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Continuare a dire ai giovani che viviamo in un inferno
può rovinare la loro vita per sempre, li si può
addirittura
uccidere. I sovietici non lo fanno (e questa è forse l'unica
cosa che possiamo imparare da loro).
K. Popper
Non c'è bisogno di essere
dei grandi e stimati filosofi per dire delle sciocchezze. Ma qualche
volta aiuta. Nel caso in questione il grande e stimato è
nientemeno che Sir Karl Popper. Famoso epistemologo che ha fatto
dannare generazioni di filosofi con il suo "principio di
falsificabilità" - secondo cui si può ritenere
"scientifica" una teoria solo se essa prevede la possibilità
di essere smentita empiricamente - all'occasione, si è
occupato anche di politica, morale e costume. Fondamentalmente
liberale, arrivò al gesto rivoluzionario di tuonare contro
la televisione e richiedere una regolamentazione che ne impedisse
gli eccessi, al grido springfieldiano di: "pensate ai bambini!".(1)
Era un liberale critico, insomma. Più o meno come era un
razionalista "critico" e, presumibilmente, uno scientista
"critico" e un positivista "critico". Non
amava, infatti, le tinte forti quando si descriveva il suo pensiero
e la sua persona, e ci teneva ai distinguo; non fosse mai che
qualcuno avesse a confonderlo con quegli ingenuotti del Circolo
di Vienna. Peccato però che quando si trattava del pensiero
degli altri non usasse andare troppo per il sottile. Quel filosofo?
Un "hegeliano"! La dialettica? Puro "storicismo"!
etc.
Come Adorno trasse molte più verità su Heidegger
da uno scritto "minore" (2)
in cui traspariva tutta la provincialità e il kitsch che
il "grande filosofo" era riuscito a tenere a freno nel
linguaggio astruso ed ermetico dei suoi libri, così potrebbe
risultare istruttivo vedere cosa uno scientista critico ha avuto
da dire sulla figura e il pensiero di Adorno - l'avversario più
terribile al tempo della "disputa sul positivismo" negli
anni 60 (3)
- in occasione di un simposio sulla Scuola di Francoforte. E ciò
perché a differenza di Heidegger o Popper che, quando non
esercitano il mestiere del filosofo, si sbottonano rivelando le
maglie grosse dei loro sistemi, per Adorno un libro, o un qualunque
scritto o intervento di secondaria importanza, erano sempre espressioni
dirette della sua personalità e dovevano rispecchiarla
integralmente. Non c'era alcuna posa negli scritti "ufficiali",
così non poteva esserci nessun cedimento teorico
in quelli "marginali". Questo era il suo modo di
testimoniare e lottare contro gli effetti nefasti della parcellizzazione
del lavoro scientifico. È interessante notare, al contrario,
come la sottigliezza e l'acutezza dimostrate quando ci si occupa
di "induzione" e "verificazione", possano
svanire improvvisamente quando i temi escono dall'ambito specialistico
della ricerca epistemologica e diventano di interesse generale:
l'arte, la filosofia, la politica. Potrà sembrare ingiustificato,
pretestuoso, esagerato; ma servirà almeno a ricordare un
insegnamento prezioso di Adorno che qui non è stato ascoltato:
le parole hanno un peso .
Da bravo filosofo della scienza, Popper non si fa sfuggire l'occasione
di lanciarsi in schemi e suddivisioni. "La maggior parte
dei libri di Adorno possono essere suddivisi in tre categorie.
Il primo gruppo raccoglie i suoi lavori sulla musica, la letteratura
e la cultura - e tutti questi non sono di mio gusto. A leggerli
sembrano imitazioni di Karl Kraus, ma sono brutte imitazioni,
perché gli manca del tutto il senso dell'umorismo di Kraus".
(4)
Definire i libri di Adorno delle "imitazioni di Karl Kraus"
è davvero scorretto. Non solo perché lo stesso Adorno
non fece mai mistero della propria profonda ammirazione per Kraus,
ma - ciò che più conta - perché egli affermò
di voler sottrarre la sua critica all'accusa di "idiosincrasia"
e "irrilevanza" che gli venivano rivolte (cosa che qui,
anche se Popper non lo dice, è ancora data per scontata).
