luis J. Martin Cabré,
di Carole Beebe Tarantelli e di Franca Paradisi, una seconda
parte è
stata realizzata collettivamente da alcuni membri dell’Associazione
con una disamina di ogni giornata del Diario, ed una terza parte,
anch’essa collettiva, che si sofferma dettagliatamente su alcune
linee portanti concettuali del Diario.
Il
curatore, nel capitolo introduttivo “Il Diario Clinico di Ferenczi”,
si sofferma sui due assi portanti, la tecnica e la teoria, lungo i
quali l’intera opera ferencziana finisce per sviluppare le sue
innovazioni. Fin dalla sua prima pagina, afferma Cabré, il Diario
ribadisce <<la sua tesi centrale>>, cioè <<che il
controtransfert non solo non è un ostacolo, ma si trasforma in uno
strumento indispensabile per l’analista>>(p.22). Ma Ferenczi
va ancora oltre, per cui non solo il controtransfert è utile per la
formulazione delle interpretazioni, ma l’analista diventa presenza
attiva per il paziente nell’hic et nunc, ed a sua volta l’analista
può essere fino in fondo terapeutico se diventa empaticamente capace
di identificarsi con il dolore del paziente. Cabrè menziona poi
alcuni degli
autori posteriori che hanno ripreso le fila di queste formulazioni
tecniche ferencziane: Heimann, Winnicott, Little, Searles, Mancia,
Grinberg. Spesso per Ferenczi i casi per cui l’analisi non è
indicata sono quelli in cui la tecnica classica è insufficiente: la
sua trasformazione è quello che egli si propone in modo che anche
<<l’insuccesso terapeutico di molte analisi non è dovuto alle
resistenze inaccessibili, né al narcisismo impenetrabile del
paziente, ma alle difficoltà proprie dell’analista, soprattutto
alla sua insensibilità, alla mancanza di tatto e di empatia>>(p.25).
Nella seconda parte del suo testo Cabrè analizza in particolare le
differenze teoriche rispetto al trauma tra Ferenczi e Freud. Con le
parole di Cabré: <<Mentre per Freud in riferimento alla
scissione (Spaltung) una parte dell’Io accetta la realtà e
l’altra la denega, per Ferenczi, nella scissione (Splitting) una
parte muore e l’altra vive ma svuotata di affetti ed estranea alla
propria esistenza, come se fosse vissuta da un altro. E in aggiunta,
in nessuna delle due parti c’è alcun segno dell’evento
traumatico. La psiche si difende con la sua autodistruzione o con la
distruzione di chi offre aiuto o affetto>>(p.26). Aggiunge Cabré
che il concetto di “Splitting” di Ferenczi è in stretta relazione
con l’introiezione e l’identificazione (sul cui ruolo nella terza
parte le autrici del capitolo “Trasmissioni di affetti e vissuti
nella relazione” si soffermeranno estesamente). Anche rispetto alle
innovazioni teoriche, sottolineate da Cabré, nell’opera di Ferenczi,
in particolare rispetto al trauma, le possibili linee di sviluppo sono
molteplici: egli enuncia la relazione degli <<effetti devastanti
del trauma con l’aspetto della distruttività psichica che André
Green (1993) descrive nella sua idea di lavoro del negativo>>,
il concetto di “basic fault” di Balint che <<metteva di
nuovo in risalto l’effetto del diniego nella genesi del trauma>>,
il concetto di “trauma relativo” di Winnicott, <<conseguenza
di una “madre non sufficientemente buona” rispetto alle funzioni
richieste dal bambino>>, e, a proposito del negativo nel trauma
infantile, <<l’impossibilità di raffigurazione>> dei
Botella (2001) <<e conseguentemente, nel bambino non investito
dallo sguardo dell’oggetto assente, l’incapacità di
autorappresentazione>>(p.27). In ultimo, Cabré sottolinea come
nei pazienti borderline o gravemente narcisistici l’innovazione più
importante e foriera di sviluppi nella psicoanalisi contemporanea (si
pensi al filone della psicoanalisi relazionale) sia l’aver accordato
un ruolo non prioritario alle interpretazioni, per privilegiare il
<<riattualizzare, rivivere e sperimentare nella situazione
analitica>>(p.28) i fatti traumatici, con un’attenzione
speciale al controtransfert.
