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Fossalto e il suo dialetto

Le Origini

La Fonetica

La Trascrizione fonetica

La Morfologia

La Sintassi

I Modi di dire

I Proverbi

La Bibliografia

1. Origini

Il dialetto fossaltese, al pari di quasi tutti gli altri della nostra regione, ha le sue profonde radici nel “latino parlato”, la lingua che, dopo i fulgori del periodo classico, andò pian piano evolvendo a causa dell’influsso degli idiomi dei popoli “occupati” (nel nostro caso l’osco-umbro) e della progressiva fisiologica “degenerazione” per il venir meno dello studio.

Piano piano, nella struttura, si perdono le desinenze dei casi, scompare (da molte parti, ma non da noi, come vedremo) il genere neutro, si semplificano le coniugazioni, compaiono l’articolo, il comparativo non più organico ma ora analitico, un nuovo tipo di superlativo assoluto ottenuto con il raddoppio dell’aggettivo, del nome o dell’avverbio (cfr., da noi, sanə sanə, murə murə, succə succə ecc.), e nuove costruzioni sintattiche.

Scompare la “quantità” delle vocali (lunghe e brevi) perché essa si trasforma in differenza di “apertura” o di “timbro”: compaiono le vocali aperte (/è, ò/) e le vocali chiuse (/é, ó/).

Nascono anche, da queste sovrapposizioni, pronunce particolari e, naturalmente, entrano nel latino parlato vocaboli nuovi. Come avverrà più tardi, ma in maggior misura, con le invasioni dei barbari.

E’ per questo che esaminando il nostro vocabolario troviamo la maggior parte delle parole che continuano la tradizione latina, alcune per passaggio diretto come rosa, stella, sorte, regina; altre con qualche non significativa trasformazione: hŏmo > òmə, cāseu(m) > cascə, cucūtia(m) > chəcóccia, cĕrasu(m) > cəruóscə, lēge(m) > léggə.

Da non trascurare, anche, l’influsso della civiltà greca, prima attraverso la Magna Grecia, più avanti ad opera dei bizantini. Troviamo l’impronta greca in ànəcə < ánison, pappagàllə < papagás (+ gallo), crəsòmməla < chrisómelon, ddòsa < dosis, calandrǽlla < kálandros, cəcòria < kichórion, laganǽllə < láganon, trappìtə < trápēton.

Quindi, le incursioni barbariche, le scorribande dei saraceni, le dominazioni francese e spagnola non potevano non lasciare profonde tracce anche nei dialetti.

I Goti, oltre al nome di uno dei loro capi, Tòtila, ancora ricordato nell’omonimo Monte, ci hanno lasciato *stanga > štanga, *suppa > zuppa, skalja > scagliónə, stalla > štalla, thrìskan > trəscà, i Longobardi ci hanno lasciato werra > guǽrra, skena > schìna, staffa > štaffa, zizza > zìzza; dai franchi abbiamo ereditato, tra gli altri, squiccia < skìtan; più tardi, sempre da quella parte, ci son venuti štallónə < estalon, štrəgljè < estriller,  hiènghə < flanc, ləttǽra < litière; dalle tribù germaniche abbiamo preso bbròdə < *brodh, vùttə < *butta, arruštì < raustjan, tuócchərə < tak.

I Saraceni, a parte i tanti bastardelli, frutto dei loro stupri, lasciano nelle nostre regioni parole come barda'a > varda, qubbaita > cupǽta, sciafek > ciufǽca, sciarub > šcərùppə; dalla dominazione francese ricaviamo ciavàrrə < chèvre, cùccia < couche, crìcchə < cric, galoppə < galop, pariglia < pareille, tapanàrə < taupinière, accattà < acheter, accétta < achètte, e, secondo alcuni linguisti (ma non sono tutti d’accordo), mariùlə < mariole; è dei caballeros iberici il dono di cacarear > cacarəjé, engrifarse > ngrəfiérzə, tozár > tùzzə, guapo > guóppə, terciar > tərzələjé.

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Va precisato che, quando l’ etimo di un termine dialettale si fa risalire ad un vocabolo di lingue geograficamente (e, talora, culturalmente) lontane dal fossaltese, non s’intende stabilire sempre un rapporto di derivazione diretta, in quanto si presuppone l’intervento mediatore di linguaggi viciniori.

E’ chiaro, ad esempio, che gli arabismi, i francesismi, gli spagnolismi sono giunti a noi -lontani dai luoghi di assidua presenza dominante- con la mediazione del napoletano.

 

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