<< Torna agli Speciali

:: Le altre rubriche


Recensioni:

SoundsHighway
Outsiders
Outtakes
BlackHighway
ClassicHighway
Shortcuts
Made in Italy

Le altre rubriche:

BooksHighway
MoviesHighway
Pneumonia
Speciali
News
Playlist

Servizi:

Live in Italy
Forum
Archivio
Links


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

:: Peter Case - Something's Coming

Non si può certo rimproverare a Peter Case di aver preso la strada più veloce per il successo: dopo un fulmineo periodo di gloria nella seconda metà degli anni ottanta, quando il suo folk "post-moderno" (il marchio che gli avevano affibbiato all'epoca) lo aveva reso un autore coccolato dalla critica e dai colleghi più illustri, ha preferito defilarsi ed inseguire un modello romantico ed austero di songwriter, sempre in bilico tra un passato elettrico (il punk degli esordi e il pop dei Plimsouls) ed un presente fatto di tradizione, ballate e blues. L'ultimo lavoro, Bee Line, prosegue sulla linea di una rinascita artistica che già nel precendete Flying Saucer's Blues e nell'organizzazione del tributo a Mississippi John Hurt aveva mostrato segni di vitalità. Peter si è ritagliato una via espressiva a suo modo originale nel panorama della canzone d'autore americana e sembra non volerla più mollare: della sua idea di folk music, dei nuovi progetti e dei vecchi compagni della sua carriera ne abbiamo parlato in un breve incontro durante l''ultimo tour italiano!
(di Fabio Cerbone)

>> Recensione di Bee Line

www.petercase.com


L'intervista


In questo tour hai riproposto una formula acustica molto stringata, che ricalca in qualche modo i tuoi ultimi tre dischi di studio con la Vanguard (Full Service No Waiting, Flying Saucer's Blues, Bee Line). Sembrano formare quasi una sorta di trilogia. Perché hai scelto queste particolari sonorità?

Si, hai ragione: in effetti li considero anch'io una sorta di trilogia, sono dischi molto legati fra loro. E' stata una mia scelta precisa, non dipende molto dalla produzione o da altri fattori. Durante gli ultimi anni mi è capitato spesso di girare in tour gli States da solo, facendo degli show unicamente con la chitarra acustica e l'armonica, per cui una volta entrato in studio ho cercato di combinare in qualche modo questa mia nuova attitudine "live" acustica con il suono della band. L'obiettivo è sempre stato quello di creare una musica tutta mia, riconoscibile, penso di esserci riuscito: io sono questo suono, quello che senti sia nell'ultimo Bee Line, sia nei due lavori precendeti

Mi ha colpito parecchio il modo in cui hai utilizzato le percussioni e la batteria, specialmente nell'ultimo Bee Line. È stata una tua scelta, in accordo con il produttore Andrew Williams?

Assolutamente si, è stato un indirizzo che ho deciso in totale autonomia, anche se ho sempre lavorato fianco a fianco con Andy. Il senso di questa mia ricerca sulle ritmiche, usando molto le percussioni, è legato ad alcune mie passioni musicali: ho sempre apprezzato la musica africana, per esempio il lavoro di un personaggio come Ali Farka Touré, oppure certe soluzioni ritmiche della tradizione indiana, che si possono sentire tra l'altro anche nelle parti di chitarra. Ho cercato di fornderle con il mio stile e quello della band: lo scopo principale era quello di dare vita a quello che chiamerei un "groove" particolare, evitando il classico battito del rock, molto più quadrato.

