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  ZAPPA, BARBA, L'IMPROVVISAZIONE. UN DIALOGO.
di M. Maurizi, 12.03.2002
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Tom Waits...
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LINÀMI
Popper...
Zappa, Barba,...


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Bruckner...
Il Malinteso...
Calore, gravità...


O EHIUOI
Tra musica e...
Damiano Tavoliere...


" Beauty is a lie "
(Zappa, You are what you is)

" Diciamolo con una bella menzogna "
(Platone, Simposio)

Marco:
Invito pubblicamente il caro Pasquale a parlarci del rapporto tra Zappa e Barba, approfondendo, se ha voglia, la relazione tra improvvisazione teatrale e musicale.


Pasquale
:
Frank Zappa ed Eugenio Barba: tra i pochi nel novecento a rifiutare il concetto stesso di "corrente artistica", l'uno riappropriandosi della musica, l'altro del teatro, come manifestazioni atemporali dell'uomo e non come evoluzione di forme artistiche. Non si tratta di inventare nuove tecniche compositive ma di rigenerare le antiche, le eterne presenti forme espressive della natura, e non solo della natura umana. Uno spettacolo di Barba sembra di averlo già visto, chissà, in sogno o in qualche mondo precedente. Così pure in Zappa sembra di riascoltare tutta la musica esistente come rinata.


Marco
:
E l'improvvisazione?

Pasquale:
Si nota subito che c'era e non c'è più. C'era nella musica d'organo, nel compositore che riscriveva quanto improvvisato da lui stesso, nella commedia dell'arte, in qualsiasi produzione che noi chiamiamo "artistica".


Marco
:
Sul fatto che non ci sia più avrei qualche dubbio.


Pasquale
:
E' risorta nel jazz, ma sta già morendo, è nata aborto nella musica rock, ogni tanto ce la ricorda Dario Fo.


Marco
:
E quella che oggi si definisce "improvvisazione"? Non parlo solo nel jazz mummificato, ma, visto che citi Dario Fo, anche di quella che si fa a teatro (quando si fa).


Pasquale
:
Ciò che passa per "improvvisazione", in realtà, si progetta. Sta tornando, moda, anche nei conservatori o nei corsi di musicoterapia. Ma non se ne sente l'urgenza, è terapia riservata a una nuova classe di professionisti. Altrimenti è palliativo, fregola, distrazione, passatempo, rimedio alla noia. Non è più una necessità. Nelle forme più celebrate è pura letteratura, narcisismo artistico.


Marco
:
Cosa distingue l'improvvisazione "vera" da quella "fasulla"?

Pasquale:
L'improvvisazione è donarsi, denudarsi, diventare suono tra i suoni, corpo tra i corpi, cosa tra le cose, rispondere, reagire; essere presenti fisicamente, ci diceva Barba; muovere l'aria coi suoni, diceva Zappa, o muovere i suoni col corpo. Senza alcuna contropartita. Non ha nulla a che vedere con un progetto artistico, con una produzione. Barba ci faceva partire da poche parole, sempre ripetute, come una litania, o da pochi suoni, come una cantilena, fino a trasformarla in un organismo vivente. Improvvisazione è riprendersi il proprio corpo, le cose, anche quando decidiamo di fare arte convenzionale...

Marco:
Sì, questa è certamente una lezione che la rivalutazione del concetto di improvvisazione nel novecento ha dato a quella che hai chiamato "arte convenzionale" o classica, anche se la convenzione non è affatto estranea all'improvvisazione, diciamo così, "tradizionale" di cui parli. D'altronde...


Pasquale
:
Forse Omero.


Marco
:
Omero?!


Pasquale
:
Non inventava ciò che narrava, ma incorporava ciò che tutti narravano (l'arte non era proprietà esclusiva degli artisti). Non esisteva il pubblico, perché attore era anche lo spettatore. Mai sentito un cantastorie con la chitarra? In attesa di una nuova strofa la chitarra continua col suo basso ostinato, senza mai interrompere la corrente temporale, nella quale entrare e uscire, nella quale ospitare. Nei suoi concerti Zappa riprende tale 'tradizione', tale istinto. In Barba tale ritrovare o rivisitare avviene anche negli spettacoli di strada, dove l'improvvisazione si mimetizza con persone, cose, ambienti, strutture urbanistiche.

