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  RIFLESSIONI PER UN NUOVO TEATRO
di Fabio Massimo Franceschelli, 15.03.2002
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Tra musica e teatro

Armonie, dissonanze, distorsioni, ritmo, melodia, atmosfere ipnotiche e ossessive, ritmi sincopati, crescendi, rumore, silenzi.
Parliamo di teatro o di musica?
Quando, nell’ormai lontano 1997, fondai con Claudio Di Loreto la OlivieriRavelli Teatro , sentivo pressante la necessità di lavorare alla definizione e realizzazione di una mia personale concezione teatrale, concezione che credevo fosse ormai matura e pronta per correre nell’agone del “reale”. Un aggettivo, “acido”, mi sembrava particolarmente adeguato ad esprimere in estrema sintesi le mie idee sull’estetica e sulla funzione del teatro (da qui, lo slogan "OlivieriRavelli per un teatro acido"). Mi piaceva utilizzarlo per sfruttarne la doppia valenza semantica: in primo luogo, “acido” trovava referenze dirette nell’ambito della musica contemporanea, jazz, blues, elettronica, musica “colta”, e soprattutto rock, quelle correnti del rock che dagli anni ’60 ad oggi hanno lavorato intorno al superamento dei concetti tradizionali di armonia e melodia, introducendo l’uso sistematico della sincope, della distorsione e addirittura del rumore ( noise ). In secondo luogo, “acido”, poteva uscire fuori dalla metafora stilistico-musicale per esprimere al meglio ciò che avremmo voluto (io e Claudio Di Loreto) rappresentasse il nostro teatro per lo spettatore “medio” (spesso addormentato nella sua comoda poltrona): acido, ossia fastidioso, indigesto, eccessivo, disarmonico, nella drammaturgia e nella messa in scena.
E’ il caso, però, di tornare subito al rapporto teatro – musica e a come tale rapporto si pone in quella estetica teatrale che, io e gli amici che condividono con me l’esperienza “OlivieriRavelli”, cerchiamo di costruire spettacolo dopo spettacolo. Il punto è fondamentale perché non è esagerato affermare che, in tale concezione estetica, sia quella musicale la principale chiave di lettura che renda la messa in scena intelligibile.
Chiarisco: la musica a teatro è da sempre uno dei componenti fondamentali della costruzione scenica; una appropriata colonna sonora può spesso fare la differenza tra una scena banale e una efficace e non sono certo io ad averlo scoperto.
La musica è uno dei tanti elementi che contribuiscono alla rappresentazione teatrale. Tra questi elementi, al primo posto per importanza viene generalmente considerata la recitazione (intesa come capacità di un attore di interpretare un determinato personaggio); la musica, la scenografia, i costumi, le coreografie, sono ulteriori elementi, che definirei “esterni”, i quali creano il contesto adatto per completare ed esaltare la recitazione. Tutti insieme, poi, al servizio della drammaturgia, vera regina di questa miscellanea dell’espressività artistica che è il teatro.
Che la drammaturgia sia una sorta di dittatrice nella realizzazione di una pièce lo dimostra il fatto che tutti gli elementi che definisco “esterni” debbano convergere a “rendere il testo”, chiarirlo, esaltarlo e sottolinearne le parti ritenute più importanti. Nella moderna prospettiva teatrale, tuttavia, sono molti gli artisti che hanno abbandonato il rigoroso rispetto del testo e preferiscono soffermarsi sulla realizzazione/visualizzazione di una singola scena, o quadro, o atto (nel senso di azione ) teatrale. In tale prospettiva lo scopo non è più il cercare di porre nel migliore modo possibile il testo allo spettatore, ma utilizzare la drammaturgia come elemento espressivo che insieme e al pari di altri elementi (recitazione, musica, movimento, scenografia, ecc.) realizzi, in una forma tanto icastica da stimolare l’immediata intuizione, la scena desiderata; una scena che conserva il testo (o uno dei suoi momenti) come propria fonte ispiratrice ma che cerca come obiettivo finale quello di rendere l’atto teatrale nella sua totalità. Se nel teatro tradizionale il testo si trasferiva nelle parole dell’attore, e da qui nell’orecchio e nel cervello dello spettatore, oggi la fruizione passa principalmente attraverso l’aspetto visuale, un visuale, però, che richiede la partecipazione di tutti i sensi (non solo dell’occhio), tutti tesi a cogliere l’atto teatrale nel suo porsi. La scena diviene un quadro vivente, un quadro che parla e si muove ed emette musica; scompare la dualità tra testo ed elementi “esterni”; tutto quanto concorre ad un atto artistico totale.
E’ un tipo di percorso su cui mi riconosco, ma che nel contempo non esaurisce la mia concezione estetica.
Mi sono spesso chiesto perché l’esperienza dell’ascolto di un brano musicale possa essere ridotta ad un quesito base: “mi è piaciuto o non mi è piaciuto”. Con questo non affermo certo che non vi siano altre chiavi di lettura per comprendere la musica, ma certo nessuno si pone mai la domanda “che cosa significa questo brano?”. Insomma, in altre parole, la comprensione è immediata e si situa in un ambito logico che non è quello, ben più lento, del “Verbo”. Certo, il testo riveste una sua importanza anche nella musica (pensiamo all forma-canzone o alla lirica), ma non è mai una importanza primaria, altrimenti rifiuteremmo di ascoltare canzoni cantate in lingua straniera.
