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Cultura


Le pagine dell'arte cinese

Arte tra Cina ed Europa

LA MODA CINESE E LE "CINESERIE" IN EUROPA NEI SECOLI XVII E XVIII.

di Guido Magnoni

 

  • 1. La formazione della moda. La Francia di Luigi XIV.
  • 2. La diffusione della moda in Europa. Il periodo barocco, 1670-1715.
  • 3. L'esplosione del gusto delle cineserie. La moda in Europa dal periodo rococò fino al tardo Settecento.
  • 4. La produzione cinese di oggetti per l'esportazione.
  • 5. La moda cinese e le "cineserie" in Italia.
  • 6. Epilogo.

     

    5. LA MODA CINESE E LE "CINESERIE" IN ITALIA.

    In Italia, come nel resto d'Europa, la voga per la Cina e le cineserie fu di gran moda nel Settecento, anche se non tutti gli stati della Penisola furono toccati con la stessa intensità. Mentre il Regno di Sardegna la Repubblica di Venezia i Ducati di Parma e Piacenza il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio, principalmente a Roma, furono notevolmente influenzati, gli altri stati lo furono molto meno o quasi per nulla, come il caso del Regno di Napoli, anche se in quest'ultimo fu realizzato il massimo esempio di cineseria italiana, il salotto di porcellana della villa reale a Portici.
    La diffusione della moda in Italia è però molto più paragonabile alla situazione francese o tedesca, quindi limitata principalmente alle corti ed all'alta aristocrazia, piuttosto che al modello anglo olandese dove, come abbiamo visto, la diffusione fu molto più profonda per merito di classi borghesi e mercantili molto affluenti 12 .
    Gli esempi di cineseria italiani sono perciò collegabili nella maggior parte dei casi all'interesse che i vari sovrani o principi ebbero per la voga cinese piuttosto che ad un fatto di stile diffuso nei diversi strati della società.
    In Italia erano molto radicati due topoi che non facilitarono la diffusione su vasta scala della moda: in primo luogo la tradizione artistica e letteraria, che con il Rinascimento ed il Barocco aveva dominato la scena europea, e che si rifaceva a modelli classici greci e romani, sostenuta dalle sterminate antichità che affioravano quasi ad ogni colpo di vanga e dalle immense vestigia di un glorioso passato che si voleva far rivivere nei suoi fasti, se non per il predominio politico, almeno dal punto di vista culturale.
    In secondo luogo, ma non di minore rilevanza, la forte influenza, sia politica che culturale, esercitata dalla Chiesa di Roma; la Controriforma, avviata nella seconda metà del Cinquecento, era ancora fortemente attiva e faceva sentire il suo peso sulla popolazione.
    Quindi, a parte Venezia, da sempre centro cosmopolita di traffici commerciali internazionali, con la sua tradizione laica ed autonoma, ed erede della tradizione di Sarpi, solamente gli stati che avevano una lunga tradizione di sviluppo culturale, sociale e politico, ed erano quindi più pronti a cogliere le novità, oppure le grandi famiglie artistocratiche, che per i loro contatti internazionali erano più facilmente a contatto con le evoluzioni del gusto, si aprirono all'influenza della moda cinese così in voga nel resto d'Europa.
    I momenti di diffusione e contatto col popolo erano dati dall'uso della mascherata che, a differenza della tendenza dominante in Francia che la utilizzava nei balli e nelle feste di corte, aveva in Italia maggior sfogo con le feste di Carnevale durante le quali fu molto frequente il caso di travestimenti alla cinese, oppure nelle fastose 'macchine' che venivano realizzate per spettacoli teatrali e feste pubbliche che frequentemente erano realizzate in stile cineseria.
    Di seguito cercherò di dare una panoramica delle influenze della moda cinese e delle cineserie in Italia. Per comodità d'esposizione argomenterò per città o regione.

