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  POPPER E IL GIARDINO DEL FALSO PROFETA
di M. Maurizi, 13-03-2002
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Continuare a dire ai giovani che viviamo in un inferno
può rovinare la loro vita per sempre, li si può addirittura
uccidere. I sovietici non lo fanno (e questa è forse l'unica
cosa che possiamo imparare da loro).
K. Popper

Non c'è bisogno di essere dei grandi e stimati filosofi per dire delle sciocchezze. Ma qualche volta aiuta. Nel caso in questione il grande e stimato è nientemeno che Sir Karl Popper. Famoso epistemologo che ha fatto dannare generazioni di filosofi con il suo "principio di falsificabilità" - secondo cui si può ritenere "scientifica" una teoria solo se essa prevede la possibilità di essere smentita empiricamente - all'occasione, si è occupato anche di politica, morale e costume. Fondamentalmente liberale, arrivò al gesto rivoluzionario di tuonare contro la televisione e richiedere una regolamentazione che ne impedisse gli eccessi, al grido springfieldiano di: "pensate ai bambini!".(1) Era un liberale critico, insomma. Più o meno come era un razionalista "critico" e, presumibilmente, uno scientista "critico" e un positivista "critico". Non amava, infatti, le tinte forti quando si descriveva il suo pensiero e la sua persona, e ci teneva ai distinguo; non fosse mai che qualcuno avesse a confonderlo con quegli ingenuotti del Circolo di Vienna. Peccato però che quando si trattava del pensiero degli altri non usasse andare troppo per il sottile. Quel filosofo? Un "hegeliano"! La dialettica? Puro "storicismo"! etc.
Come Adorno trasse molte più verità su Heidegger da uno scritto "minore" (2) in cui traspariva tutta la provincialità e il kitsch che il "grande filosofo" era riuscito a tenere a freno nel linguaggio astruso ed ermetico dei suoi libri, così potrebbe risultare istruttivo vedere cosa uno scientista critico ha avuto da dire sulla figura e il pensiero di Adorno - l'avversario più terribile al tempo della "disputa sul positivismo" negli anni 60 (3) - in occasione di un simposio sulla Scuola di Francoforte. E ciò perché a differenza di Heidegger o Popper che, quando non esercitano il mestiere del filosofo, si sbottonano rivelando le maglie grosse dei loro sistemi, per Adorno un libro, o un qualunque scritto o intervento di secondaria importanza, erano sempre espressioni dirette della sua personalità e dovevano rispecchiarla integralmente. Non c'era alcuna posa negli scritti "ufficiali", così non poteva esserci nessun cedimento teorico in quelli "marginali". Questo era il suo modo di testimoniare e lottare contro gli effetti nefasti della parcellizzazione del lavoro scientifico. È interessante notare, al contrario, come la sottigliezza e l'acutezza dimostrate quando ci si occupa di "induzione" e "verificazione", possano svanire improvvisamente quando i temi escono dall'ambito specialistico della ricerca epistemologica e diventano di interesse generale: l'arte, la filosofia, la politica. Potrà sembrare ingiustificato, pretestuoso, esagerato; ma servirà almeno a ricordare un insegnamento prezioso di Adorno che qui non è stato ascoltato: le parole hanno un peso .
