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Torino tra modernità e arretratezza Torino
è teatro di un dinamismo produttivo senza precedenti che generano
trasformazioni forti e repentine nel profilo socio economico della città,
dall’andamento della popolazione. Alla fine del 1914, secondo le
elaborazioni dell’ufficio comunale, la popolazione presente è stimata in
456440 unità (più di 11375 a confronto dell’anno prima) per crescere a
483046 unità (1915) e 525265 (1916), diminuendo di poco nel 1917 (516864 unità),
tornando ai livelli di due anni prima nel 1918. In realtà la popolazione
effettiva presente è di gran lunga superiore, come confermano i censimenti
dell’ufficio annona nel 1918 che la rivela più numerosa di ben 38000 unità
rispetto alla popolazione di fatto. Tenendo conto dell’incremento di mortalità
(senza calcolare le morti causate direttamente dalla guerra), dei gravi effetti
delle peggiorate condizioni igienico-alimentari e in particolare dell’epidemia
influenzale spagnola nel 1918, la causa fondamentale di crescita della
popolazione va ricercata nell’immigrazione. Un’immigrazione elevata in netta
prevalenza operaia e popolare, contadina e operaia, attratta dalle occasioni
di lavoro, fornite dalla crescita produttiva e dai numerosi richiami alle armi
anche d’operai e dalla possibilità d’esonero dal servizio militare, che
esalta il profilo di Torino gran città industriale. Al luglio 1918 i salariati sono
oltre 185000 di cui almeno 150000 possono essere catalogati tra gli operai di
fabbrica, il doppio del 1913 e pari al 30% della popolazione, di cui un 35%
donne
mentre sono circa 20000, nel 1915, le cucitrici a domicilio impegnate nella
confezione di divise e biancheria per i soldati. Un altro dato interessante è
quello del presidio militare: si può stimare che in media a Torino durante la
guerra quasi un abitante presente su due – bambini, anziani e soldati compresi
– sia salariato e uno su dieci militare, esonerati e richiamati esclusi Altrettanto difficile è
quantificare con precisione la partecipazione diretta di militari torinesi alle
operazioni di guerra per la mancanza d’adeguati rilevamenti oltre che per il
possibile lievitare dei dati a seguito della necessità di sfatare l’immagine
neutralista e pacifista della città. Quando nell’immediato dopoguerra,
l’ufficio leva del Comune tenta di valutare il contingente torinese,
n’emerge un dato imponente, intorno ai 100000 uomini, esclusi i volontari, gli
ufficiali e i marinai. La valutazione è il risultato di un calcolo che somma ai
circa 15000 militari arruolati iscritti delle classi 1874-94 altri 15000 per le
classi 1875-1900 e 10000 arruolati per le leve 1874-1900 a seguito di visita di
controllo. A questi 40000 arruolati iscritti nelle liste di leva del Comune ne
sono aggiunti meno di 60000 iscritti nelle liste calcolati nella proporzione di
due ad uno in base al numero delle famiglie sussidiate, tanto numerose da
suscitare la “meraviglia” del ministero per l’Assistenza militare a causa
dell’elevato ammontare della spesa per il sussidio statale. Sembra difficile sostenere che
il forza-lavoro industriale a Torino sia stato esonerato dal servizio militare
“per la quasi totalità”. Nel 1915 soprattutto le imprese piccole e medie e,
sebbene in minor misura, le grandi vedono una parte significativa delle
maestranze anche operaie chiamata per la leva o richiamata in servizio militare,
come confermano un’inchiesta del Comune e la direzione della FIAT che fa
esplicito riferimento al ”richiamo alle armi di molti veri operai fatto nel
primo semestre 1915”. Se la diretta partecipazione
operaia alle operazioni di guerra non va trascurata neppure può essere oggetto
di un altrettanto strumentale sopravvalutazione. Pare fuor di dubbio che
accanto ai contadini siano stati i ceti medi e popolari non tutelati
dall’esonero a pagare il prezzo in risorse umane cedute alla guerra più
gravoso a partire dagli stessi impiegati nelle aziende industriali. Sempre alla
FIAT, la direzione nota come “il personale contabile d’ officina, di
magazzino, d’ amministrazione non essendo stato dichiarato esonerato dalla
chiamata alle armi che in casi rarissimi, si può dire che tutto l’ antico
personale dell’ anno 1914 è scomparso dall’ officina“ Anche con riferimento al