Carole
Beebe Tarantelli nel capitolo “Scrittura e decostruzione nel Diario
Clinico di Ferenczi” riconosce quanto la “riscoperta”, non solo
personale, di Ferenczi sia un fatto abbastanza recente, ed in una nota
alle pagg.31-32 fornisce anche un esempio autobiografico. La tesi
centrale di questo capitolo viene enunciata dall’autrice con queste
parole:<<La forma frammentaria del Diario Clinico lo rende unico
anche rispetto ad altri lavori di Ferenczi che, come tutti i testi
formali, seguono un argomento e lo declinano in modo consequenziale
con un inizio, uno svolgimento e una fine. L’imposizione di un
ordine, intrinseca alla volontà di pubblicare un testo, è una
disciplina per la mente ma anche una limitazione, obbligando
l’autore a scartare pensieri non strettamente pertinenti
all’argomentazione, indipendentemente da quanto possano essere
brillanti. Il pensiero della pubblicazione comporta anche un dialogo
con interlocutori immaginari, le cui potenziali obiezioni possono
vincolare e limitare i movimenti della mente. Nelle opere scritte,
destinate a essere lette da altri, vi è una tensione dialettica tra
il desiderio di pensare per se stessi e la necessità di essere
capiti. (…) Nel Diario Clinico poté dare libero corso alle sue
fantasie scientifiche senza i vincoli e gli adeguamenti richiesti
dall’esistenza di interlocutori immaginari. Era impegnato in un
dialogo con la propria mente. La mia tesi è che fu proprio la natura
informale della forma diaristica che gli consentì di registrare dei
pensieri “selvaggi” senza eliminarli a favore di una forma
finita>>(p.32).
Franca
Paradisi nel capitolo “Il Diario Clinico. Poesia e verità
scientifica”, sottolineando come il Diario si trovi alla confluenza
tra l’opera di Ferenczi, la sua biografia e una sorta di autoanalisi
che egli compie, rileva come esso non solo tratti del trauma, della
tecnica ad esso più idonea e di una metapsicologia del funzionamento
mentale dell’analista al lavoro, ma che esso parli della relazione
ambivalente di Ferenczi con il suo maestro-analista Freud, con
espliciti riferimenti alle manchevolezze della sua analisi personale,
come testimonia la lettera del 17 gennaio 1930 che Ferenczi scrive a
Freud. Nel Diario Ferenczi arriva a porre una relazione tra la grave
anemia di cui è affetto e tale conflitto relazionale (2 ottobre
1932). Di
fronte a situazioni cliniche gravemente traumatiche, nel Diario
l’autore, oltre a riconoscere i limiti dell’interpretazione,
approfondiva l’utilità del tatto, della benevolenza e della
recettività dell’analista, come qualità di quest’ultimo capaci
di favorire quella regressione dell’analizzando capace di
consentirgli l’accesso ai nuclei profondi e <<dare finalmente
voce a quel dolore rimasto inascoltato e muto nell’abisso della
scissione traumatica>>(p.41). Paradisi enfatizza come Ferenczi
abbia anticipato il concetto dell’analista come testimone che Poland
e Borgogno, per fare solo due nomi, hanno sviluppato nella letteratura
contemporanea. Nel Diario Clinico, inoltre, vi è un ampliamento del
concetto di controtransfert in cui Freud vedeva <<soprattutto la
risposta alla “influenza del malato sui sentimenti inconsci del
medico”(Freud, 1910, p.200) e non anche l’espressione di aspetti
profondi della personalità dell’analista>>(p.43). Per Freud,
insomma, <<un ostacolo da fronteggiare piuttosto che uno
strumento di conoscenza e trasformazione>>(p.43). Ovviamente,
questa ricerca all’interno di se stesso e la trascrizione di
pensieri non soggetti alla pubblicazione portano il Diario a
testimoniare anche quelle tecniche che poi Ferenczi abbandonerà come
la tecnica attiva (titolo di una sua pubblicazione del 1921) e
l’analisi mutua. La tecnica attiva, coi suoi comandi e proibizioni,
<<rischiava di diventare una ripetizione della situazione
genitore-figlio e di essere sentita come un attacco sadico>>(p.44).
