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Tra musica e teatro
Armonie, dissonanze, distorsioni,
ritmo, melodia, atmosfere ipnotiche e ossessive, ritmi sincopati,
crescendi, rumore, silenzi.
Parliamo di teatro o di musica?
Quando, nellormai lontano 1997, fondai con Claudio Di Loreto
la OlivieriRavelli Teatro , sentivo pressante la necessità
di lavorare alla definizione e realizzazione di una mia personale
concezione teatrale, concezione che credevo fosse ormai matura
e pronta per correre nellagone del reale. Un
aggettivo, acido, mi sembrava particolarmente adeguato
ad esprimere in estrema sintesi le mie idee sullestetica
e sulla funzione del teatro (da qui, lo slogan "OlivieriRavelli
per un teatro acido"). Mi piaceva utilizzarlo per sfruttarne
la doppia valenza semantica: in primo luogo, acido
trovava referenze dirette nellambito della musica contemporanea,
jazz, blues, elettronica, musica colta, e soprattutto
rock, quelle correnti del rock che dagli anni 60 ad oggi
hanno lavorato intorno al superamento dei concetti tradizionali
di armonia e melodia, introducendo luso sistematico della
sincope, della distorsione e addirittura del rumore ( noise
). In secondo luogo, acido, poteva uscire fuori
dalla metafora stilistico-musicale per esprimere al meglio ciò
che avremmo voluto (io e Claudio Di Loreto) rappresentasse il
nostro teatro per lo spettatore medio (spesso addormentato
nella sua comoda poltrona): acido, ossia fastidioso, indigesto,
eccessivo, disarmonico, nella drammaturgia e nella messa in scena.
E il caso, però, di tornare subito al rapporto teatro
musica e a come tale rapporto si pone in quella estetica
teatrale che, io e gli amici che condividono con me lesperienza
OlivieriRavelli, cerchiamo di costruire spettacolo
dopo spettacolo. Il punto è fondamentale perché
non è esagerato affermare che, in tale concezione estetica,
sia quella musicale la principale chiave di lettura che renda
la messa in scena intelligibile.
Chiarisco: la musica a teatro è da sempre uno dei componenti
fondamentali della costruzione scenica; una appropriata colonna
sonora può spesso fare la differenza tra una scena banale
e una efficace e non sono certo io ad averlo scoperto.
La musica è uno dei tanti elementi che contribuiscono alla
rappresentazione teatrale. Tra questi elementi, al primo posto
per importanza viene generalmente considerata la recitazione (intesa
come capacità di un attore di interpretare un determinato
personaggio); la musica, la scenografia, i costumi, le coreografie,
sono ulteriori elementi, che definirei esterni, i
quali creano il contesto adatto per completare ed esaltare la
recitazione. Tutti insieme, poi, al servizio della drammaturgia,
vera regina di questa miscellanea dellespressività
artistica che è il teatro.
Che la drammaturgia sia una sorta di dittatrice nella realizzazione
di una pièce lo dimostra il fatto che tutti gli elementi
che definisco esterni debbano convergere a rendere
il testo, chiarirlo, esaltarlo e sottolinearne le parti
ritenute più importanti. Nella moderna prospettiva teatrale,
tuttavia, sono molti gli artisti che hanno abbandonato il rigoroso
rispetto del testo e preferiscono soffermarsi sulla realizzazione/visualizzazione
di una singola scena, o quadro, o atto (nel senso di azione
) teatrale. In tale prospettiva lo scopo non è più
il cercare di porre nel migliore modo possibile il testo allo
spettatore, ma utilizzare la drammaturgia come elemento espressivo
che insieme e al pari di altri elementi (recitazione, musica,
movimento, scenografia, ecc.) realizzi, in una forma tanto icastica
da stimolare limmediata intuizione, la scena desiderata;
una scena che conserva il testo (o uno dei suoi momenti) come
propria fonte ispiratrice ma che cerca come obiettivo finale quello
di rendere latto teatrale nella sua totalità. Se
nel teatro tradizionale il testo si trasferiva nelle parole dellattore,
e da qui nellorecchio e nel cervello dello spettatore, oggi
la fruizione passa principalmente attraverso laspetto visuale,
un visuale, però, che richiede la partecipazione di tutti
i sensi (non solo dellocchio), tutti tesi a cogliere latto
teatrale nel suo porsi. La scena diviene un quadro vivente, un
quadro che parla e si muove ed emette musica; scompare la dualità
tra testo ed elementi esterni; tutto quanto concorre
ad un atto artistico totale.
E un tipo di percorso su cui mi riconosco, ma che nel contempo
non esaurisce la mia concezione estetica.
Mi sono spesso chiesto perché lesperienza dellascolto
di un brano musicale possa essere ridotta ad un quesito base:
mi è piaciuto o non mi è piaciuto. Con
questo non affermo certo che non vi siano altre chiavi di lettura
per comprendere la musica, ma certo nessuno si pone mai la domanda
che cosa significa questo brano?. Insomma, in altre
parole, la comprensione è immediata e si situa in un ambito
logico che non è quello, ben più lento, del Verbo.
Certo, il testo riveste una sua importanza anche nella musica
(pensiamo all forma-canzone o alla lirica), ma non è mai
una importanza primaria, altrimenti rifiuteremmo di ascoltare
canzoni cantate in lingua straniera.