Visto che lo abbiamo citato, cosa mi puoi dire di Andrew Williams? È già il terzo lavoro consecutivo che produce con te

Andrew prima di tutto è un vecchio amico, il mio migliore amico, insomma una persona che conosco da una vita intera, per cui lavorare con lui è molto semplice. Ha prodotto gli ultimi tre dischi su Vanguard, ma in realtà gira al mio fianco fin dai tempi dei Plimsouls (la band con cui Peter si è fatto conoscere, ndr): è soprattutto un ottimo musicista, suonava la chitarra con la band e ha fatto parte per molto tempo della squadra di tecnici al seguito. Le sue opinioni sono dunque fondamentali per me: arrivano da una persona che mi conosce molto bene ed io mi fido di questo rapporto. In Bee Line abbiamo cercato di creare un suono che mettesse in risalto tutti i diversi aspetti delle mie canzoni.

Tra le canzoni che hai suonato in questo tour ho aprezzato Evening Raga, è una delle migliori anche su Bee Line: ha questo andamento un po' psichedelico, sembra uscire dagli anni sessanta. Come è nato questo brano?

Davvero ti piace, è anche una delle mie preferite. La canzone è venuta fuori molto spontaneamente, non so darti una spiegazione precisa: una sera ho acceso il registratore ed è uscita tutta d'un fiato, in un'atmosfera molto intima. Ecco spiegata la ragione del verso "my voice is cracking like old dry leaves" (la mia voce scrocchia come delle vecchie foglie secche): era esattamente la sensazione che provavo mentre la stavo incidendo. Per quanto riguarda il titolo, in quel periodo stavo ascoltando parecchio materiale di Ravi Shankar: ho unito le cose ed è saltato fuori Evening Raga...

In Bee line hai inserito anche una cover di Townes Van Zandt: perchè hai scelto questo brano in particolare?

Ovviamente ho sempre amato le sue canzoni, è uno dei più grandi songwriter che abbiamo avuto negli ultimi tret'anni, ma la ragione principale per cui ho scelto questa canzone di Townes Van Zandt è dovuta ad alcune sue esibizioni a cui ho assistito in California. Spesso si pensa a Townes come ad un classico folksinger, ma in questo caso lui la suonava veramente con uno spirito rock. La canzone, Ain't Leaving Your Love, aveva questo feeling alla Bo Diddley che mi ha immediatamente catturato: mi piaceva l'idea di dare una visuale diversa di questo grande artista

Parliamo del tuo interessante progetto su Mississippi John Hurt, con il disco-tributo Avalon Blues: sei orgoglioso del risultato finale?

Si, sono assolutamente orgoglioso di questo disco, è stata una delle mie soddisfazioni maggiori di questi anni. Mississippi John Hurt è per me un punto di riferimento artistico insostituibile, si può dire che lo amo da quando ero bambino e il desiderio di tributargli un omaggio mi girava in testa da molto tempo. Da un certo punto di vista è stato semplice, soprattutto quando si è trattato di chiamare alcuni miei vecchi amici: con Dave Alvin, Steve Earle, Victoria Williams la cosa è venuta moto spontanea, anche l'incisione in studio. Chiaramente per gli altri nomi coinvolti, per esempio Beck o Ben Harper, ho dovuto avere molta pazienza: non tanto per la loro adesione, che anzi è stata da subito entusiasta, ma come puoi immaginare c'era da sopportare tutta la trafila con i manager e la casa discografica

Da dove nasce questo tua grande passione per il blues e la folk music: cosa ti attrae di queste forme musicali?

Non mi è difficile trovare le ragioni di questa mia passione per il blues e la vecchia folk music: i motivi sono legati alla sua estrema semplicità. È una musica assolutamente vera, non studiata, che fluisce dall'artista all'ascoltatore senza mediazioni. Non mi sono mai considerato tuttavia un artista blues o un vero e prorio folksinger: nella mia carriera sono passato attraverso diversi generi, suonando anche molto rock'n'roll. Il segreto sta tutto nel reinterpretare queste radici folk e nel trasformarle in qualcosa di nuovo, qualcosa che sia frutto della tua personalità

E cosa pensi di questa riscoperta delle radici che sembra avere preso piede dopo l'enorme successo della colonna sonora di Fratello dove sei dei Cohen? Pensi sia solo una moda passeggera?