L’analisi reciproca, con il riconoscimento da parte dell’analista
dei propri limiti e con l’incontro anche dei propri ricordi
traumatici, viene scelta come un grimaldello per sbloccare situazioni
di stallo analitico, ma anche, come scrive Paradisi, con la
riattivazione della trance traumatica <<gli permise di assistere
all’espressione del corpo quale matrice mnestica di un dolore
psichico senza rappresentazione né parola>>(p.46). Costituì
tuttavia “un accorgimento provvisorio”(1932, 3 giugno, p.193) date
le difficoltà insormontabili che l’analisi mutua poneva, incluso il
problema di poter, una volta che essa fosse stata avviata, tornare
all’analisi classica.
L’IMPORTANZA
DELLE VICISSITUDINI DEGLI AFFETTI NELLE RELAZIONI, E DELLA COSTRUZIONE
DELLA PERSONALITA’ SULLA BASE DI UNA COMUNICAZIONE DIALOGICA PRECOCE
DI AFFETTI E DEL LORO RICONOSCIMENTO
In
questa recensione per motivi di spazio non posso soffermarmi sul
formidabile lavoro di gruppo che Pellerano, Marazia, Amodeo, Marmo,
Mosca, Alvarez e Landolfo hanno svolto nella seconda parte del libro,
in cui hanno condotto una disamina approfondita di ogni giornata del
Diario Clinico. Mi soffermerò sulla terza parte con il capitolo
“Trasmissioni di affetti e vissuti nella relazione” di
Dall’Albero, Ferretti e Mirabile. Le autrici enucleano alcuni
concetti portanti dell’opera di Ferenczi, ed in particolare del
Diario, per delinearne gli sviluppi nella psicoanalisi odierna.
Innanzitutto, rilevano come siano gli affetti <<il fondamento
dello sviluppo delle comunicazioni, sia inconsce che coscienti>>(p.172),
pur non avendo mai Ferenczi abbandonato il modello pulsionale.
<<Egli riconosce con grande anticipo come la costituzione
psichica del senso di sé sia imprescindibilmente legata alle
comunicazioni inconsce presenti nelle cure parentali e, in senso più
ampio, nello scambio emotivo con l’ambiente>>(p.172). Molto
apprezzabile agli occhi dello scrivente è il richiamo agli studi e
alle ricerche dei nostri giorni che <<hanno dato base
neuroscientifica al valore attribuito da Ferenczi agli affetti e
all’esperienza sensoriale nell’ambito del sistema comunicativo.
Nell’elaborazione di affetti e passioni, il suo è un pensiero
innovativo e coraggioso che arriva a concepire la costruzione della
mente in modo dialogico e relazionale>>(p.172). Le indagini
attuali sull’”infant research” e la costruzione
dell’intersoggettività (come rintracciabile nell’opera di Stern e
nel libro “La nascita dell’intersoggettività” di Ammaniti e
Gallese del 2014) fanno sottolineare alle autrici l’importanza del
riconoscimento, come fattore evolutivo di resilienza, tanto che
fraintendimenti e disconoscimenti nello scambio comunicativo, specie
in quello precoce, sono considerati attualmente i fattori patogeni più
importanti nella genesi del trauma (si veda anche l’illuminante, a
mio parere, libro di Gherardo Amadei “Come si ammala la
mente”,2005, in cui vengono ricordati quegli approcci psicoanalitici
basati sul riconoscimento). I processi di mutua regolazione affettiva
che, a livello inconscio, sono alla base della comunicazione umana,
sono al centro oggi di una serie di studi molto avanzati (si pensi
all’opera di Schore).