Adorno vide nello stile di Kraus una possibilità di salvare
l'esperienza individuale come rivelatrice di una realtà
sociale che trascende l'individuo. L'idiosincrasia dello stile
di Kraus doveva diventare, per Adorno, attenzione micrologica,
un metodo per gettare luce sull'intero contesto sociale a partire
dal singolo che, incastonato in quel contesto, ne viene attraversato
costantemente. Per questo le reazioni del soggetto non rimangono
estranee a quelle dinamiche, non rimangono qualcosa di isolato
e casuale, ma è possibile, assecondandole, dischiudere
la totalità in cui il soggetto è immerso. Adorno
vide in Kraus (come in Benjamin) un pensiero che faceva del soggetto
lo scenario in cui si giocavano e, soprattutto, si rivelavano
tendenze sociali. L'importanza "teoretica" di Adorno
per Kraus testimonia molto più di un'ammirazione e di un
desiderio di emulazione. È il tentativo di fornire alle
analisi sociologiche di matrice positivista un correttivo, guardando
al modo in cui Kraus partendo da elementi apparentementi parziali
e casuali (un titolo di giornale, un modo di dire, un fatto isolato),
offriva squarci teorici e ipotesi che gettavano luce non solo
sul singolo elemento analizzato ma sul modo in cui questo elemento
si ricollegava a tendenze generali della società nel suo
complesso. Poiché Popper è stato uno dei campioni
di quel positivismo sociologico che scinde astrattamente individuo
e società e che riduce i "fatti sociali" a ciò
che è quantitativamente determinabile, non riesce a vedere
in Kraus niente di più di uno scrittore che si può
imitare ma su cui non è lecito riflettere davvero con interesse
teorico. Avendo già a priori escluso che Kraus abbia veramente
qualcosa da dire, il fatto che Adorno lo prenda sul serio vuol
dire che non ha "senso dell'umorismo".
Leggere questi libri, dunque, non lo ha sicuramente messo di buon
umore: "questo tipo di scritti li ho letti quando stavo a
Vienna e li ho decisamente respinti. Li considero snobbismo culturale,
portato avanti da un gruppo che si considera un'elite culturale,
e i cui pensieri sono contrassegnati da irrilevanza sociale".(5)
La Vienna di cui parla Popper è la Vienna di Freud, di
Schönberg, di Kandinsky etc. Come ha rifiutato la psicoanalisi
(6),
non sembra che Popper possa fare a meno di opporsi anche al modernismo
estetico che dovrà apparirgli in blocco qualcosa di troppo
snob ed elitario. Non è molto chiaro che cosa si intenda
qui per "snobbismo culturale", certo è che la
sua controparte - l'antintelletualismo - lo accompagna da sempre
come un'ombra. Dalla nascita dei mezzi di comunicazione di massa,
si è affermata la consuetudine di bollare come "reazionari"
ed "elitari" tutti quelli che hanno tentato una critica
del loro uso come strumenti di indottrinamento ideologico e istupidimento
collettivo. Non per nulla uno dei primi a coniugare apologia dei
nuovi mezzi, vivace antiintellettualismo e rifiuto dell'avanguardia
fu proprio Goebbels. Un paragone simile potrebbe sembrare ingiustificato
e violento. Non minore tuttavia è la violenza mostrata
da Popper quando giudica irrilevante il valore di un pensiero
se questo è segnato da "irrilevanza sociale",
cioè quando - detto in soldoni - il collettivo schiaccia
con la propria forza d'inerzia il dissenso del singolo. Schierandosi
con la maggioranza, facendosi forte di questa protezione, Popper
può tranquillamente eludere il confronto con l'esperienza
di chi non canta col coro; e questo è proprio quel fenomeno
che Adorno ha cercato di analizzare mettendo in mostra quanto
ci sia di "regressivo" in quest'atteggiamento di immediata
identificazione con la "normalità" e di reverenza
alla communis opinio . Non fa mistero che Popper si sia
ritirato indignato di fronte a qualcosa che probabilmente non
gli doveva apparire del tutto estraneo e che forse lo metteva
a disagio. Le indagini di Adorno in questo campo, si concentrarono
su ciò che lui ed Horkheimer chiamarono "industria
culturale", termine che essi sostituirono a "cultura
di massa" proprio per sottolinearne gli aspetti gestiti "dall'alto",
manipolatori, contrariamente all'immagine che solitamente ci si
fa della cultura di massa come luogo di creazione di una cultura
antielitaria, costruita "dal basso": una cultura delle
masse per le masse. Che l'industria culturale producesse cultura
per le masse, Adorno e Horkheimer lo riconoscevano ampiamente.
Che questa cultura fosse anche un prodotto delle masse,
non l'avrebbero mai concesso.(7)
E occorre dire che all'epoca in cui l'orizzonte era dominato da
Hollywood, dal jazz commerciale e dalle riviste patinate, prima,
insomma, di quell'evento epocale che fu la controcultura
degli anni 50-60, non si vede come si possa dare loro torto.(8)
Una parvenza di democrazia alimenta il mito di questa presunta
"volontà generale", che si riduce invece il più
delle volte a riflesso condizionato, plebiscito, supina accettazione.