personale d’enti pubblici non va trascurata la particolare composizione degli
occupati di alcuni tra questi enti, dove la presenza operaia è talvolta non
trascurabile, e il numero d’operai richiamati in servizio non si rivela tanto
inferiore a quello impiegatizio se calcolato in termini percentuali. E’ il
caso del Comune di Torino. A fine 1916 su 4136 dipendenti comunali maschi
compresi i rimpiazzi (le femmine sono 1404) i richiamati alle armi ammontano a
1239 pari al 30% circa, di cui 917 impiegati e 322 operai pari al 32% e al 23%
d’impiegati e operai in servizio. Di là dalle incertezze nel
calcolo e nei rilevamenti coevi e pur scontando un possibile circa volontario
rigonfiamento dei dati, il contingente dei militari torinesi in guerra sembra
rilevante, o in ogni modo tale da contestare interesse valutazioni di segno
contrario tesero a dimostrare il volto di una città imboscata, quasi esente dai
gravami di una guerra vissuta solo da lontano, con distacco e insensibilità, al
riparo dai costi più pesanti, quelli delle vittime. Se si guarda invece alla
manodopera impegnata nell’industria si scopre una realtà sociale quanto mai
articolata, per sesso e per età, con il diffuso impiego di forza-lavoro
minorile e anziana; per provenienza sociale e per provenienza regionale ed
etnica. Torino si presenta come un
variegato crocevia umano di confuso e disordinato crogiolo sociale, si offre
agli occhi dei contemporanei come un organismo in continuo e rapido movimento
per la particolare animazione della vita quotidiana nei suoi aspetti diversi. Un “immenso cantiere” è
l’ altra immagine prevalente di Torino in guerra che trova conferma oltre
che nei dati a disposizione, a partire da quelli sui volumi delle costruzioni
industriali desunti dai progetti approvati pari a 279018 metri cubi nel 1914,
345278 (1915),1527609(1916), 682902 (1917) e 966009 nel 1918, mentre al
contrario le costruzioni civili ristagnano aggravando il già pesante affollamento
nelle abitazioni. Nelle fabbriche, gli stabilimenti si ampliano, se ne
costruiscono di nuovi, si moltiplicano le officine, i laboratori, le boite
nei cortili delle case e anche in casa si lavora a tagliare e cucire panni,
tessuti, pellami. Città industriale giovane
questa Torino, la Torino della Prima guerra mondiale, formatasi già
attraverso ingenti flussi migratori concentrati nel tempo se tra il 1901 e il
1911 la popolazione presente è cresciuta di ben il 27,4%, da 335656 a 427733
abitanti, con aumento interamente dovuto al saldo migratorio. E’ in questa
fase che nascono e rapidamente ingrossano le barriere operaie, gli agglomerati
suburbani a forte popolazione operaia, così chiamati perché in vicinanza
delle porte in entrata alla città, a essere investite dalla crescita maggiore
sono soprattutto le frazioni nord, di tradizionale insediamento industriale, e
ovest , dove si insedia la nuova industria meccanica. Al 1914 sono a nord, lungo il
semicerchio della Dora e dei canali, le sezioni (Vanchiglia, Aurora, San Donato)
di primo e ancora più forte profilo industriale basato sulla presenza di
stabilimenti tessili, siderurgici, meccanici, chimici di non contemporanea
localizzazione accanto alle tradizionali attività artigianali e in una zona
costituita dalle sezioni Lucento, Madonna di Campagna, Bertolla, con borghi
separati e distinti dalla cinta, si sono insediati alcuni stabilimenti di
diversa produzione ma di più grandi dimensioni. A sud-ovest si colloca invece
l’area di sviluppo recente (Valentino, Nizza, Crocetta e San Paolo) dove si
concentra la nuova industria meccanica articolata su grandi impianti e piccole
officine operanti nell’indotto. Durante la guerra è proprio questa zona ad
accogliere il grosso dei nuovi stabilimenti, come avviene nell’area esterna
della zona nord. Le barriere (Milano, Nizza,
Casale) e i borghi operai (Vittoria, San Paolo, San Donato, Po, San Salvario,
San Secondo, Regio Parco) sono per buona parte separati dal centro, cui si
collega con insufficienti linee tranviarie e questa separazione si traduce in un
isolamento favorevole all’associazionismo di quartiere legato al Partito
socialista e al facile innescarsi di nuove socialità.
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