INDEX
Fossalto e il suo
dialetto
Le Origini
La Fonetica
La Trascrizione fonetica
La Morfologia
La Sintassi
I Modi di dire
I Proverbi
La Bibliografia
| |
Pillole di Saggezza
Antichi Modi di Dire
(Per le regole di scrittura del dialetto fossaltese consultare, in questo sito,
nella pagina "Trascrizione fonetica", la Sezione "Trascrizione
fonetica convenzionale")
Abbaiè
chə rə chiènə e urluó chə rə lópəra, abbaiare con i cani e ululare con i lupi
(adattarsi all'ambiente).
Abbàštə
ca , basta che, a
patto che.: abbàštə ca cə viè, a patto che tu ci vai.
A calàta
də sólə , al calar del
sole, al tramonto.
A
caraštìja ca , a
malapena, a stento: "scì vəngiutə?" "ma quónnə miè, a
caraštìja ca mə nə sò šciùtə", "hai vinto?" "ma quando mai, a
carestia (a malapena) ne sono uscito (senza danno)".
A
cavàllə a ru pùrchə ,
nella loc.: méttə a cavàllə a ru pùrchə, sparlare,
svergognare davanti a tutti.
Accàtta
a culmə e vénnə a ràsəra , compra a colmo e vende a raso.
Accattà
a ràsəra e vénnə a cùlmə , comprare a raso e vendere a colmo: var.
iron. del più noto detto "accattà a cùlmə e vénnə a ràsəra".
Accucchiè rə pidə ,
accoppiare (congiungere) i piedi, morire.
Accungià
pə lə fǽštə , conciare
(agghindare) per le feste; si riferisce all’usanza di mettere abiti
e accessori nuovi il giorno di festa; qui è us. in senso
antifrastico, vuol dire malmenare.
A chi dà
e a chi pruméttə, a
chi dà e a chi promette, ne ha per tutti.
A chi
figljə e a chi fəglièštrə , chi figlio e chi figliastro, persone
trattate con evidente ingiustificata parzialità.
A chi
tandə e a chi niǽndə ,
a chi tanto e a chi niente, non c’è un’equa distribuzione.
A chi
tòcca tòcca, a chi
tocca, tocca; non si guarda in faccia a nessuno.
Acqua
mmócca , acqua in
bocca, non parlare, non rivelare un segreto.
Acqua
passàta , acqua
passata, è cosa vecchia, risaputa, superata. Il detto trae origine
da un altro che, dopo le prime due parole, continuava con "nə
màcəna cchiù", non macina più, con riferimento all’acqua che,
dopo aver fatto girare la ruota del mulino, non è più utile per
macinare.
A
cundróra , a controra,
nella controra, nelle ore più calde del pomeriggio estivo.
A cùrpə
e nó a məsùra , a
"corpo" e non a "misura", vendere o comprare una merce in blocco,
senza pesare o misurare.
A cùrtə , a corto, a breve, entro breve tempo.
À d’arrəviè
l'aca a ll’ussə , deve
arrivare l'ago all'osso.
Addəmanə
è iurnə , domani è (un
altro) giorno (ci pensiamo domani).
Addó
arrìvə chièndə ru pəzzuchə , dove arrivo pianto il piolo, faccio
quello che posso.
Addó
cadə cadə , dove cade
cade, non mi interessa e non ci posso far niente.
Addó
cògljə cògljə , dove
coglie (colpisce) coglie, non mi importa.
Addó
dièvulə štà?, dove
diavolo è?
Addó jǽ
jǽ , dov’è, è; dovunque
sia, in qualsiasi posto.
Addó
tandə e addó niǽndə ,
dove tanto e dove niente, non c’è equa distribuzione.
A
dəštésa , a
distesa, modo di sonare le campane a lungo, senza interruzione, con
la massima intensità e durata.
A èssə
féssə ngə vò capətàlə ,
per essere imbecilli non ci vuole il capitale.
