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Fossalto e il suo dialetto

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(Per le regole di scrittura del dialetto fossaltese consultare, in questo sito, nella pagina "Trascrizione fonetica", la Sezione "Trascrizione fonetica convenzionale")

Abbaiè chə rə chiènə e urluó chə rə lópəra, abbaiare con i cani e ululare con i lupi (adattarsi all'ambiente).

Abbàštə ca,  basta che, a patto che.: abbàštə ca cə viè, a patto che tu ci vai.

A calàta də sólə, al calar del sole, al tramonto.

A caraštìja ca, a malapena, a stento: "scì vəngiutə?" "ma quónnə miè, a caraštìja ca mə nə sò šciùtə", "hai vinto?" "ma quando mai, a carestia (a malapena) ne sono uscito (senza danno)".

A cavàllə a ru pùrchə, nella loc.: méttə a cavàllə a ru pùrchə, sparlare, svergognare davanti a tutti.

Accàtta a culmə e vénnə a ràsəra, compra a colmo e vende a raso.

Accattà a ràsəra e vénnə a cùlmə, comprare a raso e vendere a colmo: var. iron. del più noto detto "accattà a cùlmə e vénnə a ràsəra".

Accucchiè rə pidə, accoppiare (congiungere) i piedi, morire.

Accungià pə lə fǽštə, conciare (agghindare) per le feste; si riferisce all’usanza di mettere abiti e accessori nuovi il giorno di festa; qui è us. in senso antifrastico, vuol dire malmenare.

A chi dà e a chi pruméttə, a chi dà e a chi promette, ne ha per tutti.

A chi figljə e a chi fəglièštrə, chi figlio e chi figliastro, persone trattate con evidente ingiustificata parzialità.

A chi tandə e a chi niǽndə, a chi tanto e a chi niente, non c’è un’equa distribuzione.

A chi tòcca tòcca, a chi tocca, tocca; non si guarda in faccia a nessuno.

Acqua mmócca, acqua in bocca, non parlare, non rivelare un segreto.

Acqua passàta, acqua passata, è cosa vecchia, risaputa, superata. Il detto trae origine da un altro che, dopo le prime due parole, continuava con "nə màcəna cchiù", non macina più, con riferimento all’acqua che, dopo aver fatto girare la ruota del mulino, non è più utile per macinare.

A cundróra, a controra, nella controra, nelle ore più calde del pomeriggio estivo.

A cùrpə e nó a məsùra, a "corpo" e non a "misura", vendere o comprare una merce in blocco, senza pesare o misurare.

A cùrtə, a corto, a breve, entro breve tempo.

À d’arrəviè l'aca a ll’ussə, deve arrivare l'ago all'osso.

Addəmanə è iurnə, domani è (un altro) giorno (ci pensiamo domani).

Addó arrìvə chièndə ru pəzzuchə, dove arrivo pianto il piolo, faccio quello che posso.

Addó cadə cadə, dove cade cade, non mi interessa e non ci posso far niente.

Addó cògljə cògljə, dove coglie (colpisce) coglie, non mi importa.

Addó dièvulə štà?, dove diavolo è?

Addó jǽ jǽ, dov’è, è; dovunque sia, in qualsiasi posto.

Addó tandə e addó niǽndə, dove tanto e dove niente, non c’è equa distribuzione.

A dəštésa,  a distesa, modo di sonare le campane a lungo, senza interruzione, con la massima intensità e durata.

A èssə féssə ngə vò capətàlə, per essere imbecilli non ci vuole il capitale.

À fattə\ lə malə, ha fatto il male (è morto, ha avuto un colpo).

A fòrza, avv., per forza, necessariamente.

A fróndə, avv., a fronte, rispetto a, a confronto di: a ffróndə a tté jì so nu maštrə, rispetto a te io sono un maestro.

Aghùštə zə pàgha, si paga ad agosto, cioè dopo il raccolto. Nei rapporti tra i contadini e i commercianti locali i primi comprano a credito per tutto l'anno con l'intesa che il saldo sarà fatto a raccolto ultimato e venduto.

Aiutəmə a pónnə, aiutami a porre (in capo), cioè aiutami a sollevare il peso (la "tina", il fascio di ceppi ecc.) perché io lo possa poggiare sul capo e trasportarlo.

A la bbòna a la bbòna,  propr. alla buona alla buona, all’improvviso, senza motivo.