    VENEZIA Nel panorama dell'influenza europea sullo sviluppo della moda cinese in Italia, Venezia fu un'eccezione: aperta alle influenze orientali e della Cina sin dai tempi di Marco Polo, la Serenissima accolse la moda cinese con maggior apertura di qualsiasi altro stato italiano, sviluppando una propria concezione delle cineserie senza subire troppe influenze dalla Francia o da altri paesi europei.
    Confermandosi all'avanguardia nel panorama politico, sociale e culturale europeo, Venezia fu attrice di primo piano, al pari della Francia e della Gran Bretagna, nella fruizione e sviluppo della moda per le cineserie, all'avanguardia nel loro adattamento in campo industriale e centro internazionale di diffusione del gusto per l'esotico e l'Oriente, sia in campo artistico che letterario che teatrale.
    Sin dal tardo Seicento Venezia produsse mobili ed oggetti laccati generalmente molto pregiati e di tutti i prezzi. L'introduzione di colorazioni diverse dal nero e dal rosso, dominanti in tutto il resto d'Europa, diede alle lacche un aspetto più leggero e tipicamente veneziano, molto diverso dagli originali cinesi o giapponesi. Per le decorazioni, che venivano applicate su ogni oggetto, fossero grandi mobili, vassoi, ventagli, scatole od altri oggetti minuti, gli artigiani veneziani attinsero quasi sempre ai motivi della cineseria.
    Tale era la popolarità dei soggetti esotici che venne introdotta anche una variante di tipo economico che consisteva nell'incollare ritagli di stampe con scene di cineserie, pubblicate in grandi quantità nella Repubblica, sui mobili già dipinti: l'insieme veniva poi verniciato a lacca.
    L'arte della laccatura rimase attiva a Venezia per tutto il Settecento, anche dopo che nel resto d'Europa, l'interesse per questo particolare tipo di cineseria era andato scemando.
    Anche la produzione di porcellana fu debitrice dell'interesse per la Cina. Venezia fu famosa per tre manifatture: quella dei fratelli Vezzi, aperta nel 1720 con l'aiuto di un transfuga di Meissen, ma fallita nel 1727 dopo che fu scoperto il contrabbando di kaolino della Sassonia con cui veniva realizzata la produzione di porcellana, quella chiamata Le Nove, aperta vicino a Bassano nel 1762 e quella veneziana dei fratelli Cozzi, aperta nel 1764. Le produzioni furono di un livello particolarmente alto e comprendevano la maggior parte del repertorio di cineserie delle principali fabbriche d'oltralpe.
    I Vezzi, spinti dal gusto per la Cina e, molto più probabilmente per spirito imprenditoriale e di guadagno, vista l'enorme domanda europea di porcellane, ripresero una tradizione di imitazione di soggetti cinesi avviatasi già nel tardo Cinquecento.
    La produzione di porcellane veneziane fu fiorente fino al 1785 circa ed iniziò a decadere dopo il trattato di Campoformio; i Cozzi chiusero nel 1812 e Le Nove poco dopo, nel 1825.
    Verso la metà del secolo la moda delle cineserie si estese anche alle decorazioni, a stucco o ad affresco, di 'camere cinesi' nelle ville venete. Anche in questo campo Venezia maturò proprie esperienze, diverse dalla maggior parte degli esemplari di 'gabinetto cinese' realizzati nel resto d'Europa.
    La maggior parte dei dipinti cineseria ad affresco fu relativamente discreta e di dimensioni contenute (cfr. cap III); nessuna ebbe l'effetto dominante dei disegni di larga scala come quelli realizzati nelle ville venete. Qui fu realizzato uno dei più famosi interni cineseria d'Europa: la foresteria della villa Valmarana ai Nani di Vicenza, affrescata da Gian Domenico Tiepolo nel 1757.
    Dalle pareti di questa stanza, affrescate con grandi scene cinesi, "traspare una versione dell'Oriente tipicamente veneziana, ben lontana da quella voluttuosa di Boucher o da quella capricciosa di Pillement (da cui però Tiepolo sembra aver preso in prestito la vegetazione). Qui, preti, mandarini e perfino contadini, indossano abiti di sete o velluti sontuosi e copricapi fatti con le penne di giganteschi colibrì. Sullo sfondo si vedono alte pagode che a prima vista potrebbero sembrare campanili veneziani, e su ogni scena si diffonde il caratteristico scintillio della luce lagunare".
    Nella villa Grimani Vendramin Calergi di Noventa Padovana, negli ultimi anni Settanta del secolo, Andrea Urbani decorò una stanza del primo piano con scene cineserie molto delicate, con figure che sembrano quasi danzare, quasi come in un gioco.
    Altri 'depentori alla chinese', come ad esempio il Tosello, realizzarono decorazioni a villa Barbarigo sul Brenta, villa Giustinian a Noventa Padovana, palazzo Vendramin a Venezia, ecc.).
    Nella villa Lazara Pisani, detta la Barbariga, a Strà, furono decorate diverse stanze con stucchi raffiguranti fiori ed uccelli, fra il rococò e la cineseria, e motivi tipicamente cinesi quali mandarini, baldacchini e figure con cappello a pagoda.
    Venezia, come Roma, era famosa per le sue mascherate e per le macchine realizzate per feste e rappresentazioni; travestimenti alla cinese furono spesso di moda durante il carnevale. Tra le macchine più rappresentative del gusto cineseria in voga a Venezia, va ricordata la giunca cinese che nel 1716 fu usata per dare il benvenuto a Venezia ad Augusto il Forte.
    Forse perché l'ospite in visita era un appassionato sinomane raccoglitore di oggetti cinesi, si pensò di fargli cosa gradita nel mandargli incontro una imbarcazione cinese piena di cantanti, suonatori e danzatori, condotta da gondolieri in abito cinese; o forse per la voglia d'impressionare un sovrano straniero con tutta la magnificenza e la potenza che ancora inorgogliva i Dogi, anche se non corrispondeva più ad un effettivo peso politico, oppure, più semplicemente, per dar libero sfogo ad una passione che pervadeva l'animo della città; certamente si trattò di una delle più grandi messinscena di stile cineseria del Settecento.
    A riprova del favore riscosso dalla moda si può notare che le maggiori composizioni teatrali ed operistiche italiane di stile cineseria ebbero la loro prima rappresentazione a Venezia, molto probabilmente perché la cineseria vi era accolta con il massimo entusiasmo. 13
    Un altro indizio a favore della popolarità della moda per le cineserie è dato da due sculture realizzate da Giovanni Bonazza (1695-1730) all'inizio del secondo decennio del Settecento. Si tratta di una coppia di due pagodi cinesi, del tutto eccezionali nella scultura veneta contemporanea ma che possono però testimoniare di una certa committenza per decorazione di stile cineseria.
    Riprese probabilmente da immagini che decoravano porcellane, oppure da originali cinesi contemporanei importati in Europa, le due sculture possono essere inserite in un tipico aspetto dell'attività dello scultore, attivo a Venezia (dove esistono ancora diverse sue opere) a Padova e nella zona del Brenta, volta ad interpretare soggetti esotici, quali i pagodi, appunto, o gli indios.

