a possibilità di congelare, conservare e poi recuperare gameti
vitali è di estrema importanza in medicina della riproduzione.
Già dai primi esperimenti di Polge
(nota 1) sugli spermatozoi nel 1949 è
apparsa evidente l’importanza del congelamento nella conservazione
della fertilità dell’uomo. Per la donna questa possibilità si è aperta
molto più tardi e per di più solo conservando embrioni. Infatti è del
1983 il primo successo che ha portato alla nascita di un bambino a partire
da un embrione che era stato congelato allo stadio di 8 cellule
(nota 2).
Questo risultato è stato raggiunto grazie a metodiche di fecondazione
assistita che avevano consentito la formazione di embrioni fuori
dal corpo della donna. La necessità di non distruggere ma di poter conservare
gli embrioni in sovrannumero per un utilizzo successivo aveva
spinto i ricercatori a scoprire un metodo di congelamento che consentisse
agli embrioni di essere vitali dopo lo scongelamento. Da allora
migliaia e migliaia di bambini sono nati grazie a questa metodica. Il
congelamento aveva quindi una motivazione ben precisa: aiutare le
coppie che si sottoponevano a trattamenti di fecondazione assistita ad
avere risultati migliori con un unico ciclo di stimolazione. Non poteva
certamente essere pensato come metodo per preservare la fertilità delle
donne. Per formare embrioni infatti sono necessari un uomo e una
donna, quindi sono escluse, ad esempio, tutte le ragazze che chiedono
di conservare la propria fertilità prima di sottoporsi a una chemioterapia
e non hanno un partner stabile con cui formare embrioni da congelare
per il futuro. Solo recentemente si è avuta la nascita di un bambino
dopo congelamento e scongelamento di ovociti umani
(nota 3). Nel giro di
qualche anno sono state descritte altre gravidanze, ma l’efficienza del
metodo si è rivelata più bassa di quella ottenuta con gli embrioni, per
cui il congelamento degli ovociti non è stato molto utilizzato nella pratica
clinica quotidiana. Questa review si occuperà essenzialmente dell’utilizzo
del congelamento di ovociti, ootidi (ovociti allo stadio di due
pronuclei) ed embrioni come supporto a trattamenti di fecondazione
assistita dove l’elevato numero di ovociti prelevati consente di poter utilizzare
gli ovociti stessi, gli ootidi o gli embrioni sovrannumerari in cicli
successivi, senza dover iniziare una nuova terapia di induzione multipla
dell’ovulazione.
Il congelamento degli ovociti consente di superare i problemi legali,
morali ed etici che si pongono con il congelamento degli embrioni. Infatti
la possibilità di congelare i gameti femminili e la loro eventuale
distruzione nel caso si ritenga di non doverli più utilizzare
non comportano particolari problemi. Di contro,
però, i risultati che si ottengono dopo lo scongelamento
sono peggiori rispetto a quelli relativi allo scongelamento
degli embrioni. L’ovocita infatti, per le sue
caratteristiche di cellula grande e con alto contenuto di
acqua, incontra maggiori problemi di sopravvivenza
nei vari passaggi del congelamento e scongelamento.
Inoltre gli ovociti, prelevati dopo stimolazione ovarica,
sono nella metafase della seconda divisione meiotica.
In questa fase i 23 cromosomi sono legati ai microtubuli
del fuso mitotico e pertanto sono molto sensibili
ai cambiamenti di temperatura. L’eventuale depolimerizzazione
dei microtubuli dovuta alle basse temperature
può portare a un’alterata separazione dei cromosomi
al momento della fecondazione e quindi a un aumento
delle aneuploidie. Gli embrioni con aneuploidie
difficilmente si impiantano e danno una gravidanza.
Recentemente abbiamo riportato la nascita di 13
bambini sani dopo congelamento e scongelamento di
ovociti
(nota 4). Questo approccio è stato utilizzato per coppie
che non volevano avere embrioni sovrannumerari, recuperando
tutti gli ovociti presenti dopo stimolazione,
fecondandone solo tre e congelando gli altri. La paziente
aveva perciò fino a un massimo di tre embrioni da
trasferire e, se non otteneva la gravidanza, rimanevano
un certo numero di ovociti congelati da poter utilizzare
successivamente. Dopo l’entrata in vigore della legge
40, questo è quello che possono fare tutte le pazienti.