À fattə\
lə malə , ha fatto il
male (è morto, ha avuto un colpo).
A fòrza , avv., per forza, necessariamente.
A fróndə , avv., a fronte, rispetto a, a confronto
di: a ffróndə a tté jì so nu maštrə, rispetto a te io sono un
maestro.
Aghùštə
zə pàgha , si paga ad
agosto, cioè dopo il raccolto. Nei rapporti tra i contadini e i
commercianti locali i primi comprano a credito per tutto l'anno con
l'intesa che il saldo sarà fatto a raccolto ultimato e venduto.
Aiutəmə
a pónnə , aiutami a
porre (in capo), cioè aiutami a sollevare il peso (la "tina", il
fascio di ceppi ecc.) perché io lo possa poggiare sul capo e
trasportarlo.
A la
bbòna a la bbòna ,
propr. alla buona alla buona, all’improvviso, senza motivo.
A la
mupégna , propr. "alla
maniera dei muti", quindi, in silenzio; p.est., di nascosto.
A la
prim’acqua , alla prima
acqua avverrà, alla prima occasione quello che si teme capiterà.
A la
sambasònnə , come viene
viene, fatto alla buona. {sambasònnə è la storpiat. del fr.
sans façon, senza complimenti}
A
lavəcchièia scì missə ru scagliónə , nella vecchiaia hai messo il dente del
giudizio; meglio tardi che mai.
Alləndà
la capézza , allentare
la cavezza, allentare le briglie, soprattutto fig. per quanto
riguarda l’educazione dei ragazzi e dei giovani: non essere troppo
rigido.
A mǽnd’a
mǽndə , a mente a
mente, a proposito, stavo per dimenticarmi.
A n’óra
də nòttə , a un’ora di
notte, a sera tarda.
Anniènzə
pittə , letter.
davanti al petto, innanzi, davanti: a l'ambruvisə, mə lə sò
truvatə nniènżə pittə, all’improvviso me lo sono trovato
davanti: issə e la mogljə, e ru cavàllə nniènżə pittə,. lui e
la moglie, e il cavallo avanti.
A nòtt’a
nòttə , all’ultimo
momento.
A pòchə
a pòchə , a poco a
poco, un poco alla volta, piano piano.
Appéna
appéna , 1) appena
appena, pochissimo, a mala pena; 2) da poco tempo: la canóschə
appéna appéna, jǽ tròppə prištə pə lə fa nu dəscùrzə accuscì
dələcatə, la conosco appena appena, è troppo presto per farle un
discorso così delicato.
Appəzziè
lə récchjə , drizzare
le orecchie, mettersi in ascolto, prestare attenzione.
Appəzzutuó l’ùcchjə ,
appuntire gli occhi, ridurre la pupilla a un piccolo punto in virtù
dell’intensità dello sguardo; per porre maggiore attenzione o come
tacito rimprovero.
A tavula
e a tavulinə zə canošcə la səgnurìa , a tavola e al tavolino (del gioco) si
riconosce la signorilità, si vede chi è nato "signore".
A
təndùnə, a tentoni,
alla cieca, a caso.
A timbə
a tìmbə , a tempo a
tempo (appena in tempo, all'ultimo momento, ma anche: al momento
opportuno).
Attùrnə
attùrnə , tutt’intorno,
da ogni parte.
A tùtta
carrǽra , di tutta
carriera, di fretta, di corsa.
Avǽnnə,
putǽnnə, pagànnə ,
avendo, potendo, pagando, gioco di parole, basato sull’assonanza.
che si potrebbe tradurre: avendo il danaro, potendo disporne,
pagherò. Un modo elegante per dire: "quando potrò, pagherò"
rinviando sempre il regolamento dei conti.
Avišcia
fa ca... , dovessi fare
che..., ti venisse in mente di: avišcia fa ca mó cə viè sulə sulə
lòc’abballə?, ti venisse in mente ora di andarci da solo laggiù?