    FIRENZE Anche nel Granducato di Toscana, come nella Serenissima, il gusto per le cose cinesi si formò sin dal Trecento, quando il Catai e le sue mercanzie erano ben noti ai mercanti fiorentini e pisani e le influenze degli oggetti che in qualche maniera giunsero in Toscana si fece sentire sull'iconografia pittorica. 14
    Nelle librerie delle famiglie di censo non poteva mancare una copia del manoscritto del Milione di Marco Polo e nel tempo, per soddisfare le curiosità scientifiche dei Medici e dei magnati cittadini, Firenze divenne un luogo privilegiato di collezionismo esotico.
    Particolare importanza rivestì a Firenze, per la diffusione delle conoscenze sul Celeste Impero e per la formazione di un interesse specifico per quel lontano paese, la cartografia, sviluppata sin dalla seconda metà del XVI secolo, sia a stampa che in grandi affreschi in palazzi e conventi cittadini.
    Con molto interesse fu inoltre prestata attenzione alla coltura del baco da seta ed alla produzione del tessuto, particolarmente in relazione all'impiego industriale di questa conoscenza. 15
    Verso la fine del XVII secolo anche Firenze iniziò ad essere contagiata dallo stile della corte di Luigi XIV dando così avvio alla fase di vera e propria diffusione della moda cinese e delle cineserie.
    Si diffuse così il collezionismo di oggetti cinesi, seguendo la lezione di Filippo Stosch giunto a Firenze nel 1731 da Roma dopo aver subito un attentato. L'immensa collezione del poliedrico Stosch conteneva anche una serie di oscenità cinesi, acquistate forse durante il soggiorno a Roma. Bronzi cinesi fecero parte della dispersa collezione di Giovanni Gaspero Menabuoni.
    "Cineserie, specie porcellane e parati, trovano la loro destinazione nei palazzi fiorentini: a palazzo Gianfigliazzi con piatti cinesi posti in apposite formelle di stucco furono decorate le pareti e il soffitto di un 'boudoir'. Con le cineserie fu impreziosito nel Palazzo Non Finito un piccolo ambiente, un tempo oratorio. Porcellane cinesi con lo stemma gentilizio facevano bella mostra accanto a quelle della manifattura di Doccia a palazzo Ginori."
    La moda per la Cina e le cineserie in Toscana ebbe influenza determinante per la nascita di una nuova importante industria. Sulla scia di Venezia in Italia, ma grazie anche ai frequenti contatti della Toscana con l'Austria, a causa della sostituzione della dinastia degli Asburgo Lorena ai Medici estintisi nel 1737 con Gian Gastone, nello steso anno fu dato avvio alla produzione di porcellane a Doccia.
    Il Marchese Carlo Ginori, nato nel 1702 ed imparentato con papa Clemente XIII Corsini grazie al matrimonio con la nipote, comprese l'importanza artistica ed economica del nuovo prodotto e, dopo alcuni anni di attente ricerche, diede vita alla più importante fabbrica di porcellana d'Italia. 16
    L'avvio di una produzione di qualità avvenne subito dopo che il Ginori fu inviato a nome del Senato Fiorentino a rendere omaggio al nuovo sovrano: nel corso della permanenza a Vienna il Marchese poté approfondire le sue conoscenze sulla porcellana e, cosa più importante, si assicurò la collaborazione di due tecnici della fabbrica di Du Paquier che, giunti a Doccia nel dicembre 1737, permisero il definitivo avviamento della manifattura.
    Delle nove manifatture di porcellana sorte in Italia nel XVIII secolo Doccia fu sicuramente la migliore, specializzandosi presto nella produzione di figure a tutto tondo anche di grandi dimensioni. Le decorazioni erano tratte principalmente dal repertorio cineseria tedesco e francese alleggerito, verso la fine degli anni Settanta, in un più sobrio neoclassico. 17
    La moda si diffuse anche alla decorazione di 'gabinetti cinesi' ed altri ambienti d'uso quotidiano.
    Nel 1770, al Poggio Imperiale, una delle dimore preferite del Granduca, furono rivestite di seta cinese con decori simili a quelli di villa Medici a Fiesole, le pareti della terza stanza; nel 1771 lo studiolo del granduca fu parato con tappezzerie a motivi floreali su fondo oro. Nel 1774 la granduchessa fece cambiare la decorazione del suo appartamento a palazzo Pitti con parati, canapè e sgabelli alla cinese. Di poco più tarda è la decorazione 'imitazione della China' dell'appartamento del granduca. Nella villa di Castello intere camere erano ornate da parati e tessuti cinesi. I motivi decorativi furono tratti da incisioni di Pillement, stampando sui parati scenette con edifici e figure cinesi. Un altro esempio di questo tipo di decorazione è dato dalla stanza tappezzata ed arredata alla cinese nella villa Bianchi Bandinelli di Geggiano vicino a Siena.
    Ma l'esempio più importante di decorazione cineseria fu dato alla fiorentina villa La Mattonaia negli anni immediatamente successivi al 1761 dal Marchese Lorenzo Ginori, figlio di Carlo.
    L'interno della villa, ricordata sin dal 1509, fu completamente trasformato. Al primo piano una camera era tutta parata di 'Calancà alla chinese', un salotto con pareti ornate da fregi in bassorilievo di porcellana ed il passaggio verso la 'Galleria' era illuminato da un fanale decorato con fiori di porcellana. Al secondo piano una camera aveva le pareti completamente rivestite di lacca ed il soffitto decorato con 'piatti della China' mentre la lumiera centrale era ornata con "otto pezzi dell'istessa roba della China per renderla allusiva alla detta stanza". Il mobilio era in carattere e l'imbotte della finestra formava un piccolo gabinetto a cristalli e bassorilievi di porcellana. Un'altra stanza era tappezzata di un parato di raso giallo di Lione con decori alla cinese ed era mobiliata alla Chinese.
    Nell'altra ala del fabbricato altre quattro stanze erano tutte tappezzate di 'carta in colori dipinta alla chinese' ed avevano decorazioni in porcellana. Anche nel giardino era presente la Cina: agrumi, ananassi e rosai cinesi furono messi a dimora e curati con estrema attenzione dal Marchese.
    Nel complesso la villa ed i suoi decori rappresentarono un tipo d'abitazione non comune in Toscana. Molto probabilmente il Marchese Ginori, per le sue molteplici attività collegate all'esotico oriente (porcellana, botanica, scienza) fu molto più portato ad ornare la propria residenza preferita con tanta attenzione per le cineserie.

