L'uomo e i mostri
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Quando il primo uomo osò avventurarsi fuori della caverna natìa, trovò - sulle aspre strade del mondo - mille mostri variamente formidabili a contendergli il passo. Non i giganteschi sauriani soltanto, gli pterodattili, i brontosauri, i plesiosauri, quelle montagne di ossa e di muscoli che abbiamo imparato a conoscere, da ragazzi, nelle illustrazioni dei libri di paleontologia che ce li mostrano accanto a un palazzo di cinque piani. Non solo, poi, il terribile orso delle spelonche, due volte più grosso dei più temuti orsi ancora viventi, che il nostro remoto antenato affrontava armato di clava o d'ascia silicea, e abbattutolo, - come ci provano i vari avanzi fossili - ne faceva suo pasto. Ma più ancora i mostri cosmici, i mostri enormi ed informi della terra, del cielo e del mare, il fulmine, il fuoco, la tempesta, la neve, il gelo - nemici dinanzi ai quali tutti gli altri abitatori del mondo si arrendevano o fuggivano, ma che egli - 1' uomo senza unghie, senza zanne, senza rostro, ma armato più formidabilmente del plesiosauro, dell'orso, dell'aquila, armato del suo talento speculativo, del suo genio inventivo - imparò pure a combattere. 

L'uomo si costruì gli utensili e le armi che resero il suo braccio più potente di qualunque altra arma animale, che gli permisero di opporsi e spesso perfino di domare gli elementi. Mercé la conquista del fuoco, diventò anch'egli una forza della natura. Quando Archimede poi disse: «datemi un punto d'appoggio e vi solleverò il mondo» non pensò che il lontanissimo oscuro antenato che per la prima volta, servendosi di un bastone e d'un punto d'appoggio molto più modesto di quello da lui domandato, sollevò un masso, un tronco, un peso qualsiasi inventando la leva, aveva già cominciato a sollevare - da un atomo - il mondo! 

Appunto: la leva, semplicissimo ordigno, che - più del linguaggio e della scrittura - segnò il distacco assoluto dell'uomo dalla bestia, l'inizio di quella che abbiamo tutti convenuto di chiamare civiltà, progresso, ascensione umana. 

La leva genera tutti gli altri utensili: la zappa per scavare e fecondare le zolle, il remo per spingere l'imbarcazione sulle acque, l'arme per difendersi o per offendere; poi la bilancia, la ruota, il mulino, finalmente il primo telaio per tessere. Il telaio, il mulino, l'argano, il carro, la piroga: ecco le prime invenzioni, i primi congegni umani formati da un aggregato di utensili, i primi rudimentali meccanismi. 

Macchine benefiche, che servirono a dominare, a vincere e ad aggiogare i mostri, i mostri dell'aria e del mare, i mostri della terra. Alcuni di questi mostri diventarono servi dell'uomo, o per lo meno egli se li fece amici, li ebbe a umili e devoti compagni nell'opera molteplice e secolare che si chiamò appunto progresso: il cane, il cavallo, il bufalo, la pecora, persino il massiccio elefante. Essi mossero i primi rudimentali congegni; ma poiché non bastavano, nelle epoche e nei paesi di maggiore civiltà, l'uomo aggiogò sopratutto l'uomo. I grandi imperi: Babilonia, l'Egitto, l'India, la Grecia, Roma, ebbero gli schiavi, fecero le grandi guerre, conquistarono i paesi lontani per procurarsi l'energia umana necessaria a muovere i loro congegni; scavarono le Latomie, innalzarono i templi, il Partenone, il Palatino, il Circo Massimo, a furia di muscoli soggetti; il cemento che mantiene nei secoli i monumenti più illustri è impastato con sangue di prigionieri, con carne umana maciullata dalla schiavitù. 

Per secoli e secoli, in tutte le regioni popolate del mondo - nelle cosidette nazioni civili - gli uomini che avevano già vinto i mostri elementari e i mostri animaleschi, furono i mostri di sé medesimi. Legioni d'uomini, aiutati appena da cavalli e da buoi, compirono lavori che noi oggi chiamiamo ciclopici, attribuendo loro quasi un'origine soprannaturale. L'opera colossale delle civiltà antiche è stata compiuta da questi artefici senza nome, da questi miserabili paria strappati alla libertà, alla vita, per diventare ciascuno una vertebra di quel colossale colubro umano che sgretolava, plasmava e rifabbricava montagne di marmo di incomparabile magnificenza. Questi eserciti di diseredati mal coperti, mal nutriti, male alloggiati, battuti peggio dei cani, erano condotti da pochi, dagli eletti, dai vincitori vincitori di popoli e vincitori della vita. La questione demografica era allora ben diversa: i più lavoravano, mantenuti appena, pei meno; i più erano gli arnesi bruti, che non avevano nessuno dei diritti di coloro che non lavoravano, ma dirigevano, rappresentavano la schiuma più fine dell'umanità. Quando qualcuno dei più moriva, non importava: le riserve c'erano sempre a centinaia, nuove guerre e nuovi schiavi e nuovi congegni e nuova civiltà in ascensione. 

