Entrare nel mondo di studi di Otto Kernberg, per come viene presentato da questa opera, significa avere il privilegio di percorrere e di studiare la casa di un grande architetto. Essa riflette il lavoro di una vita di esperienza clinica e di studi. Vi condurrò attraverso le molte stanze di questo edificio, indicando sia i temi più generali sia le gemme più nascoste. Evidenzierò anche quegli sviluppi che non sono ancora del tutto compiuti.

Come per qualsiasi esame di un capolavoro, ognuno si occupa di quell'aspetto che risuona meglio col proprio "background", colle proprie competenze ed, in questo caso, con la propria esperienza clinica. Questo edificio offre qualcosa per tutti, ma la ricompensa sarà più grande per coloro che sono molto esperti  nella comprensione della mente dal punto di vista psicodinamico,  specialmente per come essa si applica al lavoro con individui molto sofferenti.

La portata di questo lavoro è ampia. Già da pagina 4 (dell'edizione inglese, Nota del Traduttore) l'autore distingue questo sforzo da quello proprio dei primi lavori analitici in quest'area, dichiarando che essi soffrono di un "riduzionismo nello sviluppo delle cornici teoriche". L'autore continua dicendo che "il trascurare i fattori determinanti neurobiologici dei sistemi motivazionali... ha reso inadeguati tutti gli sforzi di costruire una teoria della personalità e dei suoi disturbi esclusivamente basata sulla psicoanalisi". Ritornerò su questo punto in seguito.

I primi capitoli rappresentano le fondamenta nella mia casa allegorica. Le descrizioni dello sviluppo della personalità, delle controversie riguardanti il DSM, e dei correlati neurobiologici offriranno una lettura affascinante a coloro che nutrono queste specifiche aree di interesse. Ciò vale anche per il capitolo finale sulla formazione psicoanalitica. Questi temi circondano il testo della struttura ma parlano meglio a quegli artigiani tra di noi che conoscono bene tali linguaggi e vi trovano una grande complessità di interessi. Altri possono scegliere di entrare dall'ingresso dove troveranno una introduzione di benvenuto alla tecnica psicoanalitica. Le nozioni familiari di libere associazioni e l'analisi della relazione terapeutica sono chiaramente descritte con una particolare enfasi sul lavoro con questi pazienti, uno dei contributi più singolari di questo autore al nostro campo. Una gemma che può facilmente passare inosservata in questo ingresso è la concisione con cui il testo cattura una comune sfida clinica che dobbiamo affrontare nel lavoro con pazienti fragili, quando questi sono presi da una "regressione a modalità simbiotiche di relazione, in cui il paziente non riesce a tollerare le differenze di vedute e di relazioni con il terapeuta, [essi] sperimentano tutte le triangolazioni come intollerabili situazioni traumatiche. L'interpretazione e l'elaborazione di queste primitive regressioni transferali possono rappresentare il carattere dominante di questi casi".

Nell'arco di tutta l'opera l'autore è chiaro nel differenziare i vari approcci psicoanalitici alternativi; ossia, quello relazionale, quello kleiniano, quello bioniano, quello francese. Egli condivide con noi la sua profonda comprensione dei loro punti di forza come anche dei loro limiti. Coi pazienti più impegnativi, quelli che con "sottili (o non così sottili) sforzi di influenzare l'analista per mezzo dell'identificazione proiettiva e del controllo onnipotente promuovono enactments e controtransfert intensi e instabili", egli raccomanda la psicoterapia focalizzata sul transfert (TFP, transference-focused psychotherapy). Tale approccio differisce dal trattamento standard per il suo privilegiare la protezione del setting rispetto al mantenimento della "neutralità tecnica". Egli pone in antitesi e preferisce questo approccio alla ben nota terapia basata sulla mentalizzazione. In una brillante partenza da ciò che troppo spesso diventa argomento di fede teologica, in cui la rumorosità oscura l'assenza di dati significativi, egli dichiara che "disponiamo di dati empirici che dimostrano che la [TFP] produca davvero aumentata mentalizzazione nei pazienti borderline, con un aumento della loro capacità di valutazione realistica  del sé e degli altri come conseguenza dell'integrazione dell'identità". Questa ben concepita chiarificazione tra i vari approcci, anche se a volte è delineata in modo troppo netto, può servire come modello per future ricerche sulle migliori pratiche.