    ROMA Roma fu un centro di primaria importanza per i rapporti tra Europa e Cina in quanto sede del papato. L'interesse suscitato dalle descrizioni trecentesche di questi fantastici mondi ad Oriente mosse più papi al tentativo d'avviare rapporti diplomatici con quei paesi, rapporti volti principalmente alla diffusione dell'evangelizzazione ed alla posizione di preminenza politica che Roma giocò, o tentò di giocare, in Europa nei secoli XIV - XVII. 18
    L'influenza cinese si fece però maggiormente sentire nell'ambito delle segreterie dei vari Ordini religiosi, della curia pontificia e di un ristrettissimo numero di eletti. Nel campo del costume la moda non attecchì: Roma era passata attraverso il Rinascimento michelangiolesco ed era dominata dalla figura di Gian Lorenzo Bernini. Ogni aspetto della vita di costume fu condizionato dagli interessi delle grandi famiglie pontificie (Borghese, Barberini, Pamphilj, Chigi) e dalle grandiose macchine e dalle sfolgoranti scenografie, fossero temporanee oppure permanenti, che vennero create fino al volgere del XVII secolo. Il Barocco fu l'espressione dominante della cultura artistica e letteraria romana e non lasciò grandi spazi ad inserimenti di altre correnti di moda e di costume.
    All'inizio del XVIII secolo anche Roma cominciò a subire alcune influenze dalla moda irradiantesi da Parigi e dall'interesse per le lacche. Nel 1720 il Gesuita Filippo Buonanni, addetto al 'gabinetto delle curiosità' del Collegio Romano fondato da Atanasius Kircher, pubblicò il Trattato sopra la vernice comunemente detta cinese dove descrisse il modo di laccare mobili ed oggetti. Non sappiamo se il Buonanni venne a contatto con il Treatise of japanning and varnishing di Stalker e Parker ma è certo che a Roma dovette essere abbastanza fiorente il mercato delle lacche se Filippo Juvarra, impegnato nel 1732 alla realizzazione del salotto cinese del palazzo reale di Torino, consigliò l'acquisto proprio a Roma delle "tavole a vernice della China dello Giappone."
    Risale agli anni Venti del XVIII secolo il primo esempio di 'salotto cinese' nella Città Eterna, voluto dal Marchese Patrizi per la sua villa fuori Porta Pia, ora distrutta. Ma sarà verso la fine degli anni Quaranta che a Roma verranno realizzati numerosi ambienti decorati alla cinese.
    E' probabile che questo sviluppo sia stato influenzato, o meglio agevolato, dal pontificato di Benedetto XIV Lambertini, dottissimo, generoso ed illuminato, probabilmente il maggior pontefice del XVIII secolo. Nel corso del suo lungo pontificato curò, tra l'altro, la pacificazione delle controversie del giansenismo dei riti cinesi e malabarici, promosse l'agricoltura ed importanti lavori pubblici e ridusse la pressione fiscale. Dotato di grande ingegno ed intelligenza, fu aperto ai contatti intellettuali e filosofici, oltre che politici e religiosi, con tutte le nazioni europee.
    Il Principe Borghese fece decorare nel 1745 un ambiente nell'appartamento dei cadetti del palazzo di Fontanella Borghese, rivestito con pannelli di lacca verde decorati con scene floreali, fabbricati a Venezia.
    Più o meno contemporaneamente all'appartamento Borghese fu realizzato tra il 1743 ed il 1750 il Salottino giapponese di palazzo Sciarra Colonna, costituito da un ambiente destinato probabilmente ad accogliere le collezioni di oggetti orientali di proprietà del Cardinale Prospero Colonna. La decorazione del gabinetto è formata dall'accostamento di specchi dipinti e porte (sei) decorate in stile cineseria ad imitazione delle lacche orientali.
    Il termine 'giapponese' con cui venne chiamato il salottino dimostra ancora una volta l'assioma tra la lacca ed il Giappone, anche se la decorazione è tutta d'ispirazione cinese o cineseria.
    Nel 1747 anche la corte pontificia fu coinvolta, seppur nella residenza di Castelgandolfo, dove venne decorata con pitture cinesi e mobili cineseria la galleria fatta costruire da Alessandro VII nel palazzo papale.
    Ma sarà il Cardinale Silvio Valenti Gonzaga, nella sua villa a ridosso di Porta Pia, che inaugurerà un filone cui si fece riferimento per le decorazioni di ambienti alla cinese romani.
    Il Cardinale Silvio Valenti Gonzaga che fu a Vienna "a portar la Berretta al Card. Federico d'Althan", e Nunzio apostolico a Madrid ed a Bruxelles, dove entrò sicuramente in contatto con il diffuso gusto per le cineserie, divenne segretario di stato di Benedetto XIV nel 1740; colto, raffinato, amante delle arti e delle lettere, subì il fascino della nuova moda e volle che la sua villa, descritta dai contemporanei come un luogo di delizie, avesse degli ambienti decorati secondo il gusto attuale.
    Contemporanee o di poco successive alla realizzazione dell'impianto decorativo della villa Valenti Gonzaga troviamo altre stanze decorate "alla chinese" in diversi edifici patrizi romani.
    Sul filone del gabinetto con pannelli laccati troviamo un ambiente realizzato nella villa del cardinale Alessandro Albani su via Salaria, decorato con una serie di dodici pannelli di lacca nera suddivisi da specchi con cornici dorate e riquadrati da motivi cineseria derivati, come afferma il Cancellieri, dalla decorazione della villa Valenti Gonzaga.
    Il 'gabinetto cinese' fu realizzato nei primi anni dopo la metà del secolo riadattando pannelli d'importazione estremamente eterogenei per provenienza ed utilizzazione originaria affiancandoli a pannelli di provenienza europea, creati a misura e decorati in stile cineseria. Anche a Roma era quindi uso adattare lacche orientali ad altre destinazioni rispetto l'originale.
    Il salotto è ricordato nel 1763 dal Winkelmann, per lungo tempo ospite del cardinale Albani con il compito di catalogare e studiare le preziose collezioni d'antichità romane che venivano ammassate negli ambienti e nei giardini della villa.
    La Villa del Cardinale Silvio Valenti Gonzaga passò in proprietà al Cardinale Prospero Colonna che la tenne fino alla sua morte avvenuta il 20 aprile del 1765. Ed è in questo periodo che venne realizzato un altro notevole esempio di gabinetto cinese al secondo piano del palazzo dei Principi Colonna ai Santi Apostoli, nell'ala che sia affaccia nel cortile interno al di sopra il salone turco, per volontà del Cardinale Gerolamo che incaricò i fratelli Stefano e Giuseppe Pozzi della decorazione.
    Per la realizzazione dell'ambiente i fratelli Pozzi si rifecero al gabinetto di palazzo Sciarra e, per molti spunti, alle carte che adornavano la Villa Valenti ora Sciarra. L'impianto decorativo comprende, infatti, una serie di scene di riti e costumi orientali, confrontati con abitudini e modelli europei, derivata da prototipi francesi (ripresi in parte nelle carte della Villa Valenti) raffiguranti il rito del tè, l'udienza di un notabile, il mercante di pappagalli e la caccia con l'arco che circolavano in larga diffusione in Europa nelle iconografie stabilite da Watteau Boucher e Pillement.
    L'ambiente è decorato da quattordici pannelli dipinti a tempera, riquadrati da cornici, dove sono rappresentati con particolare rilievo i costumi del mondo turco e di quello cinese che viene riprodotto anche nei tondi del soffitto e nella serie di monocromi dipinti sulle pareti. Nel complesso si tratta di uno dei più begli esempi di cineseria romana.
    Della metà del secolo, o di poco precedente, è invece un altro bell'esempio di salotto cinese realizzato nel palazzo dei principi Strozzi, discendenti della famiglia di banchieri fiorentini, situato presso la chiesa delle Stimmate.
    Le carte, molto belle, decorate a rilievo con rappresentazioni di animali ed uccelli vennero acquistate in Francia e, in assenza di un approfondimento archivistico, non è possibile stabilire se si tratta di originali cinesi oppure di parati prodotti in Francia in stile cineseria.
    L'impianto decorativo del gabinetto di palazzo Strozzi, realizzato autonomamente dall'influenza di quello di villa Valenti, testimonia della diversità di stili adottati a Roma nella decorazione di ambienti alla cinese, segno di una più ampia e diffusa moda che vide probabilmente realizzati più esemplari rispetto a quelli qui descritti.
    Anche per quanto riguarda le porcellane, qui inserite nel contesto di ambienti non espressamente dedicati, è possibile individuare un notevole interesse della nobiltà romana. Praticamente in ogni palazzo romano, dal Quirinale a palazzo Spada a palazzo Doria Pamphili, a palazzo Torlonia, fino ai palazzi della nobiltà minore, v'è una profusione di porcellane cinesi dal periodo Ming al periodo Qing, oppure prodotte nelle varie fabbriche italiane od europee, che fanno bella mostra di sé in ambienti con arredi barocchi, rococò o neoclassici.
    Ancora nel 1764 venne decorato l'appartamento settecentesco di palazzo Barberini, dove gli elementi esotici e cineseria si confondono con lo stile dei paesaggisti napoletani e veneti. L'ultima realizzazione cineseria romana è emblematicamente inserita nell'ultimo grande palazzo 'nepotistico' del papato: palazzo Braschi. Dopo di quest'ultimo sprazzo d'orgoglio Roma visse delle sue memorie artistiche ed architettoniche, se non per alcuni esempi isolati e minori, fino alla breccia di Porta Pia.
    In palazzo Braschi, nel 1808 circa, fu eseguita una sintesi abbastanza riuscita di cineseria e classicismo con decorazioni raffiguranti bambù, uccelli esotici e grottesche di cineseria 'pompeiana' simili a quelle realizzate nel tardo Settecento in altre località italiane da Rivoli a Palermo.
    Un altro aspetto della manifestazione della moda cinese a Roma era dato dalle mascherate e dalle feste tradizionali che scandivano i tempi dell'anno e che avevano un ruolo fondamentale nella vita di costume cittadina.
    Già nei carnevali del 1709 e 1710 furono realizzate mascherate esotiche 'alla turchesca'; non ci volle molto perchè anche i 'cinesi' iniziassero ad affollare la via del Corso durante il carnevale. Della mascherata del 1732 esiste anche una stampa dove si vedono un gran numero di persone su un cocchio cineseria abbigliate alla 'cinese' che se la spassano motteggiando i passanti e le altre maschere.
    Un'altra mascherata organizzata sempre dai pensionnaires dell'Accademia di Francia, per il carnevale del 1751, fu probabilmente la manifestazione più grandiosa del gusto delle cineserie a Roma. Un gran corteo mascherato, più splendido del solito dispiegò lungo il Corso un gran numero di costumi orientali per onorare la presenza a Roma del Marchese di Marigny, fratello di M.me de Pompadour e Directeur General de Batiments de France. 19
    Anche una festa tipica della tradizione romana quale la festa della Chinea subì l'influenza della moda e del gusto cinesi. A parte i fuochi d'artificio e pirotecnici che erano lanciati a conclusione dei festeggiamenti, e che dimostrano un chiaro legame con la Cina patria di questi divertimenti, anche alcune 'macchine' realizzate per il passaggio del corteo e per la festa popolare seguente l'omaggio al papa, furono costruite in stile cineseria, come, ad esempio, quella realizzata nell'anno 1758 dove spicca al centro, ben isolata e visibile, nella posizione predominante, una pagoda a più piani con campanelli ai tetti. 20
    La moda cinese durò a lungo a Roma, fino agli inizi del XIX secolo, anche se non ebbe mai una posizione di preminenza come in Francia o Germania. Ad essa venne piuttosto dedicata curiosa attenzione, sollecitata dal gusto per l'esotismo che da essa sprigionava.
    Del resto a Roma non poteva essere diversamente. Legata a doppio filo ad una tradizione artistica e culturale bimillenaria che affonda le sue radici nella grandezza dell'Urbe romana, e prosegue nei secoli sempre ad essa collegata, assumendo spesso il ruolo di motore del gusto e dell'arte di tutto il mondo occidentale, Roma poté semplicemente adottare la nuova moda senza però preporla alla propria eredità culturale. Le realizzazioni di gusto cinese rivestirono quindi un ruolo secondario, seppur importante, nella vita artistica e di costume della città.