Marco:
Mi interessa molto quest'ultimo aspetto e credo non sia da sottovalutare il rapporto tra l'improvvisazione e l'ambiente dove l'improvvisazione ha luogo. Una curiosità: che ne pensi del Living Theater?


Pasquale
:
L'improvvisazione non è libera lì, si copia quanto avviene nella società, si tenta di documentare spezzoni di realtà. L'improvvisazione dovrebbe avere, secondo loro, uno scopo.


Marco:
Insomma, mi pare di capire che non ti piace.

Pasquale:
No, sono contento che il Living Theater esista ancora. Mi meraviglio anzi che, nonostante l'esempio del Living, esistano ancora gli edifici teatrali con tutto l'apparato di sprechi finanziari che li mantengono in piedi.


Marco
:
Quello che dici sugli edifici teatrali può essere esteso a tutte le altre forme artistiche. E qui si può aprire un discorso molto ampio sul rapporto tra arte e spazio. L'avvento della modernità ha portato a una razionalizzazione dello spazio civico (la città "razionalmente" organizzata, amministrata) che ha influenzato anche il modo di fare, quando non addirittura di "pensare" l'arte. Il museo è l'esempio più eclatante della neutralizzazione della pittura.


Pasquale
:
Questa è bella davvero. Un'eccellente definizione del museo. Anzi, estenderei la definizione a tutta l'arte borghese: una neutralizzazione della cultura.


Marco
:
Infatti. Non solo la pittura ma anche la musica ha perso parte del suo potere (o comunque alcune sue caratteristiche un tempo considerate essenziali) nel momento in cui è stata dirottata dalle chiese, dalle piazze e dalle strade alle sale da concerto. Per non parlare dei grandi stadi della musica rock. Nel momento in cui l'arte moderna ha bisogno di un'istituzione che ne preservi l'esistenza, e ne condizioni così dall'esterno il modo in cui va pensata e fruita, è già morta. L'arte pre-moderna, popolare, tradizionale e religiosa, infatti, ha sempre vissuto l'iscrizione in riti, tempi e luoghi stabiliti come un fattore costitutivo. Questi tempi, questi luoghi e questi riti erano la sua ragion d'essere immanente. Ma l'arte moderna, liberandosi da tutte le barriere e i limiti tradizionali, mirava in questo modo all'universalità. Questo è il suo aspetto "progressivo", per questo era sovversiva e per questo è stato necessario incapsularla in appositi spazi, in appositi tempi e ridurla nuovamente a rito (andare a teatro, andare al concerto, andare alla mostra). Un primo passo verso un'arte che dia nuovamente fastidio è proprio la necessità di spezzare questa gabbia istituzionale, questi nuovi riti. Abbattere, letteralmente, le mura.


Pasquale
:
Sono d'accordo.


Marco
:
Noi una volta abbiamo fatto una serata di avanguardia adolescenziale in una birreria. Dal punto di vista del pubblico è stato un fiasco (il "luogo" non era adatto, non c'era la necessaria "attenzione", gli avventori si aspettavano "altro" etc.)...ma è stata una delle cose più giuste che abbiamo fatto: portare l'arte (o qualcosa che le assomigliasse) dove non era previsto che fosse. Il problema è stato che bisognava continuare su quella strada e farne altri cento di spettacoli in luoghi non spettacolabili! A Roma, ad esempio, a differenza che a Londra è vietato suonare per strada. E dov'è che puoi permetterti di fare musica "fuori programma" se non per strada?