Per il sociologo positivista che riconosce solo la legge dei grandi
numeri, la possibilità che una minoranza possa aver ragione,
non è ventilabile. Popper non poteva quindi non avvallare
ciò, nonostante uno dei suoi principali desideri, come
ribadisce più avanti, fosse proprio quello di "aumentare
la libertà del singolo". Solo più tardi, come
altri precoci e acritici apologeti della cultura di massa - leggi:
Umberto Eco (9)
- dovette rivedere il proprio giudizio e rendersi conto che l'aspetto
manipolatore c'è, è mostruoso e non è aggirabile
a parole. L'errore prospettico in cui cade ogni discorso che si
arresta alla superficie dei concetti di "massa" e "individuo",
"popolare" ed "elitario", è quello
di attribuire alla massa un'esistenza in sé e dei valori,
dei contenuti immutabili, ontologici. Vero è che Adorno
ed Horkheimer, sottolineando l'aspetto manipolatorio dell'industria
culturale, tendevano ad escludere ogni possibilità di creare
una cultura effettivamente popolare e il loro disfattismo, benché
lucido e intransigente, si mostrò, alla lunga, oggettivamente
controproducente. Da questo punto di vista, ma solo da
questo, aveva ragione Eco a parlare di Apocalittici e Integrati.(10)
La controcultura ha dato il ben servito ad entrambi. Se The
Piper at the gates of dawn mostra quanto elitario e intellettuale
possa essere un prodotto di massa (11),
We're only in it for the money , pubblicato da Zappa in
piena epoca flower-power , dimostra quanto un prodotto
di massa possa ospitare una critica spietata al sistema dello
show-business.(12)
Se non ci si abbevera alla linfa di tali esperienze, la "massa"
diventa un concetto astratto, quantitativo, privo di dinamiche
storiche e, dunque, fasullo e ideologico, erede suo malgrado di
una visione antigiacobina, leboniana della "massa" come
agente acefalo, amorfo, incontrollabile (e dunque, con inferenza
sottintesa: "immorale"). Ciò che rimane vero
e innegabile nelle analisi di Adorno e Horkheimer è la
capacità dell'industria culturale di assorbire i fermenti
e incanalarli all'interno di routine "rassicuranti",
ripetizioni "normalizzanti", di ammorbidirne il contenuto
sovversivo.
Il motivo per cui Popper non riuscì a capire le analisi
adorniane dell'industria culturale è senza dubbio la sua
allergia alla storia. O, meglio, la sua allergia a ciò
che lui chiamava "storicismo" e che gli impedì
di riconoscere che determinati fenomeni (come il capitalismo e
la democrazia liberale, l'impresa scientifica o la cultura di
massa) vanno compresi storicamente, altrimenti non li si comprende
affatto. Non potendo fare a meno di naturalizzare e ontologizzare
in categorie gli oggetti del pensiero, la filosofia di Adorno
che pretendeva di ridestare alla coscienza la genesi storica di
quei fenomeni, doveva sembrargli pura follia. "La seconda
categoria include scritti sulla gnoseologia e la filosofia. Per
me sono quel genere di cose che si potrebbe caratterizzare come
'abracadabra'. Naturalmente Adorno era hegeliano e marxiano, e
io respingo entrambe le cose, soprattutto l'hegelismo. Ho un gran
rispetto per Marx poiché, come pensatore, si impegnò
e si batté attivamente per un mondo migliore, benché,
naturalmente, su molti e decisivi punti non concordi con lui e
abbia criticato le sue teorie. Marx non è certo facile
da comprendere e tuttavia egli si è sempre appoggiato alla
comprensibilità. Perché aveva qualcosa da dire.
E per questo voleva anche essere compreso dalla gente. Cosa che
Adorno non fa, per cui in realtà non posso dire se la sua
filosofia è buona o cattiva. Sebbene mi ci sia messo con
tutta la buona volontà a cercare di capirla, mi pare che
si tratti sempre (o quasi sempre) di retorica. Sembra che egli
non abbia niente da dire e che lo dica in linguaggio hegeliano".(13)
Poiché afferma, e c'è da credergli, che i libri
di Adorno non li ha capiti, vuol dire che non c'è scritto
niente: "Se si considera filosoficamente il pessimismo di
Adorno, il suo contenuto filosofico è zero".(14)
Affermare di non capire qualcosa non dimostra certo che quel qualcosa
non abbia senso, e dunque la questione viene ridotta al un giudizio
di valore: se Adorno abbia voluto farsi capire o meno.