    TORINO Nonostante che il Piemonte avesse avuto contatti con la Cina quasi inesistenti, il gusto e la moda per le cineserie si diffusero ampiamente nella capitale ed in tutto il paese.
    Il gusto piemontese subì notevolmente le influenze francesi del primo Settecento; del resto la corte Savoia manteneva strette relazioni con il confinante regno di Francia.
    Il primo esemplare di cineseria piemontese fu realizzato verso il 1720 in un ambiente della villa della Regina fuori Torino; l'imitazione della moda, nonostante l'influenza francese, fu quindi abbastanza tarda rispetto al primo periodo 'barocco' francese e tedesco. Si tratta di un soffitto dipinto a grottesche dove "come negli arabeschi di Berain, le scimmie i mandarini ed i parasoli cineseria sono dei semplici sostituti dei fauni dei nudi e dei ventagli che erano i classici elementi decorativi romani."
    La moda però si diffuse rapidamente, anche grazie all'apporto di Filippo Juvarra che realizzò nel palazzo Reale di Torino una stanza pannellata con sessanta magnifiche tavole laccate acquistate a Roma nel 1732.
    L'esempio di palazzo Reale fu presto ripreso in diverse altre residenze di corte, come nel gabinetto delle lacche della villa della Regina, distrutto durante la II guerra mondiale, nel casino di caccia di Stupinigi ed in residenze della nobiltà di corte, come nel caso della stanza rivestita di pannelli di lacca rosso ed oro su pareti verde tenue nella villa Vacchetti a Gerbido, vicino a Torino.
    Data la diffusione del gusto e della moda cinesi diversi pittori si specializzarono nelle decorazioni a grottesche e cineserie. A partire da Filippo Minei, chiamato da Roma dal Juvarra per delle decorazioni al castello di Rivoli, al palazzo reale ed alla Villa della Regina (il soffitto prima descritto), diversi altri pittori si specializzarono 'alla cinese'.
    La moda si estese anche ad aspetti di costume come le mascherate. Nonostante il Carnevale torinese non potesse paragonarsi a quelli veneziano o romano, anche a Torino era uso prender parte a mascherate e cortei in costume durante il periodo carnevalizio. Nel 1749 è ricordato un grandioso corteo, l'entrata dell'impero della Cina, che si svolse per le strade di Torino nel mese di febbraio. Alcuni carri preparati per il corteo furono disegnati dallo scultore di corte Francesco Ladatte (1706-1787), il massimo scultore in bronzo del regno di Carlo Emanuele III. 21
    In Piemonte il gusto per le cineserie durò fino alla fine del XVIII secolo mischiandosi con il neoclassicismo che si stava affermando. Verso la fine degli anni Ottanta fu realizzata una riuscita sintesi di cineseria e classicismo nella stanza cinese del castello di Rivoli. La decorazione rivela un impianto di composto esotismo, simile a quella che sarà poi realizzata alla Favorita a Palermo, con scene cinesi raffigurate sulle pareti, riquadrate in medaglioni lobati e sui soffitti.