A la mupégna, propr. "alla maniera dei muti", quindi, in silenzio; p.est., di nascosto.

A la prim’acqua, alla prima acqua avverrà, alla prima occasione quello che si teme capiterà.

A la sambasònnə, come viene viene, fatto alla buona. {sambasònnə è la storpiat. del fr. sans façon, senza complimenti}

A lavəcchièia scì missə ru scagliónə, nella vecchiaia hai messo il dente del giudizio; meglio tardi che mai.

Alləndà la capézza, allentare la cavezza, allentare le briglie, soprattutto fig. per quanto riguarda l’educazione dei ragazzi e dei giovani: non essere troppo rigido.

A mǽnd’a mǽndə, a mente a mente, a proposito, stavo per dimenticarmi.

A n’óra də nòttə, a un’ora di notte, a sera tarda.

Anniènzə pittə,  letter. davanti al petto, innanzi, davanti: a l'ambruvisə, mə lə sò truvatə nniènżə pittə, all’improvviso me lo sono trovato davanti: issə e la mogljə, e ru cavàllə nniènżə pittə,. lui e la moglie, e il cavallo avanti.

A nòtt’a nòttə, all’ultimo momento.

A pòchə a pòchə, a poco a poco, un poco alla volta, piano piano.

Appéna appéna, 1) appena appena, pochissimo, a mala pena; 2) da poco tempo: la canóschə appéna appéna, jǽ tròppə prištə pə lə fa nu dəscùrzə accuscì dələcatə, la conosco appena appena, è troppo presto per farle un discorso così delicato.

Appəzziè lə récchjə, drizzare le orecchie, mettersi in ascolto, prestare attenzione.

Appəzzutuó l’ùcchjə, appuntire gli occhi, ridurre la pupilla a un piccolo punto in virtù dell’intensità dello sguardo; per porre maggiore attenzione o come tacito rimprovero.

A tavula e a tavulinə zə canošcə la səgnurìa, a tavola e al tavolino (del gioco) si riconosce la signorilità, si vede chi è nato "signore".

A təndùnə,  a tentoni, alla cieca, a caso.

A timbə a tìmbə, a tempo a tempo (appena in tempo, all'ultimo momento, ma anche: al momento opportuno).

Attùrnə attùrnə,  tutt’intorno, da ogni parte.

A tùtta carrǽra, di tutta carriera, di fretta, di corsa.

Avǽnnə, putǽnnə, pagànnə, avendo, potendo, pagando, gioco di parole, basato sull’assonanza. che si potrebbe tradurre: avendo il danaro, potendo disporne, pagherò. Un modo elegante per dire: "quando potrò, pagherò" rinviando sempre il regolamento dei conti.

Avišcia fa ca..., dovessi fare che..., ti venisse in mente di: avišcia fa ca mó cə viè sulə sulə lòc’abballə?, ti venisse in mente ora di andarci da solo laggiù?

Azzə!, ma guarda un po’!: azzə! e cə scì mənùtə da lə Cəllarǽllə pə dicə ssa fəssarìja?, ma guarda un po’, e ci sei venuto dalle Cellarelle per dire una simile fesseria? È attestata anche la variante azzò.

Bbun’a sapé, bene a sapersi, vuol dire che ne terrò conto.

Bbunə bbunə,  ‘bene bene’, alla fin fine, insomma, d’accordo, spesso preceduto da quónnə: e quónnə bbùnə bbùnə cə lə scì dittə a màmma, chə mə pò fa?, e quando ben bene ce l’hai detto a mamma, che mi può fare?

Cacà lə tórzəra, propr. cacare i torsi, ossia defecare con sforzo e dolore; si usa, volg., per dire a uno che pagherà il fio per una malazione.

Cagniè la tìgna chə la rógna, cambiar la tigna con la rogna, guarire da una malattia per prenderne un’altra; vuol dire rimanere come si stava, non fare fatiche inutili.

Càla ca vinnə, cala che vendi, se vuoi vendere, abbassa i prezzi.

Calma,’on Ləbbò, calma, don Liborio; invito gen. alla calma. Il detto è comune a moltissimi paesi, il che rende difficilmente identificabile questo "incazzoso" don Liborio.

Càmba e fa cambà, campa e fai campare, vivi e lascia vivere, invito alla comprensione, alla tolleranza.