Questo un giudizio di valore, tuttavia, può essere riformulato,
per ovvia conseguenza, in quello complementare: se Popper
abbia voluto capire o meno ciò che leggeva. Rispetto
a questa formulazione, continuo a trovare molto più probabile
e verosimile la seconda ipotesi. Ma poiché Popper stesso,
come tutti i positivisti, sposta la questione dal piano teorico
a quello morale, non è possibile falsificare né
questo assunto né il suo opposto. Un dato però rimane
innegabile. Esattamente come nell'analisi sulla cultura di massa,
anche qui la filosofia di Adorno presenta un vantaggio rispetto
a quella di Popper: non presuppone il significato dei termini
che usa, ma li sottopone a critica e cerca di penetrarne il significato
posizionale all'interno del linguaggio filosofico e di quello
comune.(15)
In Adorno sappiamo cosa significa o, entro date condizioni, cosa
può significare "retorica". In Popper, no. Mentre
Adorno, marxianamente, si pose il problema della rilevanza dell'esposizione,
della Darstellung , per il contenuto in filosofia, e pose
questo problema al centro della sua riflessione, l'uso che Popper
fa del termine è acritico, e privo di reale contenuto.
E parliamo di contenuto "teorico" poiché è
chiaro ciò che il termine vuol dire comunemente, ma non
è detto che questo uso possa estendersi automaticamente
al linguaggio della filosofia. Se, infatti, parlando del valore
teorico di un pensiero, mi propongo di bollarlo come mera "retorica",
il termine assume ipso facto una valenza teorica, una rilevanza
che andrebbe giustificata e chiarita, invece di lasciarla a se
stessa. L'assunto implicito è, infatti, la separazione
violenta e assoluta tra forma e contenuto del linguaggio filosofico,
una separazione che Adorno criticò aspramente e che costituisce
proprio il nodo del contendere con il positivismo. Egli disse
che il positivismo astraendo dalla realtà del linguaggio
e dal suo modo di funzionamento immanente, riduceva le parole
a fiches , segni convenzionali, interscambiabili a piacere.
Il linguaggio artificiale così prodotto poteva senz'altro
prestarsi alla semplificazione, catalogazione e manipolazione
della realtà, poteva senz'altro rivelarsi utile
alla costruzione di un metodo scientifico, ma non diventava per
questo più vero ; semplicemente, si limitava a ridurre
arbitrariamente il proprio oggetto alle proprie necessità.
Il problema - da qui la disputa sulla sociologia positivista degli
anni 60 - sorgeva quando questo metodo veniva applicato in maniera
irriflessivo alla sociologia, trasformando il suo oggetto - la
società - in un qualcosa di statico e astorico, impedendo
già a livello di elaborazione linguistica, la formulazione
di qualsiasi contenuto critico. Un linguaggio purgato dall'imperfezione
della forma ci rimanda, come per incanto, una realtà anch'essa
purgata dall'errore, perfetta, neutra. Smascherando la scissione
tra forma e contenuto dell'espressione, Adorno puntò l'indice
su un implicito tentativo di censura ideologica. Il fatto che
Adorno si sia impegnato con il problema stesso dell'espressione,
invece di occuparsi solo della "chiarezza dell'espressione",
è un reato filosofico imperdonabile. Per questo Popper
lo dipinge a tinte fosche : "Adorno contrasta in
modo consapevole la chiarezza dell'espressione. Da qualche parte
annota addirittura, plaudendo, il fatto che il filosofo tedesco
Max Scheler avesse voluto 'più oscurità' - un riferimento
alle ultime parole di Goethe che, al contrario, desiderava 'più
luce'. È difficile capire che un marxista come Adorno potesse
considerare positiva la richiesta di 'più oscurità'.
Marx era sicuramente per l'illuminismo. Tuttavia Adorno, insieme
con Horkheimer, ha scritto un libro intitolato Dialettica dell'illuminismo
in cui si cerca di mostrare che le idee dell'illuminismo grazie
alle loro interne contraddizioni conducono alla tenebra, quella
tenebra in cui ci troveremmo oggi. Questa è naturalmente
un'idea hegeliana. E tuttavia rimane un'enigma come un socialista
o un marxista o un umanista come Adorno potesse rifarsi a tali
concezioni romantiche e sostituire il principio 'più luce'
con 'più oscurità' ".(16)
Sorge il sospetto che questo ritratto di Adorno sia carico di
risentimento per quanto è deformante, sfuocato e inattendibile;
il risentimento, si sa, non si sposa bene con la chiarezza concettuale
e la precisione dell'espressione. E il testo di Popper è
un vero colabrodo, a cominciare dall'affermazione affrettata e
capziosa secondo cui "Marx era sicuramente per l'illuminismo".