Azzə! , ma guarda un po’!: azzə! e cə scì
mənùtə da lə Cəllarǽllə pə dicə ssa fəssarìja?, ma guarda un
po’, e ci sei venuto dalle Cellarelle per dire una simile fesseria?
È attestata anche la variante azzò.
Bbun’a
sapé , bene a sapersi,
vuol dire che ne terrò conto.
Bbunə
bbunə , ‘bene
bene’, alla fin fine, insomma, d’accordo, spesso preceduto da quónnə:
e quónnə bbùnə bbùnə cə lə scì dittə a màmma, chə mə pò fa?,
e quando ben bene ce l’hai detto a mamma, che mi può fare?
Cacà lə
tórzəra , propr. cacare
i torsi, ossia defecare con sforzo e dolore; si usa, volg., per dire
a uno che pagherà il fio per una malazione.
Cagniè
la tìgna chə la rógna ,
cambiar la tigna con la rogna, guarire da una malattia per prenderne
un’altra; vuol dire rimanere come si stava, non fare fatiche
inutili.
Càla ca
vinnə , cala che vendi,
se vuoi vendere, abbassa i prezzi.
Calma,’on Ləbbò ,
calma, don Liborio; invito gen. alla calma. Il detto è comune a
moltissimi paesi, il che rende difficilmente identificabile questo "incazzoso"
don Liborio.
Càmba e
fa cambà , campa e fai
campare, vivi e lascia vivere, invito alla comprensione, alla
tolleranza.
Carta
calamàjə e pénna ,
carta, calamaio e penna, ossia, tutto quello che serve per fare
qualcosa.
Casacàlla , n. di un
paese immaginario: zə n’è iutə a Casacàlla, è andato Dio solo
sa dove.
Càsa də ru dièvulə, casa del diavolo (l'inferno), est. vale
luogo lontano e scomodo.
Cazzə
capìšcə e cutəchélla nó , cazzo capisci e cotichina no? Cioè: fai
finta di non capire; capisci le cose (che ti dovrebbero essere) meno
familiari e le più semplici no? La frase è la battuta finale di una
storiella che vede protagonisti una monaca conventuale e un ragazzo
leggermente bleso (šcialénghə). Il ragazzo un giorno viene mandato
dalla madre al convento a chiedere la carità di un pezzetto di
cotenna di maiale per dare un po’ di sapore alla sua scipita e
povera pietanza. La monaca, nel sentire la parola "cutəchélla",
pronunciata, per la verità, non chiaramente dal ragazzo, dice di non
capire. Il ragazzo ripete la richiesta e, quando di nuovo la monaca
non intende, prorompe in un "éia cazzə, zə’ mo’, ma nən capišcə?",
oh, cazzo, zia monaca, ma non capisci? Nel sentire la parolaccia, la
monaca si risente e rimprovera il ragazzo per il suo comportamento
scorretto, ma lui. bleso sì, ma non scemo, sbotta: "ah, zə' mo’,
cazzə capìšcə e cutəchélla nó?, ah, zia monaca, (la parola)
cazzo la capisci ma cotichina no?
Chə
bbrùtta ggǽndə! , che
brutta gente!, con riferimento ai componenti di una famiglia, agli
abitanti di un paese e così via.
Chə
cócchia! , che (bella)
coppia! Si usa, per lo più in senso ironico e antifrastico.
Chə cj'
azzécca chéssə? , che
c’entra questo? Che ci ha che fare questo?
Chə
friècchə, l'òva?, che,
pesti le uova? si usa per sollecitare qualcuno ad affrettare il
passo.
Chə la
fùna ngànna , con la
corda alla gola, con il cappio al collo; costretto.
Chə la
lénga dafòrə , con la
lingua di fuori, per l’affanno, dopo una corsa.
Chə lə
sanghə a ll’ucchjə,
con il sangue agli occhi, irato, molto arrabbiato.