Carta calamàjə e pénna, carta, calamaio e penna, ossia, tutto quello che serve per fare qualcosa.

Casacàlla, n. di un paese immaginario: zə n’è iutə a Casacàlla, è andato Dio solo sa dove.

 Càsa də ru dièvulə, casa del diavolo (l'inferno), est. vale luogo lontano e scomodo.

Cazzə capìšcə e cutəchélla nó, cazzo capisci e cotichina no? Cioè: fai finta di non capire; capisci le cose (che ti dovrebbero essere) meno familiari e le più semplici no? La frase è la battuta finale di una storiella che vede protagonisti una monaca conventuale e un ragazzo leggermente bleso (šcialénghə). Il ragazzo un giorno viene mandato dalla madre al convento a chiedere la carità di un pezzetto di cotenna di maiale per dare un po’ di sapore alla sua scipita e povera pietanza. La monaca, nel sentire la parola "cutəchélla", pronunciata, per la verità, non chiaramente dal ragazzo, dice di non capire. Il ragazzo ripete la richiesta e, quando di nuovo la monaca non intende, prorompe in un "éia cazzə, zə’ mo’, ma nən capišcə?", oh, cazzo, zia monaca, ma non capisci? Nel sentire la parolaccia, la monaca si risente e rimprovera il ragazzo per il suo comportamento scorretto, ma lui. bleso sì, ma non scemo, sbotta: "ah, zə' mo’, cazzə capìšcə e cutəchélla nó?, ah, zia monaca, (la parola) cazzo la capisci ma cotichina no?

Chə bbrùtta ggǽndə!, che brutta gente!, con riferimento ai componenti di una famiglia, agli abitanti di un paese e così via.

Chə cócchia!, che (bella) coppia! Si usa, per lo più in senso ironico e antifrastico.

Chə cj' azzécca chéssə?, che c’entra questo? Che ci ha che fare questo?

Chə friècchə, l'òva?, che, pesti le uova? si usa per sollecitare qualcuno ad affrettare il passo.

Chə la fùna ngànna, con la corda alla gola, con il cappio al collo; costretto.

Chə la lénga dafòrə, con la lingua di fuori, per l’affanno, dopo una corsa.

Chə lə sanghə a ll’ucchjə, con il sangue agli occhi, irato, molto arrabbiato.

Chə na scàrpa e na ciavòtta, con una scarpa e una ciabatta, malmesso o perché povero o perché trasandato.

Chə rə miènə e chə rə pidə, con le mani e coi piedi (con fatica).

Chə tì, le miènə də fìcura?, che hai le mani di fico?, non sai tenere in mano nulla? (I rami del fico sono molto teneri e, quindi, facili a rompersi).

Chə tùttə ru còrə, con tutto il cuore (volentieri).

Chiègnə məsǽria, piangere miseria, lamentarsi continuamente per una presunta condizione di ristrettezze economiche.

Chiègnə sǽnża mazzàtə, piangere senza bòtte, piangere, lamentarsi senza motivo serio.

Chiènə chiènə,  piano piano, pian pianino, senza fretta, con comodo: cə nə ièmmə a Sand’Agnésa chiènə chiènə, ce ne andiamo a Sant’Agnese pian pianino, con comodo.

Chi magna e chi tamǽnda, chi mangia e chi guarda.

Chi mòra mòra, chi muoia muoia (succeda quel che deve succedere), a qualunque costo.

Chiòvə cómə sa fa Domənəddìə, piove come sa fare Domineddio.

Chi patìšcə capìšcə, chi patisce, capisce, solo chi ha sofferto può comprendere le sofferenze altrui.

Chjinə chjinə,  pieno del tutto, pieno al massimo; completo: séra ru tǽghàtrə štéva chjinə chjinə, ieri sera il teatro era completo.

Cilə a tòppə də lana, cielo a fiocchi di lana (cielo a pecorelle).

Cində nə fa e una nə pǽnża, cento ne fa e una ne pensa.

Ciùccə, fa tu, ciuco, fa’tu; avvenga quel che deve avvenire.

Còccia tòšta, testa dura.

Com’a ché, molto, moltissimo: chiòvə com’a cché, piove a dirotto.

Com’è vvǽrə Ddijə, come (quanto) è vero Dio, puoi scommeterci! : tə rombə ru mussə, com’è vvǽrə Ddijə, ti rompo il muso, ci puoi scommettere.