Pasquale:
Certo, però anche a Londra che fanno sulle strade? Sono semplicemente avvantaggiati dalla tolleranza dei poliziotti. Ma c'è qualcuno che li ringrazia per il dono della poesia che offrono? Non dovrebbero finanziarli o retribuirli con offerte milionarie invece della mezza sterlina? Non sono folclore o attrazione turistica per gente distratta?

Marco:
Certo, tuttavia la strada non è che uno dei luoghi che andrebbero sfruttati. Anzi, se vogliamo, anche è diventata noiosa e prevedibile.

Pasquale:
Anche lì vedo un museo, come per strade e locali di New Orleans il jazz.


Marco
:
Esattamente. Bisognerebbe portare in strada ciò che non è pensato per essere fatto lì.

Pasquale:
Il fatto è che ci hanno tolto pure le strade, non sono più nostre, appartengono a macchine e negozi, uffici, locali, cancelli, porte. Non esistono che poche strade privilegiate dove si va solo per passeggiare e non ne esistono più per incontrarsi senza bisogno di un appuntamento. La strada è il luogo della fretta.

Marco:
Per questo trovo spesso superficiali e nostalgici i cosiddetti spettacoli "di strada". I buffoni, i trampolieri e i musicanti che ripropongono spettacoli per strade che non esistono più...Quelle cose andavano bene nel medioevo e lì avevano un senso. Uno spettacolo circense, oggi, starebbe bene al teatro dell'opera. In una periferia di Milano bisognerebbe inscenare un bel Kammerspiel.

Pasquale:
Eravamo dei poveri illusi nel pensare che si potesse ritornare sulla strada. Continua a crederci il Living, ci crede ancora Barba. Ci credeva anche Pasolini. Dove fare ancora improvvisazione? Forse nei pub? Nelle discoteche? Nei supermercati? Il problema che poni non è minuscolo. Artaud, Jarry hanno sofferto la mancanza di spazi naturali per il loro teatro. Ne soffre ancora Barba. Ne soffriva talmente Grotowsky che si è ritirato in silenzio a Pontedera. E' morto l'anno scorso.


Marco
:
Non lo sapevo. L'improvvisazione è un luogo, su questo mi pare siamo d'accordo. L'improvvisazione ha bisogno di un luogo per esistere, un luogo fertile. Allo stesso tempo essa crea un suo luogo ogni volta che accade. Il fatto che spesso non sia concesso alcuno spazio all'improvvisazione (ti cacciano dalla strada, ti bussano dal piano di sopra, ti staccano la corrente etc.) vuol dire solo che i luoghi istituzionali (e casa propria è un luogo istituzionale come ogni altro) non le permettono di essere, ne hanno paura. Non è l'improvvisazione ad essere invadente. E' la normalità che è onnipresente, ossessiva, eterofobica.


Pasquale
:
Questa parola?


Marco
:
Sì, l'ho coniata adesso.

Pasquale:
Parliamo di Zappa. Che mi dici delle sue improvvisazioni?


Marco
:
Ecco, è interessante confrontare questa "impotenza" dell'improvvisazione con la strategia di Zappa. In fondo non riduceva anche lui l'improvvisazione a intrattenimento nei grandi stadi? Tuttavia, in Zappa il discorso è più complesso. La forza di Zappa è proprio, come tu accennavi, la capacità non solo di bilanciare l'approccio improvvisativo con quello compositivo ma addirittura di fonderli insieme. La xenocronia e la trascrizione di assoli sono i suoi maggiori contributi in questo campo.

Pasquale:
Ci sono musiche di Zappa che sembrano composte a tavolino (e non ne mancano affatto: Peaches En Eegalia, il tema iniziale di Big Swifty, di Waka Jawaka ecc. ecc.), ma che nascono da improvvisazioni, sue o dei suoi musicisti, trascritte o mixate non importa...


Marco
:
...effettivamente, il tema di Big Swifty è proprio una trascrizione di un assolo arrangiata per fiati.