Da bravo filosofo della scienza, Popper non si fa sfuggire l'occasione di lanciarsi in schemi e suddivisioni. "La maggior parte dei libri di Adorno possono essere suddivisi in tre categorie. Il primo gruppo raccoglie i suoi lavori sulla musica, la letteratura e la cultura - e tutti questi non sono di mio gusto. A leggerli sembrano imitazioni di Karl Kraus, ma sono brutte imitazioni, perché gli manca del tutto il senso dell'umorismo di Kraus". (4) Definire i libri di Adorno delle "imitazioni di Karl Kraus" è davvero scorretto. Non solo perché lo stesso Adorno non fece mai mistero della propria profonda ammirazione per Kraus, ma - ciò che più conta - perché egli affermò di voler sottrarre la sua critica all'accusa di "idiosincrasia" e "irrilevanza" che gli venivano rivolte (cosa che qui, anche se Popper non lo dice, è ancora data per scontata). Adorno vide nello stile di Kraus una possibilità di salvare l'esperienza individuale come rivelatrice di una realtà sociale che trascende l'individuo. L'idiosincrasia dello stile di Kraus doveva diventare, per Adorno, attenzione micrologica, un metodo per gettare luce sull'intero contesto sociale a partire dal singolo che, incastonato in quel contesto, ne viene attraversato costantemente. Per questo le reazioni del soggetto non rimangono estranee a quelle dinamiche, non rimangono qualcosa di isolato e casuale, ma è possibile, assecondandole, dischiudere la totalità in cui il soggetto è immerso. Adorno vide in Kraus (come in Benjamin) un pensiero che faceva del soggetto lo scenario in cui si giocavano e, soprattutto, si rivelavano tendenze sociali. L'importanza "teoretica" di Adorno per Kraus testimonia molto più di un'ammirazione e di un desiderio di emulazione. È il tentativo di fornire alle analisi sociologiche di matrice positivista un correttivo, guardando al modo in cui Kraus partendo da elementi apparentementi parziali e casuali (un titolo di giornale, un modo di dire, un fatto isolato), offriva squarci teorici e ipotesi che gettavano luce non solo sul singolo elemento analizzato ma sul modo in cui questo elemento si ricollegava a tendenze generali della società nel suo complesso. Poiché Popper è stato uno dei campioni di quel positivismo sociologico che scinde astrattamente individuo e società e che riduce i "fatti sociali" a ciò che è quantitativamente determinabile, non riesce a vedere in Kraus niente di più di uno scrittore che si può imitare ma su cui non è lecito riflettere davvero con interesse teorico. Avendo già a priori escluso che Kraus abbia veramente qualcosa da dire, il fatto che Adorno lo prenda sul serio vuol dire che non ha "senso dell'umorismo".
Leggere questi libri, dunque, non lo ha sicuramente messo di buon umore: "questo tipo di scritti li ho letti quando stavo a Vienna e li ho decisamente respinti. Li considero snobbismo culturale, portato avanti da un gruppo che si considera un'elite culturale, e i cui pensieri sono contrassegnati da irrilevanza sociale".(5) La Vienna di cui parla Popper è la Vienna di Freud, di Schönberg, di Kandinsky etc. Come ha rifiutato la psicoanalisi (6), non sembra che Popper possa fare a meno di opporsi anche al modernismo estetico che dovrà apparirgli in blocco qualcosa di troppo snob ed elitario. Non è molto chiaro che cosa si intenda qui per "snobbismo culturale", certo è che la sua controparte - l'antintelletualismo - lo accompagna da sempre come un'ombra. Dalla nascita dei mezzi di comunicazione di massa, si è affermata la consuetudine di bollare come "reazionari" ed "elitari" tutti quelli che hanno tentato una critica del loro uso come strumenti di indottrinamento ideologico e istupidimento collettivo. Non per nulla uno dei primi a coniugare apologia dei nuovi mezzi, vivace antiintellettualismo e rifiuto dell'avanguardia fu proprio Goebbels. Un paragone simile potrebbe sembrare ingiustificato e violento. Non minore tuttavia è la violenza mostrata da Popper quando giudica irrilevante il valore di un pensiero se questo è segnato da "irrilevanza sociale", cioè quando - detto in soldoni - il collettivo schiaccia con la propria forza d'inerzia il dissenso del singolo. Schierandosi con la maggioranza, facendosi forte di questa protezione, Popper può tranquillamente eludere il confronto con l'esperienza di chi non canta col coro; e questo è proprio quel fenomeno che Adorno ha cercato di analizzare mettendo in mostra quanto ci sia di "regressivo" in quest'atteggiamento di immediata identificazione con la "normalità" e di reverenza alla communis opinio . Non fa mistero che Popper si sia ritirato indignato di fronte a qualcosa che probabilmente non gli doveva apparire del tutto estraneo e che forse lo metteva a disagio. Le indagini di Adorno in questo campo, si concentrarono su ciò che lui ed Horkheimer chiamarono "industria culturale", termine che essi sostituirono a "cultura di massa" proprio per sottolinearne gli aspetti gestiti "dall'alto", manipolatori, contrariamente all'immagine che solitamente ci si fa della cultura di massa come luogo di creazione di una cultura antielitaria, costruita "dal basso": una cultura delle masse per le masse. Che l'industria culturale producesse cultura per le masse, Adorno e Horkheimer lo riconoscevano ampiamente. Che questa cultura fosse anche un prodotto delle masse, non l'avrebbero mai concesso.