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IN CANADA LE OTARIE SI FIDANO DELLE ORCHE. Non di tutte però: solo di quelle locali che vivono in gruppi familiari, rimangono nella stessa regione e, mangiando solo pesce, non rappresentano una minaccia. Le orche sono famose per comunicare fra loro grazie a un linguaggio di click e suoni caratteristico di ogni gruppo familiare. Nelle stesse acque della British Columbia nuota però anche una popolazione nomade di orche, che si sposta per centinaia di chilometri lungo la costa pacifica e, al contrario delle orche stanziali, si cibano di mammiferi marini e soprattutto di otarie. Le orche dei due gruppi sono pressoché identiche ma emettono suoni diversi. Volker Deecke, della scozzese St Andrews University e i ricercatori del Vancouver Aquarium Marine Science Centre hanno fatto risuonare i richiami dei due gruppi di orche ottenendo dei risultati davvero inequivocabili. Tranquille se il mare era pervaso dal chiacchiericcio delle orche locali, le otarie scappavano freneticamente al primo accenno di un dialetto sconosciuto. Possiedono quindi un orecchio musicale raffinato, se pensate che il dialetto delle orche residenti è composto da almeno 50 richiami diversi. Rimane comunque il fatto che la tecnica musicale serve poco se le orche cacciatrici si avvicinano in silenzio!

QUANTA LUCE NEL NOSTRO MARE? Si chiama Fish ed è la nuova sonda dell'Enea che calcolerà i livelli di energia luminosa a disposizione delle alghe e piante del plancton alle diverse profondità marine. Trainato da una nave di ricerca 'Fish', che è ancora in fase di realizzazione, ha forma di siluro e alette per stabilizzarne la traiettoria. Porterà a bordo una serie di strumenti per misurare le caratteristiche fisiche del mare in cui si muove - temperatura, salinità, quantità di ossigeno - e un laser per rilevare la presenza di materiale inquinante.

LE BARRIERE CORALLINE STANNO GUARENDO! Timidi, sporadici ma inequivocabili i segni di ripresa che mostrano le barriere coralline in molte aree del mondo, dopo gli ultimi anni di crisi provocati da temperature elevate e dalla presenza massiccia di agenti inquinanti. Ma attenzione a non abbassare la guardia, esortano gli scienziati, perché la ripresa non è uniforme e mentre alcune zone sembrano recuperare molte altre proseguono nel loro declino. Il punto è stato fatto con la pubblicazione de The Status Of The Coral Reefs Of The World 2002, pubblicato dal the Global Coral Reef Monitoring Network (GCRMN) in collaborazione con la IUCN. " Alcuni sistemi corallini stanno lentamente migliorando grazie agli sforzi e alle azioni internazionali per affrontare le cause del degrado delle barriere coralline, come la pesca con la dinamite e la sedimentazione eccessiva ha commentato Carl Gustaf Lundin, responsabile del programma marino della IUCN. "Ma è evidente che i nostri sforzi di prevenirne il declino sono assai più lenti della velocità con cui le barriere coralline mondiali si stanno impoverendo'. Oltre agli effetti diretti dell'uomo sull'ambiente, come la pesca eccessiva, l'inquinamento e la sedimentazione, bisogna infatti aggiungere le minacce poste dal cambiamento climatico in atto sul pianeta.
Il rapporto, redatto dal biologo marino Clive Wilkinson,mostra una realtà difficile: il 27% dei reef mondiali distrutto, un ulteriore 14% seguirà la stessa fine nei prossimi 10 o 20 anni. Nel 2002 oltre 400 reef hanno subito il 'bleaching' o 'sbiancamento', hanno cioè perso le alghe con cui vivono in una simbiosi fondamentale per il loro accrescimento. In Australia e Papua New Guinea, nonostante i fenomeni di bleaching degli anni passati, gran parte dei reef è in buone condizioni di salute, ma soprattutto perché lontana dagli uomini. Il rapporto mostra aree in miglioramento ma si tratta soprattutto di reef messi 'in quarantena', reef dichiarati off-limits per consentire alla barriera di riprendersi. La comunità internazionale è stata molto attiva in questi anni: gli Stati Uniti hanno creato una coral reef task force, la Svezia ha finanziato ricerche nell'Africa orientale, sud-est asiatico e Oceano Indiano e anche la Francia si è distinta nella ricerca. Ma purtroppo questa sarà una stagione cruciale, avverte Wilkinson: l'assenza dei monsoni o degli alisei e i cieli limpidi tipici delle stagioni influenzate da El Nino porteranno condizioni ambientali difficili per i coralli.

UN PINGUINO ALBINO nello zoo di Bristol. Bianche le penne e le piume, becco chiaro, zampe e soprattutto occhi rosa: il piccolo pinguino è un vero albino, non un semplice pinguino 'scolorito'. Un avvenimento rarissimo: solo due pinguini albini sono mai stati osservati in natura, e nessuno mai in cattività. 'Goccia di neve' è l'unico della nidiata di pinguini africani ad aver ereditato da entrambi i genitori il gene responsabile dell'albinismo, un gene recessivo che interferisce e blocca la produzione di melanina. Il piccolo sta bene ma verrà tenuto sotto controllo per eventuali problemi agli occhi e alla pelle tipici degli individui albini.

LA STORIA SI RIPETE Dopo il crollo degli ricchissimi Grand Banks del Newfoundland, ora ridotti a distese deserte di granchi e pulci di mare, i merluzzi stanno per sparire anche dai banchi del mare del Nord. I ricercatori dell'International Council for the E'ploration of the Sea (Ices), un organismo indipendente consulente dei governi in tema di pesca in Atlantico, sono unanimi nel definire critica la situazione. Il collasso è alle porte, ma né i legislatori dell'Unione Europea né i pescatori sembrano voler ascoltare. La situazione è drammaticamente simile a quella di dieci anni fa sui Grandi Banchi: le catture sono crollate a livelli insostenibili e, soprattutto, ora si pescano individui che non si sono ancora riprodotti. Conferma Hans Lassen dell'Ices: "Gli ultimi quattro anni sono stati i peggiori della storia. Ricordiamoci che i merluzzi si riproducono a quattro anni d'età, mentre gran parte dei pesci catturati hanno due o tre anni. Stimiamo siano rimaste 30-40.000 tonnellate di merluzzi riproduttivi nel Mare del Nord. Il minimo necessario è di almeno 70.000 tonnellate. Vent'anni fa ce n'erano 150.000 tonnellate. Andrà a finire come nei Grand Banks. Quando? Nel giro di pochissimi anni: due, tre, quattro. Non sappiamo con esattezza quando, ma sappiamo per certo che accadrà. La soluzione? Chiudere i banchi prima che sia troppo tardi, nella speranza che gli stock di pesce possano riprendersi. Nei Grand Banks si arrivò al crollo prima di chiudere tutto: e dopo dieci anni i merluzzi non sono ancora ritornati.

 
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