Pasquale
:
Ricorderei, a proposito, anche le innovazioni "tecnologiche" di Zappa, dall'uso del wah-wah alla chitarra, a quello del mini moog, a quello del collage, ecc. Anche in Barba il collage di diverse improvvisazioni è diventato un metodo di lavoro. Di decine e decine di improvvisazioni, di decine e decine di ore di training. L'improvvisazione è sempre stata alla base di qualsiasi produzione artistica. Abbiamo dimenticato, per esempio, l'improvvisazione in metro e rima, che fino all'ottocento era praticata nel mondo occidentale. Musicisti e poeti trascrivevano quanto avevano improvvisato, non sempre componevano a tavolino.


Marco
:
E la drammaturgia?


Pasquale
:
La drammaturgia! Senza svalutare i drammaturghi che scrivono a tavolino, bisogna ammettere che anche il teatro della commedia dell'arte era tutto basato sull'improvvisazione. Sappiamo che Shakespeare e Goldoni scrivevano su canovacci della commedia dell'arte. O, almeno, vi attingevano idee. Bisognerebbe rileggersi il teatrino delle meraviglie di Cervantes.


Marco
:
C'è quindi sempre stata una simbiosi continua tra improvvisazione e scrittura. Nel caso, citato prima, di Big Swifty e di molti brani zappiani mi pare tuttavia che la stessa distinzione tra improvvisazione e scrittura perda di importanza. Zappa ha dimostrato che un assolo può essere trascritto, trasformato in quartetto d'archi e restare un oggetto sonoro ascoltabile in sé, autonomo. Però, paradossalmente, ha dimostrato che la scrittura può essere libera, aperta, imprevedibile come e più dell'improvvisazione. Si tratta in Zappa, certo, di quel normale atteggiamento di attesa, intuizione, ripresa che caratterizza ogni possibile improvvisazione (dal cantastorie al musicista raga) ma se lo prendiamo un po' alla larga, se estendiamo il concetto di improvvisazione alla capacità di creare una continuità nel tempo accogliendo l'imprevisto etc. allora in Zappa non solo la musica ma anche i testi, le copertine dei dischi, gli spettacoli dal vivo rientrano in questa sua straordinaria dote.


Pasquale
:
Riascoltando The Best Band You Never Heard In Your Life: Godfather part II sembra suonato da un gruppo di scalcagnati che non hanno mixato bene il pezzo, tromba troppo alta rispetto agli altri strumenti. La cosa naturalmente è costruita ad hoc da Zappa.


