Campagna interventista
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La campagna interventista:  Torino

La fragilità dell'interventismo democratico, il modesto deflusso di socialisti e di anarcosindacalisti, già deboli a Torino, verso l'interventismo nazionalista e mussoliniano tra il 1914 e il1915, e per contrario la presenza di un forte movimento operaio antimilitarista e di un neutralismo liberale e cattolico contraddittorio e ambiguo ma diffuso, spiegano la modesta mobilitazione militante dei nazionalisti a Torino che non sottrae la piazza al movimento di opposizione alla guerra. Il che non esclude però una crescente efficacia del nazionalismo conservatore nel far presa su settori di ceto medio naturalmente restii a praticare in prima persona la lotta di piazza. Lo stanno a dimostrare la tiratura in aumento della Gazzetta, la sconfitta socialista alle elezioni amministrative del giugno 1914, l'elezione del nazionalista Bevione, tutti significativi spostamenti a destra di larga parte degli elettori moderati. La campagna interventista usa tecniche di comunicazione e mobilitazione di chiara derivazione socialista: la conferenza in luogo chiuso di oratori più o meno celebri - Battisti, Tamaro, Richet, Gayda, Vidari, Cian, Sacchetti, Corradino, Foà - in un clima di esaltato entusiasmo e rissa con gli uditori dissenzienti e, a seguire, il corteo nel centro della città con passaggio davanti a luoghi e sedi amiche (il caffè Ligure, ritrovo dei nazionalisti) per raggiungere obbiettivi fisici della manifestazione, nemici (la sede del consolato austriaco, della "Stampa", l'abitazione del sindaco neutralista Rossi) o amici (il consolato serbo, il Comando di corpo d'armata, la "Gazzetta").