Certo che lo era, ma ne riconosceva al tempo stesso la posizione
storica e l'origine di classe come elementi propulsori del suo
valore universale, progressivo. Avendo Popper soppresso i primi
due momenti, ogni critica all'illuminismo gli appare una critica
all'universalismo e al progresso in quanto tale. Quanto questo
poco si adatti al pensiero di Adorno lo sanno tutti quelli che
i suoi libri hanno voluto capirli, oltre che leggerli. La Dialettica
dell'illuminismo , ci dice quindi Popper, sottenderebbe una
qualche "idea hegeliana". Se sia la tesi del rovesciamento
dell'illuminismo in mito ad essere hegeliana (falso) oppure se
sia la concezione dello sviluppo storico sottesa a quella tesi
(falsissimo), qui Popper non lo dice. Che però si tratti
- "naturalmente" - di qualcosa di hegeliano è
certo. Ancora più bizzarro il modo in cui, con affettato
tono di stupore, Popper rinfaccia ad Adorno di aver coltivato
idee "romantiche" nonostante fosse "un socialista
o un marxista o un umanista". L'aggettivazione scomposta
ed dilettantesca può avere diverse origini e si potrebbe
tentare di giustificarla addossando la colpa ad Adorno: senz'altro
la sua nota ambiguità politica non lo rende facilmente
"etichettabile". Ma se si guarda un po' più a
fondo alla cosa, appare evidente che questo modo di affrontare
la questione concede un po' troppo a Popper. In fondo, se risulta
così difficile etichettare Adorno, la colpa è forse
proprio della vaghezza delle etichette che si vogliono
usare e, ancor di più , del bisogno stesso (per
Popper evidentemente insopprimibile) di etichettare politicamente
il pensiero. Curioso. Mentre di fatto la comprensibilità
o meno di un testo viene misurata sull'onestà e il desiderio
di farsi capire di chi scrive - e, dunque, si riduce a un giudizio
morale -, il metodo scientista sbandiera costantemente la propria
avalutatività, la propria neutralità rispetto alla
sfera economico-politica, la presunta libertà con cui si
muove in una zona ideale "al di sopra delle parti".
Ma si tratta di una autorappresentazione affatto ideologica. Anzitutto,
anche qui Adorno mostra di aver agito con più acume critico
di Popper, riflettendo sul concetto di "valore" e rifiutandone
l'ipostatizzazione. La posizione di Adorno non era affatto (solo)
segnata da ambiguità politica, ma rispecchiava il suo rifiuto
di aderire al dogma liberale secondo cui ci sono dei valori che
l'individuo sceglie, come fossero delle merci. Tale rappresentazione
non solo presuppone un'esistenza eterna dei valori, ma recide
ogni nesso tra teoria e valore, rendendoli entità incommensurabili:
esangue e passiva la prima, sanguigno e pragmatico il secondo.
Ma, ricorda Adorno, né l'esistenza di determinati valori
è eterna, né il loro sorgere è indipendente
dalla teoria. Poiché Popper non riuscì a vedere
il nesso, è probabile che si abbia a che fare con qualcosa
di "hegeliano". Infatti il rapporto tra i due è
sempre mediato storicamente. La richiesta di una diminuzione della
sofferenza e ingiustizia planetaria è stata resa possibile
solo dal raggiungimento di un determinato stadio produttivo che
trasformava quella richiesta in una possibilità concreta
per la teoria e dunque in qualcosa di praticabile. La teoria non
ha fatto che riflettere questo fatto. Solo dopo tale richiesta
si cristallizza in un valore su cui si esercita un mero diritto
di scelta.(17)
Poiché Popper e la sociologia di matrice positivista consideravano
il concetto di "avalutatività" uno dei principi
ineludibili della scienza sociale, ogni posizione teorica che
sembrava incamerare una qualche forma di valore era bollata in
anticipo come antiscientifica. Etichettare politicamente un pensiero
diventa un modo comodo di sottrarsi al suo pungolo critico. "Naturalmente",
la naturalizzazione e ontologizazzione acritica delle categorie
e la pretesa di muoversi in una zona di candida "avalutatività"
non potrebbero coincidere se non si presupponesse un'idea dell'uomo
astorica, anch'essa naturale. E questo è proprio il nocciolo
dell'ideologia liberale e borghese che Popper presuppone e porta
avanti sottilmente in sede epistemologica, politico-filosofica
ed estetica. Un presupposto tanto più pericoloso e violento
in quanto pretende mascherarsi da "buon senso", di appoggiarsi
all'evidenza etc. Ovvio che chiunque non si trovi d'accordo con
Popper o è un pazzo o è in malafede.