In un edificio di tali dimensioni vi sono molteplici ed ampi spazi ricchi di saggezza e degni di studio. Prima di menzionarne alcuni particolari tra i più importanti, vorrei concentrarmi su due capitoli che potrebbero essere facilmente ignorati, che premieranno la nostra silenziosa immersione.

Il primo di essi è il decisivo capitolo che studia in modo ammirevolmente dettagliato l'impatto delle difese narcisistiche nella vita del paziente e quindi nella relazione terapeutica. Il terapeuta ha l'esperienza unica ed inconfondibile di sentire da solo nella stanza, a volte del tutto improvvisamente, ciò che serve come segnale controtransferale per il ritiro egosintonico del paziente nella sua autosufficienza difensiva. Tale protezione illusoria nasconde ai pazienti, ed all'inizio anche ai loro analisti, i loro desideri di dipendenza e di amore autentico. Al posto di questi affetti diretti verso un oggetto, di cui generalmente non hanno fatto tesoro durante l'infanzia, tali individui hanno cercato il miglior adattamento di cui sono stati capaci: un'infatuazione per se stessi (sebbene spesso alquanto critica) ed un'infinita ricerca di essere ammirati. L'uso da parte del terapeuta in tempo reale di questi segnali controtransferali di sentimenti ignorati nel trattamento "può essere una precondizione cruciale per la scoperta [da parte del paziente] di quei momenti nascosti di riconoscimento di un autentico interesse da parte dell'analista, che comunque il paziente può non tollerare". L'intolleranza a questa mutualità è spesso ironicamente accompagnata da tristi lamentele del paziente secondo cui il terapeuta non sarebbe abbastanza caldo e pieno di cure. In realtà, dobbiamo essere preparati a "mesi di  disperazione e di occasionali esperienze di vicinanza emotiva per passare nuovamente a un atteggiamento di deludente disimpegno da parte del paziente, con l'analista che è alle prese con una nuova ondata di vuote banalità che riempiono le sedute". Lo stretto monitoraggio, operato da questo testo, della danza affettiva tra paziente e terapeuta sarebbe stato vivacizzato qualora l'autore avesse fornito materiale clinico su tali processi. Così com'è, ho trovato le descrizioni profondamente familiari, elaborate in modo efficace e capaci di ampliare la portata teorica.

L'altra piccola gemma, di cui ho fatto tesoro in quest'opera, è il capitolo intitolato "II diniego della realtà". Ancora una volta, cosa davvero comune nel lavoro con individui molto regrediti, lo studio del proprio controtransfert è la chiave per l'approfondimento del trattamento. In questo caso è la confusione dell'analista che serve da segnale che qualcosa non ha senso. Spesso ciò è una risposta alla presentazione casuale del paziente di distorsioni a volte bizzarre della realtà. Queste possono essere citazioni "tra parentesi" di strani disegni politici nei suoi luoghi di lavoro, cattive interpretazioni di sentimenti di amici, o, infine, una particolare gestione dei meccanismi del trattamento. Queste cattive interpretazioni della realtà sono egosintoniche, come "l'acqua per il pesce", e richiedono che il terapeuta spesso intervenga attivamente per evitare un danno reale per la vita della persona. E' questa la sfida tecnica così ben descritta in questo capitolo, quella di porre a confronto le distorsioni della realtà, spesso attraverso domande dettagliate, mentre vengono minimizzate le intrusioni nella loro vita. L'abilità creativa del terapeuta di "immaginare una miglior vita per il paziente" è un'utile difesa contro l'autodistruttività egosintonica del paziente. Essa può allertare il terapeuta rispetto a certe macchie cieche collusive che oscurano queste distorsioni così durevoli e masochistiche. Mi sono ricordato di un vecchio adagio proveniente dalla mia formazione, "Gli analisti sono neutrali di fronte al conflitto, non  sul far fronte al conflitto".