    NAPOLI E PALERMO Nel Regno di Napoli la moda per le cineserie non ebbe diffusione come negli altri stati italiani né, tantomeno, come nel resto d'Europa. Deve però essere ricordato per due importanti monumenti, tra i più belli d'Europa: il gabinetto di porcellana della villa Reale a Portici e la villa La Favorita di Palermo, ambedue dovuti alla committenza dei Borbone.
    Non risultano fonti che indichino l'esistenza di qualche altra realizzazione cineseria nel regno né testimonino di una diffusione del gusto e della moda cinesi. Napoli era nel Settecento la città più popolosa d'Europa ed una delle corti più colte e raffinate con i Borbone, ma era abbastanza isolata in campo internazionale ed essendo legata principalmente alla Spagna per ragioni storiche e vincoli dinastici, ne subiva di riflesso il lento declino.
    L'aristocrazia fondiaria, proprietaria di latifondi immensi deteneva il potere nella maniera più conservatrice possibile e non era certamente favorevole ad aperture verso gusti e mode moderne. L'antagonismo tra Francia e Spagna in Italia dovette poi ancora far sentire il suo peso, facendo orientare il regno ad una chiusura nei confronti della Francia a sostegno della Spagna.
    Carlo di Borbone, che cominciava ad aprirsi ad influssi europei e ad avviare alcune riforme, specialmente in campo industriale, dovette in qualche maniera essere influenzato dalla moda, se non proprio per l'adattamento ad essa, almeno per l'interesse che suscitò in lui la produzione di porcellane europea ed il desiderio di dare egli stesso avvio nel suo regno ad un'attività industriale in quel campo.
    Questa iniziativa entrò quindi a far parte di una serie di attività intraprese dal re nel tentativo di dare un impulso di sviluppo industriale al regno, molto arretrato in questo campo rispetto al resto d'Italia e d'Europa.
    La manifattura napoletana esordì in via sperimentale nel 1740 (tre anni dopo l'avvio della produzione a Doccia), in laboratori installati nel giardino del palazzo Reale a Napoli; proseguì compiutamente nella sede definitiva del bosco di Capodimonte, da cui prese il nome. La produzione della manifattura reale non ebbe però una produzione di porcellane influenzata dalle decorazioni con motivi cineseria quantitativamente rilevante che possa essere paragonabile a quella delle altre fabbriche italiane, Doccia, Venezia od europee.
    Il massimo capolavoro della manifattura, che le diede la massima fama internazionale ma che ironicamente ne determinò anche la chiusura, fu dato dalla produzione dai tremila pezzi di porcellana istoriata a rilievo che compongono la decorazione del gabinetto di porcellana di Portici. 22
    Probabilmente l'idea di decorare un ambiente in stile cineseria venne al re per far piacere alla consorte Maria Amalia di Sassonia, nipote di Augusto il Forte, il massimo collezionista europeo di originali cinesi ed uno dei maggiori artefici della diffusione del gusto della cineseria.
    La regina commissionò il salottino per arredare la sala del boudoir del suo appartamento privato nella reggia di Portici. Il boudoir non può essere considerato alla stessa stregua dei 'gabinetti cinesi' che abbiamo finora incontrato ma, piuttosto, un salotto d'uso rigorosamente privato, dove il gusto per le cineserie della committente potesse venir appagato, in maniera più intima, dalle scene che lo decorano.
    Inoltre la peculiarità che maggiormente lo contraddistingue dai contemporanei 'gabinetti cinesi' d'Italia e d'Europa, è data dall'utilizzo della porcellana quale rivestimento delle pareti, piuttosto che le canoniche pannellature di lacche decorate o di parati di carta o tessuto.
    L'ornamentazione del salottino è una summa dell'esperienza iconografica dello stile cineseria: i trofei musicali e le scene figurate sono ispirati da modelli di Watteau e di Boucher; gli elementi plastici a nastro e gli abiti delle figure replicano attentamente il repertorio utilizzato in Europa per i decori di tessuti, parati e porcellane cineseria.
    Un particolare interessante collegato alla committenza del salotto è dato dalle scritte cinesi nei cartigli dei festoni con trofei musicali. La traduzione di uno di questi recita: "A Carlo, che è al primo posto, attualmente regnante, principe magnanimo e preclaro, il Signore elargì fortuna, benedizioni, virtù degna di essere tramandata nel bronzo e nel marmo e fama che si diffonde ovunque. Il suddito venuto da lontano, l'uomo candido della Cina centrale, incise come elogio." 23
    La qualità delle porcellane e l'insieme decorativo fanno del salottino di Portici un esemplare di primaria importanza nel panorama europeo delle cineserie. Il salottino fu trasferito da Portici alla Reggia di Capodimonte nel 1866 con il passaggio delle proprietà dei Borbone alla casa Savoia. 24
    Al figlio di Carlo di Borbone e Maria Amalia di Sassonia si deve invece la Villa la Favorita di Palermo, commissionata nel 1799 per ospitarlo assieme alla moglie Maria Carolina nella fuga da Napoli dovuta all'occupazione napoleonica.
    L'edificio fu concepito sia nel suo impianto architettonico che in quello decorativo per rispondere allo stile cineseria coniugato a quello neoclassico. Il complesso rende un risultato assai piacevole. Nella decorazione delle stanze la cineseria predomina: "la sala da ricevimento al piano nobile è tappezzata con strisce di carta da parati fiorite, di stile cinese alternate a pannelli dove sono dipinte iscrizioni pseudo-cinesi e arabe. Alla prima impressione il soffitto costituisce la nota discorde di questa stanza, perchè sembra in stile pompeiano. Guardando meglio si scopre però che i motivi decorativi non rappresentano senatori romani e templi classici, ma mandarini riccamente vestiti e pagode dai fregi ricercati. Delle diverse altre stanze cineseria, una è dipinta in modo da dare l'illusione di un pergolato foglioso attraverso i rami del quale s'intravede un paesaggio cinese, e la sala da tè ottagonale in cima alla casa ha la forma di una curiosa tenda a strisce con appese originali pitture cinesi. Ma forse la stanza di maggior effetto è la piccola sala da giuoco, sulle cui pareti sono dipinti gruppi di cinesi che esibiscono i loro sontuosi abiti sotto un soffitto di stile pompeiano cineseria."