Marco
:
Esatto. Lui lo chiamava progetto/oggetto (o continuità concettuale). Io e Daniele Timpano ne abbiamo spesso parlato come di una sorta di predilezione per la "mutazione". La capacità di riprendere, modificare fino anche a stravolgerlo un pezzo musicale, un'immagine o un concetto a seconda dei contesti e delle esigenze (basta ascoltare le varie versioni di un brano in diversi concerti per rendersene conto o le rielaborazioni esplicite tipo Son Of Mr. Green Genes) mantenendo un senso di continuità, una coerenza sui generis sulla quale davvero sarebbe interessante interrogarci. Una risposta plausibile mi pare sia l'interesse di Zappa per l'inconscio culturale degli americani (e, per riflesso, anche nostro) con cui egli gioca costantemente, che stuzzica e provoca con suoni, immagini e parole. Egli rovista nel ciarpame mediatico come lo psicanalista fa con i nostri incubi. Non solo in quello che solitamente passa esplicitamente per "spazzatura culturale" (b-movies, jingles, fumetti etc.) ma anche con l'avanguardia e con l'arte cosiddetta "nobile" che invece non è che un'altra parte dell'intera industria culturale che ci inonda giornalmente col suo liquame (The Slime). Tutto è ridotto ormai a spazzatura e questa mancanza di gerarchie "oggettive" lungi dal giustificare un levigato-sbarazzino-innocuo divertissement post-moderno diventa in Zappa vero e proprio terrorismo sonoro. Per ascoltare Zappa è così: o capisci subito il senso del gioco, ne diventi partecipe e ci godi oppure te la fai sotto dalla paura e dal raccapriccio. Perché certi dischi di Zappa (tipo 200 Motels, che adoro) sono terrificanti, eccessivi, mostruosi! Una vera e propria discarica che ti assale e ti stordisce. In Make A Jazz Noise Here si affoga letteralmente nella musica: improvvisazione, atonalità, clownerie, musichette idiote, rumori...Se Zappa rivitalizza la musica e le tecniche compositive del passato lo fa però a costo di presentar loro il conto della loro parzialità. Rendendole definitivamente del passato in quanto pretendono di essere autonome e non si rendono conto che sono oggettivamente, socialmente, ridotte ad essere solo un tassello di un sistema dell'informazione e del divertimento che ci prende per i fondelli ogni giorno. Zappa prende la totalità per la gola e la fa cantare. L'urlo agonizzante, patetico, violento, ridicolo che ne consegue è causa di gioia perché è un urlo, per noi, liberatore. Ci rende consci del mondo che ci circonda, delle sue illusioni, dei suoi miti stantii, delle sue parole d'ordine. Zappa riesce a fare tutto questo perché prende il Sistema e ci gioca sopra; non si abbandona a nessuna mistica dell'immediatezza prendendola come via di salvezza o di fuga: non il rock'n'roll, non l'avanguardia...e non l'improvvisazione. Ecco, nonostante tutto io credo che Zappa mantenga sempre un interesse centrale per la scrittura (opere della maturità come The Yellow Shark e Civilization Phase III sono monumenti alle delizie della partitura) che non può essere reso "subalterno" a quello per l'improvvisazione. Anzi, credo che alla fine egli aspirasse ad essere sempre un organizzatore di suoni, eventi ed immagini e che vedesse in questa sua capacità organizzativa (che certo era molto libera e si serviva dell'improvvisazione come un momento ineludibile) il proprio contributo "artistico".


Pasquale
:
Devo concordare con te che in Zappa la scrittura ha un ruolo fondamentale, non sognava da adolescente di diventare un musicista "classico"? Usò una cospicua somma, avuta in regalo, per affrontare un viaggio a New York solo per incontrare Edgar Varese. In Barba non esiste, al contrario, "scrittura", il suo inchiostro è il corpo vivente dell'attore. Se in Zappa e Barba l'improvvisazione è un metodo di lavoro e di ricerca, è certo che non ci sono soltanto somiglianze, ma anche differenze.


Marco
:
Immagino di sì, anche se non conosco abbastanza Barba per poter fare paragoni.


Pasquale
:
La differenza più esteriore è l'accettazione del mezzo tecnologico in Zappa e il rifiuto di esso da parte di Barba. Altra differenza è il materiale usato: in Zappa anche il ciarpame della produzione discografica, in Barba, come ho già detto, il corpo vivente dell'attore, ma, in comune, la forza creativa della natura, il ritorno al concreto, alla materia fisica: attori e musicisti toccano, odorano, sentono, guardano con tutti i sensi, non con le idee. I pensieri nascono dalle cose, non le cose dai pensieri. Il che richiede una disciplina artistica che non è la tecnica corporeo/musicale che si può coltivare nelle accademie e nei conservatori, ma quella che si raggiunge con una dedizione sovrumana alla scoperta delle proprie energie espressive. Il virtuosismo è essenziale all'arte, ma non la salva.


Marco
:
Le prove con Zappa erano notoriamente massacranti. Anche con Barba?


Pasquale
:
Otto dieci ore di lavoro al giorno.


Marco
:
Cavoli. Sì, effettivamente, vedo delle affinità.


Pasquale
:
Alcuni musicisti/attori si sono ritirati dal duro metodo di Zappa/Barba. Cinico sistema di selezione dei propri attori/musicisti. Anche il jazz, è vero, richiede un duro lavoro quotidiano, come del resto qualsiasi arte. Ma non richiede il superamento irrazionale e impossibile delle proprie abilità espressive. A parte, appunto, nei grandi artisti. I quali hanno dato più di quanto offrissero le proprie possibilità tecniche. Su cos'è questo di più...