Se guardiamo i risultati dopo scongelamento, però,
vediamo che solo il 37% degli ovociti sopravviveva
ed era utilizzabile per l’inseminazione. Anche la
percentuale di fecondazione era bassa: solo il 45,4%
degli ovociti veniva fecondato in maniera normale. In
confronto la percentuale di fecondazione di ovociti
freschi nel nostro centro è in media del 65%. Era del
tutto normale, invece, la percentuale di divisione a
embrione: l’86,3%. La tabella 1 illustra come gli embrioni
creati dopo scongelamento di ovociti abbiano
una buona performance una volta trasferiti in utero.
Delle 68 pazienti che abbiamo trattato solo 59 hanno
effettuato il trasferimento di questi embrioni, ottenendo
15 gravidanze con l’impianto di 17 embrioni.
Tre gravidanze sono andate incontro ad aborto e 13
bambini sono nati, di cui 5 maschi e 8 femmine. Le
percentuali di gravidanza per paziente e per trasferimento
sono state rispettivamente del 17% e del
25,4%.
Un calcolo che si usa fare in medicina della riproduzione
per verificare l’efficacia di una tecnica di congelamento
è il calcolo della percentuale di gravidanza
cumulativa. In pratica si analizza un gruppo di donne
che hanno eseguito un trasferimento di embrioni “su
fresco” e o sono rimaste gravide, o hanno scongelato
gli ovociti fino a ottenere una gravidanza o fino a esaurire
gli ovociti congelati. Su 86 pazienti, trattate 24
gravidanze sono state ottenute su fresco con una percentuale
del 27,9%. Le altre donne sono tornate per
scongelare gli ovociti e, in totale, sono state ottenute
altre 14 gravidanze su 75 cicli di scongelamento effettuati,
con una percentuale di gravidanza del 18,6%. Se
andiamo a sommare le gravidanze ottenute su fresco
(24) e quelle ottenute su scongelamento (14), otteniamo
38 gravidanze totali. Considerando che le pazienti
erano 86 si ottiene una percentuale di gravidanza cumulativa
del 44,2%. Questa percentuale è bassa rispetto
a quelle che si possono ottenere cumulativamente
dopo scongelamento degli embrioni, ma molto buona
se si considera che queste pazienti per motivi etico-religiosi
non avrebbero mai accettato di generare più embrioni
di quelli necessari a un unico trasferimento.
Il congelamento degli ootidi
Quando si parla di ootide si intende un ovocita che è
stato fecondato da uno spermatozoo ma presenta i
corredi cromosomici materno e paterno ancora separati.
In pratica non si è ancora verificata la opposizione
sulla piastra metafasica dei due corredi cromosomici
che denota la formazione dello zigote. Si parla di
embrione, invece, quando il processo di fecondazione
è terminato e si è verificata la prima divisione cellulare.
Il congelamento degli ootidi è utilizzato in Germania,
Austria e Svizzera dove la legge sulla protezione
dell’embrione impedisce di congelare a qualsiasi
stadio di divisione. Questa scelta è puramente etica,
perché nell’ootide non si è ancora formato il nuovo
genoma che caratterizza l’embrione. Di conseguenza
nel caso non si dovessero più utilizzare questi ovociti
fecondati, li si potrebbe distruggere senza incorrere
nei problemi di ordine etico che caratterizzano la distruzione
dell’embrione.
La metodica prevede che si scongelino non più di
2 o 3 ootidi per volta, se sopravvivono e danno origine
a 2 o 3 embrioni si procederà al trasferimento, altrimenti
si procederà allo scongelamento di altri ootidi
e così via, fino a ottenere 2 o 3 embrioni da trasferire
in utero. L’ootide ha una migliore resistenza al
congelamento e allo scongelamento e quindi il tasso
di sopravvivenza è più alto rispetto agli ovociti prima
della fecondazione. Questa differenza sembra dovuta
al fatto che nell’ootide non è più presente una struttura
particolarmente delicata, il fuso mitotico, e i cromosomi
sono protetti all’interno di ciascun pronucleo.
In letteratura quasi tutti i lavori che riportano dati sul
congelamento di ootidi dimostrano un’alta percentuale
di sopravvivenza dopo scongelamento, che va
dall’87% al 90%
(note 5,6,7).
Il gruppo di Damario
(nota 7) riporta gli stessi risultati in
termini di sopravvivenza e gravidanza per ootidi ottenuti
con fecondazione in vitro standard (90,4% e
40,6% rispettivamente) e iniezione intracitoplasmatica
dello spermatozoo o Icsi (91,1% e 44,1% rispettivamente).