Nella mia esplorazione di questa casa allegorica, mi sono sentito ben accolto, ben istruito ed ispirato. Ho anche cominciato a scoprire spazi con fragili ed incompleti sostegni. Questo ha riguardato me, dato che le stanze non ancora completate contenevano muri molto resistenti che servono da pilastri essenziali per sostenere l'intera struttura. Ho per prima cosa incontrato questa incompletezza nella descrizione della somatizzazione. E' stato riconosciuto che tali sintomi possano essere "manifestazioni fisiche di ansia e di depressione". L'intervento raccomandato è quello  che esse siano "interpretate come parte della manifestazione difensiva ed impulsiva delle relazioni oggettuali interiorizzate nel transfert". Ciò mi è sembrato accurato ma significativamente incompleto. La raccomandazione a focalizzarsi esclusivamente sugli interventi interpretativi ignora la frequente presenza in queste condizioni di una malattia depressiva trattabile. L'introduzione di farmaci psicotropi può compiere un gran lavoro di  sollievo della sofferenza per ciò che si suole chiamare gli "equivalenti depressivi". Nell'esperienza clinica mia e di altri analisti, il trattamento farmacologico può aggiungere possibilità di affetti ottimistici, che a loro volta rafforzano il paziente come alleati contro la regressione. Ciò può facilitare la capacità di impegnarsi significativamente in un'esperienza interpretativa.

La mia instabilità in questa parte dell'edificio ha continuato a sussistere. "Acting out pervasivi, tempeste affettive dissociate, gravi sviluppi paranoidi del transfert, e somatizzazioni  sono tutti correlati ad operazioni difensive primitive, e minacciano la sopravvivenza sociale di tali pazienti". La diagnosi differenziale di questi sintomi pericolosi comprende ma non è limitata ai disturbi di personalità. Comprende ancora i disturbi affettivi. Siamo ben attrezzati nel mantenere un alto tasso di cautela per quelle che ci appaiono come le più trattabili tra le condizioni che abbiamo di fronte. Il trattamento farmacologico dei disturbi affettivi può richiedere mesi. Il trattamento interpretativo di un disturbo di personalità può richiedere anni. Il nostro compito è quello di trattare inizialmente i sintomi più trattabili. Entrambi gli interventi comportano le loro sfide e sono più efficaci se portati avanti in modo integrato. Presumo che i pazienti trattati in un centro di ricerca descritto in questo libro ricevano una accurata valutazione e gestione farmacologica. Dato che questo testo rappresenta una guida esaustiva del trattamento, questo recensore resta perplesso di fronte alla palese trascuratezza di questo aspetto vitale della cura dei pazienti. C'è ancora molto da apprendere dallo studio accurato dei trattamenti integrati.

Tornando alla sezione principale, ci sono ampie parti del libro dedicate alle tecniche della terapia di supporto, al trattamento della patologia narcisistica grave ed all'erotismo  nel transfert e nel controtransfert. Queste parti ripagano notevolmente il lettore. E' questo anche il caso del ricco, davvero commovente, penultimo capitolo sul lutto. Si potrebbe aver desiderato uno studio più dettagliato del ruolo del trauma infantile nella vita di questi pazienti così inclini alle difese dissociative. Quando viene menzionato il trauma, viene fatto in una modalità immediata dal punto di vista clinico. In particolare viene sottolineato il riconoscimento della doppia identificazione del paziente con la vittima ed il perpetratore, che viene agita nel transfert in ruoli invertiti. Così, il paziente inconsciamente tratta il terapeuta come la vittima che è stato. I pazienti devono essere aiutati nel fare i conti con la loro internalizzazione dell'aggressività che hanno subito, allo scopo di risolvere pienamente il trauma. 

Questo libro può non avere raggiunto l'ambizioso obiettivo dichiarato dall'autore a pagina 4 (dell'edizione inglese). L'integrazione tra modelli neurobiologici e psicodinamici della patologia e del trattamento non è pienamente realizzata. Si tratta comunque di una summa da vero maestro del lavoro di una vita dedicato allo studio ed alla divulgazione sui punti salienti del funzionamento mentale. Il dottor Kernberg ha studiato il lavoro degli altri, lo ha sintetizzato, e  ha aggiunto la sua considerevole voce a ciò che è diventato il fondamento di una nuova comprensione della mente. Gli studi del dottor Kernberg sul narcisismo negli anni hanno avuto una diffusione ben al di là del mondo clinico ed hanno facilitato la maturazione di un'autoconsapevolezza della nostra cultura. Egli e le sue idee sono diventati  "un intero clima di opinione"  che ha illuminato il nostro discorso pubblico. In quanto clinici e cittadini del mondo siamo in debito nei suoi confronti.