(7) E occorre dire che all'epoca in cui l'orizzonte era dominato da Hollywood, dal jazz commerciale e dalle riviste patinate, prima, insomma, di quell'evento epocale che fu la controcultura degli anni 50-60, non si vede come si possa dare loro torto.(8) Una parvenza di democrazia alimenta il mito di questa presunta "volontà generale", che si riduce invece il più delle volte a riflesso condizionato, plebiscito, supina accettazione. Per il sociologo positivista che riconosce solo la legge dei grandi numeri, la possibilità che una minoranza possa aver ragione, non è ventilabile. Popper non poteva quindi non avvallare ciò, nonostante uno dei suoi principali desideri, come ribadisce più avanti, fosse proprio quello di "aumentare la libertà del singolo". Solo più tardi, come altri precoci e acritici apologeti della cultura di massa - leggi: Umberto Eco (9) - dovette rivedere il proprio giudizio e rendersi conto che l'aspetto manipolatore c'è, è mostruoso e non è aggirabile a parole. L'errore prospettico in cui cade ogni discorso che si arresta alla superficie dei concetti di "massa" e "individuo", "popolare" ed "elitario", è quello di attribuire alla massa un'esistenza in sé e dei valori, dei contenuti immutabili, ontologici. Vero è che Adorno ed Horkheimer, sottolineando l'aspetto manipolatorio dell'industria culturale, tendevano ad escludere ogni possibilità di creare una cultura effettivamente popolare e il loro disfattismo, benché lucido e intransigente, si mostrò, alla lunga, oggettivamente controproducente. Da questo punto di vista, ma solo da questo, aveva ragione Eco a parlare di Apocalittici e Integrati.(10) La controcultura ha dato il ben servito ad entrambi. Se The Piper at the gates of dawn mostra quanto elitario e intellettuale possa essere un prodotto di massa (11), We're only in it for the money , pubblicato da Zappa in piena epoca flower-power , dimostra quanto un prodotto di massa possa ospitare una critica spietata al sistema dello show-business.(12) Se non ci si abbevera alla linfa di tali esperienze, la "massa" diventa un concetto astratto, quantitativo, privo di dinamiche storiche e, dunque, fasullo e ideologico, erede suo malgrado di una visione antigiacobina, leboniana della "massa" come agente acefalo, amorfo, incontrollabile (e dunque, con inferenza sottintesa: "immorale"). Ciò che rimane vero e innegabile nelle analisi di Adorno e Horkheimer è la capacità dell'industria culturale di assorbire i fermenti e incanalarli all'interno di routine "rassicuranti", ripetizioni "normalizzanti", di ammorbidirne il contenuto sovversivo.
Il motivo per cui Popper non riuscì a capire le analisi adorniane dell'industria culturale è senza dubbio la sua allergia alla storia. O, meglio, la sua allergia a ciò che lui chiamava "storicismo" e che gli impedì di riconoscere che determinati fenomeni (come il capitalismo e la democrazia liberale, l'impresa scientifica o la cultura di massa) vanno compresi storicamente, altrimenti non li si comprende affatto. Non potendo fare a meno di naturalizzare e ontologizzare in categorie gli oggetti del pensiero, la filosofia di Adorno che pretendeva di ridestare alla coscienza la genesi storica di quei fenomeni, doveva sembrargli pura follia. "La seconda categoria include scritti sulla gnoseologia e la filosofia. Per me sono quel genere di cose che si potrebbe caratterizzare come 'abracadabra'. Naturalmente Adorno era hegeliano e marxiano, e io respingo entrambe le cose, soprattutto l'hegelismo. Ho un gran rispetto per Marx poiché, come pensatore, si impegnò e si batté attivamente per un mondo migliore, benché, naturalmente, su molti e decisivi punti non concordi con lui e abbia criticato le sue teorie. Marx non è certo facile da comprendere e tuttavia egli si è sempre appoggiato alla comprensibilità. Perché aveva qualcosa da dire. E per questo voleva anche essere compreso dalla gente. Cosa che Adorno non fa, per cui in realtà non posso dire se la sua filosofia è buona o cattiva. Sebbene mi ci sia messo con tutta la buona volontà a cercare di capirla, mi pare che si tratti sempre (o quasi sempre) di retorica. Sembra che egli non abbia niente da dire e che lo dica in linguaggio hegeliano".