Condizioni di vita
Su Torino Manifestazione Uomini e associazioni Campagna interventista Guerra e necessità Febbraio 1915 Prima Guerra Mondiale Mobilitazione patriottica Condizioni di vita Ritratto italiano

 

Condizioni di vita, commercio, politica comunale

Sembra non sia possibile formulare un quadro dettagliato e realistico riguardo l'andamento dei prezzi, dei salari, dei consumi effettuati in città prima di tutto per la mancanza di dati attendibili in relazione al fatto che vi era una guerra in corso (in modo particolare tra il 1917 e il 1918) e poi perché si scatenò una polemica piuttosto accesa e con evidenti implicazioni politiche nel periodo di uno scontro sociale con al centro proprio tali aspetti della vita quotidiana. Entrambi questi fattori rappresentarono un ostacolo e fu molto difficile una corretta analisi della realtà sociale, incomprensibile, infatti, nei termini in cui viene presentata.

E' interessante provare a mettere a confronto le posizioni assunte sul fronte borghese (ad esempio dai nazionalisti, interventisti come le pubblicistiche "La Gazzetta del Popolo", "La Stampa", "Il Movimento") e quelle espresse sul fronte socialista (ad esempio dall' "Avanti", dal "Grido del popolo") per cogliere la "forte impronta moralistica intrisa di valenze politiche" che mostra posizioni tanto contrastanti.

Da una parte prevale il risentimento di ceti piccoli e medio borghese in difficoltà sia materiale che psicologica dovuta a salari troppo alti e consumi troppo elevati in un clima di rinuncia al risparmio, di dissipazione testimoniata dalla diffusione di un "alcolismo intensivo" che gli operai e i lavoratori scialacquavano tranquillamente mentre i loro compagni combattenti rischiavano ogni giorno la loro pelle; dall'altra parte sul versante socialista prevale l'immagine di un mondo operaio affamato, misero, malpagato e quindi sfruttato.

La realtà della vita quotidiana risulta dunque incomprensibile se letta attraverso l'una o l'altra rappresentazione contrapposte come in questo caso.

Nonostante ci siano differenze tra i vari livelli di professione e da settore a settore non si può negare che i salari più alti e il lavoro più diffuso nei nuclei familiari operai offrono più possibilità di star dietro al forte rialzo dei prezzi.

Differente era la condizione dei ceti medi e popolari a reddito fisso, molto più controllabili in un periodo di crescita fiscale.

A proposito del rapporto con il bere e con il vino che era per eccellenza il simbolo del degrado morale operaio, non è proponibile l'immagine di lavoratori puri e astemi. Si beve soprattutto la domenica dopo quasi cento ore di lavoro dei giorni precedenti, si beve per dimenticare, per tradizione, per solidarietà. Si beve il vino che è uno di quei pochi beni alimentari disponibili a quel tempo sul mercato senza problemi grazie alla vicinanza di Torino ai luoghi di produzione.

La situazione è diversa per pane, pasta, zucchero, burro, olio, formaggio. Per questi beni grandi sono le difficoltà di distribuzione a prezzi accettabili per una popolazione sempre più numerosa. Il paese vive nella miseria, nell'arretratezza, a causa dei pochi mezzi disponibili, dell'inefficienza delle istituzioni statali, delle leggi inapplicabili perché molto contraddittorie. Il Comune non ha capacità concreta di risposta in sede locale; non brilla per energia, dinamismo, non presta sostentamento adeguato alle grandi masse popolari: questo perché si trova ad operare in un contesto particolarmente difficile.

La domanda, infatti, supera l'offerta, bisogna far fronte ai bisogni alimentari di una popolazione in crescita e alle esigenze dettate dalla guerra; inoltre si aggiungono provvedimenti governativi come il divieto di esportazione di giorno da una provincia all'altra per dare priorità al trasporto di materiale bellico e di soldati (per quanto riguarda Torino, tale città non può approviggionarsi da altre province nella sua stessa situazione), mentre vengono accordati permessi di esportazione di prodotti nazionali come i latticini (di cui Torino è carente).

Di fronte a queste difficoltà colpisce nel Comune di Torino la Resistenza, prodotto del liberalismo che fa sì che si assumano iniziative di produzione e distribuzione di generi alimentari di prima necessità e si aboliscano le attività private. Si aggrava in tal modo la già grave situazione di fatto.