In Italia è stato recentemente pubblicato
un lavoro di Gangitano
(nota 8) che dimostra come il congelamento
di ovociti allo stadio di due pronuclei sia una
metodica affidabile ed efficace. In 171 cicli effettuati
sono stati scongelati 770 ootidi e trasferiti 657 embrioni
con una sopravvivenza dell’86%. Si sono ottenute
57 gravidanze con 70 embrioni impiantati, con
una percentuale di gravidanza del 35% e di impianto
del 10,6%. In questo studio si comparavano anche i
risultati ottenuti con il congelamento di embrioni allo
stadio di 4-8 cellule e di blastocisti. Le percentuali
di sopravvivenza per le varie metodiche sono risultate
praticamente sovrapponibili mentre la percentuale
di gravidanza era a favore del congelamento degli
ootidi.
Il congelamento degli embrioni
Sebbene la prima gravidanza ottenuta a partire da
embrioni congelati sia del 1983, fino a metà degli anni
‘90 non erano tantissimi i centri che utilizzavano
questa metodica. Si pensi ai risultati della Società di
Medicina della Riproduzione Americana riportati da
Fugger
(nota 9) nel 1989: in 25 centri erano stati congelati
un totale di 4.460 embrioni a 2-8 cellule e 341 blastocisti
con una percentuale media di gravidanza per
trasferimento del 13,4%. Dieci anni dopo, nel 1999,
i risultati riportati dal registro americano erano di
348 centri, con un totale di oltre 12.000 cicli di scongelamento
effettuati e una percentuale di gravidanza
del 24,1%
(nota 10).
Il fatto che il follow-up dei bambini nati
da embrioni scongelati non abbia evidenziato un
aumento di malformazioni o anomalie cromosomiche
ha reso la procedura sempre più utilizzata
(note 11,12). Il
congelamento degli embrioni infatti si è rivelato
estremamente utile in diverse situazioni. In primo
luogo assicura un aumento della percentuale di gravidanza
senza dover ripetere successive stimolazioni
ovariche. In secondo luogo riduce il rischio di gravidanze
multiple poiché consente di trasferire pochi
embrioni – massimo 2 nelle donne al di sotto dei 35
anni e massimo 3 nelle donne oltre i 36 anni – e conservare
gli altri. Infine riduce il rischio di iperstimolazione
ovarica. Infatti se si effettuasse il trasferimento
degli embrioni nelle donne che hanno subito
il prelievo di un elevato numero di ovociti e presentano
un volume ovarico aumentato e si ottenesse la
gravidanza, si avrebbe un’incidenza maggiore di sindrome
da iperstimolazione ovarica.
La possibilità di congelare e conservare gli embrioni, invece, consente
di non procedere al loro trasferimento e di utilizzarli
il mese successivo, quando non c’è più il rischio
di iperstimolazione.
Nella pratica clinica quotidiana, al di fuori dell’Italia
dove la legge non lo consente, si inseminano più
ovociti per ottenere più embrioni tra cui scegliere.
Quelli con la morfologia migliore vengono trasferiti
nel ciclo fresco e quelli con una morfologia accettabile
vengono congelati. In caso di mancata gravidanza è
quindi possibile scongelare questi embrioni e trasferirli
in utero. Tutto questo porta a una percentuale di
gravidanza cumulativa maggiore del singolo trasferimento
di embrioni freschi. I risultati di un nostro studio
ci aiutano a capire quale è il vantaggio di poter
congelare embrioni in termini di gravidanze cumulative
e di riduzione delle gravidanze multiple sulla base
del numero di embrioni trasferiti e dell’età della
donna. La tabella 2 mostra ciò che avviene quando si
trasferiscono 2 o 3 embrioni freschi nei due gruppi di
età. È facilmente intuibile che trasferendo 2 o 3 embrioni
nel gruppo di età 30-35 anni non si ha un aumento
significativo della percentuale di gravidanza
(26,5% contro 32,2%) né di gravidanze gemellari
(22,8% contro 26,4%), mentre aumenta significativamente
la percentuale di gravidanze trigemine (0%
contro 8%). La percentuale di impianto nei due gruppi
è simile a dimostrazione del fatto che gli embrioni
sono di pari qualità nei due gruppi studiati (16,3%
contro 15,7%). Nel gruppo di età 36-40 anni, invece,
trasferendo 2 o 3 embrioni la percentuale di gravidanza
è più bassa nel gruppo con 2 embrioni, mentre la
percentuale di gravidanze gemellari non differisce statisticamente.