Marco
:
...sì è vero, anche nel jazz è talvolta avvenuto qualcosa di simile. Molti musicisti, poi divenuti famosissimi e modelli da imitare, suonavano in modo poco ortodosso, con palesi limitazioni tecniche. Per me l'improvvisazione è davvero un'esperienza fisica prima che strettamente musicale, mi spinge a misurarmi fisicamente con lo strumento, percuoterlo, tirare le corde, avvinghiarmi sui tasti. Tutto ciò che produco è il risultato di una ricerca che è espressiva e logica allo stesso tempo. Espressiva: perché mi porta dove il consueto modo di suonare (addomesticato, prevedibile, pulito) non mi porta. Logico: perché il materiale fonico che produco possiede intrinsecamente un valore strutturale...melodico, armonico o ritmico. E su questo lavoro per costruire l'improvvisazione. Scusa l'interruzione.

Pasquale:
Anch'io interrompo spesso l'interlocutore. Non mi considero perciò un maleducato. Stavo solo dicendo che su cos'è questo 'di più', rispetto alla mera tecnica che si manifesta nei grandi artisti, ne discutono già abbastanza i filosofi e i critici d'arte.


Marco
:
E tu che ne dici? Vogliamo lasciarlo nell'indeterminato o nel mistico?


Pasquale
:
Le parole non mi aiutano. Penso che qui ci basta nominarlo col termine del divino Platone: delirio delle Muse.


Marco
:
Parliamo di "improvvisazione" e tiri in ballo Platone! Niente male.


Pasquale
:
Ci siamo chiesti come mai nessun drammaturgo scriva oggi tragedie? Le tragedie scritte negli ultimi due secoli non sono più che esercitazioni letterarie. Non vado troppo per il sottile, le eccezioni confermano.


Marco
:
Posso anche darti ragione, ma che c'entrano Barba e Zappa?


Pasquale
:
Abbiamo perso il dono di piangere. E di ridere. Zappa e Barba ce ne fanno sentire nostalgia. Riascoltiamo il bandito di Chicago, dove riso e pianto mi ricordano quello della tragedia greca. Ha tentato Pasolini di riprendersi la tragedia, ma puzzava di citazioni. Provo a ricordare alcuni brani di Zappa dove, per dirla alla Nietzsche, si sente di più lo spirito dionisiaco: "The Final" da 200 Motels, Flower Punk, I don't even care, l'accennato Illinois Enema Bandit, Dickie's Such An Asshole, Peaches En Regalia, King Kong. Ma tutta la sua musica ne è pervasa, anche quando a quelli di Dioniso preferisce i doni di Apollo. Tutta l'opera di Barba ci ridona la tragedia. Il problema è che se ne fa subito un'opera artistica, anche questa reificata, confezionata, da vendere; così torniamo alla 'neutralizzazione' di ogni forma artistica. Ecco perché il tentativo barbiano di portare gli spettacoli tra la gente comune è fallito (ma chi ci dice che non sia un seme?). Vi è riuscito di più Zappa. Anche qui non vado troppo per il sottile: mi piace punzecchiare.


Marco
:
Mi pare che quanto dici a proposito di apollineo e dionisiaco si ricolleghi a quello che hai detto prima sul superamento "irrazionale e impossibile delle proprie capacità" tramite l'improvvisazione.