Nelle
pagine del Diario Clinico viene dato ampio spazio a quella reciprocità
di “dialogo degli inconsci” che Ferenczi aveva coniato in
“Anomalie psicogene del timbro di voce”(1915), in cui
l’inconscio in gioco in tale scambio ha più a che fare con quello
non rimosso (p.193), e addirittura travalica la comunicazione paziente
analista, per investire la stessa trasmissione transgenerazionale di
idee generative per successive concezioni psicoanalitiche tra analisti
stessi (p.193). <<Ferenczi aveva incentrato la sua attenzione
proprio sulla reciprocità
della comunicazione e aveva valorizzato sia la necessità umana di
comunicare i propri stati mentali e affettivi, sia la necessità di
essere compresi e riconosciuti. (…) Se ampliamo la metafora
freudiana>> (contenuta in “Consigli al medico nel trattamento
analitico”,1912), <<osservandola dal punto di vista di
Ferenczi, tanto l’analista che il paziente possiedono sia il
ricevitore che il microfono>>(p.199).
Problematica
risulta quindi per Ferenczi agli inizi degli anni ’30 il ricorso
alle libere associazioni, più indicate per svelare l’inconscio
rimosso: <<richiedere libere associazioni (…) indica per
Ferenczi quantomeno una momentanea incapacità dell’analista di
sintonizzarsi a livello inconscio con lo stato di sofferenza vissuto
dal paziente>>(p.193).
ALCUNI
SVILUPPI ATTUALI SULLA TERAPIA PSICOANALTICA DEL TRAUMA
Gli
eventi traumatici hanno la peculiarità di non divenire mai inconsci,
né tantomeno di essere rimodellati, ricategorizzati, riscritti dalle
successive esperienze della vita. Scrive Sabatini (1999): «La loro
memoria, negata al processo di continua ricategorizzazione e
ritrascrizione per via associativa (Edelman), non entra in tale modo
nel coro delle reti associative che procedono per metafore (Modell),
integrano i fatti e creano significati che si estendono da
un'esperienza ad un'altra, fino ad assimilare a sé elementi nuovi e
non familiari.
La memoria impaniata nel polo di fissazione, da elemento vivo, mobile,
selettivo, humus di primarie rappresentazioni in continua e potenziale
mutazione, si trasforma in zavorra psichica che, saldata
inscindibilmente alle percezioni traumatiche, si sottrae ed esclude
dalle linee di forza della vita psichica. La memoria di questi fatti
non è soggetta alla rimozione(2), così come una malformazione
genetica non può essere rimossa» (Sabatini Scalmati, 1999). Come De
Zulueta (2009) ricorda nel suo libro “Dal dolore alla violenza”,
la psicoanalisi contemporanea si occupa più che di condizioni da
trauma massivo o classico (riassumibili nella visione freudiana di un
singolo evento che infrange e viola una barriera protettiva, Freud,
1920), quelle che Leonore Terr (1994) chiama traumi del tipo I, bensì
di traumi relazionali (traumi tipo II, secondo Terr, 1994) come
conseguenza di un disturbo precoce della relazione tra bambino e
caregiver (“early relational trauma” di Schore, “trauma
cumulativo” di Masud Khan)(3). Il trauma relazionale ha alla sua
radice eventi di perdita, condizioni di trascuratezza e di abuso
(fisico e sessuale) che se protratti nel tempo producono in età
precoce e sensibile una mancanza grave della sintonizzazione
affettiva, che è quella capacità, ad insorgenza intorno ai 6 mesi (Stern,
1984), condivisa dalla diade bambino-caregiver di appaiare i
rispettivi stati interni in modo da permetterne a ciascuno rispetto
all’altro il loro riconoscimento e la loro modulazione. Ciò può
condurre ad un attaccamento insicuro o disorganizzato che può
rappresentare la condizione predisponente di una successiva condizione
clinica post-traumatica. Poiché le esperienze
di microsequenze interattive, non solo quelle disfunzionali, diventano
MEMORIE DI RELAZIONI (per Loewald 1980 non si interiorizzano gli
oggetti ma le relazioni), esse diventano RAPPRESENTAZIONI MENTALI O
SCHEMI AFFETTIVI-COGNITIVI, variamente definiti dai vari autori (“Internal
Working Model” di Bowlby,
RIGs , “Representations of Interaction been Generalized” di Stern),
la cui “sede” non è la memoria dichiarativa (quella che
presuppone il linguaggio e l’acquisizione del pensiero simbolico e
che non si sviluppa fino all’età di 5 anni, Fonagy & Target,
“Il recupero dei ricordi di abuso”, 2002) ma la memoria
procedurale o implicita che è quella in cui si vengono a
“depositare” sia i ricordi dei “momenti di incontro”(in cui si
creano riconoscimenti reciproci tra i partner sintonizzati rispetto
allo stato dell’altro, Sander, 1977)(4) sia le esperienze di
disconoscimento e di dissintonia. Indipendentemente dall’essere un
trauma isolato (I tipo di Terr) o ripetuto di tipo relazionele (II
tipo), di tipo precoce o meno, <<i comportamenti, gli affetti e
le sensazioni relativi ad eventi traumatici vengono codificati in modo
non simbolico>>, ma il problema cardine della terapia è che
<<la conoscenza e la comprensione sono riservate all’ambito
simbolico e risultano separate dall’esperienza percettiva>>(Braun,
1988, cit. in Fonagy e Target, op.cit., p.104).