(13) Poiché afferma, e c'è da credergli, che i libri di Adorno non li ha capiti, vuol dire che non c'è scritto niente: "Se si considera filosoficamente il pessimismo di Adorno, il suo contenuto filosofico è zero".(14) Affermare di non capire qualcosa non dimostra certo che quel qualcosa non abbia senso, e dunque la questione viene ridotta al un giudizio di valore: se Adorno abbia voluto farsi capire o meno. Questo un giudizio di valore, tuttavia, può essere riformulato, per ovvia conseguenza, in quello complementare: se Popper abbia voluto capire o meno ciò che leggeva. Rispetto a questa formulazione, continuo a trovare molto più probabile e verosimile la seconda ipotesi. Ma poiché Popper stesso, come tutti i positivisti, sposta la questione dal piano teorico a quello morale, non è possibile falsificare né questo assunto né il suo opposto. Un dato però rimane innegabile. Esattamente come nell'analisi sulla cultura di massa, anche qui la filosofia di Adorno presenta un vantaggio rispetto a quella di Popper: non presuppone il significato dei termini che usa, ma li sottopone a critica e cerca di penetrarne il significato posizionale all'interno del linguaggio filosofico e di quello comune.(15) In Adorno sappiamo cosa significa o, entro date condizioni, cosa può significare "retorica". In Popper, no. Mentre Adorno, marxianamente, si pose il problema della rilevanza dell'esposizione, della Darstellung , per il contenuto in filosofia, e pose questo problema al centro della sua riflessione, l'uso che Popper fa del termine è acritico, e privo di reale contenuto. E parliamo di contenuto "teorico" poiché è chiaro ciò che il termine vuol dire comunemente, ma non è detto che questo uso possa estendersi automaticamente al linguaggio della filosofia. Se, infatti, parlando del valore teorico di un pensiero, mi propongo di bollarlo come mera "retorica", il termine assume ipso facto una valenza teorica, una rilevanza che andrebbe giustificata e chiarita, invece di lasciarla a se stessa. L'assunto implicito è, infatti, la separazione violenta e assoluta tra forma e contenuto del linguaggio filosofico, una separazione che Adorno criticò aspramente e che costituisce proprio il nodo del contendere con il positivismo. Egli disse che il positivismo astraendo dalla realtà del linguaggio e dal suo modo di funzionamento immanente, riduceva le parole a fiches , segni convenzionali, interscambiabili a piacere. Il linguaggio artificiale così prodotto poteva senz'altro prestarsi alla semplificazione, catalogazione e manipolazione della realtà, poteva senz'altro rivelarsi utile alla costruzione di un metodo scientifico, ma non diventava per questo più vero ; semplicemente, si limitava a ridurre arbitrariamente il proprio oggetto alle proprie necessità. Il problema - da qui la disputa sulla sociologia positivista degli anni 60 - sorgeva quando questo metodo veniva applicato in maniera irriflessivo alla sociologia, trasformando il suo oggetto - la società - in un qualcosa di statico e astorico, impedendo già a livello di elaborazione linguistica, la formulazione di qualsiasi contenuto critico. Un linguaggio purgato dall'imperfezione della forma ci rimanda, come per incanto, una realtà anch'essa purgata dall'errore, perfetta, neutra. Smascherando la scissione tra forma e contenuto dell'espressione, Adorno puntò l'indice su un implicito tentativo di censura ideologica. Il fatto che Adorno si sia impegnato con il problema stesso dell'espressione, invece di occuparsi solo della "chiarezza dell'espressione", è un reato filosofico imperdonabile. Per questo Popper lo dipinge a tinte fosche : "Adorno contrasta in modo consapevole la chiarezza dell'espressione. Da qualche parte annota addirittura, plaudendo, il fatto che il filosofo tedesco Max Scheler avesse voluto 'più oscurità' - un riferimento alle ultime parole di Goethe che, al contrario, desiderava 'più luce'. È difficile capire che un marxista come Adorno potesse considerare positiva la richiesta di 'più oscurità'. Marx era sicuramente per l'illuminismo. Tuttavia Adorno, insieme con Horkheimer, ha scritto un libro intitolato Dialettica dell'illuminismo in cui si cerca di mostrare che le idee dell'illuminismo grazie alle loro interne contraddizioni conducono alla tenebra, quella tenebra in cui ci troveremmo oggi. Questa è naturalmente un'idea hegeliana. E tuttavia rimane un'enigma come un socialista o un marxista o un umanista come Adorno potesse rifarsi a tali concezioni romantiche e sostituire il principio 'più luce' con 'più oscurità' ".