    nota 13: E' il caso de La schiava cinese e de Le sorelle cinesi di Pietro Chiari, rappresentate nel 1752, come della versione lirica ad opera di Metastasio di un originale del teatro cinese The little orphan of the house of Chao, intitolata l'Eroe cinese, rappresentata nel 1753. Metastasio attinse alla stessa fonte dell'Orphelin de la Chine di Voltaire ma ne trasse una storia d'amore tipicamente italiana. Nel 1761 fu rappresentata la Turandot di Carlo Gozzi, tratta da un'antica favola persiana. La Turandot è l'unico dramma della cineseria settecentesca che sopravvive ancora nel teatro moderno.
    Molte altre opere e commedie teatrali furono scritte con soggetti cineseria, cito fra tutte l'Idolo Cinese di Giambattista Lorenzi musicata poi da Giovanni Paisiello, dato per la prima volta a Napoli nel 1767.

    nota 14: Nel 1340 fu redatto un trattato di mercatura, che ebbe validità e diffusione europea, ad opera del mercante fiorentino Francesco Balducci Pegolotti, agente della Compagnia de' Bardi, nel quale vengono date informazioni sul Catai, dagli itinerari e soste suggerite per raggiungerlo al prezzo della seta alle usanze locali.

    nota 15: L'Occidente non fu in grado di produrre la seta finché alcuni monaci bizantini non contrabbandarono alcune larve di ritorno da un viaggio in Cina nel VI secolo. Costantinopoli fu così in grado di sviluppare una notevole produzione locale e di mantenere l'assoluto monopolio del commercio della seta in Occidente. Nel XII secolo Ruggero II portò a Palermo dei tessitori bizantini, dando un primo colpo al monopolio di Costantinopoli ed avviando di fatto l'industria serica in Italia. Con la conquista di Costantinopoli operata nel 1204 nel corso della IV crociata, e fortemente voluta da Venezia, il monopolio collassò definitivamente e l'industria italiana, e particolarmente quella di Lucca, divenne la più importante fonte di seta per tutto l'Occidente. Per tutto il XII e XIII secolo Lucca produsse ricche stoffe per papi e sovrani; nel XIV secolo Venezia avviò la sua competizione industriale con l'aiuto di tessitori lucchesi e, nel volgere di poco tempo, divenne il maggior centro di produzione, dal punto di vista qualitativo, dell'Occidente. Con l'inizio delle invasioni cinquecentesche per il controllo dell'Italia, l'arte serica si diffuse impetuosamente in Francia, Spagna e Germania; alla fine del XVI secolo il predominio sarebbe passato alla Francia.

    nota 16: Carlo Ginori ebbe una ricca personalità ed uno spiccato senso imprenditoriale; prima di dare avvio alla produzione di porcellane a Doccia introdusse in Toscana la pesca del corallo, l'industria tessile dell'angora basata sull'allevamento di capre appositamente importate. Fu anche notevole studioso e scienziato, approfondendo aspetti dell'acclimatazione di animali e di piante esotiche utili all'agricoltura e, soprattutto, in campo geologico con lo studio ed analisi dei terreni da utilizzare nella produzione della porcellana.

    nota 17: Le fabbriche di porcellana tedesche e francesi si rifacevano all'iconografia in maggior uso per altri tipi di decorazioni, quali le lacche, le carte da parati ed i disegni dei pittori francesi Watteau, Huet, Boucher e Pillement. Si trattava principalmente di elaborazioni europee dei motivi decorativi cinesi, per renderli accettabili ad un vasto mercato. Per Meissen ebbe inoltre molta importanza la collezione di originali cinesi di Augusto il Forte, dalla quale i decoratori poterono attingere idee e motivi iconografici da 'europeizzare'. Anche la produzione di figure di persone od animali a tutto tondo, scarsa nella tradizione cinese (se non per le figure di animali) ebbe derivazione da motivi originali cinesi, principalmente tratti dalle decorazioni di porcellane e lacche, adattati al gusto europeo.

    nota 18: Con le conquiste mongole ed i viaggi dei Polo, che diedero impulso al commercio con l'Oriente, specialmente di Genova e Venezia, il papato e la dinastia Yuan avviarono una considerevole corrispondenza diplomatica. l ritorno da Avignone, la necessità d'imporre il proprio ruolo in Europa, le sconfitte inflitte dai mongoli ai musulmani (Baghdad fu saccheggiata nel 1258) furono alcuni dei moventi politici che portarono a questa attività diplomatica. La caduta della dinastia Yuan, le reiterate minacce arabe al Mediterraneo, i conflitti europei del XV e XVI secolo distolsero l'attenzione del papato dall'Oriente. Ma il Catai non fu dimenticato; già nella metà del Cinquecento Francesco Saverio fu in Cina, dove morì, con la benedizione papale e la missione d'evangelizzare le genti del Regno di Mezzo. La corrispondenza del Saverio del Valignano del Ricci e di tutti i Gesuiti che operarono in Cina nel XVI e XVII secolo ebbe sempre nella curia romana un atte nto e sollecito vag lio anche quando, per ragioni d'interesse politico e di prestigio del re di Francia, la casa madre della missione Gesuita in Cina fu stabilita a Parigi.

