RICORDARE AMELIA ROSSELLI

 di Fabio Pedone

                     Lo spirito è retto da leggi metriche, poiché è uno schiavo del ritmo 

                                           Friedrich Holderlin

       L'11 febbraio 1996, il suicidio di Amelia Rosselli, a Roma. La sua poesia ha una fisionomia unica nel panorama non solo italiano del dopoguerra. A ribadirne l'altezza e il valore è giunta, nel 1997, la raccolta garzantiana curata da Emmanuela Tandello, con prefazione di Giovanni Giudici: questo volume ha il pregio di raccogliere la quasi totalità della sua produzione poetica (da variazoni belliche a Impromptu ) con in più gli scritti giovanili (già usciti con il titolo Primi Scritti) e un importantissimo inedito come il Diario Trilingue, testimone di una ricerca erratica quanto autonoma. Ne restano fuori, non si sa per quali motivi, le poesie in inglese (Sleep, edito sempre da Garzanti), la raccolta di Appunti sparsi e persi e l'intensa "prosa" Diario ottuso, opportunamente ristampati qualche anno fa dalla casa editrice romana Empirìa.
   Per Amelia Rosselli la lingua non è una patria ma il luogo stesso dell'esilio. Il padre Carlo e lo zio Nello assassinati in Francia da sicari fascisti quando lei aveva sette anni, l'adolescenza e la giovinezza trascorse a Parigi, negli Stati Uniti, in Inghilterra e infine a Roma, gli studi musicali, l'amicizia con il "poeta rurale" Rocco Scotellaro, morto troppo presto - tutto questo la segna inevitabilmente, incidendo sempre di più nella sua vita il marchio di quella sofferenza psichica che ne sancirà anche l'ultimo capitolo. A "scoprirla" è Pasolini, nel '63 (l'anno della neoavanguardia e del convegno di Palermo), facendo pubblicare sul <<Menabò>> alcune poesie che sarebbero poi confluite, l'anno dopo, nel primo libro di Amelia, variazioni belliche. Nel suo saggio di presentazione, Pasolini insisteva particolarmente sul concetto di lapsus come costante compositiva in questa poesia, tracciando una direttrice per la critica successiva. Ma oggi occorre una messa a punto sul tema. Giudici rimarca che l'intervento pasoliniano <<non ha perso nulla della sua attualità e validità. Se l'enfasi che in tale scritto appariva attribuita al "lapsus" come procedimento di lingua poetica poteva in qualche modo fuorviare a scorgere nelle variazioni (e malgrado poi le esplicite prese di distanza dell'interessata) un episodio dello sperimentalismo avanguardistico allora in voga, è pur vero che lo stesso Pasolini ne aveva ridimensionato la rilevanza>>¹ , riducendolo a <<piccolo tema secondario e irrisorio rispetto i grandi temi della Nevrosi e del Mistero>>².

    Dimentichiamoci della logica prestabilita, se vogliamo leggere Amelia Rosselli; cerchiamo piuttosto una nuova logica, che è lei stessa a indicarci ("Cercatemi e fuoriuscite"): una sintassi onirica, ossimorica, non aristotelica - a volte sconfinante in una glossolalia da mistica medioevale:

                            O sei muiei
conigli correnti peri nervu ei per
brimosi canali dei la mia linfa (o vita!)
non stoppano, allora sì, c'io, my
iavvicyno allae mortae!

   Se la realtà, materiata com'è di contraddizioni irriducibili, è inaccettabile, allora il travisamento della realtà deve essere innanzitutto travisamento della lingua. In ciò aiutata dalla sua formazione cosmopolita, che le fa mancare <<il senso della lingua lirica e della lunga tradizione poetica italiana>>³ , Amelia persegue un dérèglement a vantaggio del quale vanno sicuramente le contaminazioni interlinguistiche (e quindi forme irregolari o veri e propri errori coltivati, false etimologie, omofonie, neologismi); tutte le risorse analogiche e fonosimboliche della lingua (puns, allitterazioni) sono mobilitate; persino l'imperfetta conoscenza delle lingue si rivela creativamente felice, originando cortocircuiti semantici "inauditi".

1 Giovanni Giudici, Per Amelia: l'ora infinita, prefazione a A. Rosselli, Le Poesie, Garzanti 1997, pp. VIII e IX
2 Pier Paolo Pasolini, Notizia su Amelia Rosselli, in A. Rosselli, La Libellula, SE 1985, p.105
3 Alfonso Berardinelli, Il mondo rovesciato di A. R., in Manuale di Letteratura Italiana, a c. di F. Brioschi e C. Di Girolamo, Bollati Boringhieri 1996, p. 470

 
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