(16) Sorge il sospetto che questo ritratto di Adorno sia carico di risentimento per quanto è deformante, sfuocato e inattendibile; il risentimento, si sa, non si sposa bene con la chiarezza concettuale e la precisione dell'espressione. E il testo di Popper è un vero colabrodo, a cominciare dall'affermazione affrettata e capziosa secondo cui "Marx era sicuramente per l'illuminismo". Certo che lo era, ma ne riconosceva al tempo stesso la posizione storica e l'origine di classe come elementi propulsori del suo valore universale, progressivo. Avendo Popper soppresso i primi due momenti, ogni critica all'illuminismo gli appare una critica all'universalismo e al progresso in quanto tale. Quanto questo poco si adatti al pensiero di Adorno lo sanno tutti quelli che i suoi libri hanno voluto capirli, oltre che leggerli. La Dialettica dell'illuminismo , ci dice quindi Popper, sottenderebbe una qualche "idea hegeliana". Se sia la tesi del rovesciamento dell'illuminismo in mito ad essere hegeliana (falso) oppure se sia la concezione dello sviluppo storico sottesa a quella tesi (falsissimo), qui Popper non lo dice. Che però si tratti - "naturalmente" - di qualcosa di hegeliano è certo. Ancora più bizzarro il modo in cui, con affettato tono di stupore, Popper rinfaccia ad Adorno di aver coltivato idee "romantiche" nonostante fosse "un socialista o un marxista o un umanista". L'aggettivazione scomposta ed dilettantesca può avere diverse origini e si potrebbe tentare di giustificarla addossando la colpa ad Adorno: senz'altro la sua nota ambiguità politica non lo rende facilmente "etichettabile". Ma se si guarda un po' più a fondo alla cosa, appare evidente che questo modo di affrontare la questione concede un po' troppo a Popper. In fondo, se risulta così difficile etichettare Adorno, la colpa è forse proprio della vaghezza delle etichette che si vogliono usare e, ancor di più , del bisogno stesso (per Popper evidentemente insopprimibile) di etichettare politicamente il pensiero. Curioso. Mentre di fatto la comprensibilità o meno di un testo viene misurata sull'onestà e il desiderio di farsi capire di chi scrive - e, dunque, si riduce a un giudizio morale -, il metodo scientista sbandiera costantemente la propria avalutatività, la propria neutralità rispetto alla sfera economico-politica, la presunta libertà con cui si muove in una zona ideale "al di sopra delle parti". Ma si tratta di una autorappresentazione affatto ideologica. Anzitutto, anche qui Adorno mostra di aver agito con più acume critico di Popper, riflettendo sul concetto di "valore" e rifiutandone l'ipostatizzazione. La posizione di Adorno non era affatto (solo) segnata da ambiguità politica, ma rispecchiava il suo rifiuto di aderire al dogma liberale secondo cui ci sono dei valori che l'individuo sceglie, come fossero delle merci. Tale rappresentazione non solo presuppone un'esistenza eterna dei valori, ma recide ogni nesso tra teoria e valore, rendendoli entità incommensurabili: esangue e passiva la prima, sanguigno e pragmatico il secondo. Ma, ricorda Adorno, né l'esistenza di determinati valori è eterna, né il loro sorgere è indipendente dalla teoria. Poiché Popper non riuscì a vedere il nesso, è probabile che si abbia a che fare con qualcosa di "hegeliano". Infatti il rapporto tra i due è sempre mediato storicamente. La richiesta di una diminuzione della sofferenza e ingiustizia planetaria è stata resa possibile solo dal raggiungimento di un determinato stadio produttivo che trasformava quella richiesta in una possibilità concreta per la teoria e dunque in qualcosa di praticabile. La teoria non ha fatto che riflettere questo fatto. Solo dopo tale richiesta si cristallizza in un valore su cui si esercita un mero diritto di scelta.(17) Poiché Popper e la sociologia di matrice positivista consideravano il concetto di "avalutatività" uno dei principi ineludibili della scienza sociale, ogni posizione teorica che sembrava incamerare una qualche forma di valore era bollata in anticipo come antiscientifica. Etichettare politicamente un pensiero diventa un modo comodo di sottrarsi al suo pungolo critico. "Naturalmente", la naturalizzazione e ontologizazzione acritica delle categorie e la pretesa di muoversi in una zona di candida "avalutatività" non potrebbero coincidere se non si presupponesse un'idea dell'uomo astorica, anch'essa naturale. E questo è proprio il nocciolo dell'ideologia liberale e borghese che Popper presuppone e porta avanti sottilmente in sede epistemologica, politico-filosofica ed estetica. Un presupposto tanto più pericoloso e violento in quanto pretende mascherarsi da "buon senso", di appoggiarsi all'evidenza etc. Ovvio che chiunque non si trovi d'accordo con Popper o è un pazzo o è in malafede.