Le idee più esplicitamente politiche di Popper sul mondo
contemporaneo rivelano i suoi pregiudizi in modo fin troppo ingenuo.
Qui Popper concede addirittura qualcosa ad Adorno, ma non senza
distorcerne ancora strumentalmente il pensiero: "infine c'è
una terza categoria di scritti. I lavori che appartengono a questa
categoria sono principalmente lamenti sul tempo che viviamo. Qualcuno
di questi è interessante e addirittura toccante. Questi
scritti sono espressioni immediate della sua angoscia, come lui
stesso la chiamò, e della sua profonda depressione. Dopo
che Hitler giunse al potere - un evento tra l'altro che per sua
stessa ammissione politcamente lo colpì - disperò
dell'umanità e abbandonò la sua fede nelle soluzioni
offerte dal vangelo marxista. Il tono di questi saggi è
un tono di estrema disperazione, un tono tragico, che cerca di
muovere alla pietà".(18)
Poiché, per Popper, non rifiutare in blocco il pensiero
di Marx vuol dire credere al "vangelo marxista", Adorno
- che su Marx riflettè non meno "criticamente"
di Popper - diventa un pericoloso bolscevico convertitosi poi
alla rassegnazione, anche quando la sua estrema sensibilità
(su cui tanto insiste Popper) e il solidale slancio utopico (su
cui Popper invece tace) rendono chiaramente risibile questa immagine.
Qui si presuppone evidentemente l'interpretazione, avvallata anche
da Habermas, secondo cui la Scuola di Francoforte avrebbe perso,
o reciso ogni rapporto con l'interlocutore storico di ogni pensiero
marxista (la classe operaia) all'indomani dell'avvento del nazismo.
Una rappresentazione non inaffidabile, soprattutto se si pensa
al percorso di Horkheimer, ma da prendere con le pinze. Se poi
Adorno ha mai davvero personalmente coltivato una simile fiducia
nella classe lavoratrice, non lo sappiamo. Il primo libro di Adorno,
il Kierkegaard , è del '33, proprio l'anno infausto
dell'ascesa al potere di Hitler. Quello che dice Popper può
quindi basarsi o su rivelazioni personali o su sue supposizioni.
Lo sviluppo del pensiero di Adorno non è comunque scindibile
dall'evolversi della situazione politica europea e vuole essere
anzi un tentativo di comprendere questo sviluppo. La stessa Dialettica
dell'illuminismo , ha a che fare con il fascismo e tenta di
decifrarne l'ascesa a partire da un dato di fatto che non è
possibile contestare: a fronte di un avanzamento incredibile della
tecnica e del sapere, nel pieno trionfo dello spirito del progresso,
l'Europa era ripiombata nella barbarie più atroce, coltivando
miti di ritorno all'origine, asservendo la tecnica a fini di distruzione,
nella più desolata e muta impotenza del sapere che non
aveva né previsto, né potuto evitare la catastrofe.
Su questo cercarono di riflettere Adorno e Horkheimer proprio
per dare ragione dell'impotenza politica cui il sapere era stato
ridotto dall'alacre compartimentizzazione del lavoro scientifico.
Invece di presupporre un'immagine della scienza e spiegare il
nazismo come mera presa di potere da parte di una minoranza di
folli, Adorno tentò di comprenderlo, e per fare questo
si vide costretto a riflettere criticamente sulla scienza e sul
suo ruolo all'interno di una determinata costellazione storica.
Popper, accecato dal mostro dello "storicismo" non pensò
si potesse fare senza scadere nel "romanticismo" e negare
il valore dell'illuminismo.