Còma jǽšcə è bbùnə, com’esce è buono, va bene comunque, detto spesso in senso ironico a chi si contenta troppo.

Còmə štà vəcìnə a Comàcchjə, Como sta vicino a Comacchio. È la risposta che, talvolta, qualche spirito allegro, piegando la geografia alle esigenze dell’assonanza, risponde a chi, fingendo di non capire qualcosa, seguiti a chiedere cómə? cómə?

Comə tə nghièzzə accuscì tə schièzzə, come ti incazzi (arrabbi) così ti scazzi (calmi).

Còppa còppa, loc.avv., in superficie, superficialmente, senza approfondire. [der. di còppa, parte sup. del capo]

Còrə a còrə,  a cuore a cuore, affettuosamente: štiènnə tùttə da ru iurnə còrə a còrə, zə vùnnə bbǽnə, stanno tutto il giorno cuore a cuore, si vogliono bene.

Còrə a martìllə, cuore a martello (batticuore).

Còrə mì, cuore mio (amor mio).

Crištə jòca a ppallə, Cristo gioca a palle (bocce), si dice quando tuona. Qualcuno completa il detto così: Crištə jòca a ppallə chə lə nùvələ (con le nuvole).

Cùccə cùccə, accucciato; ammansito; con la coda tra le gambe: dòppə də chélla mazzəièta zə n’è rrəiutə a la càsa cùccə cùccə, dopo quella bastonatura se n’è tornato a casa con la coda tra le gambe.

Cùllə tùrtə, collo storto, ipocrita.

Cùlmə cùlmə,  colmo colmo, colmo fino all’orlo, pieno: à purtàtə nu panàrə cùlmə cùlmə də pirə, ha portato un paniere colmo colmo di pere. [da una forma sup. di cùlmə]

Curnùtə e mazzəiètə, cornuto e bastonato.

Cuscì e culì, così e colì, risposta stizzosa che si dà a un interlocutore che continua a dire "è così", "ti dico che è così"; oppure risponda con un semplice "così" a una domanda che esigeva una risposta più articolata.

Cùttə e magniètə, cotto e mangiato; immediato;

Da capə a pidə l'annə, da capo a piedi l'anno (dall'inizio alla fine dell'anno, per tutto l'anno).

Də bbòttə, avv., di botto, di colpo, all'improvviso. [der. dell'ant.fr. boter, battere]

Dièllə e dièllə,  dài e dài, a forza d’insistere, provando e riprovando: dièllə e dièllə cə la sò fattə a passà a la səcónda classə, dài e dài ce l’ho fatta a passare alla seconda classe.

Dittə e fattə, detto e fatto.

Durmì a la supìna, dormire supino.

E allora?, e allora?

E bbìja,  letter. "e via", solo, soltanto, solamente. Si usa, in genere, dopo un numerale: unə e bbìja, ddu e bbìja, uno solo, soltanto due; tinghə na vacca e nu vətillə e bbìa…ho solo una vacca e un vitello….

E bbùnə, propr."e buono", non ostante: cumbàr’e bbùnə, non ostante fossimo compari; figlj’e bbùnə, non ostante siano miei figli.

Fàccia ggialanìta, faccia giallognola (caratteristica di chi non è in salute).

Fa firrə e ffùchə, fare ferro e fuoco, mettercela tutta per ottenere qualcosa, per raggiungere uno scopo.

Fa la partə də ru dièvulə, far la parte del diavolo.

Fa ngùrpə, fare in corpo, (tenersi tutto dentro)

Fa nu vièjə e ddù sərvizjə, fare un viaggio e due servizi.

Fa rə duvérə, fa i doveri, conosce le norme della buona educazione, della convivenza civile.

Fa ru dièvulə a quóttə, fare il diavolo a quattro.

Fa ru féssə ngrədǽnża, fa il fesso (recita a fare il grazioso) a credito.

Fatt’e bbùnə, bell’e fatto: ru vəštitə lə sò accattatə fatt’e bbunə, il vestito l’ho comprato bell’e fatto.

Fattə chə l’accétta, fatto con l’accetta, fatto male, non rifinito.

Fòrə manə,  lett. fuori mano, lontano, distante, remoto: nə mmə nə tə də mənì fin’a Sand’Agnésa, šta tròppə fòrə manə, non mi va di venire fino a Sant’Agnese, sta troppo fuori mano, lontana.