Chə na
scàrpa e na ciavòtta ,
con una scarpa e una ciabatta, malmesso o perché povero o perché
trasandato.
Chə rə
miènə e chə rə pidə ,
con le mani e coi piedi (con fatica).
Chə tì,
le miènə də fìcura? ,
che hai le mani di fico?, non sai tenere in mano nulla? (I rami del
fico sono molto teneri e, quindi, facili a rompersi).
Chə
tùttə ru còrə , con
tutto il cuore (volentieri).
Chiègnə
məsǽria , piangere
miseria, lamentarsi continuamente per una presunta condizione di
ristrettezze economiche.
Chiègnə
sǽnża mazzàtə ,
piangere senza bòtte, piangere, lamentarsi senza motivo serio.
Chiènə
chiènə , piano
piano, pian pianino, senza fretta, con comodo: cə nə ièmmə a
Sand’Agnésa chiènə chiènə, ce ne andiamo a Sant’Agnese pian
pianino, con comodo.
Chi
magna e chi tamǽnda ,
chi mangia e chi guarda.
Chi mòra
mòra , chi muoia muoia
(succeda quel che deve succedere), a qualunque costo.
Chiòvə
cómə sa fa Domənəddìə ,
piove come sa fare Domineddio.
Chi
patìšcə capìšcə , chi
patisce, capisce, solo chi ha sofferto può comprendere le sofferenze
altrui.
Chjinə
chjinə , pieno
del tutto, pieno al massimo; completo: séra ru tǽghàtrə štéva
chjinə chjinə, ieri sera il teatro era completo.
Cilə a
tòppə də lana , cielo a
fiocchi di lana (cielo a pecorelle).
Cində nə
fa e una nə pǽnża ,
cento ne fa e una ne pensa.
Ciùccə,
fa tu , ciuco, fa’tu;
avvenga quel che deve avvenire.
Còccia
tòšta , testa dura.
Com’a
ché , molto,
moltissimo: chiòvə com’a cché, piove a dirotto.
Com’è vvǽrə
Ddijə , come (quanto) è
vero Dio, puoi scommeterci! : tə rombə ru mussə, com’è vvǽrə
Ddijə, ti rompo il muso, ci puoi scommettere.
Còma jǽšcə
è bbùnə , com’esce è
buono, va bene comunque, detto spesso in senso ironico a chi si
contenta troppo.
Còmə štà
vəcìnə a Comàcchjə ,
Como sta vicino a Comacchio. È la risposta che, talvolta, qualche
spirito allegro, piegando la geografia alle esigenze dell’assonanza,
risponde a chi, fingendo di non capire qualcosa, seguiti a chiedere
cómə? cómə?
Comə tə
nghièzzə accuscì tə schièzzə , come ti incazzi (arrabbi) così ti scazzi
(calmi).
Còppa
còppa , loc.avv., in
superficie, superficialmente, senza approfondire. [der. di còppa,
parte sup. del capo]
Còrə a
còrə , a cuore a
cuore, affettuosamente: štiènnə tùttə da ru iurnə còrə a còrə, zə
vùnnə bbǽnə, stanno tutto il giorno cuore a cuore, si vogliono
bene.
Còrə a
martìllə , cuore a
martello (batticuore).
Còrə mì , cuore mio (amor mio).
Crištə
jòca a ppallə , Cristo
gioca a palle (bocce), si dice quando tuona. Qualcuno completa il
detto così:
Crištə jòca a ppallə chə lə nùvələ (con le nuvole).
Cùccə
cùccə , accucciato;
ammansito; con la coda tra le gambe: dòppə də chélla mazzəièta zə
n’è rrəiutə a la càsa cùccə cùccə, dopo quella bastonatura se
n’è tornato a casa con la coda tra le gambe.
Cùllə
tùrtə , collo storto,
ipocrita.
Cùlmə
cùlmə, colmo
colmo, colmo fino all’orlo, pieno: à purtàtə nu panàrə cùlmə
cùlmə də pirə, ha portato un paniere colmo colmo di pere. [da
una forma sup. di cùlmə]
Curnùtə
e mazzəiètə , cornuto e
bastonato.