Le decisioni, continuano ad essere prese in ritardo. Per fare un esempio, si attuò l'adozione del razionamento del pane nel dicembre 1917, quattro mesi dopo i gravi dati dell'agosto e dopo che era stato reso obbligatorio su tutto il territorio nazionale. Questo è solo uno dei tanti esempi ma non stupiscono dato che il Sindaco Rossi dichiarò che: "Senza uno stato di cose eccezionalissime il Comune non deve farsi acquisitore, distributore o fabbricante di generi alimentari di altro consumo ordinario".

La questione del pane e della disponibilità del cibo essenziale all'alimentazione non venne mai risolta durante tutto il periodo della guerra. Se il pane proprio non mancava del tutto era distribuito a prezzi molto alti e a costo di lunghe code durante le ore lavorative, quindi piuttosto scomode per la gran parte dei lavoratori.

Rimanendo in tema del pane curioso è questo fatto: Torino non usufruisce del Consorzio Agrario per la distribuzione del pane e invece di aprire forni propri per far lavorare la farina del Consorzio stabilendo prezzo e qualità del pane venduto, si limita ad aprire alcuni spacci di vendita. Così facendo viene fornito un pane unico chiamato "Torino", con caratteristiche di peso e lavorazione predeterminate dal Municipio. Soluzione che non porta a risultati decisivi ma solo opposizione come da parte dei socialisti che denunciando la scarsa quantità di pane e il suo prezzo superiore rispetto ad altre province piemontesi che vantavano un pane di maggior qualità e minor prezzo.

Altrettanto dure sono le accuse dei socialisti, che vede sempre Gramsci come protagonista dello scontro, ai commercianti torinesi, colpevoli di lavorare senza limiti nella diffusa inosservanza della legislazione di controllo e altrettanto colpevolmente tutelati dalle autorità.

Nella piccola distribuzione (soprattutto in città) la crisi del settore è piuttosto grave: il ceto medio mercantile ha un'immagine indifferente alle sue difficoltà che allontana i commercianti da meccanismi tradizionali.

Rarefazione di merci, riduzione di consumi, richiami alle armi, denunce... questi e altri fattori ancora portano ad una crisi economica ma soprattutto psicologica di un gran numero di operatori di un sistema distributivo già frammentario da risultare inefficiente, e non in grado di reggere alla situazione.

Si scatenarono quindi mobilitazioni da parte di diverse organizzazioni di settore che prevedevano minacce di serrata, chiusure temporanee di negozi, attacchi al Comune, ecc.

Tale protesta si rivela un problema per la Giunta Comunale che si deve misurare con una forte opposizione interna dei Consiglieri vicini in tema di politica annonaria e con le reazioni di segno opposto.

La piccola borghesia a reddito fisso (insegnanti, militari, impiegati, commessi di commercio) in continua difficoltà per il continuo rialzo dei prezzi si vede presentare i commercianti come colpevoli nemici del disagio.

Gli effetti devastanti ed imprevisti della guerra generano disagi e insicurezza, creano contrasti tra gruppi sociali disponibili ad organizzarsi e mobilitarsi e definiscono una società in crescente frammentazione, mettendo a dura prova la realtà di un compatto fronte impegnato a sostegno dello sforzo bellico del paese.

Anche nel Consiglio Comunale si trova una percezione di equilibri che si spezzano, di uno scenario sociale con nuovi contorni ma dagli esiti non ancora definiti soprattutto a partire dagli aspetti più immediati della vita quotidiana come l'alimentazione.

Gli ultimi due anni di guerra, il 1917 e il 1918, quando la popolazione raggiunge il massimo, sono segnati da una riduzione dei consumi soprattutto per beni soggetti a dazio come la carne bovina; mentre per altri beni come pasta, riso, pane mancano dati attendibili. Le carni bovine, suine, pollame, zucchero, olio registrano i cali più pesanti; formaggi e burro subiscono invece cali più lievi. Deteriora  inoltre la qualità dei consumi con gravi rischi di malattie per le fasce più deboli della popolazione, per i bambini e per gli anziani. A tale proposito il Comune istituì cucine municipali per servire pasti caldi a prezzi di costo nei mesi invernali e minestre gratuite o a prezzi modesti. Le cucine vengono sospese nella primavera del 1916; sono riprese nell'aprile 1917 non più soltanto destinate ai profughi ma a tutti coloro che si presume possano trovarsi in difficoltà nell'inverno successivo, primi fra tutti gli impiegati, i salariati di varie aziende pubbliche o private, i pensionati. Si fa strada l'idea di un'emergenza continua destinata a prolungarsi come si prolunga la guerra.

La decisione definitiva, consente nell'inverno 1917-1918 la ripresa delle cucine come unici distributori dislocati in varie zone della città in grado di favorire razioni complete o porzioni separate di minestre, verdure, carne o pesce a prezzo di puro costo.