Grussə e féssə, grosso (grande) e fesso.

Ièppəca ièppəca,  pian piano, lentamente, senza affrettarsi: camməniè ièppəca ièppəca, camminare a passo lento.

Iuštə iuštə,  giusto giusto, esattamente: la sò pəsàta mó mó, sù dducìndə grammə iuštə iuštə, l’ho pesata proprio ora, sono duecento grammi esatti.

Iuštə mó,  giusto adesso, proprio ora, immediatamente: iuštə mó à da mənì a la càsa, immediatamente devi venire a casa.

Jǽ pərzóna canušciuta, è persona conosciuta, ci si può fidare.

Jǽ šciutə a llòffa, è uscito a loffa (non ha fatto rumore, non ha funzionato, è riuscito male).

Jì m'accattə ru pəllitrə e nó la razza, io compro il puledro, non (tutta) la razza (si dice quando ci viene chiesto un prezzo troppo alto).

L'acqua va addó pǽnnə, l'acqua va dove pende (c'è pendenza).

L'à parlàtə ru dièvulə a la récchia, gli ha parlato il diavolo all'orecchio (è cambiato, qualcuno gli ha dato cattivi consigli).

La prǽta də ll’àra, propr. la pietra dell’aia, dicesi così di una persona lenta nel muoversi, nell’agire, lenta, appunto, come la grossa pietra levigata usata sull’aia, al traino di buoi o di asini, per la trebbiatura.

Lassa fa a Ddjə ca Quillə sa fa, lascia fare a Dio ché Lui sa fare.

Lə malə də Sandə Dənatə, la malattia di San Donato, ovvero l'epilessia.

L’uvə a Pasqua e la paròla quónnə càsca, l’uovo a Pasqua e la parola quando cade (a proposito), ogni cosa al momento giusto.

M’accùtə a nnirə, letter. mi ha preso a nero, mi guarda male, con malanimo, non mi può vedere.

Màgna màgna,  mangia mangia, mangione; fig., disonesto.

Manghə pə sùnnə, neanche per sogno, non ci penso neppure.

Mbizzə mbizzə,  proprio all’orlo, vicinissimo; all’ultimo momento.

Mbónda mbónda,  in punta in punta, proprio in punta.

Mə fussə muccəcàta la lénga, mi fossi morso la lingua!, si dice dopo aver detto qualcosa di cui ci si è pentiti.

Mǽgljə e pǽjjə,  meglio e peggio; nei giochi di carte, il migliore e il peggior punto raggiunto.

Méttə a firrə e fùchə, mettere a ferro e a fuoco, distruggere.

Méttə a rəndǽnnə, mettere a capire (insegnare).

Méttəzə ngapə, mettersi in testa, convincersi di un’idea e mantenerla ostinatamente.

mə vù mannà pəzzǽndə, mi vuoi mandare pezzente, mi vuoi ridurre in miseria

Mó è passàtə ssu lǽbbrə, ora è passata quella lepre..., ossia, svegliati che la cosa è già successa da un bel po'.

Mùrə mùrə,  muro muro, rasente il muro, furtivamente.

Mušcə mušcə,  moscio moscio, mogio mogio.

Ndùttə ca,  con tutto che, nonostante che, benché.

Nən córrə cchiù ttàndə, non corre più tanto, non è più di moda.

Ngìma ngìma,  in cima in cima, in alto, il più in alto possibile. 

Ngòppa ngòppa,  sopra sopra, in superficie.

Nniènżə ca, avanti che, prima di: nniènżə ca tə cùrəchə, prima di coricarti.

Nzicchə nzicchə, appena appena, giusto giusto.

Parə bbrùttə, pare brutto, è sconveniente

Parə parə,  pari pari, alla pari, senza guadagno né remissione.

Parlà ždrǽuzə, parlare strano (in maniera incomprensibile).

Pəducchjə arrabbəviètə, pidocchi risuscitati, ossia nuovi ricchi insuperbiti.

Pəgliè ru còmmədə, avere un rapporto sessuale; fras.: éjə purtàtə la vàcca a pəgliè ru còmmədə, ho portato la vacca alla monta.

Pəléscə pəléscə,  con molta lentezza, con indolenza.