FECONDITA’ DELLE IDEE DI FERENCZI NELLA TERAPIA DEL TRAUMA
L’intuizione di Ferenczi della insufficienza della sola
interpretazione nel trattamento dei pazienti gravemente traumatizzati
è forse quella parte della sua eredità che più di tutte ha
incontrato nella psicoanalisi odierna più attenta alle neuroscienze
cognitive ed affettive i suoi degni sviluppi. Il richiamo doveroso che
fanno le autrici della terza parte del libro “Autenticità e
reciprocità” alla distinzione di Mauro Mancia tra l’inconscio
rimosso (che ha la sua “sede” funzionale nella memoria
dichiarativa) e l’inconscio non rimosso (nella memoria procedurale)
è della massima importanza
per le sue implicazioni cliniche. <<Ferenczi si scontrava
con un problema: le memorie traumatiche non vengono trascritte come
tracce mnestiche, benché lascino segni profondi, vere e proprie
impronte, che non essendo arrivate al livello della rappresentazione
non possono essere ricordate. Tuttavia le “impronte” traumatiche
restano inscritte nel corpo come memorie affettive e sensoriali e
vengono continuamente riattualizzate nelle esperienze vissute>>(p.178).
Sappiamo oggi che lo “storaggio” di queste memorie affettive non
è il sistema della memoria dichiarativa esplicita, ma quello della
memoria procedurale implicita, e, come scrive Krystal (2002),
<<il loro ritorno alla consapevolezza può produrre una
situazione di minaccia per la vita e/o una situazione di minaccia per
la salute psichica. Alcune percezioni traumatiche non sono compatibili
con la sopravvivenza del Sé e non vengono registrate consciamente o
in una forma che sia recuperabile>>. Oggigiorno, sappiamo anche
che alla base del “richiamo” dei “ricordi” traumatici (alla
base di svariati sintomi del PTSD) è il principio di specificità
della codifica per cui <<ciò che è trascritto ritorna con la
stessa modalità con cui è stato modificato>>(Fonagy &
Target, 2002, p.95). <<Il principio di specificità della
codifica insegna che coloro che sono affetti dal PTSD recuperano le
esperienze traumatiche quando gli stimoli di tipo sensoriale
corrispondono alla codifica dell’esperienza originale vissuta>>(Fonagy
& Target, 2002, p.95). Ovviamente, l’emergenza spontanea di tali
vissuti connessi con l’esperienza traumatica è possibile fonte di
terrore e di sintomi dissociativi (flashback), quindi ci si pone la
questione, sin dai tempi di Freud e Ferenczi, di quali siano le
condizioni terapeutiche idonee perché questo recupero possa essere
benefico per il paziente. Ferenczi ha sicuramente dato un contributo
imprescindibile in tal senso delineando quelle condizioni di ascolto
sollecito, di tatto, di benevolenza e di recettività (Paradisi, p.41)
da parte dell’analista che deve creare quell’ambiente relazionale
appropriato per una tale ri-emergenza. In termini ispirati da De
Zulueta possiamo dire che, poiché nel trauma c’è stata la rottura
della diade empatica interna (che spiega anche la dissociazione), la
ricostruzione del fatto reale NON PUO’ AVVENIRE <<SENZA UNA
RICOSTRUZIONE DEL LEGAME EMOTIVO dentro la relazione con un altro
essere che permette l’integrazione degli affetti e dei significati
connessi all’evento che è stato traumatico>>(Mucci, 2014,
p.76). IL SAPERE (cognitivo ed emotivo) DEL TRAUMA EMERGE SOLO ENTRO
UNA RELAZIONE.
