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Non esistono argomentazioni a favore
di una legge che calpesta la giustizia

Il modello anglosassone che regola senza dare giudizi morali nei fatti si dimostra più etico
del sistema giuridico che è caratteristico dell'Europa continentale e dell'Italia

FRANÇOISE SHENFIELD

er la maggioranza delle persone la riproduzione è una materia importante, per ragioni personali o per la sua rilevanza simbolica nella società, dal momento che è all’origine della sua prima unità, la famiglia. Entrambe le facce della medaglia riproduttiva dovrebbero essere considerate insieme, poiché prevenire una gravidanza indesiderata in molti casi è altrettanto importante che assistere chi desidera un figlio ma non può concepirlo senza l’aiuto medico. La nascita della prima bambina concepita in questo modo 26 anni fa ha significato anche che l’embrione umano poteva essere osservato in vitro. Si è trattato di un progresso rilevante, ma per molti è stata anche una fonte di grave preoccupazione.
Quando una materia è di grande importanza per la società moderna esiste un desiderio diffuso tra i cittadini di essere coinvolti nel processo decisionale, auspicabilmente democratico, che si attiva per definire il necessario quadro normativo. Per stabilire dei limiti alle tecnologie possono essere utilizzati dei codici di pratica professionale, partendo dal presupposto che la società abbia fiducia in una determinata professione e che i membri di quest’ultima rispettino un approccio deontologico. Tuttavia molti avvenimenti, dalla partecipazione di alcuni medici a crimini di guerra e torture agli episodi di falsificazione dei dati registrati nell’ultimo secolo, hanno contribuito ad alimentare un clima di sfiducia tra gli scienziati e la società nel suo complesso. Nel caso in cui c’è bisogno di limiti forti, quindi, una legge rappresenterà meglio i desideri della società, o quelli di una maggioranza di cittadini in seguito al voto di rappresentanti informati. Per questo in molti casi la legge ha preso il posto dei codici di pratica professionale, anche se la situazione è tutt’altro che omogenea in Europa. Ma il processo legislativo può essere facilmente sopraffatto da partiti politici o gruppi di pressione e resta da chiedersi se rappresenti sempre ciò che è giusto da un punto di vista etico. A questa domanda Bernard Dickens, bioeticista dell’Università di Toronto, ha risposto così: «Legge ed etica operano in un’interazione inevitabile l’una con l’altra […] come sistemi differenti di ordinamento normativo […] che a volte coincidono e a volte entrano in conflitto». Il primo concetto importante è quello di approccio sistematico, che implica un filo logico del ragionamento. Poi c’è il verbo coincidere, che presuppone che la legislazione sia impiegata per far rispettare un valore etico. Infine compare il conflitto, quando la legge produce, o peggio impone, un comportamento contrario all’etica. Una legge insomma dovrebbe essere logica e consistente: per esempio il fatto che casi simili vengano giudicati in modo simile è alla base della giurisprudenza. Inoltre dovrebbe proteggere principi fondamentali come libertà o autonomia, prevenire i danni ponendo ostacoli legali. In alcuni casi integra la moderna nozione di diritti umani, implementando i diritti delle minoranze e l’uguaglianza tra i sessi.
Dickens continua: «A prima vista la legge può apparire uno strumento più potente dell’etica, perché le sue disposizioni sono affermate in modo più autorevole e accessibile dal potere politico e dalle corti, sono esposte in modo pubblico e sistematico, sono più applicabili in concreto da parte dei legali e delle forze dell’ordine». E poi prosegue: «Tuttavia la legge […] senza una dimensione etica è nel migliore dei casi rozzamente pragmatica, nel peggiore dei casi totalmente priva di valori, è impoverita nella sua capacità di educare e stimolare […] a distinguere un comportamento corretto da uno sbagliato».