Le idee più esplicitamente politiche di Popper sul mondo contemporaneo rivelano i suoi pregiudizi in modo fin troppo ingenuo. Qui Popper concede addirittura qualcosa ad Adorno, ma non senza distorcerne ancora strumentalmente il pensiero: "infine c'è una terza categoria di scritti. I lavori che appartengono a questa categoria sono principalmente lamenti sul tempo che viviamo. Qualcuno di questi è interessante e addirittura toccante. Questi scritti sono espressioni immediate della sua angoscia, come lui stesso la chiamò, e della sua profonda depressione. Dopo che Hitler giunse al potere - un evento tra l'altro che per sua stessa ammissione politcamente lo colpì - disperò dell'umanità e abbandonò la sua fede nelle soluzioni offerte dal vangelo marxista. Il tono di questi saggi è un tono di estrema disperazione, un tono tragico, che cerca di muovere alla pietà".(18) Poiché, per Popper, non rifiutare in blocco il pensiero di Marx vuol dire credere al "vangelo marxista", Adorno - che su Marx riflettè non meno "criticamente" di Popper - diventa un pericoloso bolscevico convertitosi poi alla rassegnazione, anche quando la sua estrema sensibilità (su cui tanto insiste Popper) e il solidale slancio utopico (su cui Popper invece tace) rendono chiaramente risibile questa immagine. Qui si presuppone evidentemente l'interpretazione, avvallata anche da Habermas, secondo cui la Scuola di Francoforte avrebbe perso, o reciso ogni rapporto con l'interlocutore storico di ogni pensiero marxista (la classe operaia) all'indomani dell'avvento del nazismo. Una rappresentazione non inaffidabile, soprattutto se si pensa al percorso di Horkheimer, ma da prendere con le pinze. Se poi Adorno ha mai davvero personalmente coltivato una simile fiducia nella classe lavoratrice, non lo sappiamo. Il primo libro di Adorno, il Kierkegaard , è del '33, proprio l'anno infausto dell'ascesa al potere di Hitler. Quello che dice Popper può quindi basarsi o su rivelazioni personali o su sue supposizioni. Lo sviluppo del pensiero di Adorno non è comunque scindibile dall'evolversi della situazione politica europea e vuole essere anzi un tentativo di comprendere questo sviluppo. La stessa Dialettica dell'illuminismo , ha a che fare con il fascismo e tenta di decifrarne l'ascesa a partire da un dato di fatto che non è possibile contestare: a fronte di un avanzamento incredibile della tecnica e del sapere, nel pieno trionfo dello spirito del progresso, l'Europa era ripiombata nella barbarie più atroce, coltivando miti di ritorno all'origine, asservendo la tecnica a fini di distruzione, nella più desolata e muta impotenza del sapere che non aveva né previsto, né potuto evitare la catastrofe. Su questo cercarono di riflettere Adorno e Horkheimer proprio per dare ragione dell'impotenza politica cui il sapere era stato ridotto dall'alacre compartimentizzazione del lavoro scientifico. Invece di presupporre un'immagine della scienza e spiegare il nazismo come mera presa di potere da parte di una minoranza di folli, Adorno tentò di comprenderlo, e per fare questo si vide costretto a riflettere criticamente sulla scienza e sul suo ruolo all'interno di una determinata costellazione storica. Popper, accecato dal mostro dello "storicismo" non pensò si potesse fare senza scadere nel "romanticismo" e negare il valore dell'illuminismo.