Pasquale
:
Sì, non solo superamento "irrazionale e impossibile delle proprie capacità" tecniche, ma anche fisiche, di sfida nei confronti della fatica. Non la resistenza atletica tipica delle gare sportive o degli esercizi acrobatici circensi. Barba chiamava 'organico' tutto ciò che riguardasse anima e corpo, forza fisica e intellettuale. Movimento organico del corpo era il corpo che si faceva pensiero e il pensiero che si faceva corpo: il gesto non veniva programmato, non doveva nascere da un esercizio ginnico o da gestualità stereotipe delle scuole di danza o di teatro, non importa se di origine cinese, balinese o della commedia dell'arte. Il gesto, per poter nascere unico e differente anche da ciò che ne possa immaginare chi lo compie, deve nascere dal training, dalla fatica portata all'eccesso, solo allora il corpo si riconcilia con le cose. Ciò è stato preso per raggiungimento dello stato di trans, ma, se in qualsiasi momento gli attori fossero stati interrotti durante un'improvvisazione, avrebbero ripreso dal punto in cui si erano fermati. Un po' come nell'improvvisazione musicale. Mi pare che proprio Zappa dicesse che non si fidava del musicista, che, richiesto di interrompere un'improvvisazione, non sapeva in quale tempo di quale battuta si trovasse.


Marco
:
Lo considerava essenziale.


Pasquale
:
Non è anche la capacità dei migliori jazzisti? Non è il difetto di molti jazzisti quello di non sapere in che zona del chorus si trovano e aspettano la rullata del batteritsta? Beh, temo di offendere la suscettibilità dei milioni di fans di Miles Davis, non la tua, spero, ma costui non sapeva dove si trovasse durante le sue improvvisazioni. Almeno nella produzione strettamente jazzistica, perché nel rock, ci si può permettere di tutto. Scusami la divagazione pettegola.


Marco
:
Figurati. Su Miles Davis non ti preoccupare non è un mio idolo. Adoro i dischi che ho sentito: Bitches Brew, ovviamente, e Nefertiti.


Pasquale
:
Non ho presente Bitches Brew, ho invece presente molta musica successiva alla produzione di Zappa che, se non lo scopiazzava malamente, ne scimmiottava trovate ritmiche, timbriche, perfino melodiche. Comunque, caro Marco, non prendere per verità dimostrate quanto dico e non fartene influenzare troppo. Lontana da me l'idea di moltiplicare il numero degli epigoni di Barba o di Zappa. Già il mio gruppo teatrale era abbastanza autonomo dal metodo barbiano da indirizzare la ricerca secondo le nostalgie teatrali dei singoli attori.


Marco
:
Parli del tuo lavoro col Teatro di Ventura?


Pasquale
:
Si. Il nostro regista Ferruccio Merisi e, prima di lui, Silvio Castiglioni, era abbastanza oculato da tener conto delle nostre passioni teatrali, pur conservando la rigidità e i principi generali del metodo di Barba: non meno di otto ore al giorno tra acrobatica, esercizi vocali, danza, improvvisazioni sui testi, ripetizioni - ma sempre nel delirio delle Muse o in 'estasi' - di azioni teatrali fissate per il montaggio finale, ecc. ecc., in un'atmosfera di enorme concentrazione 'organica' che faceva scorrere le ore senza che ce ne accorgessimo.


Marco
:
Che intendi precisamente quando parli di "delirio delle muse", di "stato di esaltazione"?


Pasquale
:
...lo stato di esaltazione (uso tale termine solo per comodità) permette al corpo di sprigionare energie di cui si meraviglia lo stesso attore e non le considera esibizionisticamante come bravura, ma come un dono del proprio corpo liberato dai condizionamenti gestuali che subiamo fin dall'infanzia. Per raggiungerlo era necessario un atteggiamento di totale fiducia nel regista e di totale abbandono nel compiere i movimenti che il corpo ci dettava. Senza pudori di sorta. Anche qui potremmo trovare analogie con Zappa e con il jazz.

Marco:
Questo è molto interessante. Mi ci ritrovo abbastanza anche se non so se quando suono raggiungo una forma di estasi e visto che col mio gruppo di improvvisazione, i MMMC, le battute in genere non ci sono...non posso verificare alla lettera quello che dici. D'altronde a parlare di "estasi" mi sento un po' in imbarazzo. Ma se si prende il termine nel senso originario, come un "saltar fuori", e se quel "fuori" non è una dimensione semplicemente trascendente, "spirituale", ma una pratica di liberazione sociale che è, a un tempo, personale e collettiva, allora sono pienamente d'accordo.