Ma arrivarono altri mostri impreveduti: gli Attila, i barbari, le grandi masse migranti, i rulli compressori umani - popoli in marcia da remoti confini, da terre brulle e spoglie, in cerca di sole e di lauti pasti. E distrussero, e divorarono la civiltà dei pochi eletti, che non seppero come resistere e si lasciarono annientare. Un fattore morale nuovo sopravviene a mutare il tenore, il contenuto e il ritmo della civiltà umana: il cristianesimo, grande abolitore di mostri, sopratutto di mostri morali, abolitore della schiavitù e quando anche, nei primi tempi, sovvertitore e rallentatore della civiltà pagana imperiosa e inesorabile. Contro questi nuovi mostri, che si chiamano i Peccati, combatterono gli uomini dopo 1' avvento di Cristo sul mondo; contro i piaceri, contro l'Ignavia, contro l'oscurità dello spirito: il mostro più terribile parve l'Idra dalle cento teste del Male, il nemico della purezza e della Bontà. 

Ma il genio inventivo e speculativo dell'uomo non era spento. Demoliti o superati in parte i mostri che ostacolavano il suo cammino, egli cominciò ad accorgersi che le sue forze materiali immediate erano ancora deboli per avere definitivamente ragione della vita e della natura. 

E allora, nel suo orgoglio, pensò di sostituire gli schiavi, i servi della gleba, di cui non poteva più servirsi, con forze che egli aveva visto fino allora usate soltanto da Dio. Inventò allora il cavallo vapore. L'uccisore e distruttore dei mostri, inopinatamente diventò creatore di nuovi mostri, che furono le macchine. 

Macchine sulla terra, sul mare, per gli spazi, macchine violentatrici della natura, che rifanno anche all'aspetto i mostri distrutti: ecco il treno, il grande serpente, il drago d'acciaio; e la corazzata, il plesiosauro dominatore degli oceani; e l'aeroplano, lo pterodattilo che vola per gli spazi; e la tank la colossale testuggine dalla corazza metallica. Ma ecco anche, poiché la schiavitù più non può esistere ed è anche inutile che esista, ecco i grandi mostri fatti per livellare l'umanità, per correggerne la pletora, per diminuirne il pericoloso dilagare: ecco la guerra, armata dei mostri più spaventevoli che solo la sinistra fantasia di un Dio del male poteva escogitare: i mortai da 420, i cannoni a lungo tiro, i siluri, le mine, le bombe, le mitragliatrici, mostri macroscopici; e, più infernali ancora, i mostri sottili e microscopici, i mostri invisibili: le culture di bacilli, i veleni, i gas asfissianti, i gas iprici. Mostri fatti per distruggere, mostri infinitamente più voraci e feroci di quelli che l'uomo dominò e distrusse, poiché tutti i mostri dell'antichità messi insieme, e i mostri dell'aria, della terra e del mare, i terremoti, le eruzioni, gli uragani, non ànno mai sacrificato tante vite umane quante ne à falciate una guerra. 

Ma c'è di più. I mostri pacifici, i mostri della civiltà e del progresso, le macchine trionfo dell'uomo, i mirabili ordigni orgoglio delle nuove civiltà, le macchine che fabbricano in pochi minuti tutto quel che può occorrere agli agi dei popoli, che in poche ore percorrono regioni e continenti, ora si drizzano formidabilmente anch'esse contro il loro creatore, il Dio-uomo! Più delle guerre, si spande ora minaccioso poi mondo un nuovo, vasto, impreveduto pericolo, che si noma con due sillabe appena, vaghe e imprecise, ma buie: la crisi. 

L'uomo che rise dell'arcolaio, della zappa di Noè, del vomere di Cincinnato, del semplice martello, dell'ago e del ditale e che costruì le macchine meravigliose che mosse da un solo uomo ne fanno il lavoro di cento, di mille, la macchina che in un giorno tesse, taglia e appronta mille vestiti, cuce mille paia di scarpe, ara cento ettari di terra, frantuma mille quintali di grano, la macchina che scrive, la macchina che pensa e calcola, la macchina che sostituisce in tutto l'uomo; forse anche - bestemmia inaudita, efferata, violenza contro 1' umanità e la divinità! - l'uomo meccanico; l'uomo che à fatto e inventato tutto questo, solo ora comincia ad accorgersi che tanta facilità, tanta economia, tanta rapidità di produzione, eliminando sempre più la mano dell'uomo, non fanno che determinare l'inutilità e la miseria dell'uomo stesso. 

Armi mostruose costruite contro sé medesimo, l'uomo si trova ora dapertutto di fronte i suoi sostituti meccanici. E mentre alla meccanizzazione del mondo, a inventare, a dirigere, a manovrare, a costruire, a fabbricare tutto bastano due, tre, dieci, cinquanta milioni di uomini, che ne è, che ne sarà degli altri due miliardi? Quando le macchine, in sei mesi, avranno fabbricato due miliardi di vestiti, di paia di scarpe, di automobili, di suppellettili, che cosa faranno dopo? Quando basteranno poche macchine per coltivare tutta la terra, per trasportarne e lavorarne i prodotti, a che serviranno le popolazioni della terra? 

A preparare la nuova barbarie, il nuovo Medio-Evo, che si addensa tempestoso all'orizzonte dell'avvenire; barbarie da saturazione, da eccesso di civiltà, da dilagamento del superfluo e dell'inutile, da accumularsi di ricchezza inconsumabile, che finirà per putrefazione. 

A meno che tu non senta a tempo vibrare l'avvertimento nell' angolo rimasto puro e immacolato della tua anima, e non arresti la marcia minacciosa dei nuovi mostri da te creati, rivolti contro di te, uomo immenso piccolo uomo!

 
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