“Che cosa significa?” è, invece, una domanda che perseguita il teatro. Ogni cosa viene messa in scena deve passare al vaglio del “razionale” e ciò porta lo spettatore ad impegnarsi comunque in una certa misura nella esegesi del testo, nella valutazione della sua credibilità, consequenzialità, attualità. Ecco che l’attenzione dello spettatore viene deviata verso il “cosa viene raccontato” a scapito del “come lo si racconta”. Siamo ancora nell’ambito della vecchia distinzione tra forma e contenuto: a teatro questo si impone su quella; nella musica il problema non si pone: forma e contenuto coincidono.
Fruire il teatro con la stessa immediatezza e completezza che caratterizza la fruizione musicale: questa è la scommessa.
Una fruizione immediata ed intuitiva non sarebbe necessariamente una fruizione più chiara, una maggiore intelligibilità dell’opera: tutt’altro. D’altronde in che senso la musica può definirsi chiara? La musica non dà certezze: evoca, stimola, si mantiene nascosta, sfugge per riapparire quando meno te lo aspetti. Modellare sempre più il teatro sulla musica potrebbe, allora, allontanare lo spettatore dal solito (spesso sterile) esercizio di esegesi secondo schemi razionali già noti, per spingerlo altresì dentro un percorso di “assorbimento” dello spettacolo teatrale che sia basato su intuizione ed evocazione, quelle intuizione ed evocazione che hanno il loro punto di forza proprio nella mancanza di una “chiara chiarezza”, e che in quanto tali spingono incessantemente all’uso del dubbio, pane quotidiano dell’intelligenza.
La strada è stata già in buona parte descritta sopra: bypassare il dualismo tra la drammaturgia e gli elementi “esterni” che la rendono “teatrale”, per giungere ad un atto artistico totale ed immediato; superare quella scissione forma/contenuto che ingabbia il teatro nell’ambito di una espressività sempre e comunque soprattutto verbale (scritto; parola), quindi discorsiva, razionale: un contenuto devoto al Verbo e a cui la forma soggiace.
Ma occorre un qualcosa in più verso questa direzione, qualcosa in più che, nuovamente, chiama in causa la musica. Dobbiamo, ora, utilizzare i concetti di ritmo e struttura della messa in scena. Il parallelo che propongo è molto semplice: in ogni brano musicale, così come in ogni rappresentazione teatrale, vi è una struttura ritmica, sorta di scheletro del prodotto artistico musicale e/o teatrale. La struttura ritmica - i tempi, la disposizione dei “vuoti” e dei “pieni” - costituisce uno scheletro che dà forma al prodotto e lo caratterizza, a mio avviso, ben più di altri elementi formali (quali, ad esempio: nella musica la tecnica esecutiva e la pulizia del suono; nel teatro la dizione o la cura di scene e costumi). Un ritmo adeguato ed efficace è ciò che, nella fruizione dello spettatore, interviene ad allontanare il rischio noia, ossia il disinteresse del fruitore verso il prodotto artistico espresso.
Ritengo, al dunque, che quella intuizione immediata e totale che caratterizza l’esperienza musicale possa essere raggiunta anche a teatro se si dà adeguata importanza al ritmo con cui si costruisce la rappresentazione - ritmo che non può che essere musicale: ritmo e musica sono due differenti modi di esprimere la medesima cosa. La musica non è semplicemente un’esperienza dei sensi; è qualcosa di più profondo e atavico: la definirei una attitudine innata dello spirito umano, così come della carne. L’uomo vive la musica in corpo e spirito; se la parola si comprende nel cervello la musica si comprende nella pancia. Creare un teatro che colpisca nella pancia sarebbe, per me, un grande risultato.
Anni di ascolto musicale in ambiti rock, jazz, blues, pop, ha ormai plasmato la mia sensibilità estetica, tanto che parlerei di un utilizzo istintivo, nelle mie regie, proprio del ritmo attinto da tali ambiti. Può sembrare paradossale (o anche ridicolo), ma personalmente lavoro sulla costruzione delle scene avendo in mente di volta in volta ritmi punk, distorsioni noise, ambienti trance, sincopi progressive (alla Zappa o alla King Krimson, per intenderci), dimensioni dark, e così via.

* * *

Il senso della “ricerca” non è quello di dare certezze, semmai di porre dubbi e stimoli. Spero di avere contribuito in tale senso. Personalmente ritengo che il rapporto musica – teatro, così impostato, prometta l’apertura di scenari che potrebbero rivelarsi veramente innovativi. Chiudo, allora, pensando a quante volte, in un qualsiasi momento della mia giornata, un motivo musicale tra i tanti che conosco appare improvvisamente nella mia testa e suona indipendentemente dalla mia volontà: a volte sembra farsi commento sonoro all’azione che in quel dato momento sto portando avanti, altre volte veicola ricordi, in genere evoca sensazioni. Ripenso, quindi, ad un bellissimo intervento di Eugenio Barba che ho recentemente letto, in cui il fondatore dell’Odin Teatret configura la funzione dello spettacolo teatrale in questi termini: “…una scheggia di vita conficcata nel costato dello spettatore e che l’accompagnerà negli anni. Lo spettacolo, come un insetto, si installa nell’intimo dello spettatore, gli rosicchia il metabolismo psichico, mentale, affettivo, si muta in memoria…”.
Si mutua in memoria, così come avviene per i suoni, o per gli odori.
Compagnia OlivieriRavelli Info: Compagnia OlivieriRavelli

 


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