<<L’idea
di Ferenczi che a determinare il fallimento della cura fosse la
difficoltà e l’incapacità dell’analista di sintonizzarsi con i
livelli comunicativi del paziente>>(p.174) è un’altra fetta
importante di questo suo lascito. <<Nel Diario Clinico troviamo
esempi del suo impegno a costruire un linguaggio che permetta di dare
un senso non distorto agli affetti emersi nella relazione, contenuti
nella dimensione non verbale, perché possano essere riconosciuti come
vissuti>>(p.176): questo perché <<la parola non è solo
veicolo di significati ma anche di affetti>>(p.177), essa
<<costituisce dunque di per sé un’azione che trasforma la
relazione tra gli interlocutori, rende affettivamente viva
l’esperienza, evocando e facendo risuonare i vissuti di chi la
riceve>>(p.176).
E’
ancora estremamente illuminante su tali temi la nota del Diario
Clinico che Ferenczi scrisse il 31 gennaio 1932: <<Pare che i
pazienti non possano credere (…) alla realtà di un avvenimento se
l’analista, unico testimone del fatto, mantiene un atteggiamento
freddo, anaffettivo e (…) puramente intellettuale, mentre gli
avvenimenti sono di natura tale da suscitare in qualsiasi spettatore
sentimenti e reazioni di rivolta, di angoscia, di terrore, di
vendetta, di lutto, e…>>(5). Grubrich-Simitis (1981) sembra
riallacciarsi a questo pensiero di Ferenczi quando tratta delle
implicazioni etiche di questo essere testimone
dell’analista:<<
l’analista deve resistere non solo al suo bisogno naturale di
proteggere se stesso ma anche alla tendenza, rafforzata dal suo
training, di bypassare la realtà e di dedicare la sua attenzione,
dall’inizio, alle fantasie del paziente. E’ solo nella misura in
cui la realtà storica viene ACCERTATA che il paziente sarà in grado
di avvicinarsi alla propria realtà interna ed esterna>>. A ciò
si riallaccia anche il timore espresso da Ferenczi che un analista
autoritario possa favorire una sottomissione implicita da parte del
paziente alle sue interpretazioni. L’interpretazione autoritaria si
pone quindi in contrapposizione con un atteggiamento di testimonianza
empatica, che è raccomandabile secondo Kirshner (1993) per cui
<<il trauma danneggia la capacità del bambino di valutare la
realtà, una tendenza che successivamente può essere ripetuta sotto
forma di ‘enactment’ nel trattamento psicoanalitico, in cui il
paziente PUO’ CONFORMARSI ALLE INTERPRETAZIONI AUTORITARIE del
proprio analista>>.