Che cosa significa? è, invece, una domanda
che perseguita il teatro. Ogni cosa viene messa in scena deve
passare al vaglio del razionale e ciò porta
lo spettatore ad impegnarsi comunque in una certa misura nella
esegesi del testo, nella valutazione della sua credibilità,
consequenzialità, attualità. Ecco che lattenzione
dello spettatore viene deviata verso il cosa viene raccontato
a scapito del come lo si racconta. Siamo ancora nellambito
della vecchia distinzione tra forma e contenuto: a teatro questo
si impone su quella; nella musica il problema non si pone: forma
e contenuto coincidono.
Fruire il teatro con la stessa immediatezza e completezza che
caratterizza la fruizione musicale: questa è la scommessa.
Una fruizione immediata ed intuitiva non sarebbe necessariamente
una fruizione più chiara, una maggiore intelligibilità
dellopera: tuttaltro. Daltronde in che senso
la musica può definirsi chiara? La musica non dà
certezze: evoca, stimola, si mantiene nascosta, sfugge per riapparire
quando meno te lo aspetti. Modellare sempre più il teatro
sulla musica potrebbe, allora, allontanare lo spettatore dal solito
(spesso sterile) esercizio di esegesi secondo schemi razionali
già noti, per spingerlo altresì dentro un percorso
di assorbimento dello spettacolo teatrale che sia
basato su intuizione ed evocazione, quelle intuizione ed evocazione
che hanno il loro punto di forza proprio nella mancanza di una
chiara chiarezza, e che in quanto tali spingono incessantemente
alluso del dubbio, pane quotidiano dellintelligenza.
La strada è stata già in buona parte descritta sopra:
bypassare il dualismo tra la drammaturgia e gli elementi esterni
che la rendono teatrale, per giungere ad un atto artistico
totale ed immediato; superare quella scissione forma/contenuto
che ingabbia il teatro nellambito di una espressività
sempre e comunque soprattutto verbale (scritto; parola), quindi
discorsiva, razionale: un contenuto devoto al Verbo e a cui la
forma soggiace.
Ma occorre un qualcosa in più verso questa direzione, qualcosa
in più che, nuovamente, chiama in causa la musica. Dobbiamo,
ora, utilizzare i concetti di ritmo e struttura della messa in
scena. Il parallelo che propongo è molto semplice: in ogni
brano musicale, così come in ogni rappresentazione teatrale,
vi è una struttura ritmica, sorta di scheletro del prodotto
artistico musicale e/o teatrale. La struttura ritmica - i tempi,
la disposizione dei vuoti e dei pieni
- costituisce uno scheletro che dà forma al prodotto e
lo caratterizza, a mio avviso, ben più di altri elementi
formali (quali, ad esempio: nella musica la tecnica esecutiva
e la pulizia del suono; nel teatro la dizione o la cura di scene
e costumi). Un ritmo adeguato ed efficace è ciò
che, nella fruizione dello spettatore, interviene ad allontanare
il rischio noia, ossia il disinteresse del fruitore verso il prodotto
artistico espresso.
Ritengo, al dunque, che quella intuizione immediata e totale che
caratterizza lesperienza musicale possa essere raggiunta
anche a teatro se si dà adeguata importanza al ritmo con
cui si costruisce la rappresentazione - ritmo che non può
che essere musicale: ritmo e musica sono due differenti modi di
esprimere la medesima cosa. La musica non è semplicemente
unesperienza dei sensi; è qualcosa di più
profondo e atavico: la definirei una attitudine innata dello spirito
umano, così come della carne. Luomo vive la musica
in corpo e spirito; se la parola si comprende nel cervello la
musica si comprende nella pancia. Creare un teatro che colpisca
nella pancia sarebbe, per me, un grande risultato.
Anni di ascolto musicale in ambiti rock, jazz, blues, pop, ha
ormai plasmato la mia sensibilità estetica, tanto che parlerei
di un utilizzo istintivo, nelle mie regie, proprio del ritmo attinto
da tali ambiti. Può sembrare paradossale (o anche ridicolo),
ma personalmente lavoro sulla costruzione delle scene avendo in
mente di volta in volta ritmi punk, distorsioni noise, ambienti
trance, sincopi progressive (alla Zappa o alla King Krimson, per
intenderci), dimensioni dark, e così via.
* * *
Il senso della ricerca
non è quello di dare certezze, semmai di porre dubbi e
stimoli. Spero di avere contribuito in tale senso. Personalmente
ritengo che il rapporto musica teatro, così impostato,
prometta lapertura di scenari che potrebbero rivelarsi veramente
innovativi. Chiudo, allora, pensando a quante volte, in un qualsiasi
momento della mia giornata, un motivo musicale tra i tanti che
conosco appare improvvisamente nella mia testa e suona indipendentemente
dalla mia volontà: a volte sembra farsi commento sonoro
allazione che in quel dato momento sto portando avanti,
altre volte veicola ricordi, in genere evoca sensazioni. Ripenso,
quindi, ad un bellissimo intervento di Eugenio Barba che ho recentemente
letto, in cui il fondatore dellOdin Teatret configura la
funzione dello spettacolo teatrale in questi termini:
una
scheggia di vita conficcata nel costato dello spettatore e che
laccompagnerà negli anni. Lo spettacolo, come un
insetto, si installa nellintimo dello spettatore, gli rosicchia
il metabolismo psichico, mentale, affettivo, si muta in memoria
.
Si mutua in memoria, così come avviene per i suoni, o per
gli odori.
Info: Compagnia
OlivieriRavelli
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