Non saprei dirti con certezza le motivazioni di questa riscoperta, certo fa molto piacere vedere le classifiche e scorrere le copie vendute da questa colonna sonora. Tra l'altro T-Bone Burnett, il produttore del progetto O Brother Where Art Thou, come ben sai è un mio vecchio amico (ha prodotto il primo disco di Peter, ndr): la cosa mi fa doppiamente piacere. Credo però che sia presto per dire che è in atto un'inversione di tendenza nei gusti del pubblico. Sai, sono sulla strada da molti anni ormai, suono folk music da una vita e gente come me, Dave Alvin o Lucinda Williams ha visto passare molta acqua sotto i ponti: i gusti vanno e vengono, è sempre un ciclo, spesso una questione di mode del momento.

Hai citato Dave Alvin: nella tua carriera hai potuto suonare con diversi grandi musucisti, tra cui non solo Dave, ma anche Ry Cooder o David Hidalgo. Tieni ancora i contatti con tutti loro?

Con alcuni naturalmente si, altri molto più raramente. Dave Alvin è di sicuro uno dei miei migliori amici, per cui ci sentiamo spesso. Ry Cooder è forse quello che ho più perso di vista, sai è sempre molto impegnato nelle sue registrazioni e nei diversi progetti.

Ma quali sono stati quelli più importanti per la tua crescita musicale?

Senza dubbio sono state tre le figure fondamentali per la mia carriera, quelle che mi hanno spinto ad imbracciare una chitarra e scrivere canzoni: come già ti accennavo Mississippi John Hurt, poi Bob Dylan e naturalemente Elvis Presley. Inoltre ho ascoltato molto rock'n'roll da ragazzo, un altro mio grande eroe è stato Chuck Berry

Intendevo non tanto quelli che ti hanno influenzato, ma quelli con cui hai suonato realmente

Ok, ho capito. La cosa ti sorprenderà, ma nel periodo in cui arrivai a San Francisco, verso la fine degli anni settanta, il musicista che più di tutti mi aiutò nella crescita musicale fu Mike Wilhelm, che al tempo suonava nei Flaming Groovies e aveva fatto parte dei Charlatans nel periodo psichedelico, alla fine degli anni sessanta. Mi insegnò la tecnica del fingerpicking alla chitarra e fu essenziale per sviluppare il mio gusto come musicista ed autore.

Riguardando alla tua carriera hai qualche rimorso? Dopo i tuoi primi dischi solisti con la Geffen, hai intrapreso un percorso più indipendente

Nel punto in cui mi trovo sono assolutamente soddisfatto. La situazione è mille volte differente e migliore rispetto al passato. Con la Vanguard è la prima volta in tutta la mia carriera in cui sono riuscito ad incidere tranquillamente, senza pressioni e con la stessa gente al mio fianco per due volte di seguito. Cosa che non succedeva affatto con una major, dove fanno di tutto per ostacolarti e tenerti fermo per un paio d'anni

Non è la prima volta che ti esibisci sui palchi italiani: cosa ne pensi di questo forte legame che si è instaurato tra il pubblico europeo e certi songwriters come te o il tuo amico Steve Wynn

In parte questo legame esiste, è un fenomeno che non so spiegarti bene: direi che tutto il movimento legato alle radici e in generale alla folk music in America è molto underground, non è mai riuscito ad uscire definitivamente allo scoperto. Non che qui in Europa la situazione sia molto differente, ma certo la presenza di molti appassionati crea questo rapporto stretto con molti di noi. Si basa tutto sul passaparola, e questo è secondo me un fatto positivo, sulla dedizione di promoters come Carlo Carlini e di riviste come il Buscadero o il vostro sito: finchè ci sarà gente che lavorerà in questa maniera per noi sarà sempre un piacere tornare da queste parti a suonare

 

info@rootshighway.it