In nessuno dei due gruppi si sono verificate
delle gravidanze trigemine.
Quando andiamo a valutare i risultati con gli embrioni
congelati (tabella 3) vediamo che nel gruppo di
età 30-35 anni non vi sono differenze in termini di gravidanze
(24,9% contro 25,8%) e gravidanze gemellari
(10,6% contro 8,1%), mentre anche in questo caso
aumentano le gravidanze trigemellari quando si trasferiscono
3 embrioni (0,6% contro 2%). Nel gruppo
di età 36-40 anni abbiamo percentuali simili nei due
gruppi e, anche con gli embrioni congelati, non si ottengono
gravidanze trigemine. La tabella 4 mostra la
percentuale di gravidanza cumulativa e anche quella
di gravidanze aspettate, cercando di prevedere cosa
può accadere con gli embrioni ancora congelati sulla
base delle percentuali ottenute nei cicli già effettuati.
Come si vede, nel gruppo di età 30-35 anni la percentuale
di gravidanza cumulativa resta simile quando si
trasferiscono 2 o 3 embrioni (44,9% contro 0,3%), così
come simili sono le gravidanze gemellari (17,8%
contro 19,8%), mentre rimane più alta la percentuale
di trigemine quando si trasferiscono 3 embrioni. Nel
gruppo 36-40, invece, la percentuale di gravidanza cumulativa
e aspettata è più bassa nel gruppo con 2 embrioni
trasferiti.
La conclusione che si può trarre da questi dati è
che nelle donne dai 30 ai 35 anni bisogna trasferire 2
embrioni e congelare gli altri, perché così facendo aumenta
la percentuale di gravidanza – dal 26,5% che si
ottiene su fresco, al 44,9% cumulativo dopo gli scongelamenti,
fino addirittura al 55,8% quando si considerano
anche le gravidanze aspettate – e diminuisce
in maniera significativa la probabilità di gravidanze
trigemine, mantenendo la stessa probabilità di gravidanza
cumulativa. Nelle donne dai 36 ai 40 anni invece
si possono trasferire fino a 3 embrioni e congelare
gli altri. Questo consente di aumentare la percentuale
di gravidanza – dal 33,8% al 40,8% dopo scongelamento
fino addirittura al 46,3% quando si considerano
le gravidanze aspettate – e di tenere comunque
bassissima la probabilità di avere gravidanze trigemine.
Inoltre si riduce il rischio di iperstimolazione ovarica
senza diminuire le probabilità di gravidanza. In un
nostro lavoro del 1995 abbiamo dimostrato che, differendo
il trasferimento degli embrioni e congelandoli,
nei casi di elevato rischio di iperstimolazione ovarica
si mantenevano elevate probabilità di gravidanza
dopo scongelamento senza incorrere in casi di iperstimolazione
ovarica severa
(nota 13).
In conclusione il congelamento ha un ruolo fondamentale
in medicina della riproduzione, come
completamento dei trattamenti di fecondazione assistita.
Oggi in Italia la metodica più sperimentata e utilizzata
nel panorama internazionale, il congelamento degli
embrioni, non è più praticabile. Nel nostro paese è
consentito soltanto congelare ovociti, una metodica
molto nuova che non conta più di 100 bambini nati nel
mondo.
L’auspicio è che il congelamento degli embrioni torni a
essere possibile fino al momento in cui quello degli
ovociti non sarà diventata una metodica più utilizzata
e avrà dato vita a diverse migliaia di bambini. In quel
momento è probabile che il congelamento degli ovociti
sarà preferito dai pazienti. Un nostro lavoro
(nota 14)
dimostra infatti che per chi ha già ottenuto una gravidanza
ma ha ancora degli embrioni congelati è difficile
decidere il destino dei propri embrioni. Il 25% delle
coppie lascia che scadano i termini del congelamento
senza assumersi la responsabilità della decisione, solo
il 6% decide di donarli ad altre coppie e il 30% di prorogare
la conservazione. Il congelamento degli ovociti,
ovviamente, solleverebbe i pazienti da queste difficili
decisioni.
Responsabile del centro Tecnobios Procreazione di Bologna e presidente del Centro Studi e Conservazione Ovociti e Sperma Umani (Cecos Italia)