Cuscì e
culì , così e colì,
risposta stizzosa che si dà a un interlocutore che continua a dire
"è così", "ti dico che è così"; oppure risponda con un semplice
"così" a una domanda che esigeva una risposta più articolata.
Cùttə e
magniètə , cotto e
mangiato; immediato;
Da capə
a pidə l'annə , da capo
a piedi l'anno (dall'inizio alla fine dell'anno, per tutto l'anno).
Də
bbòttə , avv., di
botto, di colpo, all'improvviso. [der. dell'ant.fr. boter, battere]
Dièllə e
dièllə , dài e
dài, a forza d’insistere, provando e riprovando: dièllə e dièllə
cə la sò fattə a passà a la səcónda classə, dài e dài ce l’ho
fatta a passare alla seconda classe.
Dittə e
fattə , detto e fatto.
Durmì a
la supìna , dormire
supino.
E
allora? , e allora?
E bbìja , letter. "e via", solo, soltanto,
solamente. Si usa, in genere, dopo un numerale: unə e bbìja,
ddu e bbìja, uno solo, soltanto due; tinghə na
vacca e nu vətillə e bbìa…ho solo una vacca e un vitello….
E bbùnə , propr."e buono", non ostante: cumbàr’e
bbùnə, non ostante fossimo compari; figlj’e bbùnə, non
ostante siano miei figli.
Fàccia
ggialanìta , faccia
giallognola (caratteristica di chi non è in salute).
Fa firrə
e ffùchə , fare ferro e
fuoco, mettercela tutta per ottenere qualcosa, per raggiungere uno
scopo.
Fa la
partə də ru dièvulə ,
far la parte del diavolo.
Fa
ngùrpə , fare in corpo,
(tenersi tutto dentro)
Fa nu
vièjə e ddù sərvizjə ,
fare un viaggio e due servizi.
Fa rə
duvérə , fa i doveri,
conosce le norme della buona educazione, della convivenza civile.
Fa ru
dièvulə a quóttə , fare
il diavolo a quattro.
Fa ru
féssə ngrədǽnża , fa il
fesso (recita a fare il grazioso) a credito.
Fatt’e
bbùnə , bell’e fatto:
ru vəštitə lə sò accattatə fatt’e bbunə, il vestito l’ho
comprato bell’e fatto.
Fattə
chə l’accétta , fatto
con l’accetta, fatto male, non rifinito.
Fòrə
manə , lett.
fuori mano, lontano, distante, remoto: nə mmə nə tə də mənì fin’a
Sand’Agnésa, šta tròppə fòrə manə, non mi va di venire fino a
Sant’Agnese, sta troppo fuori mano, lontana.
Grussə e
féssə , grosso (grande)
e fesso.
Ièppəca
ièppəca , pian
piano, lentamente, senza affrettarsi: camməniè ièppəca ièppəca,
camminare a passo lento.
Iuštə
iuštə , giusto
giusto, esattamente: la sò pəsàta mó mó, sù dducìndə grammə iuštə
iuštə, l’ho pesata proprio ora, sono duecento grammi esatti.
Iuštə mó , giusto adesso, proprio ora,
immediatamente: iuštə mó à da mənì a la càsa, immediatamente
devi venire a casa.
Jǽ
pərzóna canušciuta , è
persona conosciuta, ci si può fidare.
Jǽ
šciutə a llòffa , è
uscito a loffa (non ha fatto rumore, non ha funzionato, è riuscito
male).
Jì m'accattə
ru pəllitrə e nó la razza , io compro il puledro, non (tutta) la
razza (si dice quando ci viene chiesto un prezzo troppo alto).
L'acqua
va addó pǽnnə , l'acqua
va dove pende (c'è pendenza).