Popper osserva giustamente che il pensiero di Marx ha senso solo
se c'e un destinatario della rivoluzione.(19)
Poiché qui si dice che la Scuola di Francoforte dispera
di poter trovare questo destinatario, le critiche di Adorno &
Co. al mondo contemporaneo diventano avventurismo politico, significa
scherzare col fuoco. Per dimostrarlo, Popper si lancia, forse
per la prima volta nella sua vita, in mirabili contraddizioni
dialettiche, dimostrando che esistono momenti in cui si può
dire qualcosa di sensato anche senza ossequiare il principio di
non contraddizione: "A mio modo di vedere è un crimine
sottolineare troppo decisamente la bruttezza e cattiveria del
nostro mondo. Certo che questo mondo è brutto - ma è
innegabilmente anche bello. È disumano e allo stesso tempo
però è umano". Come un bonzo Popper ci insegna
a liberarci di questi scomodi pensieri mostrandoci il migliore
dei mondi possibili. Non si tratta, infatti, di contraddizioni
dialettiche, che dovrebbero avere esistenza oggettiva e una giustificazione
reale, ma di semplici contraddizioni che dipendono solo dal modo
in cui il soggetto considera la realtà. Una volta usciti
da questo ambito soggettivistico non c'è spazio che per
una realtà neutrale: né brutta né cattiva
né disumana. Ma considerare la società in sé
né brutta né cattiva né disumana non è
forse una giustificazione spietata dello squallore, della barbarie
e del massacro? Come, dopo aver purgato gli oggetti del pensiero
con il balsamo magico del suo anti-storicismo, Popper non riesce
a dare un contenuto concreto ai fenomeni che osserva (la massa-l'elite,
la scienza-la metafisica etc.), così la sua preoccupazione
per i mali del mondo si arresta alla superficie, si attorciglia
in formalismi. L'umanità rischia l'estinzione, certo, ma
di questo non si deve occupare la teoria andando a cercare le
cause chissà dove. Chi debba pensarci non si sa, ma è
certo che è solo una questione di buona volontà:
"il mondo è minacciato grandi pericoli; il più
grande è una guerra mondiale, ma quasi altrettanto minacciosa
è l'esplosione demografica. Tuttavia c'è anche molto
di positivo nel nostro mondo, perché c'è molta buona
volontà. Sono completamente sicuro che milioni di uomini
metterebbero in gioco la propria vita se così potessero
creare un mondo migliore".(20)
L'ultima frase rimane sospesa a mezz'aria e non è chiaro
se Popper lo dice con la speranza che ciò un giorno possa
accadere, cosa su cui si sarebbe trovato d'accordo con Adorno,
o se egli lo escluda a priori, cosa che Adorno avrebbe giudicato
una forma di rassegnazione criminale che solidarizza con l'ingiustizia
e la violenza. E che il senso delle affermazioni di Popper vadano
in questa direzione lo mostra lui stesso quando ci avverte di
non andare a cercare chissà dove panacee per i mali del
mondo ma di guardare pragmaticamente al presente: "Sono convinto
che già oggi potremmo fare molto per diminuire
il dolore e soprattutto per ingrandire la libertà del singolo.
Ma non abbiamo affatto bisogno di aspettare la dea storia o la
dea rivoluzione, per creare migliori condizioni per le nostre
faccende umane". Quindi prosegue con un paternalistico: "Storia
e rivoluzione: come ci deludono facilmente. La scuola di Francoforte
ne rimase delusa e la delusione portò Adorno alla disperazione".(21)
Popper accusa Adorno di aver creduto ai vangeli dell'hegelo-marxismo
e di esserne rimasto deluso. Ma la "storia" e la "rivoluzione"
non sono mai state né in Adorno, né in Marx, delle
dee a cui il pensiero si inchina reverente. In esse si cercava
di guadagnare al pensiero un contenuto reale, puntuale, vincolante:
comprensione particolareggiata e storiografica del concreto
del farsi della storia (e, dunque, fine della storia come astrazione
universale dalle "vicende umane") e analisi materiale
delle disfunzioni sociali alla ricerca del bandolo che ne permettesse
un'organizzazione più razionale ed umana. Chi invece mostra
un terrore reverenziale verso la storia e la critica della società
fuggendole in blocco, sono proprio il positivismo e il liberalismo,
i due vangeli in cui crede Popper. Marx ed Hegel erano davvero,
come dice Popper, "falsi profeti". Ma solo nel senso
che non erano affatto profeti e non intesero mai esserlo.
E questo è quello che Adorno, riattivando il contenuto
critico della loro filosofia, non si è mai stancato di
mostrare. Popper, che, invece, non si stancò mai di smascherare
"falsi profeti", agì al modo in cui agiscono
i profeti di professione.
È senz'altro vero che si può far molto ora
per diminuire il dolore e l'ingiustizia, ma se si parte con l'idea
che, comunque, il dolore e l'ingiustizia sono componenti necessarie,
naturali dell'esistenza umana, si parte già col piede sbagliato.
Si marcia già con i battaglioni che vogliono che lo stato
di cose presente rimanga tale. Trasfigurare la società
borghese per una forma ideale, qualcosa di eterno, è da
sempre il trucco ideologico dietro cui si trincera l'interesse
del più forte. Credere in questa eternità e naturalità,
come ben mostrò Marx agli ideologi dell'economia libero-scambista,
è il vero e proprio "oppio dell'intellettuale".