    nota 19: La visita del Marigny fu più volte frammezzata di cineserie. Del resto il Marchese era un appassionato sinomane, come la sorella. Durante il periodo d'influenza della Pompadour a corte si ebbe in Francia, e forse in tutta Europa, la massima diffusione e affermazione del gusto e della moda cinesi. Del corteo del Carnevale 1751 rimane ricordo in una tela di Jean Barbault commemorativa della masquerade e della visita del Marigny a Roma.

    nota 20:La festa della Chinea cadeva il 29 di giugno di ogni anno. In quella data veniva consegnata al pontefice una mula bianca, la cosiddetta chinea, da parte del Gran Contestabile del Regno di Napoli, sempre un membro della famiglia Colonna. Si trattava di un gesto simbolico di valenza politica con cui il re di Napoli esprimeva obbedienza e soggezione all'autorità universale del pontefice.
    "Il momento più atteso e più pittoresco di questa popolarissima festa era il passaggio del lungo corteo di dignitari, che accompagnava il principe Colonna, che uscito dal palazzo ai SS. Apostoli raggiungeva la basilica di S. Pietro dove il papa riceveva l'omaggio della mula e di un cofanetto contenente settemila scudi d'oro [....] la festa della chinea si prolungava nella notte. In attesa dei fuochi pirotecnici gli invitati si intrattenevano nel giardino Colonna illuminato a giorno [....] il popolo si aggirava nella piazza [SS. Apostoli dove erano allestite le macchine sceniche], tentando qualche passo di danza o armeggiando attorno alle bancarelle. Poi le girandole di fuoco illuminavano per largo tratto tutta la zona circostante, e gli scoppi dei mortaretti rimbombavano tra la folla ammutolita". Cfr. Riti cerimonie feste e vita di popolo nella Roma dei papi, Bologna, Cappelli, 1970, pp. 249-252. L'omaggio della chinea, e così la festa, fu smesso nel 1787 per l'insofferenza dei sovrani napole tani a doversi sottomettere al pontefice. Il pretesto fu una banale questione di precedenza nel corteo sorta tra il governatore di Roma e l'ambasciatore di Spagna. Il popolo non esitò ad insorgere e tumultuare per la delusione dovuta alla "fine prematura delle feste e delle luminarie che la chinea con dovizia annuale regalava".

    nota 21: Le mascherate 'alla cinese' ebbero diffusione in tutta Italia e si ripeterono per lungo tempo. Un avvenimento interessante da citare in questo ambito si svolse a Colorno in occasione delle feste celebrate nel 1769 per le nozze di Maria Amalia, sorella del Granduca di Toscana Pietro Leopoldo di Lorena, con il duca Ferdinando di Borbone Parma: "Un artistico programma in folio di enormi dimensioni stampato

    da Bodoni e illustrato con incisioni dall'architetto e maestro di cerimonie Ennemond Petitot fu pubblicato per commemorare l'occasione, e ci offre un completo resoconto dei diversi intrattenimenti. [....] Gli invitati alle nozze vennero rallegrati con lo spettacolo di una fiera cinese. Intorno ad una piazza, costruita appositamente per i trattenimenti notturni, erano disposte varie botteghe illuminate da palloncini cinesi e ben fornite di rarità orientali che venivano offerte da giovanotti e ragazze in costum i cinesi. Sulle pan che disposte davant i ai banchi di vendita erano seduti dei fanciulli vestiti da idoli [....] Dopo che gli invitati ebbero avuto agio di visitare questa vivacissima scena, cominciarono a sfilare carovane provenienti dalla Tartaria, dal Giappone, da Giava e dalla stessa Cina, con i portatori vacillanti sotto enormi carichi di merce dalle etichette a caratteri stranieri [....] Dev'essere stato come vedere animarsi all'improvviso un'intera serie di stampe di Pillement."

    nota 22: L'eccezionale bellezza del salottino di Portici ebbe un successo "così clamoroso che Carlo III, salito al trono di Spagna nell'anno in cui venne terminato, fece trasferire gli artefici principali della fabbrica di Capodimonte da Napoli al Buen Retiro presso Madrid, perchè ne eseguissero un altro simile nella residenza reale di Aranjuez." Il salotto di Aranjuez fu iniziato poco dopo il 1760 e terminato verso il 1765. Leggermente più grande di quello di Portici, risultò ancora più bello, specialmente nella decorazione, dove pare abbia preso parte, con dei disegni per le figure, Gian Domenico Tiepolo, reduce dalla decorazione cineseria della villa Valmarana ed impegnato a Madrid dal 1761 al 1770. Il salotto di Aranjuez è la più completa opera cineseria di Spagna, dove risultano esser stati realizzati pochi altri esemplari secondo la voga europea.

    nota 23:La presenza di questa e di altre iscrizioni poetiche dimostra l'interesse di Carlo di Borbone per il Collegio dei Cinesi e per gli allievi del Celeste Impero che lo frequentavano nel 1758. E' possibile che qualcuno di questi abbia indirizzato la scelta dei temi illustrati dalle decorazioni, identificati come l'educazione religiosa impartita dai missionari cinesi alla classe dominante del Regno di Mezzo. L'interesse per questa osservazione deriva dal fatto che non si tratta di missionari europei ma dei primi religiosi cinesi formatisi presso la Congregazione della Sacra Famiglia fondata da Matteo Ripa ed alla quale Carlo di Borbone concesse particolari benefici. Quindi l'impianto iconografico potrebbe esser stato dettato in alcune sue parti per rispondere, con un monumento celebrativo di stile cineseria, in qualche modo ad un intento di elogiativo dell'attività del Collegio dei Cinesi e dei missionari Gesuiti in Cina.

    nota 24: Non fu l'unico trasferimento di camere cinesi operato dai Savoia. Anche il 'gabinetto cinese' attualmente al Quirinale fu smontato e riadattato utilizzando un ambiente realizzato a Torino nel Settecento.


    © del testo Guido Magnoni




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