Pasquale
:
Se parlo di superamento dell'impossibile parlo sempre anche di ciò che alla ragione sembra impossibile. Pensare col corpo, ci diceva Barba. E Zappa intende dire più o meno la stessa cosa quando dice che la separazione tra mente e corpo è un'illusione, un'ideologia. Quella del logos che si fa carne è una considerazione che il cristianesimo ha quasi subito asservito alla teologia e alla scolastica. Non ha tollerato che il corpo, mortale, potesse pensare: il pensiero appartiene all'anima immortale (in paradiso penseremo soltanto, bella prospettiva!). Ne parla meglio Nietzsche.


Marco
:
Senza dubbio.


Pasquale
:
Pensare col corpo vuol dire per Barba portarlo dalla massima leggerezza alla massima pesantezza, da un'assoluta immobilità a un'improvvisa esplosione di forze: così vedevi corpi quasi dormienti saltare all'improvviso per aria e ricadere con un tonfo sul pavimento, senza che ci si rompesse le ossa, oppure, vedevi un oggetto, una palla, una piuma, una bacchetta che, non come fanno i giocolieri del circo, danzavano col corpo con imprevedibili voli: l'esercizio non aveva un modello da seguire, quello per esempio degli esercizi di acrobati, clowns, attori della commedia dell'arte, mimi o giocolieri, ma doveva creare o rigenerare rapporti sepolti nella memoria del nostro corpo martoriato dalle abitudini cittadine. Forse un riacquistare il movimento di insetti, pesci, uccelli, leoni, elefanti, gazzelle. Già Talete ci ricorda che l'uomo era in origine un altro animale, un pesce. Sì, la sensazione del pubblico era quella di assistere a uno spettacolo di animali, più che di uomini. Un esercizio veniva portato all'estremo delle possibilità di resistenza fisica; allorché sembrava che il sudore non trasparisse più dalla pelle, tanto il corpo sembrava disidratato (i critici più maligni dicevano che puzzavamo di sudore, ed era vero), la lingua si seccava e, miracolo, allorché sembrava che fossimo allo stremo delle forze, proprio allora riprendevamo con più veemenza di prima, con sorprendenti movimenti, energie vocali, gestuali, simboliche, in una condizione di estrema autocoscienza e di padronanza della volontà. Ho fatto anche dello psicodramma e so l'abisso che lo separa da quegli allenamenti. Tali esplosioni di energie fisiche le ritrovo nei giochi dei bambini, arrampicarsi sulla cima di un albero, rincorrere farfalle o lottare per gioco. Ecco che il nostro corpo riviveva bambino, o riviveva sciamano, o rabdomante. E ora tutto questo è morto per sempre, ecco la tragedia. Il corpo non è più il corpo, le stelle si confondono, in falsi cieli, coi lampioni. Il nostro corpo pensava senza idee. Tornava a nominare le cose, a parlare con esse.


Marco
:
Dici "ora tutto questo è morto per sempre". Mi infastidiscono i necrologi dell'arte, mi pare - in effetti - un attività prediletta dell'estetica di cui l'arte poco o nulla si cura. Chi parla d'arte per professione ne trae buoni proventi anche nel celebrarne la scomparsa. Un paradosso tipico del nostro prezioso modello sociale, direi. Al contrario, l'artista non può mai fare a meno di credere in quello che fa. Questo senza volermi nascondere la situazione orribile che si trova intorno chiunque oggi voglia ancora dire qualcosa. Allora mi chiedo: è davvero senza uscite la condizione dell'arte e dell'improvvisazione oggi? Non si rischia di celebrarne l'ormai solito funerale di maniera?


Pasquale
:
L'arte, mi pare proprio lo dicesse Adorno, è come una donna che si dona e, se non ricordo male, è il momento che ci costringe finalmente a pensare senza idee, come di fronte a uno spettacolo della natura. Non c'è più posto ormai per la donna che si dona, come per doni di qualsiasi altro tipo.

 


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