Popper usa questa frase di Raymond Aron per descrivere quella
che secondo lui è stata la vera funzione della Scuola di
Francoforte: il sogno utopico dell'intellettuale sganciato disperatamente
dalla prassi. Quello di Popper è invece il freddo conformismo
di chi si è rassegnato all'incubo reale.
NOTE
1) K. Popper - J.
Coundry, Cattiva maestra televisione , Donzelli Editore,
Milano 1994, pubblicato nella serie di libri "reset"
inaugurata dal noto dibatti tra Bobbio, Vattimo e Bosetti La
sinistra nell'era del karaoke , Donzelli Editore, Milano 1994.
2) Si tratta dell'articolo
"Perché restiamo in provincia?" con cui Heidegger
rifiuta, argomentando tra l'oracolare e il pastorizio, di tornare
a Berlino: M. Heidegger, Perché restiamo in provincia?
, in "Tellus", III, 1992, n. 8. Adorno ne tenta una
spietata (quanto illuminante) critica sia nelle lezioni tenute
a Francoforte nel ´64 ( Terminologia filosofica ,
Einaudi, Torino 1978) che in Il gergo dell'autenticità,
Bollati Boringhieri, Torino 1989.
3) Cfr. la famosa
"Introduzione alla disputa tra dialettica e positivismo in
sociologia": Th. W. Adorno, Scritti sociologici ,
Einaudi, Torino 1976.
4) K. Popper in "Radikale
Philosophie: Die Frankfurter Schule", intervento originariamente
scritto in occasione di uno speciale della BBC andato in onda
nel 1973, poi pubblicato in Gespräche mit Herbert Marcuse
, edition suhrkamp, Frankfurt a. m. 1978, p. 130.
5) Ivi.
6) La critica di
Popper lascia trapelare la paranoia con cui in quegli anni ci
si accostava alla psicoanalisi e il suo fastidioso bazzicare i
temi della sessualità e della repressione degli istinti.
Cfr. K. Popper, Poscritto alla logica della scoperta scientifica
, Il saggiatore, Milano 1984.
7) Th. W. Adorno
- M. Horkheimer, Dialettica dell'illuminismo , Einaudi,
Torino 1994.
8) Questo fatto,
solitamente sottovalutato - per ragioni anagrafiche o di gusti
personali - da tutti gli "adorniani" di mestiere, è
stato sottolineato invece con grande chiarezza da Ben Watson in
diverse occasioni al grido (incomprensibile anche per la musicologia
corrente) di "il pop non è una forma musicale".
Cfr. B. Watson, "Decoding Society Versus Posicle Academy",
in AA. VV., Living Through Pop , Routledge Press, London
1994.
9) Vedi il famoso
"appello" di Eco in occasioni delle elezioni politiche
del maggio 2001 in cui, in barba alle sue ottimistiche analisi
di un tempo sulla cultura di massa, denuncia l'operazione di imbarbarimento
e indottrinamento progressivo portata avanti per decenni dalle
reti nazionali. Ma il grido dell'apocalittico dell'ultima ora
non è stato, purtroppo, ascoltato. U. Eco, "Per chi
suona la campana. Appello ad un referendum morale", in La
Repubblica, 8 maggio 2001, p. 1 e 17.
10) U. Eco, Apocalittici
e integrati , Bompiani, Milano 1964.
11) Pink Floyd,
The Piper At The Gates Of Dawn , Emi, UK 1967.
12) F. Zappa, We're
Only In It For The Money , Columbia, USA 1967.
13) K. Popper, cit.,
pp. 130-131.
14) Ivi.
15) Da notare il
magnifico " naturalmente era un hegeliano"!
Per Popper la parola dice tutto. È vero che Popper si è
impegnato in una critica piú o meno serrata e puntuale
di Hegel (K. Popper, La società aperta e i suoi nemici
, Armando Editore, Roma 1996, 2 voll. e in particolare il volume
II, "Hegel e Marx falsi profeti"). Ma da qui non segue
che la sua analisi siano applicabili ad ogni cosa Popper si sia
sentito di bollare come "hegelismo". Meno che mai al
pensiero di Adorno, che criticò spietatamente Hegel,seppure
- come ovvio - in modo totalmente diverso. Se la critica di Popper
sia più radicale o meno lo potrebbe decidere solo un confronto
che entri nel merito di ciò che Hegel ha detto. Ma poiché
per Popper la critica consiste nel dire che Hegel era disonesto
o un prestigiatore, questo confronto non si può fare. Ci
si chiede: non sarebbe bene applicare il principio di falsificabilità
anche alle interpretazioni filosofiche?
16) K. Popper, cit.,
pp. 132-133.
17) Ivi.
18) Ibid., p. 131.
19) Ibid., p.133.
20) Ivi.
21) Ivi.
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