L'à
parlàtə ru dièvulə a la récchia , gli ha parlato il diavolo all'orecchio (è
cambiato, qualcuno gli ha dato cattivi consigli).
La prǽta
də ll’àra , propr. la
pietra dell’aia, dicesi così di una persona lenta nel muoversi,
nell’agire, lenta, appunto, come la grossa pietra levigata usata
sull’aia, al traino di buoi o di asini, per la trebbiatura.
Lassa fa
a Ddjə ca Quillə sa fa ,
lascia fare a Dio ché Lui sa fare.
Lə malə
də Sandə Dənatə , la
malattia di San Donato, ovvero l'epilessia.
L’uvə a
Pasqua e la paròla quónnə càsca , l’uovo a Pasqua e la parola quando cade
(a proposito), ogni cosa al momento giusto.
M’accùtə
a nnirə , letter. mi ha
preso a nero, mi guarda male, con malanimo, non mi può vedere.
Màgna
màgna , mangia
mangia, mangione; fig., disonesto.
Manghə
pə sùnnə , neanche per
sogno, non ci penso neppure.
Mbizzə
mbizzə , proprio
all’orlo, vicinissimo; all’ultimo momento.
Mbónda
mbónda , in punta
in punta, proprio in punta.
Mə fussə
muccəcàta la lénga , mi
fossi morso la lingua!, si dice dopo aver detto qualcosa di cui ci
si è pentiti.
Mǽgljə e
pǽjjə , meglio e
peggio; nei giochi di carte, il migliore e il peggior punto
raggiunto.
Méttə a
firrə e fùchə , mettere
a ferro e a fuoco, distruggere.
Méttə a
rəndǽnnə , mettere a
capire (insegnare).
Méttəzə
ngapə , mettersi in
testa, convincersi di un’idea e mantenerla ostinatamente.
mə vù
mannà pəzzǽndə , mi
vuoi mandare pezzente, mi vuoi ridurre in miseria
Mó è
passàtə ssu lǽbbrə ,
ora è passata quella lepre..., ossia, svegliati che la cosa è già
successa da un bel po'.
Mùrə
mùrə , muro muro,
rasente il muro, furtivamente.
Mušcə
mušcə , moscio
moscio, mogio mogio.
Ndùttə
ca , con tutto
che, nonostante che, benché.
Nən
córrə cchiù ttàndə ,
non corre più tanto, non è più di moda.
Ngìma
ngìma , in cima
in cima, in alto, il più in alto possibile.
Ngòppa
ngòppa , sopra
sopra, in superficie.
Nniènżə
ca , avanti che, prima
di: nniènżə ca tə cùrəchə, prima di coricarti.
Nzicchə
nzicchə , appena
appena, giusto giusto.
Parə
bbrùttə , pare brutto,
è sconveniente
Parə
parə , pari pari,
alla pari, senza guadagno né remissione.
Parlà
ždrǽuzə , parlare
strano (in maniera incomprensibile).
Pəducchjə arrabbəviètə ,
pidocchi risuscitati, ossia nuovi ricchi insuperbiti.
Pəgliè
ru còmmədə , avere un
rapporto sessuale; fras.: éjə purtàtə la vàcca a pəgliè ru
còmmədə, ho portato la vacca alla monta.
Pəléscə
pəléscə , con
molta lentezza, con indolenza.
Pǽzza pǽzza , a pezzi: fà pǽzza pǽzza, fare a
pezzi, spezzettare, anche fig.
Pəzzǽ , tì granə a vénnə?, pezzente, hai grano da vendere? frase
ironica in risposta ad una richiesta che si sa (o si presume che si
sappia) impossibile da soddisfare.
Pòchə
pòchə , poco
poco, pochissimo.
Quónd’è
vǽrə Ddiə , quanto è
vero Dio (ci puoi giurare).
Quónnə
cə vò cə vò , quando ci
vuole ci vuole, si può far finta di niente una, due volte, ma poi
...