Popper osserva giustamente che il pensiero di Marx ha senso solo se c'e un destinatario della rivoluzione.(19) Poiché qui si dice che la Scuola di Francoforte dispera di poter trovare questo destinatario, le critiche di Adorno & Co. al mondo contemporaneo diventano avventurismo politico, significa scherzare col fuoco. Per dimostrarlo, Popper si lancia, forse per la prima volta nella sua vita, in mirabili contraddizioni dialettiche, dimostrando che esistono momenti in cui si può dire qualcosa di sensato anche senza ossequiare il principio di non contraddizione: "A mio modo di vedere è un crimine sottolineare troppo decisamente la bruttezza e cattiveria del nostro mondo. Certo che questo mondo è brutto - ma è innegabilmente anche bello. È disumano e allo stesso tempo però è umano". Come un bonzo Popper ci insegna a liberarci di questi scomodi pensieri mostrandoci il migliore dei mondi possibili. Non si tratta, infatti, di contraddizioni dialettiche, che dovrebbero avere esistenza oggettiva e una giustificazione reale, ma di semplici contraddizioni che dipendono solo dal modo in cui il soggetto considera la realtà. Una volta usciti da questo ambito soggettivistico non c'è spazio che per una realtà neutrale: né brutta né cattiva né disumana. Ma considerare la società in sé né brutta né cattiva né disumana non è forse una giustificazione spietata dello squallore, della barbarie e del massacro? Come, dopo aver purgato gli oggetti del pensiero con il balsamo magico del suo anti-storicismo, Popper non riesce a dare un contenuto concreto ai fenomeni che osserva (la massa-l'elite, la scienza-la metafisica etc.), così la sua preoccupazione per i mali del mondo si arresta alla superficie, si attorciglia in formalismi. L'umanità rischia l'estinzione, certo, ma di questo non si deve occupare la teoria andando a cercare le cause chissà dove. Chi debba pensarci non si sa, ma è certo che è solo una questione di buona volontà: "il mondo è minacciato grandi pericoli; il più grande è una guerra mondiale, ma quasi altrettanto minacciosa è l'esplosione demografica. Tuttavia c'è anche molto di positivo nel nostro mondo, perché c'è molta buona volontà. Sono completamente sicuro che milioni di uomini metterebbero in gioco la propria vita se così potessero creare un mondo migliore".(20) L'ultima frase rimane sospesa a mezz'aria e non è chiaro se Popper lo dice con la speranza che ciò un giorno possa accadere, cosa su cui si sarebbe trovato d'accordo con Adorno, o se egli lo escluda a priori, cosa che Adorno avrebbe giudicato una forma di rassegnazione criminale che solidarizza con l'ingiustizia e la violenza. E che il senso delle affermazioni di Popper vadano in questa direzione lo mostra lui stesso quando ci avverte di non andare a cercare chissà dove panacee per i mali del mondo ma di guardare pragmaticamente al presente: "Sono convinto che già oggi potremmo fare molto per diminuire il dolore e soprattutto per ingrandire la libertà del singolo. Ma non abbiamo affatto bisogno di aspettare la dea storia o la dea rivoluzione, per creare migliori condizioni per le nostre faccende umane". Quindi prosegue con un paternalistico: "Storia e rivoluzione: come ci deludono facilmente. La scuola di Francoforte ne rimase delusa e la delusione portò Adorno alla disperazione".(21) Popper accusa Adorno di aver creduto ai vangeli dell'hegelo-marxismo e di esserne rimasto deluso. Ma la "storia" e la "rivoluzione" non sono mai state né in Adorno, né in Marx, delle dee a cui il pensiero si inchina reverente. In esse si cercava di guadagnare al pensiero un contenuto reale, puntuale, vincolante: comprensione particolareggiata e storiografica del concreto del farsi della storia (e, dunque, fine della storia come astrazione universale dalle "vicende umane") e analisi materiale delle disfunzioni sociali alla ricerca del bandolo che ne permettesse un'organizzazione più razionale ed umana. Chi invece mostra un terrore reverenziale verso la storia e la critica della società fuggendole in blocco, sono proprio il positivismo e il liberalismo, i due vangeli in cui crede Popper. Marx ed Hegel erano davvero, come dice Popper, "falsi profeti". Ma solo nel senso che non erano affatto profeti e non intesero mai esserlo. E questo è quello che Adorno, riattivando il contenuto critico della loro filosofia, non si è mai stancato di mostrare. Popper, che, invece, non si stancò mai di smascherare "falsi profeti", agì al modo in cui agiscono i profeti di professione.
È senz'altro vero che si può far molto ora per diminuire il dolore e l'ingiustizia, ma se si parte con l'idea che, comunque, il dolore e l'ingiustizia sono componenti necessarie, naturali dell'esistenza umana, si parte già col piede sbagliato. Si marcia già con i battaglioni che vogliono che lo stato di cose presente rimanga tale. Trasfigurare la società borghese per una forma ideale, qualcosa di eterno, è da sempre il trucco ideologico dietro cui si trincera l'interesse del più forte. Credere in questa eternità e naturalità, come ben mostrò Marx agli ideologi dell'economia libero-scambista, è il vero e proprio "oppio dell'intellettuale". Popper usa questa frase di Raymond Aron per descrivere quella che secondo lui è stata la vera funzione della Scuola di Francoforte: il sogno utopico dell'intellettuale sganciato disperatamente dalla prassi. Quello di Popper è invece il freddo conformismo di chi si è rassegnato all'incubo reale.