Con
il suo focalizzarsi sulle condizioni relazionali e contestuali che
precocemente hanno condizionato lo sviluppo nel paziente di una
condizione traumatica, anziché su una concezione del trauma come
singolo evento isolato che infrange la barriera protettiva (il
“Reizschutz” di freudiana memoria) e il suo enfatizzare, specie
nell’opera “Confusione di lingue tra
gli adulti e il bambino”(1932) il ruolo dei fraintendimenti e dei
disconoscimenti nelle relazioni precocemente “traumatogene”,
Ferenczi sembra aver prodotto, alla luce dei progressi teorici e
tecnici sopra menzionati, dei contributi straordinariamente seminali e
pionieristici per i suoi tempi. In
particolare, scrive Franca Paradisi nel suo capitolo di “Autenticità
e reciprocità” <<nel constatare la tendenza dei pazienti a
soddisfare i propri impulsi attraverso l’azione, Ferenczi ha
attribuito un ruolo prioritario al ripetere piuttosto che al
ricordare, al presente piuttosto che al passato, al linguaggio
inconscio della mimica dei gesti e degli affetti espressi dal corpo e
non soltanto dal linguaggio verbale>>(p.43). Questo non solo
viene confermato dai più attenti studiosi della fenomenologia della
memoria traumatica come Laub ed Auerhahn (1984)(6), ma dagli autori
che questo “agire” lo connotano modernamente come “enactment”
nella relazione transferale (Bohleber, 2007)(Fonagy & Target,
2002), anche questa nozione che Ferenczi, con la sua attenzione
rigorosa per il controtransfert dell’analista, ha inaugurato(7). E
continua Paradisi:<<Poiché pensava che l’azione non fosse
unicamente espressione di resistenza ma anche e soprattutto
comunicazione, ha dato grande importanza all’analisi dell’agire,
ancor prima dell’irrinunciabile recupero dei ricordi dell’infanzia>>(p.43)(8).
Note:
1)
1)
Un’altra
opera letteraria, destinata al teatro, è “La damnation de Freud”(1997)
di Nathan, Stengers e Hounkpatin che però è opera di totale
invenzione fantastica, senza alcuna attinenza documentaria né con la
biografia di Freud né con quella di Ferenczi.
2)
2)
A proposito
della problematicità del ruolo della rimozione nella terapia delle
condizioni traumatiche laddove essa favorisca dei risultati positivi,
Fonagy e Target scrivono: <<Nessuno di questi benefici è
inerente all’annullamento della rimozione. Sono i risultati
secondari di fattori terapeutici non specifici, associati
all’acquisizione di conoscenze nuove e non sono necessariamente
collegati alle conseguenze patologiche di un ricordo rimosso>> (Fonagy,
Target, op.cit, p.107).
3)
3)
Gli antecedenti di questa visione del trauma relazionale precoce sono i
CONCETTI WINNICOTTIANI di INTERFERENZA* ed IMPINGEMENT: <<Per
Winnicott il trauma non è soltanto l’introduzione di qualcosa di
drammaticamente negativo, spaventoso e dannoso (…), ma è più
fondamentalmente il fallimento nel sostenere qualcosa di positivo: le
condizioni necessarie per uno sviluppo psichico sano>>(Mitchell
& Black, 1996, p.237). INTERFERENZA: <<I delicati inizi
dell’esperienza personale nel bambino possono essere sostenuti,
secondo Winnicott, soltanto nell’ambiente di holding protettivo
creato dall’attenzione sollecita di una madre sufficientemente
buona. Appagando i bisogni del bambino e rendendone concreti i gesti
spontanei, la madre lo protegge da tutte le intrusioni, sia esterne
che interne. Il bambino è libero di fare ciò che ha bisogno di fare:
fluttuare nello stato di going on being e attendere l’emergere
spontaneo degli impulsi personali. La madre può frustrare il bambino
in molti modi: permettendo agli stimoli esterni di raggiungere un
livello doloroso, intromettendosi nello stato di base di tranquillità
fluttuante, oppure permettendo ai bisogni interiori del bambino di
intensificarsi fino a livelli frustranti. Nel linguaggio di Winnicott
tutti questi fallimenti hanno come risultato l’IMPINGEMENT:
l’insuccesso nel proteggere la delicata condizione necessaria per lo
sviluppo e la salute mentale. (…) >>(pp.236-237).
4)
4)
RICONOSCIMENTO: Nel momento di incontro due stati di consapevolezza
sono posti a confronto, nel senso che si crea una corrispondenza tra
il modo in cui ciascun partner conosce se stesso e il modo in cui è
conosciuto dall’altro. Ossia, nel momento di incontro avviene un
RICONOSCIMENTO RECIPROCO, che influenza la capacità di agire in prima
persona sulla propria autoregolazione (Sander, 1977, cit. In Amadei,
2005).