Il principio di libertà

In Europa esistono due approcci principali al sistema legislativo, se si escludono le teocrazie dove la legge è un codice deontologico emanato da un sistema religioso. C’è l’approccio anglosassone o legge naturale, che è basato sulle pratiche abituali all’interno delle comunità di riferimento e dove «la legge e la legislazione in genere sono considerate moralmente neutrali e spesso consentono comportamenti che possono essere ritenuti immorali». Quindi il principio di libertà è fortemente difeso. È consentito fare qualcosa finché non è dimostrato che questo può recare danno ad altri, anche se a volte viene invocato l’interesse pubblico.
Il secondo sistema è quello della legge civile, descritto a volte come legge positiva, che tende a riflettere la tradizione giuridica dell’Europa continentale a partire dal Codice napoleonico del 1804 e colloca tutti i diritti in un codice nazionale che governa tutte le rivendicazioni. Chi reclama un diritto deve prima rispondere alla domanda se quel diritto è contenuto o meno in una norma, poiché non possono esistere diritti al di fuori dell’insieme delle norme. Inoltre i codici continentali spesso sono fortemente influenzati dai valori morali, dal momento che nel corso della storia si sono sviluppati sotto la guida degli insegnamenti religiosi.
Questo sistema può essere soggetto a contraddizioni interne, come dimostrano i problemi che si sono verificati in Francia dove è necessario che sia emanato un decreto di applicazione affinché una legge entri in vigore. La ricerca sugli embrioni è rimasta paralizzata dal 1994 perché il testo affermava che un embrione poteva essere osservato ma non distrutto, e che la ricerca doveva essere di beneficio a quel particolare embrione su cui veniva eseguita. La recente revisione dell’estate 2004 consente la ricerca sulle cellule staminali embrionali, ma la indica ancora come un’eccezione di 5 anni a un bando generalizzato.
Il processo di transizione tra i codici professionali e la legge è ben illustrato da ciò che è accaduto in Gran Bretagna nel campo della riproduzione. Nel luglio del 1982 è stato creato un Committee of Enquiry into Human Fertility and Embriology presieduto da Mary Warnock «per considerare quali politiche e quali tutele dovessero essere applicate, valutando anche le implicazioni sociali, etiche e legali di questi sviluppi, e per formulare dei suggerimenti». Due anni più tardi è stato prodotto il rapporto Warnock, in seguito al quale nel 1985 il Medical Research Council e il Royal College of Obstetricians and Gynaecologists hanno istituito la Voluntary Licensing Agency, che nel 1989 è stata rinominata Interim Licensing Authority per enfatizzarne la natura temporanea. Il voto finale nel 1990 ha stabilito la nascita della Human Fertilization and Embryology Authority per mezzo dell’HFEA Act. La sua funzione è di regolare, abilitare le cliniche, mantenere i registri dei trattamenti consentiti e di tutti i bambini nati, fornire consulenze ai centri, ai donatori e ai pazienti e pubblicare un Code of Practice.


L'imperativo clinico

In Italia, invece, non c’è stata alcuna legge sulla fecondazione assistita fino al febbraio del 2004 e questo ha consentito un’ampia gamma di trattamenti e ricerche, alcuni dei quali sono stati riconosciuti per il loro valore a livello internazionale, mentre altri – come la donazione di ovociti a donne in età avanzata, ben oltre il limite di 50 anni generalmente osservato in Gran Bretagna – hanno destato scalpore e non sempre in chiave positiva.
Ma passiamo a considerare le peggiori conseguenze della legge approvata recentemente. Non affrontiamo in questa sede la questione, a dire il vero assai rilevante, delle promesse della ricerca sulle cellule staminali embrionali e quindi della ricerca sugli embrioni che in Italia è vietata. Concentriamoci invece su quello che per la legge inglese è l’imperativo clinico che riguarda la cura dei pazienti e il benessere dei futuri bambini, e a livello internazionale è il dovere di evitare le gravi complicazioni delle gravidanze multiple, in particolare per i bambini verso i quali abbiamo una responsabilità condivisa. L’articolo 14 della legge afferma che non deve essere creato «un numero di embrioni superiore a quello strettamente necessario a un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre».
Quello che è accaduto in Sicilia è tristemente noto: una donna che ha subito il trasferimento di tre embrioni ha dovuto rivolgersi al giudice per effettuare una riduzione embrionaria. In questo caso, a causa dell’imperativo legale sono stati calpestati diversi principi etici, la sicurezza della paziente, la sicurezza dei nascituri, il rispetto dell’autonomia della paziente che non avrebbe scelto di trasferire tre embrioni su tre se avesse saputo che il trasferimento di due embrioni le garantiva le stesse probabilità di successo ma era più sicuro considerata la sua età. Inoltre sono state violate l’autonomia e la responsabilità personale e professionale di chi ha praticato la fecondazione assistita, poiché non sussiste la possibilità di informare la paziente che il trasferimento dovrebbe essere inferiore a tre – se quello è il numero degli embrioni creati – senza violare la legge. Infine è anche la Giustizia nel senso etico del termine che è stata infranta.
Non esistono argomentazioni, infatti, per difendere una procedura che ha costi maggiori per la società (il trattamento di fecondazione a cui fa seguito la riduzione embrionaria) e soprattutto scarica sulla donna l’enorme fardello personale e psicologico di terminare parzialmente una gravidanza desiderata.
Françoise Shenfield, University College London
Ethics and Law Special Interest Group, European Society for Human Reproduction and Embryology

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