Quónnə
miè?! , spesso
prec. da ma, quando mai?! ma quando mai!:
Rǽndə rǽndə , rasente, molto vicino; pari pari.
Rə
tinghə mbizzə a la lénga , ce l'ho sulla punta della lingua.
Rómbeze
la nócə də ru cùllə ,
rompersi la noce (l'osso) del collo.
Ru mulə
tira cavəciatə , il
mulo tira calci, è la sua natura.
Saccə jì
chéllə chə tinghə ngùrpə , so io quello che ho in corpo, ossia, non
mi fate parlare, ché è meglio …
Sàna
sàna , intera,
tutta intera: z’à magnièta na savəcìccia sàna sàna, s’è
mangiata una salsiccia intera.
Sanə
sanə , intero,
tutto intero: z’à sculàtə nu buttəgljónə də vinə sanə sanə,
s’è bevuto un intero bottiglione di vino.
Sci na
pìttəma! , sei una
pìttima (ma quanto scocci!).
Sə Ddia
vò , se Dio vuole.
Sòccia
sòccia , pari,
uguale, uniforme: hjòcca soccia soccia, fiocca (la neve
scende) pari pari.
Sóttə
sóttə , di nascosto,
furtivamente, nell'intimo: quillə jǽ favəzə, sóttə sóttə cə vò
bbuzzarà, quello è un falso, sotto sotto ci vuole buggerare.
Sóttə tǽrra , ‘sotto terra’, nella sepoltura.
Štà
ngràzia də Ddiə , stare
in grazia di Dio.
Sùccə
sùccə , pari,
pareggiato, levigato, spianato: ru padùlə šta sùccə sùccə, il
prato è tutto spianato.
Tə
canóschə pirə , ti
conosco (da quand'eri) pero [disse il contadino davanti al
crocifisso per scolpire il quale aveva egli stesso fornito dei rami
d'un suo albero di pere]
Tǽ chə
fa , ha da fare.
Tə dichə
ru Vangǽlə , ti dico il
Vangelo (ti giuro, ti assicuro che è la verità).
Tǽ lə pǽzzə
a ru cùrə , ha le pezze
al sedere (è povero).
Təné
còre , aver cuore,
esser buono d'animo.
Tərətinghə e tərətanghə , si dice di un mobile che non è stabile;
est., discorso ripetuto fino alla noia.
Tə ròmbə
ru mùssə! , ti rompo il
muso!
Tǽrra tǽrra , terra terra, di basso profilo, di basso
livello.
Tésa
tésa , tesa tesa,
rigida, detto di stoffa o di persona.
Tisə
tisə , teso teso,
rigido, impalato.
Tranghə
tranghə , traballando,
barcollando.
Tə sci
ddurmìtə scavəzə? , ti
sei addormentato scalzo? (si dice a chi ha appetito di buon
mattino).
Tətinghə
e tətanghə , far
dondolare una sedia o altro; est., ripetere continuam. e con
monotonia le stesse cose.
Ujə a
òttə , oggi ad otto,
tra otto giorni.
Ujə a
quinəcə , oggi a
quindici, fra quindici giorni.
Ujə nə
jǽ` com’ajìrə , oggi
non è come ieri.
Una nə
fa e cində nə pǽnża ,
una ne fa e cento ne pensa.
Unə e
šciuócchə! , uno e
neppure buono (così diceva una madre al figlio unico quando la
faceva arrabbiare o la deludeva).
Varrə
varrə , raso
raso, pieno fino all’orlo, detto di recipienti. [da vàrra,
paletto che si passa orizzontalmente sull’orlo di un recipiente per
aridi, p.es. un mezzetto, per togliere la parte che eccede]
Vò vévə
a ddù muccéllə , vuol
bere da due mammelle.
Z’è
fattə pirə , s’è fatto
pero (è maturato, è cresciuto).
Zə pò dà , può darsi, forse, è possibile.
Zittə
zittə , zitto
zitto, in silenzio, senza far rumore.
|