NOTE
1) K. Popper - J. Coundry, Cattiva maestra televisione , Donzelli Editore, Milano 1994, pubblicato nella serie di libri "reset" inaugurata dal noto dibatti tra Bobbio, Vattimo e Bosetti La sinistra nell'era del karaoke , Donzelli Editore, Milano 1994.
2) Si tratta dell'articolo "Perché restiamo in provincia?" con cui Heidegger rifiuta, argomentando tra l'oracolare e il pastorizio, di tornare a Berlino: M. Heidegger, Perché restiamo in provincia? , in "Tellus", III, 1992, n. 8. Adorno ne tenta una spietata (quanto illuminante) critica sia nelle lezioni tenute a Francoforte nel ´64 ( Terminologia filosofica , Einaudi, Torino 1978) che in Il gergo dell'autenticità, Bollati Boringhieri, Torino 1989.
3) Cfr. la famosa "Introduzione alla disputa tra dialettica e positivismo in sociologia": Th. W. Adorno, Scritti sociologici , Einaudi, Torino 1976.
4) K. Popper in "Radikale Philosophie: Die Frankfurter Schule", intervento originariamente scritto in occasione di uno speciale della BBC andato in onda nel 1973, poi pubblicato in Gespräche mit Herbert Marcuse , edition suhrkamp, Frankfurt a. m. 1978, p. 130.
5) Ivi.
6) La critica di Popper lascia trapelare la paranoia con cui in quegli anni ci si accostava alla psicoanalisi e il suo fastidioso bazzicare i temi della sessualità e della repressione degli istinti. Cfr. K. Popper, Poscritto alla logica della scoperta scientifica , Il saggiatore, Milano 1984.
7) Th. W. Adorno - M. Horkheimer, Dialettica dell'illuminismo , Einaudi, Torino 1994.
8) Questo fatto, solitamente sottovalutato - per ragioni anagrafiche o di gusti personali - da tutti gli "adorniani" di mestiere, è stato sottolineato invece con grande chiarezza da Ben Watson in diverse occasioni al grido (incomprensibile anche per la musicologia corrente) di "il pop non è una forma musicale". Cfr. B. Watson, "Decoding Society Versus Posicle Academy", in AA. VV., Living Through Pop , Routledge Press, London 1994.
9) Vedi il famoso "appello" di Eco in occasioni delle elezioni politiche del maggio 2001 in cui, in barba alle sue ottimistiche analisi di un tempo sulla cultura di massa, denuncia l'operazione di imbarbarimento e indottrinamento progressivo portata avanti per decenni dalle reti nazionali. Ma il grido dell'apocalittico dell'ultima ora non è stato, purtroppo, ascoltato. U. Eco, "Per chi suona la campana. Appello ad un referendum morale", in La Repubblica, 8 maggio 2001, p. 1 e 17.
10) U. Eco, Apocalittici e integrati , Bompiani, Milano 1964.
11) Pink Floyd, The Piper At The Gates Of Dawn , Emi, UK 1967.
12) F. Zappa, We're Only In It For The Money , Columbia, USA 1967.
13) K. Popper, cit., pp. 130-131.
14) Ivi.
15) Da notare il magnifico " naturalmente era un hegeliano"! Per Popper la parola dice tutto. È vero che Popper si è impegnato in una critica piú o meno serrata e puntuale di Hegel (K. Popper, La società aperta e i suoi nemici , Armando Editore, Roma 1996, 2 voll. e in particolare il volume II, "Hegel e Marx falsi profeti"). Ma da qui non segue che la sua analisi siano applicabili ad ogni cosa Popper si sia sentito di bollare come "hegelismo". Meno che mai al pensiero di Adorno, che criticò spietatamente Hegel,seppure - come ovvio - in modo totalmente diverso. Se la critica di Popper sia più radicale o meno lo potrebbe decidere solo un confronto che entri nel merito di ciò che Hegel ha detto. Ma poiché per Popper la critica consiste nel dire che Hegel era disonesto o un prestigiatore, questo confronto non si può fare. Ci si chiede: non sarebbe bene applicare il principio di falsificabilità anche alle interpretazioni filosofiche?
16) K. Popper, cit., pp. 132-133.
17) Ivi.
18) Ibid., p. 131.
19) Ibid., p.133.
20) Ivi.
21) Ivi.

 


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