Pǽzza pǽzza, a pezzi: fà pǽzza pǽzza, fare a pezzi, spezzettare, anche fig.

Pəzzǽ, tì granə a vénnə?, pezzente, hai grano da vendere? frase ironica in risposta ad una richiesta che si sa (o si presume che si sappia) impossibile da soddisfare.

Pòchə pòchə,  poco poco, pochissimo.

Quónd’è vǽrə Ddiə, quanto è vero Dio (ci puoi giurare).

Quónnə cə vò cə vò, quando ci vuole ci vuole, si può far finta di niente una, due volte, ma poi ... 

Quónnə miè?!,  spesso prec. da ma, quando mai?! ma quando mai!:

Rǽndə rǽndə,  rasente, molto vicino; pari pari. 

Rə tinghə mbizzə a la lénga, ce l'ho sulla punta della lingua.

Rómbeze la nócə də ru cùllə, rompersi la noce (l'osso) del collo.

Ru mulə tira cavəciatə, il mulo tira calci, è la sua natura.

Saccə jì chéllə chə tinghə ngùrpə, so io quello che ho in corpo, ossia, non mi fate parlare, ché è meglio …

Sàna sàna,  intera, tutta intera:  z’à magnièta na savəcìccia sàna sàna, s’è mangiata una salsiccia intera.

Sanə sanə,  intero, tutto intero: z’à sculàtə nu buttəgljónə də vinə sanə sanə, s’è bevuto un intero bottiglione di vino.

Sci na pìttəma!, sei una pìttima (ma quanto scocci!).

Sə Ddia vò, se Dio vuole.

Sòccia sòccia,  pari, uguale, uniforme: hjòcca soccia soccia, fiocca (la neve scende) pari pari.

Sóttə sóttə, di nascosto, furtivamente, nell'intimo: quillə jǽ favəzə, sóttə sóttə cə vò bbuzzarà, quello è un falso, sotto sotto ci vuole buggerare.

Sóttə tǽrra,  ‘sotto terra’, nella sepoltura.

Štà ngràzia də Ddiə, stare in grazia di Dio.

Sùccə sùccə, pari, pareggiato, levigato, spianato: ru padùlə šta sùccə sùccə, il prato è tutto spianato.

Tə canóschə pirə, ti conosco (da quand'eri) pero [disse il contadino davanti al crocifisso per scolpire il quale aveva egli stesso fornito dei rami d'un suo albero di pere]

Tǽ chə fa, ha da fare.

Tə dichə ru Vangǽlə, ti dico il Vangelo (ti giuro, ti assicuro che è la verità).

Tǽ lə pǽzzə a ru cùrə, ha le pezze al sedere (è povero).

Təné còre, aver cuore, esser buono d'animo.

Tərətinghə e tərətanghə, si dice di un mobile che non è stabile; est., discorso ripetuto fino alla noia.

Tə ròmbə ru mùssə!, ti rompo il muso!

Tǽrra tǽrra, terra terra, di basso profilo, di basso livello.

Tésa tésa,  tesa tesa, rigida, detto di stoffa o di persona.

Tisə tisə,  teso teso, rigido, impalato.

Tranghə tranghə, traballando, barcollando.

Tə sci ddurmìtə scavəzə?, ti sei addormentato scalzo? (si dice a chi ha appetito di buon mattino).

Tətinghə e tətanghə, far dondolare una sedia o altro; est., ripetere continuam. e con monotonia le stesse cose.

Ujə a òttə, oggi ad otto, tra otto giorni.

Ujə a quinəcə, oggi a quindici, fra quindici giorni.

Ujə nə jǽ` com’ajìrə, oggi non è come ieri.

Una nə fa e cində nə pǽnża, una ne fa e cento ne pensa.

Unə e šciuócchə!, uno e neppure buono (così diceva una madre al figlio unico quando la faceva arrabbiare o la deludeva).

Varrə varrə,  raso raso, pieno fino all’orlo, detto di recipienti. [da vàrra, paletto che si passa orizzontalmente sull’orlo di un recipiente per aridi, p.es. un mezzetto, per togliere la parte che eccede]

Vò vévə a ddù muccéllə, vuol bere da due mammelle.

Z’è fattə pirə, s’è fatto pero (è maturato, è cresciuto).

Zə pò dà, può darsi, forse, è possibile.

Zittə zittə,  zitto zitto, in silenzio, senza far rumore.