5)
5)
(continua citazione di Ferenczi) << … propositi di un
aiuto sollecito onde rimuovere o distruggere la causa o il
responsabile; e poiché si tratta generalmente di un bambino,
di un bambino ferito (…) vi è il sentimento di volerlo
confortare affettuosamente ecc.. Si può decidere di prendere
veramente sul serio il ruolo di osservatore benevolo e soccorrevole,
vale a dire di lasciarsi effettivamente trasportare con il paziente IN
QUEL DATO MOMENTO DEL SUO PASSATO (pratica che Freud mi ha
rimproverato come proibita), con il risultato CHE ENTRAMBI, NOI E IL
PAZIENTE, CREDIAMO IN QUESTA REALTA’, cioè in una realtà presente
e non, per ora, collocata
nel passato. L’obiezione a un tale atteggiamento potrebbe essere
questa: sappiamo bene che il fatto in questione, per quanto vero, non
si sta svolgendo adesso>>. <<NON PUO’ ESSERE VERO CHE
TUTTO CIO’ MI SIA CAPITATO, ALTRIMENTI QUALCUNO MI SAREBBE VENUTO IN
AIUTO>> <<IL PAZIENTE PREFERISCE DUBITARE DELLA
CORRETTEZZA DEL PROPRIO GIUDIZIO PIUTTSTO CHE CREDERE ALLA FREDDEZZA
DEI NOSTRI SENTIMENTI, ALLA NOSTRA MANCANZA DI INTELLIGENZA, IN UNA
PAROLA ALLA NOSTRA STUPIDITA’ E CATTIVERIA>>.
6)
6)
<<Molto
spesso ricordare il trauma implica la sua RIPETIZIONE, con il ricordo
dell’evento che sembra avere le proprietà di un OGGETTO STRANIERO
non assorbito all’interno della persona. In questo tipo di ricordo
l’evento viene rivissuto di fronte all’ascoltatore MA NON
VERAMENTE NARRATO; rimane vivido e colorato durante il resoconto, per
poi finire all’improvviso subito dopo, lasciando il narratore e
l’ascoltatore con il senso DI AVER GUARDATO QUALCOSA DI POTENTE CHE
NON APPARTIENE A NESSUNO DEI DUE. In questi casi sembrerebbe come se i
ricordi traumatici avessero preso la forma di un corpo estraneo che può
erompere in qualsiasi momento, con flashback e immagini rivissute del
passato. (…) E’ COME SE L’ESPERIENZA (…) VENISSE REGISTRATA MA
NON PERCEPITA. Non si tratta tanto di rimozione quanto di catene
associative che non vengono fatte, così che il percetto non va al di
là della mera percezione visiva ed è impossibile da recuperare nella
sua interezza>>(Auerhahn, Laub, 1984).
7)
7)
<<I ricordi traumatici vengono spesso attivati nel trattamento
analitico attraverso ‘enactment’ nella relazione di transfert. La
scoperta della realtà del trauma e degli effetti a esso connessi,
ossia la sua STORICIZZAZIONE (…) è la premessa per chiarire e
rendere comprensibili le sue elaborazioni secondarie e le sue
trasformazioni attraverso fantasie e significati inconsci (…) Per
storicizzazione si intende anche il RICONOSCIMENTO del fatto
traumatico, la comprensione dell’esperienza individuale e delle
conseguenze di lunga durata che ne sono derivate. (…) Una
ricostruzione deve essere in accordo con la realtà effettuale del
trauma del paziente e deve cogliere la realtà del trauma del
paziente>>(Bohleber, 2007). <<Potremmo dire che nelle
situazioni in cui il carico emotivo dell’esperienza compromette il
deposito di tracce di memoria autobiografica, l’esperienza rimane
parte di un deposito di memoria implicito che può manifestarsi nel
comportamento del paziente attraverso il transfert SULL’analista>>(Fonagy
& Target, 2002, p.96).
8)
8)
Paradisi cita
questo passaggio di “Analisi infantili con adulti” (Ferenczi,
1931, p.70): <<Ritengo però che possa tornare ugualmente
vantaggioso creare le condizioni perché possa manifestarsi del
materiale agito significativo, che può essere in un secondo tempo
trasformato in ricordo>>.
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